TEATRO. LA RAGIONE DEGLI ALTRI
Di Luigi Pirandello
(Seconda parte)

Ieri, 8 aprile 2011, si è svolta la seconda parte della conferenza del professor Franco Ferro, che, dopo una chiara ed esauriente introduzione, ci ha proposto la visione della fine del secondo atto e tutto il terzo dell'intenso dramma in tre atti di Luigi Pirandello, "La ragione degli altri". Riassumo brevemente quanto accaduto.
La vicenda è quella di un giornalista, Leonardo Arciani, che, a causa della sterilità della moglie Livia, intreccia una relazione con una vecchia fiamma, Elena, dalla quale ha una figlia.
Inizialmente Livia subisce la situazione, ma poi, scossa dalle parole del padre, reagisce decisamente per riavere il marito. Ritrovandolo però padre di una bambina, sostiene di dover portare via ad Elena non solo l'amante, ma anche la piccola. Convince quindi la donna che tutto è per il bene di sua figlia, che avrebbe così una famiglia ricca e "in regola". Con la formazione di questa nuova famiglia (saranno effettivamente felici?), si conclude l'opera.
Compare qui per la prima volta una tematica costante di Pirandello: l'annullamento di sè per la felicità dell'altro. E per annullamento qui non s'intende abnegazione, ma piuttosto la cancellazione della propria personalità per la personalità degli altri, delle proprie ragioni per le ragioni degli altri.
La prima ad annullarsi, per tenere nascosta la vicenda al padre, è Livia. Questa, pur soffrendone, crede quasi che il marito non abbia commesso una colpa tanto grave: in fondo, per risolvere la situazione creatasi basta che lei si annulli!
Chi "rovina tutto" è proprio il padre, Guglielmo, che, venuto a conoscenza del fatto, crede di essere matto vedendo che tutti (compresa sua figlia!) ne parlano come fosse una situazione quasi normale...:
"Cose da trasecolare! Ma dove siamo? Oh, mi tocco e dico: ma, ho la testa a posto? La meraviglia non è di lui... Ma vedo te, così... Ohè; figlia mia! Che sortilegio t'ha fatto? [...] Non si può davvero più parlare? Fare, sì, si può tutto. Gli atti qua non offendono. Appena si parla invece: piano! piano! V'offendono le parole? Ma guarda! Pare che gli orecchi soltanto in città vi diventino così delicati!"
L’etica pirandelliana non analizza mai le questioni morali ma solo le reazioni dei personaggi dinanzi agli eventi. Livia, moglie annullatasi per evitare lo scandalo, “fredda, impossibile, sublime” nel suo assurdo subire i fatti, rassegnatamente inchiodata ad una “apparenza di vita che si regge sul silenzio”, ha conservato il proprio ruolo di facciata agli occhi della società. Leonardo, marito schiavo del suo stesso bisogno, ha commesso un errore irreparabile e una volta terminata e scontata la colpa non gli resta che subirne le conseguenze ed il castigo. Elena, amante prima e madre poi, costretta a rinunciare sia all’uomo che alla figlia in quanto il contesto sociale non le riconosce né il ruolo di moglie né quello di genitrice. Solo il padre di Livia, al di fuori del meccanismo perverso di questo triangolo, conserva i tratti di una semplice ed accorata spontaneità, e non si capacita di ciò che vede, non potendo accettare un principio secondo il quale, incredibilmente, gli atti non offendono mentre le parole vanno sussurrate con discrezione. La chiave del dramma non è tanto nel tradimento quanto nel silenzio imposto allo sdegno, nel comportamento di Livia, che dopo la scoperta ha “troppo taciuto, e nel silenzio troppo ascoltato la ragione degli altri”. Ma una volta squarciato il velo di questa silente condizione, sarà proprio la moglie abbandonata a rivendicare con crudele raziocinio la propria verità. La dicotomia tra il ragionare – che immobilizza - ed il fare, impossibilitato dalle convenienze, trova soluzione in una assurda situazione in cui “torto o ragione è tutt’uno”: la bambina verrà riabilitata, cresciuta in una famiglia “ufficiale” e potrà beneficiare del nome del padre legittimo e del patrimonio della madre putativa. E la vendetta sta paradossalmente nella comprensione prima, e nel proporre questa soluzione atroce poi, come Livia stessa ammette: “la ragione per cui sono venuta senza astio né odio è più crudele dell’odio stesso”. Alla fine la ragione superiore sembra essere il bene della figlia, inteso ancora una volta come ufficialità del ruolo; il male è di essere padre e madre al di fuori di una famiglia “regolare” e riconosciuta, e in contrapposizione a ciò, il bene è dare alla bambina la luce, la ricchezza, il nome del padre. Secondo la ragione degli altri, cioè di una società borghese, formale, stereotipata, l’antitesi sostanziale sta in una vita alla luce del sole “secondo regole” ed una condanna all’oblio perenne. Così in nome del “bene della bambina” si consuma un gesto di mostruosa crudeltà che vede sconfitti tutti i personaggi e che non lascia speranze alcune di una vita secondo i sentimenti. Le tematiche Pirandelliane sono intramontabili per l’introspezione psicologica, per la vivisezione di sentimenti e percorsi mentali, per l’analisi psico-sociale delle situazioni.
Inviato da: Manuela
il 10/02/2015 alle 23:06
Inviato da: giramondo595
il 30/11/2013 alle 10:19
Inviato da: giramondo595
il 18/05/2013 alle 23:30
Inviato da: giramondo595
il 14/04/2013 alle 19:55
Inviato da: giramondo595
il 01/04/2013 alle 23:46