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Sa pompia (citrusmostruosa) é un albero simile all'arancio ha i rami molto spinosi. Il frutto è più grande di un pompelmo, color giallo intenso con buccia spessa e granulosa. E' conosciuto in Sardegna da alcuni secoli, ne parla Andrea Manca dell'Arca in una sua pubblicazione del 1780 e viene citato anche in una statistica del 1760 relativa alle coltivazioni dell'Oristanese. Oggi gli alberi di pompia crescono in modo spontaneo nelle campagne della Baronia e costituisce anche un presidio Slow Food con l'obbiettivo di far conoscere questo agrume singolare al di fuori del mercato locale. Del frutto si utilizza la scorza per fare i liquori, oppure la parte bianca sotto la scorza per fare i famosi canditi ( pompia). Non si utilizza la polpa e il succo perché troppo acidi. RicettaI dolci di Pompìa hanno tempi di lavorazione lunghissimi. Almeno sei ore da quando si leva la scorza del frutto e lo si libera dalla polpa molto amara, cercando di non danneggiare o rompere la parte bianca sottostante. Al termine non rimane che una sorta di palloncino vuoto che viene prima lessato, poi immerso nel miele e posto in un tegame, possibilmente di rame, a sobbollire per circa tre ore. Al termine si fa raffreddare posta in un piattino: sa pompìa intrea è pronta. Qualcuno la riempie di mandorle tritate, il nome del dolce in questo caso è sa pompìa prena. Con la pompìa candita, a filetti, si prepara anche s'aranzata: una torta composta di pezzetti di pompìa, mandorle, miele e piccoli confettini colorati (sa trazea). |
Saba ‘e figumorisca Ingredienti Fichi d’india freschi Semi di finocchio selvatico fresco
I fichi d’india si raccolgono a Settembre quando raggiungono una maturazione ottimale. Vanno raccolti nella stessa giornata in modo da evitare che si deteriorino. Vanno sbucciati con molta accortezza e schiacciati con le mani in un contenitore di terracotta verniciata, sa scivedda. Si procede quindi ad una prima cottura, in grandi pentoloni di rame stagnato, in modo da favorire il distacco dei semi dalla polpa. Il composto viene colato attraverso un canovaccio a trama larga in modo da separare i semi dal succo. Si passa quindi alla seconda cottura a fuoco lento e per circa sei ore. Per aromatizzare la sapa, durante la bollitura si aggiunge la scorza seccata all’aria durante l’inverno di un’arancia non trattata ed un mazzetto fresco di infiorescenze di finocchietto selvatico. Il succo liquido deve addensarsi e ciò in genere avviene quando si riduce ad 1/5.Raggiunta la densità ideale, di color marrone chiaro, si toglie dal fuoco e si lascia raffreddare. Si conserva in contenitori di vetro, lavati e sterilizzati, con tappi che impediscano il contatto con l’aria. Va inoltre tenuta al riparo da fonti di luce e di calore. La durata della sapa può variareda 2 a 5anni. Si produce in tutto il territorio dell’isola (Dal Libro “Appunti digastronomia sarda” Maltine Edizioni).
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E’ tempo di fichi d’India, così venne chiamato da Cristoforo Colombo quando credette d’essere sbarcato nelle Indie. In Italia si sostiene sia arrivata sul finire del XVI secolo. Per la verità è più probabile che la coltura di questa pianta sia dovuta ai Saraceni e che sia pervenuta in Italia attorno all’827. E' presente in tuttala Cordigliera delle Ande e nelle Serre messicane. In Sardegna è stata utilizzata in particolare per chiudere le“tanche” ed impedire l’accesso agli animali, allontanati dalle spine, le foglie, che impediscono all’acqua, assorbita durante le piogge, di evaporare. Essendo molto resistente alla siccità e al caldo si propagò facilmente ed in modo spontaneo su tutta la Sardegna. Oggi incendi e colture intensive ne hanno decretato la parziale scomparsa. Sta diventando una rarità in pianura mentre si trova ancora in abbondanza in collina abbandonata a se stessa. Ormai non la raccoglie più nessuno. Scriveva Castore Durante nel suo Erbario Nuovo del 1585 “ appartiene alla famiglia delle cactacee, genera le radici dalle foglie, che staccandone una foglia dall’altra, e piantandone in terra fino a metà, non solo fa le radici, ma in breve tempo mette fuori le foglie, di modo che facendo in questo grossi e colorati in cima d’un colore che nel verde porporeggia”. Pensavo a questa descrizionementre osservavo il resto d’una piccola siepe con i frutti abbondanti e dorati.E sempre mi sovvengono i ricordi d’infanzia, di fatica e miseria, di quando in ciascuna casa si allevavano i maiali, ghiotti oltre che di questi squisiti frutti anche delle tenere foglioline. Dai fichidindia i sardi ottenevano la sapa, un dolcificante naturale.... |
Post n°1 pubblicato il 15 Settembre 2009 da laltroristorante
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