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A spasso con il dolore

Post n°36 pubblicato il 07 Aprile 2014 da Fiveoclock1
Foto di Fiveoclock1

E un po' lungo ...ma vale la pena di soffermarsi... 

In questi ultimi tempi mi è capitato relativamente spesso di ricevere le condivisioni di alcuni amici sul loro dolore, a volte fisico a volte emotivo, e la cosa che mi ha colpito di più è constatare che in qualche misura siamo tutti abituati a una qualche forma di dolore. A volte è un dolore cronico nel corpo legato a qualche disfunzione che ci portiamo dietro da anni e che non siamo mai riusciti a curare; a volte è un meccanismo emotivamente doloroso che scatta in determinate circostanze che ci riportano a un trauma psicologico, a una paura, a una ferita; a volte è un semplice malessere quotidiano, le mal de vivre, come dice il poeta, un misto di ansia, frustrazione e rabbia repressa o depressione. Comunque sia, nella mia osservazione, non c'è essere umano che non abbia il suo dolore. Mi è venuto da chiedermi se è una condizione esistenziale, cioè qualcosa che non si può evitare, che fa parte del vivere o se è semplicemente una disconnessione che si manifesta in una forma o nell'altra. Ho osservato il mio dolore, anzi i miei dolori e mi sono reso conto che sono entrambe le cose: a volte inevitabili, legati a piccoli acciacchi fisici e altro non richiedono se non un po' di cura e di attenzione da parte nostra; altri sono più sottili, si manifestano come disagio indefinito per poi farsi strada e diventare magari un'emozione viva e bruciante che finalmente si fa riconoscere per essere vista e alleggerita o addirittura guarita. La cosa più importante che mi è sembrato di comprendere da queste osservazioni è "Attenti a non abituarsi". O meglio ancora "Attenti al dolore a cui ci siamo già abituati", a quel dolore che può addirittura diventare un rifugio, un'ancora e cui aggrapparsi quando la vita non offre di meglio. O un modo per evitarlo, lasciandolo in penombra, sullo sfondo. L'abitudine, intesa così, in un certo senso cronicizza il dolore, qualsiasi sia la sua natura, e la mancanza di attenzione, in altre parole di consapevolezza e spazio di esistere nella luce e non nell'incoscienza, lo fa diventare grande e importante, in altre parole un attaccamento… una parte della nostra personalità!

Forte di questa mia comprensione e rendendomi conto che una volta portata consapevolezza sull'evidenza del dolore, si resta ancora incerti su cosa farne ho cercato tra le parole di Osho qualche segno, indicazione...


"Se una persona è in grado di accettare la realtà per quello che è, in quella stessa accettazione vedrà svanire tutte le tensioni: angoscia, ansia e disperazione evaporeranno. E quando non ci sono ansia, tensione, frammentazione, divisione, schizofrenia, all’improvviso ecco la gioia, l’amore e la compassione. Non si tratta di ideali, sono fenomeni assolutamente naturali.

Certo, la vigliaccheria ti fa star male, la paura ti fa star male, la rabbia ti fa star male: sono tutte emozioni negative. Ma la pace può essere ottenuta solo accettando e assorbendo ciò che fa star male, non rifiutandolo. Con il rifiuto diventerai sempre più piccolo e avrai sempre meno energia; e sarai in un costante conflitto interiore, una guerra civile in cui una mano combatte l’altra e in cui non farai che dissipare la tua energia.

È fondamentale ricordare che solo la comunione con il dolore psicologico apre la porta alla sua liberazione e alla trascendenza, solo la comunione con il dolore psicologico. Tutto ciò che fa male dev’essere accettato, occorre creare un dialogo: non c’è altro modo per trascenderlo, l’unica via è assorbirlo. E il suo potenziale è immenso: la rabbia è energia, la paura è energia e così la vigliaccheria; tutto ciò che ti accade possiede un enorme potenziale energetico, nasconde una grande quantità di energia. Se lo accetti, quell’energia diventa tua; diventi più forte, più grande, più spazioso; il tuo mondo interiore si espande.

Il dolore psicologico finisce solo quando lo si accetta nella sua totalità. Il dolore psicologico non esiste solo a causa della presenza di qualcosa che definisci “doloroso”: il dolore è prodotto dalla tua interpretazione della realtà. Cerca di comprenderlo: il dolore psicologico lo crei tu. La vigliaccheria non è dolorosa, lo è solo la tua idea che sia un male, la tua interpretazione secondo cui non dovrebbe esistere: tu hai un ego particolare, e il tuo ego condanna la vigliaccheria; è a causa di quella condanna e di quella interpretazione che nasce il dolore. La vigliaccheria comunque esiste, ragion per cui si trasforma in una ferita: non la puoi accettare né la puoi distruggere rifiutandola. Nulla viene distrutto attraverso il rifiuto: prima o poi dovrai farci i conti; verrà fuori di nuovo e turberà di nuovo la tua pace. Ti ritrai da realtà quali la vigliaccheria, la paura, la rabbia, la tristezza: non farlo! È il ritrarsi a creare il dolore. Osserva ogni cosa dentro di te, diventa un laboratorio in cui fare un esperimento incredibile. Limitati a osservare: hai paura, è buio e sei solo, e per chilometri e chilometri non c’è nessuno. Sei perso in una giungla, seduto sotto un albero nel buio della notte e i leoni stanno ruggendo: hai paura. Hai due possibilità: la prima è rifiutarla, contrarre il corpo in modo da non tremare dalla paura. In questo caso la paura diventa un’esperienza dolorosa: è presente e fa male! Persino mentre te ne stai tutto contratto esiste e fa male. La seconda è godertela: trema, trasformala in meditazione. È naturale, i leoni ruggiscono, la notte è buia, il pericolo è vicinissimo e potresti morire in qualunque momento. Goditela, trasforma il tremore in una danza. Se lo accetti, il tuo tremare è una danza; coopera con il tremore e rimarrai sorpreso: se collabori con il tremare, tu stesso diventi il tremore e ogni dolore svanisce. E anzi se ti permetti di tremare, anziché dolore avvertirai un’incredibile ondata di energia. È esattamente quello che il corpo voleva fare: perché si trema quando si ha paura? Il tremore scatena un processo chimico, libera energia, ti prepara a lottare o fuggire. Il corpo si prepara: immette nel sangue delle sostanze chimiche e si prepara ad affrontare il pericolo. Forse avrai bisogno di combattere, oppure dovrai metterti a correre e prendere il volo: entrambe le risposte richiedono energia. Riconosci la bellezza della paura, il lavoro alchemico della paura: sta semplicemente preparandoti per una situazione, così che tu possa accettare la sfida; ma, anziché accettarla, invece di comprendere la paura, tu la rifiuti, dicendo: “Sei un grand’uomo, perché tremi? Ricorda che la morte non esiste, che la tua anima è immortale. Un’anima immortale… e tremi? Ricorda che la morte non può distruggerti, il fuoco non può bruciarti, le armi non possono trafiggerti. Ricordalo, non tremare, mantieni il controllo”. Stai creando una contraddizione. Il processo naturale è quello della paura e tu introduci queste idee innaturali che la contraddicono. Introduci ideali che interferiscono con il processo naturale. Sarà doloroso, perché ci sarà conflitto. Ascolta il momento e lasciati prendere totalmente dal momento; lasciati possedere e non sentirai alcun dolore. In questo caso la paura è una sottile danza interiore: ti prepara, è un’amica, non una nemica. Purtroppo le tue interpretazioni producono errori, ti danneggiano: la divisione che crei tra le sensazioni e te stesso – la paura, la rabbia e te stesso – ti dividono in due. Tu diventi l’osservatore e l’osservato, e dici: “Io sono qui, l’osservatore, e là c’è il dolore, l’oggetto. Io non sono il dolore”. È quella dualità a creare il dolore. Tu non sei l’osservato e non sei l’osservatore, sei entrambi: sei sia l’osservato sia osservatore. È questo che Krishnamurti intende quando ripete: “L’osservatore è l’osservato”. Lo spettatore è la scena, colui che fa l’esperienza è l’esperienza. Non creare questa divisione di soggetto e oggetto: è la causa prima di ogni infelicità, di ogni divisione. Una semplice consapevolezza priva di scelta di fronte a ciò che è, questa è la chiave magica che svela l’intimo mistero dell’essere. Non dire che va bene, non dire che va male. Quando dici che qualcosa è un bene, subito nasce attaccamento, attrazione. Quando dici che qualcosa è male, sorge repulsione. La paura è paura, né buona né cattiva; non valutarla, lasciala esistere, lasciala stare. In questa consapevolezza priva di scelta ogni dolore psicologico evapora come rugiada al sole mattutino, lasciando solo puro spazio, uno spazio vergine.

È questo l’ “Uno”, il Tao chiamalo dio, se vuoi. Questo “Uno” che rimane quando ogni dolore svanisce, quando non sei diviso in alcun modo, quando l’osservatore è diventato l’osservato, questa è l’esperienza della natura divina, dell’illuminazione, o comunque la vuoi chiamare. E in questo stato non esiste alcun sé, perché non c’è alcun osservatore/controllore/giudice. Sei solo ciò che si manifesta, che cambia di momento in momento. In alcuni momenti può esserci euforia, in altri tristezza, compassione, distruttività, paura, solitudine. Non si dovrebbe dire: “Sono triste” o pensare: “Sono preso dalla tristezza”, ma: “Sono tristezza”, perché le prime due frasi implicano un sé separato da ciò che è. In realtà non esiste alcun sé a cui sta accadendo una particolare esperienza. C’è solo l’esperienza.

Meditaci sopra: c’è solo l’esperienza.

Non c’è alcun sé che avverte la paura; piuttosto, in un determinato momento, c’è un essere che è paura; in altri momenti quell’essere non è paura. Ma tu non sei separato dal momento, da quello che avviene, esiste solo l’emozione; quindi non si può fare nulla rispetto a ciò che si vive nel momento. Non c’è nessuno che possa fare qualcosa. Tutto ciò che esiste è bello, persino ciò che è brutto".


Tratto da: OSHO



 

 
 
 
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