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Messaggi del 26/05/2006
Post n°124 pubblicato il 26 Maggio 2006 da fra.gas
Le campagne di Napoleone Curatore: Pagliano , Bellavita Casa editrice: Rizzoli Collana: Superbur saggi Anno pubblicazione: 1992 Prezzo: 19,50 Genere: storia contemporanea Volumi: 2 Pag: 672 Descrizione: Le caratteristiche e il funzionamento della complessa ed enorme macchinabellica di Napoleone: la struttura, l'armamento, le personalita dei capi:Massena, Berthier, Davout, Ney, Murat, Lannes. Le manovre, i movimenti, lestrategie delle grandi battaglie napoleoniche e delle guerre nel lorosvolgimento complessivo. 945.08 LEN Napoleone a Bologna Lenzi Ugo Zanichelli1980 SC 0702 Napoleone a Bologna Lenzi Ugo Zanichelli 0 sola consultazione Carta Più Teatro / Napoleone, magico Imperatore, biglietti a prezzo ridotto in esclusiva per i Titolari Carta Più ed un accompagnatore Dal 19 aprile al 30 aprile 2006 In una stagione costruita seguendo le tracce della storia di un teatro e dei suoi legami, il Teatro Franco Parenti incontra ancora una volta Sergio Bini, in arte Bustric e, attraverso lui, nientedimeno che Napoleone Bonaparte. Per le repliche di martedì 25 e giovedì 27 aprile 2006, biglietti ridotti al prezzo speciale di € 11 (anziché € 25) in esclusiva per i Titolari Carta Più e un accompagnatore. Per acquistare i biglietti a prezzo speciale, sarà sufficiente presentarsi al botteghino del teatro, esibendo la propria Carta Più. Teatro Franco Parenti Orario spettacoli: feriali, ore 21 - domenica, ore 16:30
Post n°120 pubblicato il 26 Maggio 2006 da fra.gas
Scheda Nome e CognomeLuigi Zamboni A Zamboni e De Rolandis, studenti all'Università di Bologna, molte fonti attribuiscono l'invenzione del tricolore italiano nel 1794, sul modello di quello francese; spinti dalle idee della Rivoluzione, ordirono una congiura per abbattere il governo pontificio a Bologna. Furono però catturati; Zamboni si impiccò (o fu strangolato da criminali compagni di cella) e De Rolandis fu giustiziato. (Testo) http://www.chieracostui.com/costui/docs/search/schedaoltre.asp?ID=2111 La storia ritrovata: I martiri del Risorgimento e la bandiera italiana
di Paolo Battisti bel-ami@vsmail.it Poco più di duecento anni fa il processo di unificazione dell’Italia subì una forte accelerazione.
http://www.viveresenigallia.it/modules.php?name=News&file=article&sid=9047
Post n°119 pubblicato il 26 Maggio 2006 da fra.gas
INTERVENTO DI S.A.R. IL PRINCIPE AMEDEO DI SAVOIA, DUCA D'AOSTA, Il mio primo tricolore è l'immagine di un uomo che, sulla cima di un monte, sventola una bandiera mentre i suoi compagni di scalata, più in basso, alzano le piccozze in segno di gioia. Ed è la voce di mia madre che mi legge la dicitura sotto la tavola di Achille Beltrame, pubblicata sulla Domenica del Corriere del 15 luglio 1906: E mi sussurra un po' commossa: “ Vedi, quello è lo zio Luigino! ” Luigi di Savoia riposa in Somalia, nel villaggio che porta il suo nome, nella stessa Africa dove è morto il terzo Duca d'Aosta, Amedeo, prigioniero degli Inglesi, dopo la resa dell'Amba Alagi: sepolto a Nairobi, la salma avvolta nel tricolore. La stessa bandiera, senza più lo stemma Sabaudo, garrisce sulle navi su cui ho prestato servizio come Ufficiale di complemento della Marina Militare. Dopo aver giurato fedeltà alla Repubblica, perché Umberto II mi disse, a Cascais: “ L'Italia innanzitutto, la forma istituzionale non importa, l'Italia esiste! ”. Non è “ elegante ” ricorrere alle citazioni personali, ma questi accenni alla nostra storia famigliare mi servono per proporre alcune considerazioni legate alla storia di tutti gli Italiani, che da quel lontano gennaio del 1797 sotto la bandiera bianca rossa e verde si sono riconosciuti in una Patria comune. Con lei e per lei hanno vissuto momenti di gloria, esaltazione, dolore, commozione. Il tricolore sventolato dal Duca degli Abruzzi è un simbolo di Pace, di una conquista dedicata al progresso dell'umanità; quello che ha accompagnato all'ultimo riposo Amedeo di Savoia vuol essere un omaggio all'uomo, qualsiasi uomo, caduto per il proprio Paese; lo stendardo esposto sul pennone di una nave della Marina Militare è una garanzia di protezione; su quella Mercantile ci ricorda l'Italia anche nei luoghi più lontani. Questa, dunque, è la bandiera: un immaginario collettivo, un sentire comune, che di volta in volta, a seconda delle circostanze, accompagna, stimola le nostre esigenze. Ci fa ritrovare figli di una stessa madrepatria. Di un'Italia dove considero il Presidente Carlo Azeglio Ciampi il quattordicesimo Capo dello Stato, dato che dal 1861 l'Italia ha avuto anche quattro Re: dei 145 anni della sua storia unitaria ne ha conosciuti 85 con la Monarchia. Anni che non si possono, ovviamente, eliminare per decreto. “ La forma istituzionale non importa. L'Italia innanzitutto! ”, mi disse il Re in esilio. Usando le stesse parole con cui Giosuè Carducci chiuse il discorso che tenne il 7 gennaio 1897 per festeggiare i cent'anni del tricolore, nell'atrio del palazzo civico di Reggio Emilia: “ L'Italia avanti tutto! L'Italia sopra tutto! ”. Oggi, noi siamo qui per ricordare quei giorni appassionati di oltre due secoli fa. Quando a Modena il Congresso della Repubblica Cispadana ratificò il Decreto Costitutivo del Tricolore, deliberato a Reggio Emilia su indicazione del Segretario Generale della Confederazione Cispadana, Giuseppe Compagnoni, un ex sacerdote e letterato di Lugo di Romagna. La sua proposta mise d'accordo l'assemblea, dopo una baruffa di campanile con i deputati di Modena, Reggio e Ferrara, che avevano minacciato di abbandonare i lavori perché si sentivano prevaricati da quelli di Bologna. Ma alla fine tutti si ritrovarono sotto il Tricolore, allora a strisce orizzontali, affinché le quattro popolazioni formassero un popolo solo, anzi, una sola famiglia. Quella bandiera era stata ideata tre anni prima da due studenti dell'Università di Bologna: Luigi Zamboni e Giambattista De Rolandis. Sull'onda della rivoluzione francese, nel 1794, s'inventarono una bandiera per due terzi simile a quella transalpina, ma con il verde al posto del blu, colore della speranza, per far risorgere l'Italia a nuova vita. Catturati dai gendarmi pontifici, vennero orrendamente torturati. Luigi Zamboni s'impiccò in carcere; Giambattista De Rolandis fu “ afforcato ”. Furono i primi due morti per il Tricolore. Avevano poco più di vent'anni, l'età delle grandi, generose illusioni. Mi sembra doveroso ricordarli. L'idea del Tricolore venne raccolta nel 1796 dalla Guardia Civica di Milano, che sotto la dominazione Napoleonica volle tenere viva e distinta la propria italianità fino a sostituire il colore blu della bandiera transalpina ( che era anche il colore delle giubbe delle truppe napoleoniche ) con il verde delle proprie giubbe, per dire che erano sì rivoluzionari, ma Italiani. Napoleone fondò quindi la Repubblica Cispadana, sul modello della costituzione del 1795, nata dagli ideali della rivoluzione francese. I rappresentanti della Cispadania ratificarono nel 1797, al congresso di Modena, la nascita della bandiera bianca rossa e verde. Una bandiera che non è nata a tavolino, ma da un moto ispirato da una rivoluzione che a Parigi aveva letteralmente tagliato la testa al Re e ai suoi sostenitori. In nome della libertà, dell'uguaglianza e della fraternità. Aspirazioni particolarmente sentite in un Paese come l'Italia, frammentato e oppresso da dominazioni straniere. Aspirazioni che da noi vollero affermarsi, proprio nella scelta del Tricolore, come volontà di venire realizzate nel segno di una realtà nazionale tutta Italiana. Ma come? Per rispondere a questa domanda, gli stessi patrioti che riconobbero nella loro bandiera il riferimento ideale, percorsero poi strade diverse, a seconda dei propri progetti politici, per arrivare all'identica meta dell'unità d'Italia. Fu il grande dilemma risorgimentale: un Re garante di una costituzione democratica o un Presidente della Repubblica eletto dal popolo? Qui a Modena, nella stessa città che vide nascere la Repubblica Cisalpina, venne impiccato Ciro Menotti. Il 12 dicembre 1830 esponeva all'avvocato Enrico Misley le sue Idee per organizzare delle intelligenze fra tutte le città d'Italia onde realizzare una insurrezione mirante a dare all'Italia indipendenza, unione e libertà sotto il governo di una monarchia rappresentativa con Roma capitale. Traditi dal Duca Francesco IV, che inizialmente si era mostrato favorevole al programma, Ciro Menotti e i suoi carbonari pagheranno con la vita la loro illusione, dopo una rivoluzione duramente repressa. Così la celebrava in un'ode Giovanni Berchet: Un popol diviso per sette destini, A Bologna, Modena, Reggio Emilia, Imola,…… il popolo si fuse in un solo per riscattare il suo diritto a vivere libero in una stessa Patria e sotto una sola bandiera: quel Tricolore che sventolarono andando a morire nelle città divise per sette destini. Quel Tricolore che avevano proclamato bandiera nazionale. Siamo nel 1831, una data importante nella nostra storia perché a Marsiglia, nello stesso anno, Giuseppe Mazzini fondò la Giovine Italia, con un programma unitario e repubblicano, mentre a Torino saliva sul Trono Sabaudo Carlo Alberto, il quale poi, dopo aver emanato lo Statuto ( rimasto legge fondamentale dello Stato per cent'anni, sino al 1° gennaio 1948 ), nel marzo del 1848 mosse le sue truppe contro l'Austria, nella Prima Guerra d'Indipendenza. Truppe che combatterono sotto il Tricolore, che il Re volle adottare quale bandiera nazionale, come simbolo dell'unione Italiana, con lo stemma Sabaudo al centro. Era l'undici aprile 1848. Una data anch'essa molto importante e significativa per il Tricolore. Da allora, il Tricolore ha segnato le tappe della nostra storia: è stata la bandiera dei Mille, di Porta Pia, di chi ha combattuto nelle quattro Guerre d'Indipendenza, nel primo e nel secondo conflitto mondiale. Di un tenente di 23 anni, Carlo Azeglio Ciampi, ufficiale del Regio Esercito e partigiano, che ha voluto rilanciare il Tricolore come simbolo della nostra patria identità. Non ho detto “ rilanciare ” a caso, perché dopo la Liberazione, come sostiene Lucio Villari, “ DC e PCI hanno cercato di occultare il significato del Tricolore per ragioni diverse, gli uni perché ne deprecavano l'origine rivoluzionaria, gli altri per la loro visione internazionalista ”. Una tesi condivisa praticamente da tutti gli storici. Dice Gian Enrico Rusconi: “ Eh sì, prima il trauma del fascismo e la retorica patriottica e poi due forze, DC e PCI, che non sono mai state antinazionali, ma in qualche modo andavano oltre e mettevano così in sordina l'elemento nazionale ”. E aggiunge: “ La sfida aggressiva dell'elemento separatista, le polemiche sul revisionismo e poi l'Europa hanno fatto in modo che emergesse il problema dell'identità nazionale di cui il Tricolore è simbolo ”. Se, dunque, l'attuale rilancio del Tricolore è la voglia di riconoscersi in un'identità nazionale anche come reazione a una pesante campagna secessionista, un primo risultato positivo l'ha raggiunto: nessuno ci invita più, volgarmente, a gettare la bandiera dove ben ricordiamo. Ma non basta ritrovarsi uniti sotto una bandiera soltanto per reagire contro chi l'insulta e ci vuole divisi. È un momento che ci affratella ma non va oltre un'epidermica emozione. La riscoperta di una identità nazionale passa attraverso la volontà di ritrovare una storia condivisa. È questo, appunto, il proposito che mi ha portato qui, convinto che sia anche il pensiero di voi tutti. Modena, 18 gennaio 2003. Amedeo di Savoia http://www.savoia-aosta.it/msg030118.htm
Post n°118 pubblicato il 26 Maggio 2006 da fra.gas
Con la legge del 17 maggio 1861 n. 4671 veniva proclamato il Regno d'Italia, di cui la bandiera tricolore diveniva naturalmente il vessillo nazionale. Così quel tricolore che negli anni del nostro Risorgimento era stato cantato dai poeti e dal popolo di tutte le parti della Penisola, cucito e ricamato nel segreto dei grandi palazzi e delle case più umili dalle donne italiane, glorificato come simbolo della rivoluzione nazionale, santificato con il sacrificio supremo nelle battaglie, nelle sommosse e sui patiboli, diveniva la bandiera dell'Italia Unita e da allora la sua storia si confonderà con quella, ben più complessa, della Nazione. Così durante la 3a Guerra d'Indipendenza del 1866, al termine della quale il Veneto fu unito all'Italia, purtroppo il nuovo Regno riportò due sconfitte militari assai gravi: la prima sulle alture di Custoza il 24 giugno e la seconda il 20 luglio successivo nel mare di Lissa.A Lissa si disse che la bandiera della nave "Re d'Italia" era stata catturata dal nemico. Ed invece la bandiera, inalberata, era colata a picco con la nave. Era avvenuto, infatti, che la nave era stata raggiunta e speronata dalla nave austriaca "Ferdinando Max" e quando incominciò ad inclinarsi su un fianco i marinai nemici avrebbero potuto impossessarsi del vessillo. Ma lo impedì il guardiamarina Razzetti, che ammainò la bandiera finché non fu scalato il ponte della nave austriaca e poi la inalberò nuovamente fino al fatale inabissamento! Quattro anni dopo, il 20 settembre 1870, dopo un breve scontro in cui complessivamente vi furono 80 morti e 200 feriti, l'esercito italiano entrava a Roma. Cadeva così il millenario potere temporale dei Papi. Orbene alle tre del pomeriggio di quella storica giornata il 2° battaglione del 39° reggimento Fanteria, preceduto da fanfare, salì sul Campidoglio e si dispose in quadrato nella piazza. Al suono della Marcia Reale e fra le acclamazioni popolari, il sottotenente Lugli appoggiava la Bandiera ad un braccio della statua di Marco Aurelio, lasciandola poi inalberata, con la guardia d'onore del battaglione stesso.Nei decenni successivi il Tricolore, testimone di coraggio e di ardimento, sventolerà al caldo sole africano: il 10 marzo 1882 ad Assab (Somalia), il 5 febbraio 1885 a Massaua (Eritrea) e tra l'88 e l'89 nella Dancalia, a Cheren e ad Asmara. Non mancarono gravi sconfitte: Dogali, Amba Alagi, Macallè e soprattutto Adua il 1° marzo 1896, ma ovunque rifulse l'estenuato e disperato valore dei nostri soldati attorno alle proprie bandiere. E giungiamo così alla guerra 1915-'18: la grande guerra fu per estensione e per violenza, per numero dei combattenti, come dei caduti, dei dispersi, dei feriti e dei mutilati, nonché per la sua durata, il conflitto più terribile che fino ad allora si fosse mai scatenato nel nostro pianeta.L'Italia ne uscì vittoriosa, ma stremata dal punto di vista psicologico, sociale e materiale. Il Tricolore, issato a Trento e a Trieste, raggiungeva così i confini naturali dell'Italia. Immensi e sovrumani furono i sacrifici dei nostri soldati nei lunghi anni di trincea, di avanzate cruente e di ritirate sconvolgenti, sulle montagne nevose e lungo i fiumi, su un fronte lungo ottocento chilometri dallo Stelvio all'Adriatico. Gli eroismi individuali e l'abnegazione di interi reparti rifulsero in mille e mille episodi. I nomi delle brigate e dei reggimenti, come i nomi dei monti e dei centri ove più aspri furono i combattimenti sono impressi nel cuore e nella mente di coloro che come chi vi parla nacquero pochi anni dopo la vittoria del 1918 e ne sentirono l'eco nelle proprie famiglie e nella scuola. E al centro di tutto vi era sempre il Tricolore. Basta rileggere le parole con cui Arnaldo Fraccaroli e Sem Benelli descrissero l'arrivo dei primi bersaglieri a Trieste, sbarcati dal cacciatorpediniere "Audace", e quelle con cui Guelfo Civinini ricordava la prima alba di Trento italiana con gli alpini che durante la notte avevano risalito la valle dell'Adige! Ma anche nella seconda guerra mondiale attorno al Tricolore rifulsero il valore, il sacrificio e l'eroismo individuale e collettivo della nostra gioventù sulle ambe e nel deserto dell'Africa, sulle montagne della Grecia, nel fango e nel gelo delle pianure russe, sul mare e nel cielo. E quindi anche di questa guerra drammatica e tragica sotto vari aspetti politici e militari vorremmo ricordare due episodi che coinvolgono direttamente la nostra bandiera. Che dire dell'epopea di Giarabub, oasi isolata nell'interno libico, difesa da un piccolo presidio agli ordini del colonnello Castagna? Dopo dieci mesi di assedio, il 21 marzo 1941 le truppe inglesi ed australiane riuscirono ad avere ragione della nostra resistenza.Allora il colonnello ordinò che la Bandiera che sventolava sulla torre della ridotta Mercutti venisse bruciata al cospetto del nemico mentre risuonava il grido dei superstiti: "Viva l'Italia".E il 23 dicembre 1942 ad Arbusow in Russia, durante la terribile ritirata dal Don al Donez, mentre la morsa dei corazzati sovietici stava per stringersi sulla divisione Torino, il carabiniere Giuseppe Plado Mosca, afferrata una bandiera e inforcato un cavallo, si lanciava da solo contro il nemico trascinando migliaia di uomini in un travolgente assalto all'arma bianca. Scomparve nelle fiamme della battaglia, guadagnandosi la medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria. Ma la storia di un popolo non è, fortunatamente, caratterizzata solo dalle guerre, ma è illuminata anche da lunghi periodi di pace. Orbene, anche per tali periodi la storia tout-court si confonde nel suo perenne divenire con quella della Bandiera Nazionale. E così il nostro Tricolore ha sventolato e continua a sventolare sulle conquiste civili, scientifiche e sportive; nelle nostre ricorrenze e festività; o sui tetti completati delle nuove case; nelle nostre missioni militari di pace, di solidarietà e di civiltà. E anche di questo ampio e variegato panorama vorrei ricordare qualche esempio: Luigi di Savona, Duca degli Abruzzi, che il 31 luglio 1897 conficcava sulla vetta del Sant'Elia in Alaska (m. 5.514) la piccozza col vessillo tricolore. Erano presenti Umberto Cagni, Francesco Gonella e Vittorio Sella e le guide valdostane Petigax e Maquignaz; gridarono tutti "Viva l'Italia". E il 18 aprile 1906 lo stesso principe sabaudo innalzerà il Tricolore, donatogli dalla Regina Margherita, sulla cima del Ruvenzori a circa 5.000 metri. E vent'anni dopo Umberto Nobile, il 12 maggio 1926 e poi il 24 maggio 1928, lancerà sul Polo Nord, rispettivamente dai dirigibili "Norge" e "Italia", la bandiera tricolore. Egli scrisse "La seguii cogli occhi, finché non la vidi adagiarsi sui ghiacci. Era un pezzo di stoffa, ma quel pezzo di stoffa era l'Italia lontana". E ai giorni nostri, il 31 luglio 1954, una pattuglia di coraggiosi, capitanati da Ardito Desio, conquistava la vetta del K2 a quota m. 8.611 e la Bandiera Tricolore era attaccata alla piccozza del capocordata.L'avrebbe vegliata lo spirito di Mario Pichoz, la guida di Courmayeur!E intanto la nostra Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, stabiliva all'art. 12: "La bandiera della Repubblica è il Tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni".Nonostante qualche voce isolata, se non contraria almeno incerta, l'inserimento in Costituzione di tale disposizione fu ritenuto opportuno da tutti in sede di Assemblea Costituente. Fu solo sollevata la questione se nel mezzo della banda centrale bianca dovesse porsi in avvenire uno stemma. L'Onorevole Meucci Ruini, Presidente della Commissione che aveva redatto il progetto costituzionale, affermò: "La Commissione si pronuncia intanto pel tricolore puro e schietto, semplice e nudo, quale fu alle origini e lo evocò e lo baciò, cinquant'anni fa, il Carducci: e così deve essere la bandiera dell'Italia repubblicana".Infatti cento anni or sono, nel primo centenario del Tricolore, il 7 gennaio 1897, fu commemorato proprio con un discorso a Reggio Emilia del grande poeta Giosuè Carducci, il quale si rivolse alla Bandiera con queste parole: "Sii benedetta! benedetta nell'immacolata origine, benedetta nella via di prove e di sventure per cui immacolata ancora procedesti, benedetta nella battaglia e nella vittoria, ora e sempre nei secoli!". Ed aggiunse: "quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la patria sta e si angusta: il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l'anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene della gioventù dei poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi!".Ora, nel bicentenario e oltre, possiamo, dobbiamo, vogliamo rinnovare questi sentimenti e queste espressioni del poeta, nella speranza che nulla venga mai a turbare il rispetto e l'amore del nostro popolo per la sua bandiera nazionale!
Post n°117 pubblicato il 26 Maggio 2006 da fra.gas
Giovan Battista De Rolandis Giovanni Battista Gaetano De Rolandis (Castell'Alfero, 24.6.1774 - Bologna, 23.4.1796), Per le sue idee liberali e patriottiche fu il primo martire del Risorgimento Italiano, condannato a morte tramite impiccagione a Bologna. Egli si recò a Bologna per studiare nel Collegio della Viola ed il 14 novembre 1794, con il bolognese Luigi Zamboni ed altri compagni, organizzò un'insurrezione della città per liberarla dall'oppressione pontificia; la sommossa fu preceduta dalla distribuzione di manifesti e coccarde tricolori. Miseramente fallito il tentativo, De Rolandis e Zamboni fuggirono verso l'Appennino ma vennero catturati nel Granducato di Toscana dalle milizie papali due giorni dopo. Segregati nel carcere bolognese del Torrone, subirono numerose torture ed interrogatori. Lo Zamboni si suicidò impiccandosi nella sua cella, anche se molti dubbi rimangono sulla vera causa della sua morte, mentre il De Rolandis fu processato e condannato a morte con sentenza eseguita il 23 aprile 1796 sulla Montagnola della Piazza del Mercato di Bologna. Pochi mesi dopo, il 19 giugno 1796 Napoleone Bonaparte entra a Bologna ponendo fine allo Stato Pontificio; ordina la liberazione dei prigionieri politici e diede disposizioni affinché la memoria di Zamboni e De Rolandis sia celebrata; dispone che le ceneri dei due martiri siano issate sulla sommità della Colonna della Libertà, alta 23 metri ed eretta sulla Montagnola; cosa che avvenne il 7 gennaio 1798. A G.B. De Rolandis ed allo Zamboni si deve l'ideazione della coccarda tricolore che diverrà poi la bandiera italiana. La bandiera tricolore venne già utilizzata a partire dal 1796 sia dalla Legione Lombarda, alla quale la consegnò lo stesso Napoleone, sia dalla Confederazione Cispadana. Una delle coccarde originali è ancora oggi conservata al Museo dell'Università di Bologna. Tre lapidi onorarie sono poste a ricordo del suo sacrificio: una sulla sua casa natale in via De Rolandis a Castell'Alfero, una nella saletta "De Rolandis" del castello di Castell'Alfero, nella quale è esposto anche altro materiale su Giovanni Battista, ed un'altra sulla facciata del Municipio di Asti. Le Scuole Medie statali di Castell'Alfero sono intitolate alla sua memoria. Giovan Battista De Rolandis la coccarda tricolore originale ideata da De Rolandis e Zamboni, conservata al Museo dell'Università di Bologna -------------------------------------------------------------------------------- Bibliografia: - DEZZANI Gen. Edoardo - La valle del Torrente Versa ed i suoi castelli -1959 - DE ROLANDIS Ito - Origine del tricolore - 1996 - DI LASCIO Claudio - testo dattiloscritto - 1999 - MONTERSINO Giovanni - G.B. De Rolandis martire astigiano- 1926 - alcune immagini sono state gentilmente fornite da Ito De Rolandis
Post n°116 pubblicato il 26 Maggio 2006 da fra.gas
Questa è la cronologia degli avvenimenti che furono alle origini del Tricolore della Bandiera Nazionale Italiana. http://www.castellalfero.net/public/x/modules/mysections/ Testo gentilmente fornito da Ito De Rolandis Castell'Alfero Duecento anni or sono e precisamente nella primavera del 1796 avvenne un fatto che avrebbe sconvolto la storia della nostra Italia. Un giovane generale francese, Napoleone Bonaparte, penetra dalle Alpi in territorio piemontese, sconfigge rapidamente l'esercito del Regno di Savoia, batte poi quello austriaco, entra a Milano, impone l'armistizio e poi le condizioni di pace all'Imperatore d'Austria. In tale modo pose le premesse per la creazione di un primo Stato veramente italiano, la Repubblica Cisalpina, a cui, come vedremo, ne seguiranno altre, fino alla creazione di una vera e propria Repubblica Italiana, divenuta poi Regno d'Italia. Questa storia che durò circa vent'anni fu determinante per svegliare la nostra Penisola, nell'esaltazione di una coscienza nazionale e di una coscienza civile.E quando Bonaparte giungerà a Bologna scriverà a Parigi: "Io qui ho trovato un grande dibattito politico". Si andava, infatti, affermando un vero e proprio movimento che si proponeva anche per l'Italia un assetto costituzionale fondato sugli immortali principi dell'89 e cioè quelli dell'unità ed indivisibilità della nazione accanto a quelli di libertà, eguaglianza e fraternità.Ma, potrebbe osservare qualcuno: ha una giustificazione fare risalire la storia della nostra bandiera a due secoli or sono, quando lo stato unitario italiano invece risale al 1861 e cioè esiste solo da 136 anni? Sì, rispondiamo, c'è una giustificazione, perché il nostro Risorgimento trova le sue profonde radici proprio negli eventi di quegli ultimi anni del secolo XVIII. Quello che avverrà mezzo secolo dopo, tra il 1848 e il 1870, sarà solo la felice conclusione di un processo storico iniziatosi nel periodo che in questa sede ci interessa e nel quale si formò una coscienza nazionale per la prima volta: fu il tempo delle cosiddette Repubbliche giacobine che sorsero in Italia quali la Cispadana, la Cisalpina, la Ligure, la Romana, la gloriosa Napoletana; infine la Repubblica italiana. Orbene, l'origine della bandiera bianco, rosso e verde va fatta risalire proprio alla Repubblica Cispadana, la prima in ordine cronologico e forse proprio per questo la più interessante, anche dal punto di vista del diritto costituzionale.Giuseppe Compagnoni, originario di Lugo e deputato di Ferrara, era un uomo di cultura che prese parte attiva alla vita politica nel periodo napoleonico ed era appunto il Segretario Generale della Repubblica Cispadana. Proprio su sua proposta, il 7 gennaio 1797 - duecento anni or sono - a Reggio Emilia i 110 rappresentanti delle province di Bologna, Ferrara, Reggio e Modena, proclamarono la Bandiera Tricolore, bianco, rosso e verde, simbolo e vessillo di quella Repubblica Cispadana che avevano fondata nell'anno precedente. Il giorno prima, su proposta del deputato Aldebrandi, si era stabilito che lo stemma della nuova Repubblica fosse un turcasso con quattro frecce e con i fori per eventuali altre per esprimere il desiderio di un'unione più vasta. E nei giorni seguenti fu decretato che "in tutti i luoghi ove si alza insegna di sovranità venga piantata la bandiera tricolore verde, rossa e bianca con l'impronta di turcasso". L'innovazione fu ritenuta talmente notevole e straordinaria che il Comitato di Governo espresse al Congresso, in data 23 gennaio, qualche dubbio sull'opportunità di procedere al cambiamento dello stemma e della Bandiera e di "somministrare gli opportuni chiarimenti", temendo in sostanza di turbare i rapporti con l'autorità francese di occupazione! Ma la bandiera fu adottata all'unanimità: i colori erano posti in senso orizzontale: quello rosso, il primo in alto, portava l'iscrizione: libertà-eguaglianza; quello bianco, nel mezzo, conteneva lo stemma con il turcasso rosso e le iniziali R. e C. (Repubblica Cispadana); quello verde, in basso, su cui era scritto per le bandiere militari il nominativo dei reparti. Così per la prima volta il Tricolore diveniva la bandiera di uno Stato Italiano. La scelta dei colori fu certamente ispirata a quelli della bandiera francese, adottata a sua volta qualche anno prima, il 15 luglio 1789 a Parigi, per decisione del Comitato rivoluzionario, dalla milizia parigina, aggiungendo al bianco della vecchia bandiera borbonica il rosso e il blu dello stemma del Municipio di Parigi. Nel 1792 il Tricolore bianco, rosso e blu diveniva definitivamente la bandiera nazionale di Francia. Dunque il Tricolore nostro si volle simile a quello francese. Ma perché, nel volere giustamente apportare la differenza di un solo colore, si preferì il verde?Probabilmente influirono su questa decisione gli avvenimenti accaduti in Bologna tre anni prima e cioè nell'autunno del 1794.In quei giorni due giovani studenti, Luigi Zamboni (cui è dedicata la via di Bologna che conduce dalle Due Torri all'Università) e Giovanni Battista De Rolandis, si erano prefissi di organizzare una rivoluzione per ridare al Comune di Bologna l'antica indipendenza perduta con la sudditanza agli Stati della Chiesa. A tal fine furono propagate idee liberali, predisposte armi e diffuse coccarde bianco, rosso e verdi.La sommossa, nella notte del 13 dicembre, fallì e i due studenti furono scoperti e catturati dalla polizia pontificia, insieme ad altri diciannove cittadini.Avviato il processo, il 19 agosto 1795, Luigi Zamboni fu trovato morto nella cella denominata "Inferno" dove era rinchiuso insieme con due criminali, che lo avrebbero strangolato per ordine espresso della polizia. L'altro studente Giovanni Battista De Rolandis fu condannato a morte ed impiccato il 23 aprile 1796. Orbene, la scelta del colore verde da parte dello Zamboni sarebbe stata determinata, secondo alcuni storici, dal fatto che tale colore è il simbolo della speranza e "l'Italia era solo una speranza" come scrisse il Castagna nel suo: "Commento allo Statuto Italiano"; secondo altri perché il bianco, rosso e verde erano i tre colori evidenziati nel rito di iniziazione di alcune logge massoniche italiane. Ma in verità al riguardo non esiste alcuna prova sicura e documentata. Un altro filone di tradizione è da rinvenirsi a Milano nel 1796, allorché vennero formate sia la Guardia Nazionale Milanese, sia la Legione lombarda.Ma torniamo alla Repubblica Cispadana, che abbiamo indicato come il primo Stato che adottò in Italia il Tricolore. Sei mesi dopo (era il 18 luglio), allorché Napoleone diede il suo consenso all'unificazione della Lombardia con l'Emilia Romagna, avvenne la fusione delle Repubbliche Transpadana e Cispadana in un solo Stato: la Repubblica Cisalpina, con un Parlamento, un esercito di ben 25.000 uomini, con capitale Milano e con bandiera il Tricolore, sostanzialmente eguale a quello della Repubblica Cispadana.Successivamente, nel gennaio 1802, scomparve definitivamente la Repubblica Cisalpina, perché fu proclamata la Repubblica Italiana. Ottocento deputati, giunti a Milano da tante parti d'Italia, proclamarono tale nuovo vasto Stato. Presidente della Repubblica Italiana fu Napoleone medesimo, mentre vicepresidente fu Francesco Melzi d'Eril. E' da notare che la forma della bandiera Tricolore fu un quadrato a fondo rosso, in cui era inserito un rombo a fondo bianco, in cui era inserito, a sua volta, un quadrato a fondo verde.Neanche la Repubblica Italiana ebbe lunga vita perché, in conseguenza della sua evoluzione monarchica, Napoleone, incoronato imperatore dei francesi a Parigi il 2 dicembre 1804, divenne anche re d'Italia, cingendo nel Duomo di Milano l'antica corona ferrea il 26 maggio 1805. Sorse così il Regno d'Italia, che comprendeva in sostanza tutta l'Italia settentrionale e centrale e di cui fu Viceré Eugenio Beauharnais, figlio della prima moglie del Bonaparte. Il Tricolore fu confermato come bandiera, dunque, del Regno che durò sino al 1815 e cioè sino alla fine del periodo napoleonico. La bandiera monarchica fu un po’ diversa da quella repubblicana in quanto il rombo bianco al centro del vessillo delimitava quattro triangoli di cui due verdi e due rossi. Sui campi d'Europa le bandiere bianco rosso e verdi furono spiegate accanto a quelle francesi dalle corpose formazioni italiane che fecero parte della "Grande Armée". Queste truppe, generali, ufficiali e soldati si coprirono di gloria nella campagna di Russia e in particolare a Maloiaroslavez (24 ottobre 1812), ad Ocmiana e a Borodino, come pure il 16 ottobre 1813 nella battaglia cosiddetta delle nazioni a Lipsia.A Mosca il primo ad arrivare fu il colonnello Ottavio Tapputi, pugliese, alla testa dei reparti italiani! Quel sangue in terra straniera non fu inutile alla nostra futura unità perché fu sparso all'ombra delle bandiere tricolori e perché i superstiti divennero i primi protagonisti del movimento nazionale per l'indipendenza d'Italia. Finita l'epoca napoleonica il Tricolore scomparve dalla scena ufficiale militare e politica d'Europa, mentre, con il Congresso di Vienna e la firma della Santa Alleanza, vi fu il ritorno dei vecchi sovrani assolutisti in Europa e in Italia. Ma, mentre nessuno degli otto Stati in cui fu divisa la penisola mantenne il Tricolore, la restaurazione non lo ammainò nei cuori dei patrioti. Così per circa trent'anni e sino al 1848 il vessillo tricolore non fu la bandiera ufficiale d'alcuno Stato, ma divenne il simbolo di tutti coloro che si batterono per l'unità, l'indipendenza e la libertà d'Italia. Così nei moti del 1817 a Macerata, in quelli del 1820 a Nola, a Napoli, a Messina e a Palermo, durante i processi lombardi contro Maroncelli, Pellico e Confalonieri, e nella rivolta in Piemonte nel 1821, così nelle insurrezioni e condanne a Modena e nel Cilento; così nei moti del 1831 in Romagna, nelle Marche e un po’ dovunque nella Penisola. E il giuramento della Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, che nel 1833 aveva ben 60.000 iscritti, veniva pronunciato davanti al Tricolore, issato in tutti i tentativi insurrezionali degli anni trenta. E come non ricordare Goffredo Mameli che, prima di innalzarla sulle pianure lombarde e sulle mura di Roma, ne fu l'alfiere in tutte le manifestazioni patriottiche nelle vie di Genova? Il 10 dicembre 1847, giornata rimasta nella storia del Risorgimento perché la dimostrazione popolare genovese fu la più grande che mai si fosse avuta fino ad allora in Italia, gli organizzatori avevano all'inizio invitato il ventenne Mameli a togliere via il Tricolore per prudenza, ma non avevano ottenuto il suo consenso. E così il corteo di venticinquemila genovesi si avviò dietro alla bandiera, sfilò davanti al mortaio di Portoria, dove un secolo prima era avvenuto l'episodio di Balilla. E risuonò il "Canto degli Italiani" composto poche settimane prima, che diverrà poi l'Inno di Mameli. E giungiamo così al 1848, che il Carducci ricorderà come "l'anno dei portenti, primavera della Patria". Sarebbe troppo bello descrivere quegli eventi: battaglie sanguinose, cortei, manifestazioni, vittorie e sconfitte; sacrifici e martiri! Dobbiamo limitarci alla storia della nostra bandiera che in quell'anno fatale ebbe una svolta decisiva. Orbene, il 4 marzo Carlo Alberto di Savoia, Re di Sardegna, promulgava lo Statuto del Regno, che trasformava un regime assolutistico in un regime costituzionale. L'art. 77 della Carta così stabiliva: "Lo Stato conserva la sua bandiera: e la coccarda azzurra è la sola nazionale". La bandiera era in sostanza costituita dallo stemma sabaudo in campo azzurro. Ma il 23 marzo Carlo Alberto entrava in guerra contro l'Austria (Prima Guerra d'Indipendenza) e nel proclama affermava: "E per voler meglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell'unione italiana, vogliamo che le nostre truppe entrando nel territorio della Lombardia e della Venezia portino lo scudo di Savoia sovrapposto alla bandiera tricolore italiana". Da quel giorno, la bandiera bianco rosso e verde diverrà il vessillo del Regno di Sardegna, che lo conserverà insieme allo Statuto anche dopo la definitiva sconfitta del 1849, mentre nel resto della Penisola venivano ripristinate le vecchie bandiere. Ed il 9 febbraio 1849 veniva proclamata la Repubblica Romana, retta dai Triumviri Mazzini, Saffi ed Armellini: bandiera della Repubblica fu proclamato il Tricolore! E per cinque mesi Roma resistette all'assedio dei francesi, superiori di numero e di mezzi. Attorno al Tricolore e a Garibaldi, 14.000 uomini combatterono sanguinosamente sul Gianicolo: il fior fiore della gioventù di tutta Italia vi partecipò e molti vi morirono, tra cui Goffredo Mameli di 22 anni, Luciano Manara, Emilio Morosini, Enrico Dandolo e tanti altri. Ed infine a Venezia il Tricolore, con al centro il Leone di S.Marco, sventolava sulla Repubblica dal marzo 1848; sarà ammainato solo per fame e colera e per gli spietati bombardamenti austriaci dell'anno successivo.Segue, poi, il cosiddetto decennio di preparazione, di cui Camillo Benso conte di Cavour fu il deus ex machina, costellato ancora di martiri e di eroi, da quelli di Belfiore a quelli di Sapri, fino alla Seconda Guerra d'Indipendenza. E come potere riassumere l'esaltazione del Tricolore nella Spedizione dei Mille con cui Garibaldi conquistò la Sicilia, la Calabria, la Basilicata, la Puglia, la Campania e l'Abruzzo, offrendo così al Re più di un terzo della Penisola? Il Tricolore fu innalzato su tutte le torri civiche e i campanili del Sud e trascinò le Camicie Rosse da Calatafimi alla grande battaglia campale del Volturno.
Post n°114 pubblicato il 26 Maggio 2006 da fra.gas
GLI SBIRRI all'Università di Bologna Mercoledì 24 maggio 2006, presso l'Aula Absidale dell'Università di Bologna, in via de' Chiari 25 / A, verrà presentato il libro di Valerio Evangelisti Gli sbirri alla lanterna. La plebe giacobina bolognese (1792-1797), ed. Derive Approdi, 2006. Oltre a Evangelisti, presenteranno il libro: Pier Ugo Calzolari, rettore dell'Università di Bologna Gian Paolo Brizzi, direttore del Museo Europeo degli Studenti Marco A. Bazzocchi, docente dell'Università di Bologna Valerio Romitelli, docente dell'Università di Bologna L'invito è stato esteso a molte autorità cittadine. Il prof. Valerio Romitelli, del Dipartimento di Storia, è anche l'autore della prefazione al volume. Il libro racconta, sulla base di una documentazione prima inedita, vari tentativi insurrezionali di fine Settecento ispirati alla Rivoluzione francese, tra cui quello degli studenti-martiri Zamboni e De Rolandis; e, capovolgendo le interpretazioni correnti, dimostra una partecipazione diretta delle classi popolari bolognesi al giacobinismo, poi represso dallo stesso Napoleone all'epoca del consolato. Zamboni e de' Rolandis 1794 Sono sempre gli studenti a percepire, per primi, il vento del cambiamento. Quelli universitari, in specie, rappresentano la cartina di tornasole delle inquietudini che scuotono le certezze del potere, degli eventi epocali che si vanno preparando. E' sempre stato così, era così anche ai nostri tempi, allorquando le idee della Rivoluzione francese infiammarono i nostri cuori ben prima che le sue truppe entrassero a Bologna. Nella generosità che ogni giovane deve spendere per lasciare traccia di sé e un mondo migliore di quello che ha trovato, abbiamo cercato di diffondere le idee di libertà, uguaglianza e fraternità che accendevano nuove speranze in una nuova storia. Di fronte alla risposta dura di un vecchio mondo che non voleva morire, organizzammo la rivolta. Fummo schiacciati, prima che dalla mano del boia, dal retaggio della tradizione culturale dell'ancien régime, che proprio dentro l'Università aveva trovato la sua roccaforte. LUIGI ZAMBONILa nostra scuola è dedicata a Luigi Zambini, come una delle strade principali di Bologna, che collega le Due Torri all'Università. http://kidslink.bo.cnr.it/ic16-bo/zamboni/zamboni.htm Luigi Zamboni fu uno dei primi martiri per la libertà dell'Italia. Giovane entusiasta e avventuroso, egli riteneva che solo un governo repubblicano fosse “degno degli uomini”. I congiurati pensavano che tutti i cittadini li avrebbero seguiti ed avevano preparato coccarde bianche, rosse (i colori del comune di Bologna) e verdi ( forse il colore della speranza di un'Italia libera e unita) da distribuirsi quali contrassegni ai rivoltosi. Il piano non funzionò e le guardie del Palazzo pubblico presero Zamboni e De Rolandis e li chiusero in prigione. L. Zamboni si suicidò mentre De Rolandis fu impiccato nella piazza del Mercato attuale piazza Otto Agosto il 23 aprile insieme a tutti gli altri. Nell'autunno del 1794 ideò insieme a Giovanni Battista De Rolandis un piano per rovesciare il governo pontificio a Bologna. Durante la notte avrebbero disarmando le sentinelle di guardia al Palazzo Pubblico e le avrebbero poi trattenute come ostaggi; in un secondo tempo avrebbero aperto le carceri e armato i prigionieri con le armi degli arsenali. I congiurati pensavano che tutti i cittadini li avrebbero seguiti ed avevano preparato coccarde bianche, rosse (i colori del comune di Bologna) e verdi ( forse il colore della speranza di un'Italia libera e unita) da distribuirsi quali contrassegni ai rivoltosi. Il piano non funzionò e le guardie del Palazzo pubblico presero Zamboni e De Rolandis e li chiusero in prigione. L. Zamboni si suicidò mentre De Rolandis fu impiccato nella piazza del Mercato attuale piazza Otto Agosto il 23 aprile insieme a tutti gli altri. Solo due mesi dopo il loro sacrificio, i francesi trionfatori entravano a Bologna portando al loro seguito le idee per le quali i due eroici giovani avevano dato la vita. Le loro spoglie rinchiuse in un'urna furono poste con grande solennità sulla colonna eretta fin dal 1656 ai piedi della Montagnola. Molti riconoscono a Luigi Zamboni e a Giovanni Battista De Rolandis il merito di avere per primi creato un simbolo comune che in tutta l'Italia divisa e sottomessa potesse raccogliere intorno a sé la coscienza nazionale: la bandiera tricolore. Giovanni Battista De Rolandis 21/1/2006 Giovanni Battista Gaetano De Rolandis II vento della Rivoluzione francese che spirò in Europa alla fine del XVIII secolo, giunse in Asti e si diffuse nel nostro paese, influenzando nobili, religiosi, popolani, ma soprattutto cittadini della media borghesia toccando intelligenze fertili, predisposte da un lungo giogo totalitario.
IN QUESTA CASA ------------------------------------------------------------------------------------------ testi tratti dal Calendario Comunale di Castell'Alfero 2005 Biografia di Valerio Evangelisti http://www.eymerich.com/biografia.htm Valerio Evangelisti è nato a Bologna nel 1952. Si è laureato in scienze politiche, indirizzo storico-politico, e ha intrapreso una carriera accademica interrotta verso il 1990, alternata all'attività di funzionario del ministero delle finanze. Dopo avere pubblicato cinque volumi e una quarantina di saggi di storia, si è dedicato interamente alla narrativa. Nel 1994 è uscito il suo primo romanzo, Nicolas Eymerich, inquisitore, che ha vinto il Premio Urania. Sono seguiti Le catene di Eymerich (1995), Il corpo e il sangue di Eymerich (1996), Il mistero dell'inquisitore Eymerich (1996); Cherudek (1997), Picatrix, la scala per l'inferno (1998), Il castello di Eymerich (2001), pubblicati da Mondadori. L'antologia Metallo urlante (1998) e il romanzo Black Flag (2002) sono stati pubblicati da Einaudi. Nel 1999 è uscito in tre volumi, anch'esso presso Mondadori, Magus. Il romanzo di Nostradamus, tradotto in nove lingue e in tre continenti. Nel 2000 l'Ancora del Mediterraneo ha pubblicato la raccolta di saggi Alla periferia di Alphaville. Interventi sulla paraletteratura. I romanzi centrati su Eymerich sono tradotti in Francia, Spagna, Germania e Portogallo. Hanno valso all'autore, nel 1998, il Grand Prix de l'Imaginaire e, nel 1999, il Prix Tour Eiffel: i premi più prestigiosi riservati in Francia alla letteratura fantastica e di fantascienza. Il quotidiano Le Monde ha pubblicato un racconto di Evangelisti in un supplemento speciale. Il Venerdì di Repubblica, nel 1996, ha proposto un suo romanzo a puntate. Attualmente, dopo avere conseguito nel 2000 il Prix Italia per la fiction radiofonica, scrive sceneggiature per radio, cinema, televisione e fumetti. Ha fatto parte della delegazione ufficiale degli scrittori italiani al Salon du Livre di Parigi del 2001. Valerio Evangelisti è tornato sabato 20 maggio da Puerto Escondido, Messico, dove possiede una casa in cui soggiorna alcuni mesi all'anno. Queste le notizie e le anticipazioni trovate al suo ritorno:
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Inviato da: edmondo2000
il 16/06/2008 alle 11:41
Inviato da: agboccea
il 06/08/2007 alle 20:33
Inviato da: fiorideldesertoo
il 11/07/2007 alle 15:57
Inviato da: fra.gas
il 17/06/2007 alle 10:17
Inviato da: fra.gas
il 17/06/2007 alle 06:17