Lady G. & Mr Hop

Lungo i precipizi delle passioni

 

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PIACERE TRENITALIA

Post n°13 pubblicato il 03 Marzo 2017 da LadyG_MrHop
Foto di LadyG_MrHop

Il treno di metà pomeriggio è un vecchio arnese arrugginito, niente a che vedere con i nuovi Eurostar dal profilo aereodinamico. Saliamo pigramente dopo una giornata di convegno piuttosto noiosa, ravvivata a tratti da qualche sguardo complice tra di noi. Difficile soffocare le immagini di una nottata così intensa.

Ci sediamo in un vecchio scompartimento ai numeri 44 e 46, dentro sono già seduti due ragazzi giovani che ci osservano. Ci guardiamo. Sorridiamo entrambi perché sappiamo che seduti accanto per quattro ore potremmo pensare e realizzare qualsiasi follia. Lo scompartimento di un treno è in effetti un microcosmo. Ti obbliga per definizione a forme castranti di autolimitazioni, ogni volta è una roulette giocata col circo del mondo. Nani e ballerine, acrobati e pagliacci, la donna barbuta, l'uomo più tatuato del mondo, animali e così via lungo tutte le possibili varianti degli esseri viventi.

Oggi poteva trovare rappresentazione qualsiasi combinazione di campioni del mondo delle varie specificità, non sarebbe stato motivo ostativo allo sviluppo dell'ennesimo gioco tra noi. Qualche secondo di titubanza. "Ci fermiamo qui o andiamo in un altro scompartimento?" "Semmai vediamo dopo, fermiamoci qui".

Lo sguardo di Gaia è quello che legittima che il gioco è appena iniziato. Dai finestrini iniziano a scorrere le successioni di palazzi mal manutenuti. "Perché non lo vai a mettere?" le sussurro in un orecchio. Di lì a poco la vedo dirigersi lungo il corridoio verso la toilette. Ritornando si sistema adagiando lo zainetto di pelle sul ventre. Nella mia mano stringo un piccolo telecomando bluetooth, sembra un ipod nano, è collegato ad un piccolo vibratore che ora è nel ventre di Gaia.

Mentre lei cerca una posizione comoda sul sedile, che le permetta di apprezzare maggiormente la presenza di quell'oggetto di piacere, io sfodero con orgoglio il piccolo telecomando fingendo che si tratti di un iPod ma sperando, in fondo, che qualcuno possa comprendere cosa sto realmente per fare. Mi piace l'idea di farla godere davanti a degli estranei a mio comando.

Avere letteralmente tra le mani la possibilità di procurarle un piacere che deve essere in grado di celare, e conoscendola bene so quanto questa cosa posssa essere difficile per Gaia. Premo il bottoncino sul telecomando e mi giro per guardarla. Che l'oggetto avesse iniziato a vibrare l'ho colto dal movimento di palpebre, una plateale lenta chiusura di ciglia accompagnata da un tenue sorriso. Nella mia mano possiedo un centro di comando del suo piacere, una stanza dei bottoni in miniatura con cui poter regolare intensità e programma della vibrazione. Aumentare e diminuire. Interrompere quando noto un crescendo nel suo piacere castrato dall'impossibilità di non poter esplodere, farlo ripartire quando colgo il rilassamento nel suo corpo, accelerare violentemente in modo da portarla al confine, al limite, al fine strada, dove un millimetro più avanti c’è solo la plateale riconoscibilità di quello che sta realmente provanto.

Provo piacere nel vederla contenere le reazioni. Deglutisce. Il viso si accende dei colori del fuoco. Il respiro si altera ed io, eccitato e grato per quello che sta facendo, vivo la mia piccola contraddizione: esporla al pubblico giudizio di fiero per legittimarmi come dominatore del suo piacere o rimanere complice osservatore del gioco solo nostro? La seconda opzione ha preso il sopravvento. Sento mescolarsi svariate sensazioni. Mi ripeto quasi ipnotizzato ed è come se glielo stessi dicendo: "oh Gaia anche questa sei tu, dopo una notte di sesso con Laura stanotte ti sei addormentata addosso a me, non mi hai lasciato per un secondo, a pranzo ci siamo raccontati di nuovo la serata con quella coppia e ci siamo immaginati altre situazioni, ora sei qui davanti ad una signora che fa la settimana enigmistica, ad un tipo che non sa che posizione assumere per dormire ed a due ragazzi con le auricolari che alternano brani mp3 e giochi sui loro smartphone".

Ad un tratto le dico: "Amore andiamo a prendere un caffè nella carrozza ristorante". Capisce immediatamente che il gioco stava virando verso un’altra conclusione conclusione. Raggiungiamo una toilette. Entriamo. Serriamo la chiave. I suoi pantaloni e le sue mutandine scendono quel tanto per scoprire i glutei, libero il mio sesso bollente, la penetro. Poi mi sono visto riflesso nello specchio. Poche spinte e la somma delle immagini si trasformano in un piacere denso ed incontenibile che ho lasciato fluire fuori da me. Torniamo verso il nostro vagone.

Nel corridoio ci sta attendendo il volto di una persona nota, un collega che mi ha visto salire sul treno e che mi sta aspettando per salutarmi e scambiare due chiacchiere. In una condizione normale mi sarei accontentato di quanto appena accaduto, ma con Gaia non è possibile accontentarsi. La natura le ha fatto uno splendido regalo, la facoltà di avere più orgasmi ripetuti a distanze minime e questa è una possibilità da cogliere senza stare troppo a riflettere. Ora lì, in piedi decido di riprendere a far vibrare l'ovulo. Lei si appoggia al finestrino con le gote arrossate dal piacere e dall'imbarazzo. Io fingo di ascoltare Marco ma quello che mi arriva in realtà sono parole senza senso mescolate al respiro sempre più forte di Gaia.

Chissà se Marco immagina quello che stiamo facendo. Mentre il mio cervello si sta per avventurare in qualche nuova fantasia, Gaia si avvicina a me, mi bacia teneremente e mi sussurra "Amore ci andiamo a sedere?". Lascio Marco lì sul corridoio e la seguo.

Il silenzio dura qualche secondo.  "Cosa c'è. Ora ti eccita anche farmi godere di fronte ai tuoi colleghi? Pensavo funzionasse solo con gli estranei?" Si gira, mi sorride e mi colpisce come sempre nel punto che fa più male. Tra il cervello, il cuore e la fantasia.

 
 
 

NOI ... CON LORO (DAVVERO)

Post n°12 pubblicato il 18 Settembre 2016 da LadyG_MrHop
Foto di LadyG_MrHop

Ammiravo il riflesso di Gaia allo specchio mentre si stendeva accuratamente il mascara lungo le sue ciglia nere. Era terribilmente eccitante guardarla mentre si truccava con calma e sapere che di lì a poco il suo corpo sarebbe stato esplorato con avidità da un'altra donna, immaginare che avrei visto i suoi occhi accendersi e infuocarsi e come in una dolce e piccante sfida incontrando i miei "guarda Leo sto godendo insieme a te ma non sei tu a toccarmi".

Aveva scelto un completino intimo nero di seta e pizzo che faticava a contenere il suo seno che oggi pareva più ansioso del solito di esplodere fuori da lì. Camicetta un po' scollata, scarpe femminili di un bel rosso accesso ma per nulla volgari. "Ecco sono pronta" si gira verso di me con il suo sorriso da ragazzina incontenibile, poi un "Andiamo davvero?" solo per essere rassicurata, per avere una leggera carezza sul viso. Prende la borsa ed un minuto dopo siamo in automobile direzione Firenze.

Ci aspettano un tavolino, due sedie, uno Spritz Aperol, un Negroni, una coppia con la quale, se tutto va come deve andare, condivideremo un ricordo di estasi e piacere che rimarrà indelebile. Soprattutto per me e Gaia perché quella sarebbe rimasta da lì a per sempre la nostra prima volta.

Durante il tragitto giochiamo e ridiamo come sempre "Leo mi sa tanto che stasera ordino un Negroni anche io. Ho bisogno di sciogliermi un po'" esplode a ridere "e non mi dire che mi fa male alla stomaco sto prendendo il gastroprottetore dottorino ansioso".

Ha bisogno di sciogliersi perché il vulcano Gaia possa esplodere in una eruzione travolgente. Lo fa anche con me. Quando siamo ai matrimoni degli amici beve tanto solo per poi avere la scusa di farmi piedino sotto il tavolo, potarsi qualcosa alla bocca e succhiarlo con le labbra, mandarmi in un SMS con scritto "Ho trovato un posticino carino, puoi mollare un attimo gli sposi che te lo mostro?" perché sa che esattamente dopo cinque secondi sarò lì a prenderla senza se e senza ma. E lei è lì pronta a ricevermi, già pronta ad eruttare piacere.

Una volta uno zio della sposa non ben identificato ha aperto la porta e ci ha visti, eravamo in un castello e io la stavo prendendo da dietro contro il muro medievale e le stavo dicendo che era la più porca di tutte le castellane che avessi conosciuto. Lei rideva. Sino alla vista dello zio di Sara.


Eravamo arrivati a destinazione e avevamo trovato subito un parcheggio.
Nel tratto di strada che separava la macchina dal bar, più ci avvicinavamo a destinazione più Gaia mi stringeva il braccio "ho i tacchi scusa ma questo piastrellato mi da fastidio". Invece no, voleva sentire il mio contatto, prima di una pazzia che stava condividendo con me voleva accertare che io ci fossi davvero, in quel momento, per una settimana, un mese, una vita non aveva importanza, voleva che in quel momento io ci fossi.

Nei tavoli fuori dal bar le coppie sedute erano due. Una di aspetto decisamente gradevole, lei castana, frangetta, ben vestita, lui camicia, occhiale da sole. L'altra decisamente meno attraente.

All'improvviso Gaia mi blocca con il braccio, "dimmi che sono quelli sulla sinistra", le rispondo che non può essere diversamente perché la lei la sta mangiando con gli occhi da quando siamo comparsi all'orizzonte. Un brivido mi attraversa la schiena. Bacio Gaia, la prendo per mano e vado verso di loro con passo sicuro.

“Penso che in questi casi si dica ugualmente, ciao. Piacere, Leo”. Lei subito dopo “Gaia, piacere sono Gaia” con voce forte, scandita, come quando parla ai ragazzi durante le lezioni.

La coppia ricambia le nostre presentazioni, si alzano, prima stringo la mano a lei. Il suo “Piacere, sono Sara” è preceduto di poco dal suono prodotto dal movimento dei suoi braccialetti. “Benvenuti, io sono Daniele” dice lui.

Di là a poco il tavolino veniva occupato dalle nostre ordinazioni. Fedele alla linea Gaia sorseggiava il suo primo negroni. Mi sembrava a proprio agio, scherzava, non rinunciava all'ironia e a quelle dinamiche, a tratti surreali, che caratterizzavano il nostro dialogo quotidiano.

Guardavo senza insistenza il suo comportamento, ma continuavo a sommare le registrazioni mentali dei frammenti di quelle visioni. Non ha mai abbandonato il bicchiere, spesso lo reggeva con entrambe le mani. Immaginavo le sue dita fredde per il contatto con il vetro ghiacciato, le sue unghie colorate si avvinghiavano alla forma del bicchiere, non potevo non pensare a tutte le volte che quel dettaglio lo notavo quando mi stringeva il sesso, convincendomi che in quel momento era suo e così non avrebbe potuto essere di nessun altra.

Ammetto che stavo cercando di riconoscere un germe di complicità con Sara. Indugiavo su come Gaia portava la cannuccia alla bocca, guardavo Sara se in qualche modo stesse rispondendo con qualche segnale. Probabilmente stavo cercando segni scontati. Le due donne stavano comunicando dal primo momento che si sono parlate al telefono. Non avevano mai smesso. Argomentazioni anche banali assumevano una decodificazione nel momento in cui entravano sotto la loro pelle. Il loro linguaggio risultava a me sconosciuto, qualcosa però stava accadendo, ne ero certo.

Gaia aveva gli occhi incendiati, proprio come quando il sangue bolle nelle sue vene. Poteva succedere senza preavviso, bastava una parola, un'occasione, un luogo, una situazione in grado di attivarle un desiderio irreversibile che, a prescindere dall'azione che produceva, la portava a non tirarsi indietro; è il momento in cui regole e convincimenti cadono e mi vuole accanto, protagonista o spettatore del suo film che poi con le dita amo sfiorare nella nostra cineteca mentale.

Io e Daniele conversavamo amabilmente. In testa mantenevo la certezza che ognuno di noi in realtà considerasse le nostre parole come un rumore non fastidioso, che accettavamo dovesse essere il velo funzionale a coprire il suono dei nostri sensi tesi, antenne paraboliche puntate per raccogliere i segnali che le nostre donne si stavano scambiando. Entrambi avevamo il desiderio di tradurre quella mole di parole non dette, che nascondevano anche i nostri piccoli destini.

D'improvviso Sara squarciò le conversazione doppie, quadruple, incrociate e di genere che accompagnavano i nostri drinks. “Gaia devi vedere assolutamente la composizione di sassi colorati che ho incollato su una vecchia porta. Se pensi di essere tu la regina della colla a caldo, ora scoprirai che sei solo una dilettante”. Una sfida ironica quella lanciata da Sara che Gaia colse e rilanciò senza fatica data la sua indole competitiva: “La vedo dura. Non sai chi hai di fronte”.

Di lì a poco camminavamo per le strade del centro di Firenze come persone che si conoscevano da sempre zigzagando tra turisti di ogni parte del mondo. Di lì a poco stavamo salendo le scale di un palazzo, un corrimano in ferro battuto ci aiutava a raggiungere un piano illuminato da una vetrata colorata. Ricordo nitidamente l'eco della serratura e la porta che Daniele aprì invitandoci a popolare il loro piccolo mondo.

“Ci vuole un brindisi” esordì il padrone di casa, esibendo come un trofeo una bottiglia di preziose bollicine. I bicchieri si toccavano come avanguardie di noi. Sara, abbandonando le sue decoltè e recuperando il contatto dei suoi piedi curati con il parquet posato a coda di pesce, prese per mano Gaia come fanno le bambine quando iniziano un gioco: “Ed ora devi vedere la mia opera d'arte!”

Io e Daniele le sentivamo confabulare, ridere, commentare. Io notai una bellissima opera che occupava una parete in pietra. “Accendi quel Lodola” dissi a Daniele. Di lì a poco l'opera si accese dei colori netti di una pin-up seduta su una vespa e contemporaneamente si spensero le voci di Sara e Gaia nell'altra stanza.

Per un attimo pensai, per un vecchio ed insano retaggio di ricerca della razionalità, ad un inspiegabile collegamento tra quell'interruttore e le due donne. Ci guardammo senza dire nulla e ci spostammo sulla soglia del soggiorno. Lo sfondo era un vecchio tavolo da lavoro da falegname perfettamente restaurato e sistemato a ridosso di una parete. Sopra trionfava una vecchia porta appesa al muro in orizzontale su cui sassi colorati rossi, arancioni, gialli e bianchi davano forma ad un sole. La fotografia si completava con in primo piano Sara e Gaia che si baciavano dolcemente.

Una scossa violenta mi attraversò la pelle. La mia Gaia lo stava facendo davvero. Si lasciava attraversare da Sara, le donava le labbra con il collo leggermente inclinato verso destra. La ricambiava, intercettavo a tratti la visione delle loro lingue lucide.

Erano delicate, femminili, eleganti. I fotogrammi scorrevano uno dietro l'altro. Le mani che si tenevano, che si accompagnavano lungo un filo di perle, che seguivano la linea dei fianchi.

I nostri sguardi si sono ritrovati quando, abbracciate, Sara le baciava il collo. Un sorriso diabolico le illuminava il viso. Diceva tutto. Un tutto semplice, diretto, limpido. “Si, mi piace, tanto”.

“Certo che quelle scarpe rosse … Gaia, sono l’unica cosa che stona”, le dico fissandola negli occhi.

“Ma che dici, sono bellissime, sappi che però che se le toglie, automaticamente perderà tutti i vestiti” si inserì Sara. Sicura, con un sorriso velato, riprendendo subito dopo a baciarle il collo.

In silenzio Gaia si sfilò le scarpe rosse, lo fece lentamente guardando verso il suolo, sapendo però che i riflettori erano tutti su di lei. Sembrava un'attrice consumata, un numero infinito di secondi dedicato ad un gesto banale che sapeva esattamente come mi sarebbe arrivato.

“Ecco, fatto” disse poco dopo. Le sorridevo, anche lei ricambiava in modo molto sobrio. Quella sequenza di gesti che sembravano avere avuto quella conclusione si animava invece ancora delle sue mani che sbottonavano inesorabilmente la camicia, allentavano le gonna e la lasciavano nel suo completino di pizzo nero.

“Ti avevo avvertito Leo”, disse Sara per poi aggiungere “Daniele, fammi assomigliare a lei”.

Tutto stava scivolando su un placido piano inclinato. Lui la spogliava senza esitazioni; l'unica interruzione si ebbe su una cerniera riottosa che placò Gaia, aiutandolo nello scopo.

Di lì a poco eravamo a guardarle avvinghiate su un divano. Si cercavano con le bocche e con le mani, si esploravano. In poco tempo ognuna sapeva tutto dell'altra. Quando Sara scese con il viso lungo il ventre di Gaia, lei emise un tenue mugolio. La accolse aprendo le gambe e tenendole la testa, vedevo le sue unghie adagiarsi e scomparire tra i capelli di Sara, l'altra mano si muoveva alternativamente tra la sua gamba ed il tessuto del divano che graffiava come avrebbe fatto una gatta dispettosa.

Ti farò male più di un colpo di pistola ...

Cantava così Samuel dei Subsonica. Sembra che in certi casi sussista un momento di confusione, di scollamento dalla realtà quando un proiettile ti attraversa e mischia la chimica del corpo, le percezioni si confondono e se non fosse che è in gioco la vita, quella sospensione in un'altra dimensione non sarebbe neanche così male.

Stavo così. In una sospensione. A mezza via tra un sogno forse immaginato in modo neanche così diverso ed il fatto che la mia mano avrebbe potuto toccarla davvero, sentirne il calore della pelle; mi stava facendo davvero male, come un colpo di pistola. Mi aveva sparato, lo sapeva, ne era consapevole e non le bastava. Voleva uccidermi definitivamente per farmi rinascere. E così di lì a poco si rese protagonista di un'inversione dei ruoli, regalando la sua bocca al ventre di Sara che liscio e lucente si faceva colpire dalla sua lingua come uno scoglio dalle onde del mare e violare dalle sue dita.

Io e Daniele ci trovammo a seguire i loro lineamenti nudi e vibranti, ascoltare i loro piaceri crescenti fino ad offrire la nostra pelle, le nostre bocche ed i nostri sessi tesi alle loro mani e alle loro bocche.

Le nostre donne ci donarono se stesse continuando a cercarsi, un'altalena che sembrava assumere la forza di un moto perpetuo, continuavamo a guardarsi anche quando ognuna di loro si dedicava al membro del proprio uomo con avidità. Immaginavo i sapori mescolarsi nella bocca di Gaia. Un vortice continuo, Sara godeva per le spinte di Daniele, Gaia regalava all'ambiente le vibrazioni della sequenza dei suoi piaceri fino al raggiungimento di apici intensi nelle loro bocche.

Un silenzio irreale veniva alterato solo dai respiri profondi del suo petto.

È l'immagine che mi porto addosso come il più profondo dei tatuaggi.

 
 
 

HAI VOGLIA DI FARE UN GIOCO?

Post n°11 pubblicato il 25 Agosto 2016 da LadyG_MrHop
Foto di LadyG_MrHop

Messaggio 1 di Gaia ore 18.33:
Ciao mr Hop. Sono venuta a salutare Laura prima della partenza, poi ceno qui e rientro tardi. Lei sta facendo le valigia io mi sto facendo una canna. Ho voglia di scopare, domani ti faccio arrivare tardi al lavoro.

Messaggio 2 di Gaia ore 18.46:
Anzi a dire il vero ho voglia di fare un gioco. Tu hai voglia di giocare?

Messaggio 1 di Leo ore 18.52:
Io ho sempre voglia di giocare. Devi fumare più spesso. In cosa consiste il gioco?

Messaggio 3 di Gaia ore 18.56:
Ti scopo per 3 giorni, ogni volta che ne ho voglia, ma vengo solo io. Se resisti lunedì, che è il nostro primo giorno di ferie, sono nelle tue mani, potrai fare di me quello che vuoi. Escluse cose dolorose.

Messaggio 2 di Leo ore 18.59:
Accetto tutte le regole con assoluta devozione. Sì devi fumare più spesso...

Inizia così l'ennesimo gioco di Gaia e Leo. Tre giorni di sesso complice,molto soddisfacente per entrambi, nonostante quel divieto per Leo di raggiungere il piacere definitivo. Così durante gli amplessi la domanda più frequente tra i due è decidere il punto dove lui la inonderà il lunedì seguente, dopo aver trattenuto per giorni un orgasmo che ha evidentemente voglia di esplodere.
"Lunedì ti porto al mare, sceglierò io la spiaggia. Deve avere necessariamente una pineta e potrò chiederti di fare tutto ciò che voglio".

"Se resisterai".

"Resisterò. Il premio è troppo succulento per non resistere".

Gaia sorrideva divertita e allo stesso tempo eccitata da quella prima rivelazione di Leo e dal suo tipico sguardo di quando ha qualcosa in mente. Qualcosa di particolarmente intrigante.

Ed in effetti resistere con Gaia non era facile per niente. Non lo era quando lo aspettava in casa e passavano pochi secondi tra un “ciao” ed averla seduta sopra a cavalcioni ancora vestita; la gonna ampia, sotto niente, la mano che guidava il sesso di Leo nel suo, il bacino che spingeva per prenderselo tutto.


Capitava in quei momenti che Leo avesse pensieri che non le manifestava; rimaneva ad esempio sorpreso nel trovarla già bagnata. Che si fosse toccata in sua attesa o che fosse elettrizzata per la situazione erano due ipotesi diverse che lo eccitavano allo stesso modo e che non richiedevano spiegazioni. Anzi erano supposizioni da abbandonare all'istante, da seppellire sotto una piccola sequenza di orgasmi di lei e sotto quell'assenza di piacere finale di lui.

Il gioco sottoponeva Leo ad una costrizione innaturale, una violenza, un oltraggio alla chimica e alla biologia, ma nel contempo gli inoculava dosi progressive di una droga che generava uno stato di estasi continuo, che si impastava continuamente se alimentato da uno sguardo, da una dialogo, da scambi di battute in pubblico il cui vero significato era cercato e capito solo da loro. Leo e Gaia stavano giocando; il loro gioco giustificava tutto, stava sopra a tutto, le loro relazioni, i loro amici, i loro colleghi di lavoro, la morale e la religione.

Due giorni dopo si ripeteva qualcosa di simile. Gaia bussava alla porta. Leo apriva in pantaloncini, un gioco di lingue rapido si configurava come un preliminare non necessario alla traiettoria successiva che la conduceva in prossimità del divano. Leo questa volta la denudava completamente concedendole solo i sandali. Gaia raggiungeva piaceri progressivi, Leo no, continuava il gioco con decisione ed ostinazione ed una mezzora dopo la guardava con il sesso turgido e lucido mentre lei si rivestiva, saliva in macchina e abbandonava il vialetto di accesso.

Il pensiero al lunedì successivo faceva superare questa situazione surreale, un'attesa che assumeva le forme ambigue di un piacere compensativo, il peso sull'altro piatto della bilancia che azzerava lo squilibrio iniziale. Il limite imposto da Gaia,”escluse cose dolorose”, Leo non lo considerava tale; il vortice di pensieri che la carne di Gaia generava in lui era tale da non avvertire come castrante quel confine. Le cose cruente infatti non erano mai entrate nella loro bolla spazio temporale, semmai qualche forma di dolore inferto in modo controllato.

L'automobile viaggiava verso quel luogo, l'asfalto estivo bruciava. Durante il tragitto pochi i riferimenti al loro gioco. Non c'era bisogno di richiamarlo, plasmarlo, stimolarlo. Il gioco non era una scatola tra le loro mani, era dentro di loro.

Nei momenti di silenzio Leo guardava la linea bianca che divideva le due corsie, lo riportava ad un film in bianco e nero di Ingmar Bergam; narrava di un professore anziano che si recava in una città per ricevere un premio. Decise stranamente di prendere la macchina per fare quel viaggio; stranamente, contraddicendo alle proprie ferree regole comportamentali che ne facevano un personaggio piuttosto austero e poco incline alle relazioni interpersonali, decise di dare un passaggio a due giovani autostoppisti. Nel corso di quel viaggio ricordava che la telecamera indugiava per tempi oggi assolutamente improponibili per la loro lunghezza sulla linee bianche dell'asfalto, quasi a creare un effetto ipnotico. Gaia era lo strumento del suo effetto ipnotico.

Parcheggiarono l'auto lungo strada e si addentrarono a piedi in un fitta pineta. Leo sentiva un brivido avanzare lungo la schiena. Il luogo apparteneva probabilmente ad un suo archetipo. Una macchia verde di pini marittimi, sentieri di vari ampiezze, sul suolo gli aghi di pino rendevano i passi quasi silenziosi.

Dopo mezzora di cammino superano una lunga passerella di legno che attraversava le dune di sabbia. Dinanzi a loro si apriva una lunga spiaggia ricoperta da tronchi levigati dal mare. Quattro di questi opportunamente predisposti divennero un luogo di ombra quando Leo vi legò i quattro angoli di un grande pareo.

Gaia sorrideva, si sfilò il vestito. “La parte sopra del costume non la metto” sentenziò.

Offriva così al sole il suo seno. Leo conosceva ogni suo centimetro di pelle e cercò di nascondere il fremito che il gesto gli procurò.

Gaia sorprendeva Leo esattamente quanto Leo sorprendeva Gaia. Quell'irreprensibile e stimato commercialista quarantenne che se stimolato attraverso canali giusti finiva per trasformarsi, come per magia, in un adolescente voglioso, in un allegro, e a tratti severo, satiro irrefrenabile.

Se non fosse stato per uno stupido gioco di enigmistica e una scommessa con penitenza, lei quel Leonardo non lo avrebbe mai conosciuto. Non lo avrebbe sospettato e nemmeno sperato. Ogni tanto pensava a questa cosa e le veniva da sorridere e da desiderare che tutta quella magica e segreta complicità non finisse mai. E lui infatti era lì, desideroso di spalmarle la crema sul seno, desideroso di portarla in acqua e possederla lì davanti a tutti, quanto lei era desiderosa che lui lo facesse, entrambi preoccupati, ma allo stesso tempo eccitati dall'idea che qualcuno sulla spiaggia potesse cogliere i loro movimenti avvinghiati e quindi capire cosa stessero facendo. Scopavano in acqua, al largo, perché quella alchimia era tale da permettere a Leo una straordinaria capacità di penetrarla in qualsiasi situazione e condizione.

Come un richiamo magnetico era sufficiente tirarlo fuori perché diventasse almeno momentaneamente una proprietà di Gaia. Con la stessa naturalità Leo usciva da Gaia interrompendo il piacere nella fiduciosa attesa di una nuova penetrazione. Per Gaia era eccitante vedere il membro di Leo pronto in ogni momento e sapere che comunque, al limite, sarebbe bastata una carezza, una frase sussurrata, uno sguardo per una sua irruenta erezione.

Per entrambi era divertente, e allo stesso tempo imbarazzante, sapere che uscendo dall'acqua qualcuno avrebbe potuto notare il rigonfiamento dentro al costume o stuzzicarsi in spiaggia in modo che poi lui fosse costretto a prendere il sole di schiena. Era eccitante sapere che Gaia avrebbe avuto voglia di possederlo anche sulla spiaggia, in un attimo, tirarlo fuori, scostarsi le mutandine del costume di lato e farlo sparire dentro di lei. Mentre Leo, sdraiato, avrebbe potuto osservare il corpo ondeggiante e voglioso di Gaia, confusa nell'immagine colorata ed esotica del telo indiano, legato ai quattro rami piantati nella sabbia per fare ombra.

Ed era improvvisamente tenero, qualche minuto più tardi, frenare questi istinti di pura lussuria per mangiare della frutta seduti all'ombra e vicini come bambini al mare. Perché in fondo Leo e Gaia un po' bambini lo erano davvero.


Una sinusoide continua tra eccitazione e tenerezza, due stati di benessere che si rincorrevano uno dietro l’altro ed a ben vedere faticavi a cogliere l’inizio dell’uno e la fine dell’altro. Si concedevano anche curiosi momenti di silenzio, lei appoggiata con la schiena alle gambe di lui. Leggere carezze conferite alla pelle di lei mentre il sole iniziava ad avvicinarsi alla linea finale del mare. Agli occhi degli altri erano una coppia, in realtà erano qualcosa di più, una coppia senza un mutuo da rimborsare, senza figli a cui badare, senza beghe condominiali, ma con secchi di desideri da realizzare tirati su dai pozzi delle loro zone d’ombra. Una coppia perfetta.

Leo dopo le sollecitazioni di una settimana viveva la contraddizione di un uomo che non aspettava altro che venire, tirare fuori la somma liquida e densa dei fotogrammi e di quel scivolare nella pelle calda e umida di lei di giorni; nel contempo scopriva l’attitudine contraria. Rimandare, postergare, allungare la strada che lo avrebbe condotto al piacere naturale.


I am e sex machine ready to reload, like an atom bomb about to explode ...

Così cantava Freddy Mercury in Don’t stop me now. Proprio così pensava Leo. Non fermatemi adesso! Adesso no! Ora non sono più in grado, sono una bomba atomica che sta per esplodere!

Che dici Gaia, andiamo via?” le disse accarezzandole delicatamente il viso, guardando precisamente quel neo poco sopra il labbro superiore sinistro e distrattamente oltre lei in una visione sfocata, con l’effetto che si avrebbe con una cineripresa, verso una coppia sistemata ad una decina di metri da loro.

Leo li aveva notati appena arrivati. Probabilmente loro coetanei. Lei in due pezzi nero, con la mutandina arrotolata per favorire l’abbronzatura di glutei morbidi, una fascia coloratissima in testa per gestire i capelli corvini e ricci. Lui poco abbronzato con un pantaloncino parigamba blu, con sempre tra le mani un libro di oltre trecento pagine che la miopia di Leo non permetteva di scoprirne il titolo.

In poco meno della metà degli approcci avuti con Gaia, Leo più volte cercò di intrecciare lo sguardo con loro, capire se le attenzioni rivolte a Gaia potessero attivare un qualcosa di ancora poco chiaro in lui, una reazione, una risposta, un messaggio. Nessun risultato.

Tra sé e sé, mentre ripiegava il telo indiano utilizzato per fare ombra, concluse con un malcelato sorriso che quelli erano una coppia che dovevano avere sicuramente a che fare con bollette e supermercato.

Si avviarono verso la pineta ancora in costume. Li attendeva ancora una mezzora di cammino nella macchia toscana; il vento dal mare nella piacevole ombra di pini e lecci si faceva più rarefatto. Il sentiero li guidava in percorsi ordinati tra tronchi e cespugli profumati. Non incontrarono nessuno sebbene, pur non individuandone le sagome, udivano voci di persone.

A me la pineta fa uno strano effetto” - disse Leo a Gaia guardandola con il solito desiderio.

A loro tante parole in quei momenti non sono mai servite. Gaia lo seguiva scomparendo nel verde di quella grande alcova a cielo aperto. Qualche graffio nelle gambe per raggiungere un luogo appartato ma non troppo. Il telo sottratto alla borsa e gettano sul suolo. Il corpo di Gaia si inginocchiò, i palmi ben saldi, il costume le venne spostato quel poco necessario per liberarle le labbra gonfie e rosate. Leo la prese con forza, immergendo il sesso in lei.

Contenevano il loro piacere, non era il caso infatti di farsi sentire, l’eccitazione di fare qualcosa di non opportuno in un luogo pubblico si sposava con l’esigenza di non conferire negatività a quei momenti. Poi fu la volta di Gaia che sopra di lui misurava la sua eccitazione con muscolosi movimenti in salita e discesa.

Leo sapeva di aver abbandonato quella condizione di sospensione. Il gioco, seppure intrigante, come tutti i giochi sarebbe finito prima o poi. Si trovò in ginocchio dinanzi a lei seduta a gambe aperte sul telo. Con la mano destra lo masturbava. Il suo polso abile accompagnava quel viaggio lungo la sua asta. Con la mano sinistra gli custodiva teneramente i testicoli.

Come si pongono le mani sotto una fonte di acqua, così Gaia accolse il piacere di Leo; così, tra le sue mani e le sue unghie colorate scie calde di fotogrammi con impressi focolari domestici violati e divani riassettati diventavano vene sulla sua pelle.

Poi, come accadeva ogni volta, a loro bastava rialzarsi e aggiustarsi i vestiti frettolosamente, per un cambio repentino di registro. Dopo qualche passo nel viale della pineta non erano più quella Gaia e quel Leo maliziosi e assetati, ma apparentemente una coppia sorridente e candida come tante altre che incrociavano nel percorso.

" Mi andrebbe di bere qualcosa in quel bar che abbiamo visto prima del sentiero era così particolare..."
Dopo aver ordinato due Aperol spritz tra una chiacchiera e l'altra, era spuntato un sorriso malizioso sul volto di Leo che Gaia aveva intercettato subito, come al solito.

"A cosa pensi?"
Lui le si era avvicina con candore, " Stavo pensando che mi piacerebbe descrivere quello che abbiamo appena fatto in un sito di incontri, mi piace l'idea che una "lei", leggendo la nostra storia, possa eccitarsi così tanto da volerci conoscere. ..."

Sì aveva quella sua tipica luce negli occhi, quella  sognante ma allo stesso tempo determinata. Quella luce che trascinerebbe via qualsiasi donna curiosa con tanta voglia di vivere. 

E Gaia era tutto questo all'ennesima potenza.

 
 
 

A VOLTE BASTA UNA FOTO ...

Post n°10 pubblicato il 25 Agosto 2013 da LadyG_MrHop

"Ho pensato di inviarti questa foto, ho aggiunto anche la seconda sebbene lo scatto sia stato involontario" scrivi in poche righe di accompagnamento su whatsapp. Un abito bianco con una profonda scollatura, indossato senza reggiseno con la schiena completamente nuda. Ti vedo varcare la soglia dell'hotel, i sandali gioiello, il lieve vento del tramonto ti accarezza la pelle, lo lasci fare proprio come faresti con le mie mani che mai hai fermato o rallentato. Ti vedo in mezzo alla gente. Vedo gli sguardi che cerchi ma che non ricambi, sento il piacere che vivi quando vieni scrutata, ti piace ed i tuoi occhi non riescono a nasconderlo.
Ti accendi una sigaretta mentre i vicoli iniziano a riconoscerti da come cammini, da come ti fermi, da come ridi, da come posi noncurante la tua borsa quando ti siedi.
Ed il mondo stasera ti gira intorno. Se una mano ti sfiorasse furtiva, fai finta di nulla, significa che sono riuscito a raggiungerti.

Mr Hop

 

 
 
 

SUL CIGLIO ...

Post n°9 pubblicato il 08 Agosto 2013 da LadyG_MrHop

Ci siamo sfiorati e toccati per quasi tutto il tempo. Sotto al tavolo, in un silenzio eccitato interrotto a tratti dalle risate e dai giochi con le altre  commensali. È un'attesa eccitante. Un dolce supplizio far attendere la fame dei nostri corpi che soddisferemo solo dopo il dessert. Ho imparato a conoscerti e so che questa attesa ti piace. Lo sappiamo entrambi. Escono a fumare. Noi rimaniamo fermi lì. Le guardiamo uscire. Ora io sono io e tu sei tu. Mi volto verso di te " da quanto tempo non scopi in macchina? ". Non mi interessa veramente scoprirlo voglio solo avvertiti che di lì a poco io e te saremo tra quei sedili sudati e affannati, uno dentro l'altro a regalarci un piacere che è quasi un tormento. Salutiamo. Non sappiamo nemmeno dove andare ma abbiamo troppo fretta di raggiungere quel piacere per cercare un posto adatto. È buio. Accosti. Siamo sul ciglio della strada. Non saprei descrivere il momento preciso nel quale, ormai senza mutandine, ho incominciato a godere tra le tue dita. Ho solo percepito un piacere liquido montare dentro di me sino a guidarmi verso il tuo corpo. In un attimo ti ero a  cavalcioni. Piena del tuo corpo. Qualche faro passando ha  probabilmente illuminato il mio movimento, un cavalcarti feroce che si fa più lento e sinuoso in prossimità del mio piacere.  Che mi scuote una e più volte. Qualche faro probabilmente ha colto la prenobra di un movimento dettato dalle mie labbra sul tuo piacere, che è cresciuto in quella luce che si stava avvicinando. Sino ad esplodere nella mia bocca. Siamo  sudati e appagati.  Ci accorgiamo di essere veramente sul ciglio della strada. Perché forse prima  quel momento non ce ne eravamo veramente accorti. 

Lady G

 
 
 
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Un blog di: LadyG_MrHop
Data di creazione: 09/04/2013
 

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