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SOMMMARIO (N° 0)
- Bellezza Divina
- la Madre del Signore...
- In principio era soltanto musica
- La via della Bellezza
- La Bellezza nella liturgia
- Laicato e Bellezza
- Intervista a Lorenzo Margiotta
- Dalla Carità la Bellezza
- Famiglia: diventa e credi ciò che sei.
- La pace degli altri è la nostra pace
- Narrando la Bellezza
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LA MADRE DEL SIGNORE «ARCHETIPO» DELLA CHIESA Per approfondire l'intima natura della Chiesa, quale Corpo di Cristo e sua Sposa «santa e immacolata» (Ef 5,27), può essere ancora di grande aiuto la riflessione mariologica, ossia la contemplazione di Maria, Vergine e Madre, immagine esemplare della Chiesa, suo volto «mariano», modello compiuto della imitazione di Cristo. [1] Concludendo, si possono precisare due termini che sono essenziali per meglio mettere in luce non solo la connessione stretta tra mariologia ed ecclesiologia, ma anche per comprendere più adeguatamente in che senso la Vergine Madre è l'anima ecclesiastica, e quindi perché la Chiesa nella sua natura più intima non può non essere «mariana» unitamente alla sua forma «petrina» (gerarchica). Questi due concetti, che abbracciano entrambi la esemplarità ecclesiale di Maria, sono quelli di «archetipo» e quello della ancilla Domini. Maria, la nuova figlia di Sion, «è già in anticipo anche l'essenza genuina della Chiesa futura che nasce dal Corpo e dallo Spirito di Cristo».[7] Ora, il rapporto fisico tra Maria e Gesù, tra la Madre e il Bambino, realizzato col concepimento verginale ad opera dello Spirito Santo, «trasforma in un problema nuovo il rapporto tra l'esperienza di Maria, l'esperienza della Chiesa e l'esperienza del singolo credente. [...] L'esperienza archetipa si trasfonde ormai col il suo flusso in quella imitativa. In primo luogo, perché la fede di Maria, che sta a fondamento della sua esperienza di maternità, è la stessa della fede di Abramo e della fede di ogni cristiano. In secondo luogo, perché Maria, portando e partorendo il Figlio e il Capo della Chiesa, porta in sé e fa uscire da sé i cristiani assieme alla loro fede alla loro esperienza di fede. L'archetipo stesso qui ha la forma materna e abbraccia nel suo mantello protettore coloro che nel futuro lo imiteranno. Qui raggiunge il suo vertice ultimo anche la dimensione prolettica di tutta l'esperienza veterotestamentaria, l'esperienza fisico-personale che Maria ebbe del Bambino, che è suo Dio e Salvatore, è aperta senza riserve alla cristianità. Essa è tutta, fin dal principio e in maniera sempre più forte, esperienza per gli altri, per tutti, esperienza espropriata a favore della universalità, esperienza che si fa non solo nella perdita del Bambino (dal dodicenne fino alla vita pubblica e alla passione, fino alla fondazione della Chiesa), ma nel sottrarsi progressivo dell'esperienza stessa, come se la Madre dovesse progressivamente rinunciare ad ogni dimensione vitale-personale a favore della Chiesa e restare alla fine come un albero spogliato con la sola fede («Ecco tuo figlio!»), ogni colore intimo e personale le viene progressivamente sottratto a favore della Chiesa e dei cristiani, per essere accordato loro assieme alla grazia di Cristo che è divino-umana, una grazia che è quindi piena dell'esperienza umana di Dio in Cristo».[8] Dopo questa pagina esemplare sulla funzione ecclesiologica di Maria, si può concludere ricordando l'altra immagine mariana, anch'essa densa di implicazioni per la ecclesiologia e per la vita cristiana. Si tratta della stessa autodesignazione della Vergine di Nazaret davanti all'annuncio dell'angelo e più esattamene davanti alla parola di Dio che la interpella, che la chiama alla collaborazione: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,39). Pronunciando con prontezza il suo ecce ancilla Domini, Maria mostra tutta la sua disponibilità attiva; essa è come «l'argilla umida nella quale soltanto si lascia imprimere la forma di Cristo (Christusgestalt)».[9] In primo luogo, è da rilevare che nella «cooperazione» tra Dio e la creatura, come anche tra Cristo e i suoi, mai l'immagine di Cristo viene impressa ad opera dell'uomo, così come in nessun uomo essa può essere impressa senza la sua libera volontà e la sua collaborazione. In secondo luogo, Dio e l'uomo non operano o collaborano sullo stesso piano, così come può accadere in un'opera d'arte che il maestro progetta ed esegue nelle sue parti principali, lasciando poi ai discepoli di completarla nelle parti meno importanti. Anzitutto, «il mariano ecce ancilla Domini rimanda alla distanza tra il Signore e la serva. Questa distanza si manifesta nel fatto che il Signore comanda in tutto e la serva obbedisce in tutto. Quest'obbedienza creaturale e cristiana caratterizza tutta l'esistenza. Essa arriva fino alla morte, anzi fino alla morte in croce, rinuncia a tutte le proprie idee e obiezioni, accetta dal Signore tutto il piano di lavoro e mette a disposizione di questo piano tutte le proprie forze, fisiche e spirituali. In questo essa è l'opposto di una passività che rinuncia alla cooperazione e lascia che Dio «faccia ciò che vuole». L'ancella è piuttosto nell'atteggiamento di un'attenzione continua al cenno della padrona (cf Sal 122,2); con tutte le sue forze disponibili essa è pronta a balzare, così o in un'altra maniera, o anche, se questa fosse la volontà del Signore, ad essere saltata, dimenticata, messa da parte. Il suo atteggiamento è un essere tesa alla venuta del Signore».[10] Ed è con tale atteggiamento di disponibilità attiva o sponsale al primato della parola di Dio che Maria ha potuto ricevere in sé il Verbo della vita, lasciandosi plasmare nell'anima e nel corpo dalla forza creatrice dello Spirito Santo, per diventare, a seguito del suo «sì» (fiat) a Dio, il grembo verginale del Figlio di Dio fatto uomo, la cellula primigenia della Chiesa, la madre “tutta bella” dei credenti in Cristo Gesù. [1] Cf Paolo VI, MC 37; G. LIPARI, La Beata Vergine Maria modello compiuto del discepolo del Signore, Tesi di Magistero in Scienze Religiose, A.A. 2001-2002, 1-159. |
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