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Messaggi del 28/05/2006

 

Gabriele Cagliari e Sergio Moroni

Post n°140 pubblicato il 28 Maggio 2006 da fra.gas
 
Foto di fra.gas

  Nulla potrà giustificare quel che è successo in quei mesi: gli arresti, la gogna, il cinismo di quelli che magari sarebbero stati coinvolti qualche giorno dopo, il burocratico distacco di altri, lo spettacolo penoso delle istituzioni allo sbando. Ma soprattutto, le vittime. Certo non i peggiori, qualche volta quelli che avevano più sensibilità e senso della dignità personale. Ecco le ultime lettere di due compagni ed amici: Gabriele Cagliari e Sandro Moroni.   http://www.ossimoro.it/massacro.htm

L'ultima lettera di Sergio Moroni

Egregio Signor Presidente,
 

ho deciso di indirizzare a Lei alcune brevi considerazioni prima di lasciare il mio seggio in Parlamento compiendo l'atto conclusivo di porre fine alla mia vita.

E' indubbio che stiamo vivendo mesi che segneranno un cambiamento radicale sul modo di essere nel nostro paese, della sua democrazia, delle istituzioni che ne sono l'espressione. Al centro sta la crisi dei partiti (di tutti i partiti) che devono modificare sostanza e natura del loro ruolo. Eppure non è giusto che ciò avvenga attraverso un processo sommario e violento, per cui la ruota della fortuna assegna a singoli il compito delle "decimazioni" in uso presso alcuni eserciti, e per alcuni versi mi pare di ritrovarvi dei collegamenti. Né mi è estranea la convinzione che forze oscure coltivano disegni che nulla hanno a che fare con il rinnovamento e la "pulizia". Un grande velo di ipocrisia (condivisa da tutti) ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento. C'è una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste regole.

Mi rendo conto che spesso non è facile la distinzione tra quanti hanno accettato di adeguarsi a procedure legalmente scorrette in una logica di partito e quanti invece ne hanno fatto strumento di interessi personali. Rimane comunque la necessità di distinguere, ancora prima sul piano morale che su quello legale. Né mi pare giusto che una vicenda tanto importante e delicata si consumi quotidianamente sulla base di cronache giornalistiche e televisive, a cui è consentito di distruggere immagine e dignità personale di uomini solo riportando dichiarazioni e affermazioni di altri. Mi rendo conto che esiste un diritto d'informazione, ma esistono anche i diritti delle persone e delle loro famiglie. A ciò si aggiunge la propensione allo sciaccallaggio di soggetti politici che, ricercando un utile meschino, dimenticano di essere stati per molti versi protagonisti di un sistema rispetto al quale oggi si ergono a censori. Non credo che questo nostro Paese costruirà il futuro che si merita coltivando un clima da "pogrom" nei confronti della classe politica, i cui limiti sono noti, ma che pure ha fatto dell'Italia uno dei Paesi più liberi dove i cittadini hanno potuto non solo esprimere le proprie idee, ma operare per realizzare positivamente le proprie capacità e competenze. Io ho iniziato giovanissimo, a solo 17 anni, la mia militanza politica nel Psi. Ricordo ancora con passione tante battaglie politiche e ideali, ma ho commesso un errore accettando il "sistema", ritenendo che ricevere contributi e sostegni per il partito si giustificasse in un contesto dove questo era prassi comune, ne mi è mai accaduto di chiedere e tanto meno pretendere. Mai e poi mai ho pattuito tangenti, né ho operato direttamente o indirettamente perché procedure amministrative seguissero percorsi impropri e scorretti, che risultassero in contraddizione di "ladro" oggi così diffusa. Non lo accetto, nella serena coscienza di non aver mai personalmente approfittato di una lira. Ma quando la parola è flebile, non resta che il gesto. Mi auguro solo che questo possa contribuire a una riflessione più seria e giusta, a scelte e decisioni di una democrazia matura che deve tutelarsi. Mi auguro soprattutto che possa servire a evitare che altri nelle mie stesse condizioni abbiano a patire le sofferenze morali che ho vissuto in queste settimane, a evitare processi sommari (in piazza o in televisione) che trasformano un'informazione di garanzia in una preventiva sentenza di condanna. Con stima.

Sergio Moroni

 

L'on. Sergio Moroni si è suicidato il 2 settembre 1992

20 luglio: Gabriele Cagliari, ex presidente dell'Eni, si toglie la vita a San Vittore dopo 133 giorni di carcere e dopo aver cominciato a collaborare con i magistrati. Il suicidio lacera i magistrati: il pool di "Mani pulite" aveva dato il via libera alla scarcerazione, già concessa dal gip Ghitti, ma bloccata dal no del pm De Pasquale per il caso Eni-Sai. Nella lettera di addio alla moglie denuncia un meccanismo "atto ad annichilire e a distruggere la persona, non a fare giustizia". Durante i processi Enimont ed Eni-Sai, la stessa consorte risarcisce 12 miliardi sequestrati per rogatoria sul conto svizzero a lei intestato.

Lettera di Gabriele Cagliari

- 20 luglio 1993 -

http://www.socialisti.net/SOCIALISTI/cagliari.htm

Miei carissimi Bruna, Stefano, Silvano, Francesco, Ghiti:

sto per darvi un nuovo, grandissimo dolore. Ho riflettuto intensamente e ho deciso che non posso sopportare più a lungo questa vergogna.
La criminilizzazione di comportamenti che sono stati di tutti, degli stessi Magistrati, anche a Milano, ha messo fuori gioco soltanto alcuni di noi, abbandonandoci alla gogna e al rancore dell'opinione pubblica. La mano pesante, squilibrata e ingiusta dei Giudici ha fatto il resto.
Ci trattano veramente come non-persone, come cani ricacciati ogni volta al canile. Sono qui da oltre quattro mesi, illegittimamente trattenuto.

Tutto quanto mi viene contestato non corre alcun pericolo di essere rifatto, né le prove relative a questi fatti possono essere inquinate in quanto non ho più alcun potere di fare né di decidere, né ho alcun documento che possa essere alterato. Neppure potrei fuggire senza passaporto, senza carta d'identità e comunque assiduamente controllato come costoro usano fare.
Per di più ho 67 anni e la legge richiede che sussistano oggettive circostanze di eccezionale gravità e pericolosità per trattenermi in condizioni tanto degradanti. Ma, come sapete, i motivi di questo infierire sono ben altri e ci vengono anche ripetutamente detti dagli stessi Magistrati, se pure con il divieto assoluto di essere messi a verbale, come invece si dovrebbe regolarmente fare.
L'obbiettivo di questi Magistrati, quelli della Procura di Milano in modo particolare, è quello di costringere ciascuno di noi a rompere, definitivamente e irrevocabilmente, con quello che loro chiamano il nostro "ambiente".
Ciascuno di noi, già compromesso nella propria dignità agli occhi della opinione pubblica per il solo fatto di essere inquisito o, peggio, essere stato arrestato, deve adottare un atteggiamento di "collaborazione" che consiste in tradimenti e delazioni che lo rendano infido, inattendibile, inaffidabile: che diventi cioè quello che loro stessi chiamano un "infame".
Secondo questi magistrati, a ognuno di noi deve dunque essere precluso ogni futuro, quindi la vita, anche in quello che loro chiamano il nostro "ambiente". La vita, dicevo, perché il suo ambiente, per ognuno, è la vita: la famiglia, gli amici, i colleghi, le conoscenze locali e internazionali, gli interessi sui quali loro e i loro complici intendono mettere le mani.
Già molti sostengono, infatti, che agli inquisiti come me dovrà essere interdetta ogni possibilità di lavoro non solo nell'Amministrazione Pubblica o parapubblica, ma anche nelle Amministrazioni delle aziende private, come si fa a volte per i falliti. Si vuole insomma creare una massa di morti civili, disperati e perseguitati, proprio come sta facendo l'altro complice infame della Magistratura che è il sistema carcerario.
La convinzione che mi sono fatto è che i Magistrati considerano il carcere nient'altro che uno strumento di lavoro, di tortura psicologica, dove le pratiche possono venire a maturazione, o ammuffire, indifferentemente, anche se si tratta della pelle della gente.
Il carcere non è altro che un serraglio per animali senza teste né anima.
Qui dentro ciascuno è abbandonato a se stesso, nell'ignoranza coltivata e imposta dei propri diritti, custodito nell'inattività e nell'ignavia; la gente impigrisce, si degrada e si dispera diventando inevitabilmente un ulteriore moltiplicatore di malavita.
Come dicevo, siamo cani in un canile dal quale ogni Procuratore può prelevarci per fare la propria esercitazione e dimostrare che è più bravo o più severo di quello che aveva fatto un'analoga esercitazione alcuni giorni prima o alcune ore prima.
Anche tra loro c'è la stessa competizione o sopraffazione che vige nel mercato, con la differenza che, in questo caso, il gioco è fatto sulla pelle della gente. Non è dunque possibile accettare il loro giudizio, qualunque esso sia.
Stanno distruggendo le basi di fondo e la stessa cultura del diritto, stanno percorrendo irrevocabilmente la strada che porta al loro Stato autoritario, al loro regime della totale asocialità. Io non ci voglio essere.
Hanno distrutto la dignità dell'intera categoria degli avvocati penalisti ormai incapaci di dibattere o di reagire alle continue violazioni del nostro fondamentale diritto di essere inquisiti, e giudicati poi, in accordo con le leggi della Repubblica.
Non sono soltanto gli avvocati, i sacerdoti laici della società, a perdere la guerra; ma è l'intera nazione che ne soffrirà le conseguenze per molto tempo a venire. Già oggi i processi, e non solo a Milano, sono farse tragiche, allucinanti, con pene smisurate comminate da Giudici che a malapena conoscono il caso, sonnecchiano o addirittura dormono durante le udienze per poi decidere in cinque minuti di Camera di Consiglio.
Non parliamo poi dei tribunali della libertà, asserviti anche loro ai Pubblici Ministeri, né dei tribunali di sorveglianza che infieriscono sui detenuti condannati con il cinismo dei peggiori burocrati e ne calpestano continuamente i diritti.
L'accelerazione dei processi, invocata e favorita dal Ministro Conso, non è altro che la sostanziale istituzionalizzazione dei tribunali speciali del regime di polizia prossimo venturo. Quei pochi di noi caduti nelle mani di questa "giustizia" rischiano di essere i capri espiatori della tragedia nazionale generata da questa rivoluzione.
Io sono convinto di dover rifiutare questo ruolo. È una decisione che prendo in tutta lucidità e coscienza, con la certezza di fare una cosa giusta.
La responsabilità per colpe che posso avere commesso sono esclusivamente mie e mie sono le conseguenze.
Esiste certamente il pericolo che altri possano attribuirmi colpe non mie quando non potrò più difendermi.
Affidatevi alla mia coscienza di questo momento di verità totale per difendere e conservare al mio nome la dignità che gli spetta.
Sento di essere stato prima di tutto un marito e un padre di famiglia, poi un lavoratore impegnato e onesto che ha cercato di portare un po' più avanti il nostro nome e che, per la sua piccolissima parte, ha contribuito a portare più in alto questo paese nella considerazione del mondo.
Non lasciamo sporcare questa immagine da nessuna "mano pulita".
Questo vi chiedo, nel chiedere il vostro perdono per questo addio con il quale vi lascio per sempre.
Non ho molto altro da dirvi poiché in questi lunghissimi mesi di lontananza ci siamo parlati con tante lettere, ci siamo tenuti vicini.
Salvo che a Bruna, alla quale devo tutto. Vorrei parlarti Bruna, all'infinito, per tutte le ore e i giorni che ho taciuto, preso da questi problemi inesistenti che alla fine mi hanno fatto arrivare qui. Ma in questo tragico momento cosa ti posso dire, Bruna, anima dell'anima mia, unico grandissimo amore, che lascio con un impagabile debito di assiduità, di incontri sempre rimandati, fino a questi ultimi giorni che avevamo pattuito essere migliaia e migliaia da passare sempre insieme, io e te, in ogni posto, e che invece qui sto riducendo a un solo sospiro?
Concludo una vita vissuta di corsa, in affanno, rimandando continuamente le cose veramente importanti, la vita vera, per farne altre, lontane come miraggi e, alla fine, inutili.
Anche su questo, soprattutto su questo, ho riflettuto a lungo, concludendo che solo così avremo finalmente pace. Ho la certezza che la tua grande forza d'animo, i nostri figli, il nostro nipotino, ti aiuteranno a vivere con serenità e a ricordarmi, perdonato da voi per questo brusco addio.
Non riesco a dirti altro: il pensiero di non vederti più, il rimorso di avere distrutto i nostri anni più sereni, come dovevano essere i nostri futuri, mi chiude la gola.
Penso ai nostri ragazzi, la nostra parte più bella, e penso con serenità al loro futuro. Mi sembra che abbiano una strada tracciata davanti a sé. Sarà una strada difficile, in salita, come sono tutte le cose di questo mondo: dure e piene di ostacoli. Sono certo che ciascuno l'affronterà con impegno e con grande serenità come ha già fatto Stefano e come sta facendo Silvano.
Si dovranno aiutare l'un l'altro come spero che già stiano facendo, secondo quanto abbiamo discusso più volte in questi ultimi mesi, scrivendoci lettere affettuose.
Stefano resta con un peso più grave sul cuore per essere improvvisamente rimasto privato della nostra carissima Mariarosa. Al dolcissimo Francesco, piccolino senza mamma, daremo tutto il calore del nostro affetto e voi gli darete anche il mio, quella parte serena che vi lascio per lui.
Le mie sorelle, una più brava dell'altra, in una sequenza senza fine, con le loro bravissime figliole, con Giulio e Claudio, sono le altre persone care che lascio con tanta tristezza.
Carissime Giuliana e Lella, a questo punto cruciale della mia vita non ho saputo fare altro, non ho trovato altra soluzione.
Ricordo Sergio e la sua famiglia con tanto affetto, ricordo i miei cugini di Guastalla, i Cavazzani e i loro figli. Da tutti ho avuto qualcosa di valore, qualcosa di importante, come l'affetto, la simpatia, l'amicizia.
A tutti lascio il ricordo di me che vorrei non fosse quello di una scheggia che improvvisamente sparisce senza una ragione, come se fosse impazzita. Non è così, questo è un addio al quale ho pensato e ripensato con lucidità, chiarezza e determinazione.
Non ho alternative. Desidero essere cremato e che Bruna, la mia compagna di ogni momento triste o felice, conservi le ceneri fino alla morte.
Dopo di che siano sparse in qualunque mare. Addio mia dolcissima sposa e compagna, Bruna, addio per sempre.
Addio Stefano, Silvano, Francesco; addio Ghiti, Lella, Giuliana, addio.
Addio a tutti. Miei carissimi, vi abbraccio tutti insieme per l'ultima volta.
Il vostro sposo, papà, nonno, fratello.
Gabriele

IN MEMORIA DI GABRIELE CAGLIARI

Da: GIUSEPPE PALESE
Data: 4/9/00
Ora: 4:20:54 AM
Nome remoto: 212.216.225.158

Commenti

L'uomo ferito e spogliato di tutto,fuorche' dell'onore,il ricettacolo di un'intima intangibilita',quella che nessuna convenzione sociale,comunque "normata",puo' mai scassinare,il distillato purissimo di cio' che residua del vivere,quando,scarnificato fino all'osso,ti si para davanti,un giorno,questuando la testimonianza dell'atto estremo di liberta',nella coartazione estrema. Una vita che cappotta,la morte che forse un giorno l'occhiolino te l'ha gia' fatto,quando indaffarato, le hai indirizzato nulla piu' che uno sguardo distratto,senza che ti desse neanche il tempo di riconoscerla,che adesso invece ti taglia la strada,appena voltato l'angolo, e ti ferma e, chiamandoti per nome,incomincia a parlarti di se',chiedendoti se l'hai riconosciuta,se ti ricordi proprio di quell'occhiata furtivamente lanciatale una volta,per riceverne un inaspettato,inspiegabile ammiccamento. Ed ecco che dalle segrete di un passato scivolatoti troppo in fretta tra le dita di un perenne presente, la rimembranza di quell'istantaneo e casuale incontro fa incursione,e, in una nemesi che reclama da tempo i suoi diritti,inchioda il presente al muro del passato. Quante volte hai fatto spallucce davanti alle scorciatoie che un Kratos senza ethos,estraneo e nemico, ti ha imposto per non farti guardare in faccia la vita per quello che in fondo e',costringendoti a fare appello,per riceverne scontato conforto,all'impossibilita' di aver vittoria sulla piu' grande e piu' potente delle tirannidi che mai sia dato all'uomo di fronteggiare,la perentoria immutabilita' di quel che gia' e' stato e piu' non puo' essere. Il fu,che non e', ora intreccia una grottesca danza,proprio davanti ai tuoi occhi, con quello che piu' mai sara'.I due macabri danzatori della tua ultima ora rendono cosi' pan per focaccia ad un presente, che il branco dei potenti,tendendoti un giorno la piu' tragica delle imboscate,volle farti credere in tuo pieno ed assoluto dominio. Un sacchetto di spazzatura le loro blandizie,un vile sacchetto di plastica ad accogliere una testa pensante,una bocca mai aperta all'infamia. Raskolnikov di un delitto mai perpretato,di un castigo senza riparo.

MORONI: L’atto d’accusa del deputato Psi

Da: La Redazione
Data: 10/3/2002
Ora: 9:45:07 AM
Nome remoto: 213.254.3.151

Commenti

Il 17 giugno 1992 il segretario del Psi di Lodi Renato Amorese si suicida dopo aver ricevuto un avviso di garanzia. Il 2 settembre è la volta del deputato socialista Sergio Moroni. Sono i primi due casi. I più famosi avvengono quasi un anno dopo. Il 20 luglio 1993 Gabriele Cagliari viene trovato morto nella sua cella del carcere di San Vittore a Milano, dove era rinchiuso da 134 giorni. Tre giorni dopo Raul Gardini si uccide sparandosi un colpo di pistola alla testa. Sergio Moroni, coinvolto nelle tangenti sui rifiuti, si spara un colpo di fucile nella sua casa di Brescia, mentre parte la richiesta di autorizzazione a procedere. In una lettera al presidente della Camera Napolitano, Moroni accusa magistrati, politici e giornalisti di aver creato «un clima da pogrom».

Il testo della lettere di Sergio è da anni on-line alla pagina:

http://www.socialisti.net/SOCIALISTI/moroni.htm

 
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RAUL GARDINI

Post n°139 pubblicato il 28 Maggio 2006 da fra.gas
 
Foto di fra.gas

  LA SCHEDA
Da Cagliari a Gardini
i suicidi di Tangentopoli

MILANO - Il suicidio di Alessandro Bassi scuote l'inchiesta Parmalat e riporta inevitabilmente alla memoria altri drammatici episodi analoghi che hanno contraddistinto il periodo della tangentopoli milanese e del lavoro dei magistrati di 'Mani Pulite'. Nomi illustri hanno segnato, con il suicidio, quell' inchiesta. Da Gabriele Cagliari, ex presidente dell'Eni, a Raul Gardini, il padre di Enimont, a Sergio Moroni, deputato socialista.

La prima 'vittima' del clamore di tangentopoli è Renato Amorese, ex segretario del Psi di Lodi che, il 17 giugno 1992, si toglie la vita con un colpo di pistola alla tempia, pochi giorni dopo essere stato interrogato dall'allora pm Antonio Di Pietro su una tangente da 400 milioni di lire.

Il 2 settembre dello stesso anno, si uccide, nella cantina della sua casa di Brescia, il deputato del Psi Sergio Moroni: aveva ricevuto due avvisi di garanzia dai magistrati milanesi che avevano anche inviato alla Camera la richiesta di autorizzazione a procedere.

Nel giro di tre giorni, nel luglio del 1993, si verificano altri due suicidi clamorosi: il 20 luglio si uccide nel carcere di San Vittore l'ex presidente dell'Eni Gabriele Cagliari, detenuto da oltre quattro mesi. Lo trovano con la testa infilata in un sacchetto di plastica.

Mentre stanno per svolgersi i funerali di Cagliari, tre giorni dopo, di prima mattina nella sua abitazione milanese nella centralissima piazza Belgioioso, Raul Gardini, ormai entrato nel mirino degli inquirenti, si uccide sparandosi un colpo di pistola.

(23 gennaio 2004) http://www.repubblica.it/2004/a/sezioni/economia/parmalat7/tange/tange.html

 

ENIGMA
Venerdì 24 giugno – ore 21.00

12 ANNI DI DUBBI SULLA MORTE DI
RAUL GARDINI

Era il 23 luglio del 1993 quando fu trovato il corpo senza vita di Raul Gardini, l’uomo che diceva: “la chimica italiana sono io”. Dai vertici della finanza alla morte in seguito alla tempesta di Tangentopoli. Suicidio fu il verdetto. Ma ne siamo proprio sicuri? Perché tante ombre su quella morte? A chi poteva far comodo una fine così inaspettata?

Domande alle quali cerca una risposta Enigma, il settimanale di Raitre condotto da Corrado Augias, in una puntata che ha come ospiti lo scrittore Lucio Trevisan, la saggista Marta Boneschi, i giornalisti Vanni Balestrazzi e Massimo Mucchetti, il perito balistico Manlio Averna, l’anatomopatologo Giancarlo Umani Ronchi.

http://www.enigma.rai.it/R3_popup_articolofoglia/0,6844,110^4077,00.html

GARDINI - SUICIDIO - LUGLIO 1993

http://www.cronologia.it/storia/a1986.htm

      
      ore 9, del 23 luglio 1993
      Sono passati soli tre giorni dal suicidio di  Gabriele Cagliari....
      Quando, quasi alla stessa ora, il suo grande antagonista nella vicenda
      Enimont, RAUL GARDINI, si spara un colpo di pistola nella sua abitazione
      di piazza Belgioioso, in pieno centro di Milano, e muore poco dopo al
      Policlinico.

  Perchè si è ucciso? Nel pomeriggio dello stesso giorno vengono arrestati i
  vertici della Montedison: Carlo Sama, marito di Alessandra Ferruzzi e cognato
  di Gardini, e il finanziere socialista Sergio Cusani; sembra che un ordine di
  custodia fosse pronto anche per Raul Gardini.
  (La breve storia della "scalata" di Gardini alla Montedison qui)

  Richiamandosi alle sue imprese marinare, la rivista americana Time commenterà
  così la morte di Gardini: "Egli sarà  ricordato come un brillante simbolo del
  suo tempo, un capitano d'industria e un marinaio di livello mondiale, che ha
  pilotato le sue imprese e i suoi yacht da un milione di dollari con gioioso
  abbandono. Ha lavorato duro per 60 anni allo scopo di coltivare questa
  immagine, in un mondo dove i miti contano più spesso dei fatti".
   tre giorni prima...il
  20 LUGLIO, ore 9.40, GABRIELE CAGLIARI è trovato morto, con un sacchetto di
  plastica infilato in testa e legato al collo con una stringa da scarpe, nella
  sua cella del carcere di San Vittore a Milano., dove era rinchiuso da 134
  giorni.

  L'ex presidente dell'ENI, nominato al vertice nel 1989, su designazione di
  Bettino Craxi e Claudio Martelli, Gabriele Cagliari aveva ricevuto in febbraio
  un avviso di garanzia per peculato e false comunicazioni societarie;
  nell'acquisto delle azioni Enimont da Raul Gardini lo stato avrebbe pagato (su
  2.805) mille miliardi in più del dovuto. Il 9 marzo era stato arrestato con
  l'accusa di corruzione. Gabriele Cagliari  aveva spiegato davanti ai giudici
  "è un vecchio sistema che serviva a finanziare principalmente il Psi e la Dc".

  E' l'undicesimo suicidio di Tangentopoli.
  Ma queste ultimi due generano reazioni di sconcerto e riaprono le polemiche
  sulle carcerazioni preventive.

  I potenti -va dicendo qualche psichiatra, psicologo, sociologo- non sanno
  perdere, non hanno mai imparato a soffrire, loro non sono abituati a perdere.
  Non sono disposti ad essere soccombenti davanti a una accusa.

ANNO 1986 . MESE DI OTTOBRE
LA "SCALATA" DEL "CORSARO"  GARDINI
AL "MONTE EDISON"
poi "la valanga"
  9 OTTOBRE - E' di quest'anno e di questo mese l'inizio della grande operazione
  finanziaria che avrà poi in seguito non solo uno strascico politico e
  giudiziario negli anni '90 con Tangentopoli, ma avrà anche un epilogo tragico
  quando il protagonista di questa operazione "scalata" si farà saltare le
  cervella, poche ore prima di essere inquisito e forse arrestato, assieme a
  tanti altri comprimari, finanzieri, politici, e altri oscuri personaggi.
  Rivelando i retroscena di questa colossale operazione.

  RAUL GARDINI fino ad ora leader del maggior gruppo alimentare d'Italia -
  quello della famiglia Ferruzzi di Ravenna - diventa azionista di maggioranza
  con il 14,5 per cento della Montedison, il grande gruppo petrolchimico
  nazionale.

  E' il primo passo verso la grande scalata che lo porterà - con un discreto
  rastrellamento in borsa - ad acquisire il 40 per cento dei titoli del colosso
  chimico.
  L'appoggio in questa iniziale operazione gli viene dato dallo stesso
  presidente della Montedison Schimberni, ma una volta assunto il controllo del
  gruppo il prossimo novembre '87, è lo stesso Gardini ad allontanarlo e
  assumere lui la carica.

  Il suo obiettivo è di creare un unico polo italiano della chimica. E giunto a
  questa sua prima scalata, a Gardini sembra giunto il momento per realizzare un
  altro più ambizioso programma; creare l'Enimont, cioè la fusione tra Eni e
  Montedison.
  Senza falsa modestia Gardini affermerà in seguito "la chimica sono io!"

  Ma si scatenano in Italia le polemiche e si manifestano le due scuole di
  pensiero: la chimica deve essere in mano pubblica o privata?
  Può lo stato permettere a un privato di avere in mano un'azienda che da molti
  è ritenuta strategica?

  Fra tanta demagogia e ipocrisia, tutti sanno che in questa operazione stanno
  correndo molti soldi e tutti chi più chi meno vuole metterci le mani.
  Inizia dunque un lungo percorso  (fino agli anni '90) ostacolando con tanti
  pretesti e (con la stampa) seduzione del popolo, il progetto di Gardini.
  Infatti dopo scontri e polemiche e la non collaborazione (si muovono occulte
  forze politiche, bancarie e finanziarie) Cagliari (presidente dell'Eni -
  nominato al vertice nel 1989, su designazione di Bettino Craxi e Claudio
  Martelli) da una parte e Gardini dall'altra,  constatano l'impossibilità a
  proseguire nel progetto.

  Gardini vuole alla fine mollare tutto. Vuole (o è sollecitato a farlo, visto
  che gli mettono i bastoni fra le ruote) cedere all'ENI tutte le sue quote.
  Vuole dimettersi da tutte le società in cui riveste cariche e perfino uscire
  dalla Confindustria. Esprime l'intenzione di non volersi più occupare
  dell'industria italiana; e in un amareggiato e sdegnato sfogo- anche quello di
  emigrare all'estero "Qui non si può lavorare!"

  Finita una polemica (il boicottaggio che sembra dunque riuscito), ne inizia
  però un'altra. A quanto deve essere valutata quella quota che Gardini viene
  spinto a cedere?
  E questo viene deciso in "alto", molto in alto.

  Proprio a fine anno 1990, la vicenda si chiude con la cessione della quota di
  Gardini (della Montedison) all'ENI. Gardini esce di scena portandosi a casa un
  bel "malloppo" che ad attenti osservatori sembra però un po' troppo. E stato
  superpagato dicono in molti.

  Tutta la vicenda finirà in un tribunale nel 1993, nel primo grande processo di
  quella che sarà chiamata "tangentopoli" o "mani pulite". Che ci fosse in
  quella cessione di quote uno scandalo di allettanti tangenti (sono corsi fiumi
  di denaro - circa 540 miliardi)  i due suicidi ne chiariranno il senso,
  tragicamente: quello dei due protagonisti, che entrambi si suicideranno uno in
  carcere il 20 luglio, soffocandosi uno con un sacchetto di plastica infilato
  nella testa, l'altro tre giorni più tardi sparandosi un colpo alla testa.
  (il suicidio di Gardini, il 20 luglio 1993)

  Ma a chi sono andati questi soldi?
  Sul piano giudiziario, la vicenda inizia con il processo a un solo imputato:
  Sergio Cusani, finanziere "d'affari" (cioè, in pratica, il mediatore). Il
  processo condotto dal PM Di Pietro, durerà sei mesi, con il "triste"
  spettacolo offerto anche alla Tv in prima serata. Sfileranno personaggi
  importanti, come testimoni; alcuni ammettendo di aver ricevuto soldi di quella
  "tangente", altri invece sfrontatamente giustificandosi che "così hanno fatto
  tutti, e quindi non fate i moralisti", e altri goffamente e ostinatamente
  negando per poi subito dopo essere smentiti con prove schiaccianti. "Si
  abbiamo preso dei soldi, ma io non ne sapevo nulla, se ne occupava il mio
  segretario".
  Perfino il grottesco "Si li abbiamo presi ma durante la notte ci sono stati
  rubati"

  Carlo Sama, vicepresidente della Montedison di Gardini, e marito di Alessandra
  Ferruzzi e quindi cognato di Gardini, al processo davanti ai magistrati
  chiarisce la maxitangente che ha dato il via al "grande scandalo". "Le
  tangenti ai partiti e agli uomini politici servivano per "rendere più facile"
  al gruppo Ferruzzi la vendita all'Eni della sua quota. Un po' di soldi- dirà
  Sama- sono andati anche a qualche giornalista, per "garantire una buona
  immagine" del gruppo.

  In pratica nel trasferimento allo Stato, venne gonfiato il prezzo, onde
  ricavarne una buona fetta per i propri affari;  "un finanziamento al partito",
  diranno alcuni, "un arricchimento personale" diranno altri.
  (Lo Stato avrebbe pagato su 2.805 miliardi, mille miliardi in più del dovuto)

  A conclusione del processo - terminato con la condanna di Sergio Cusani - i
  giornali pubblicheranno le "fette" della "torta" andate ai vari partiti. In
  pratica a quasi tutti: DC, PSI, PRI, PLI, PSDI, LEGA.

Carlo Sama: la prima intervista dopo dieci anni

Da: La Nazione
Data: 2/1/2002
Ora: 4:47:31 PM
Nome remoto: 213.254.3.151

Commenti

di Giovanni Morandi

ROMA — «Tangentopoli? Tanto rumore per nulla, un'occasione che, se parliamo di moralità, non ha cambiato niente in meglio», sentenzia Carlo Sama, 53 anni, delfino di Gardini ed ex principe ereditario dei Ferruzzi, gruppo da 50 mila miliardi, affondato da Tangentopoli. Praticamente un' Atlandite. E' rimasta solo la leggenda. A Sama è rimasta anche questa bella villa sull'Appia Antica, che fu del dittatore filippino Marcos. La moglie Alessandra e i figli sono a Montecarlo, dove hanno l'altra casa. Dottor Sama, di che cosa si occupa oggi?

«Seguo le attività agroalimentari e zootecniche, che abbiamo in Sudamerica. E in Italia collaboro con la federazione italiana comunità terapeutiche, per la quale ho fondato il mensile Progetto uomo».

La posizione giudiziaria sua qual è?

«Ho pagato il mio debito».

Che era di?

«Sono stato condannato a tre anni nel processo Enimont».

In totale quante imputazioni ha avuto?

«146»

Con quale esito?

«A parte la condanna che dicevo, tutte le altre imputazioni contestate a me e a mia moglie nelle inchieste di Ravenna sono state giudicate insussistenti».

Povere vittime…

«Non vedo in quale altro modo definirci, visto che il Pm sequestrò parte delle azioni di famiglia e nominò una sorta di custode giudiziario, che esercitava poteri di socio, consentendo una vera e propria gestione giudiziaria del gruppo. Un fatto devastante».

Questa è la prima intervista che rilascia dopo dieci anni. Perché ha accettato di rompere il silenzio?

«Penso sia arrivato il momento di raccontare quella verità che ho taciuto finora».

Si giri indietro. Che cosa vede nel passato?

«Vedo un gruppo industriale straordinario fatto di leadership, di quote di mercato mondiale, che aveva avuto come attore protagonista mio cognato Raul Gardini, che aveva saputo interpretare gli anni Ottanta e aveva capito, come diceva lui, da dove si sarebbe alzato il vento. La Ferruzzi, prima delle vicende giudiziarie, era l'unico gruppo sano di questo paese. Si è sempre parlato a torto di un indebitamento di oltre 30 mila miliardi, non ne sono mai stato convinto, è stato strumentale, l'indebitamento era inferiore. Con la prima banca di affari del mondo, la Goldman Sachs, avevamo messo a punto un progetto di ricapitalizzazione e di ristrutturazione del gruppo. Ci è mancato il tempo e la possibilità, perché le banche hanno bloccato gli affidamenti, anche se erano nei limiti consentiti. E così si arrivò all'esproprio del Gruppo Ferruzzi».

Un complotto?

«Non parlerei di complotto ma di risultato. Il gruppo Ferruzzi ci è stato tolto per un pugno di soldi».

Ma i magistrati che ruolo avrebbero avuto?

«Di sicuro c'è stato un intreccio tra nuova dirigenza del gruppo, magistratura e società di revisione, che svolgeva un doppio ruolo di consulente del pm e consulente del gruppo». La politica stava a guardare?

«Assolutamente no».

Che faceva?

«Come famiglia fummo trascinati nello scontro tra i partiti della maggioranza e quello dell'opposizione».

Berlusconi ha detto che il partito comunista infiltrò suoi uomini nella magistratura per arrivare a Tangentopoli. Condivide?

«In questi anni mi sono reso conto che non tutti i giudici sono sereni e terzi».

Sono stati usati due pesi e due misure?

«Certamente sì».

La mano leggera con chi è stata usata?

«Con un'infinità di industriali, con i ds ma non solo. Per me vale di discorso del 1992 di Bettino Craxi: chi non ha utilizzato queste forme di finanziamento si alzi in piedi. Non si alzò in piedi nessuno».

Nell'aula dove venne celebrato il processo Enimont oggi è in corso il processo Sme. Quello di Milano è un tribunale normale o un tribunale speciale?

«Una superprocura».

Com'è la giustizia in Italia?

«Una cosa di cui avere terrore».

Come mettere fine al terrore, imbavagliando i giudici?

«No, ma portando un clima più sereno nella magistratura e attuando la riforma della giustizia».

Non le sembra che la giustizia interessi troppo al presidente del consiglio?

«Mi pare di no, io sono un berlusconiano convinto. Berlusconi è l'unico imprenditore di questo paese, che da imprenditore mi ha telefonato nei momenti di difficoltà, che mi onora ancora della sua amicizia, è nato il 29 di settembre, giorno dedicato a San Michele Arcangelo, che è il santo di cui siamo devoti in famiglia. Elementi che fanno sì che io sarò berlusconiano a vita».

Stessa simpatia per Di Pietro?

«Esattamente il contrario».

Che uomo era Raul Gardini?

«Straordinario. E' la persona che più mi manca». C'è chi sospetta sia stato ucciso. «Una sciocchezza».

Ravenna è la sua città ma dicono che lei si tenga alla larga.

«Diceva Ferrari che la provincia non perdona il successo altrui. Il gruppo Ferruzzi era un patrimonio dei miei concittadini ed avrebbero dovuto difenderlo come fece monsignor Bettazzi, vescovo di Ivrea, che riferendosi alle vicende giudiziarie di De Benedetti parlò di finanziamenti benedetti, perché assicuravano posti di lavoro. A Ravenna tanti erano fieri di lavorare nel gruppo ma ci furono anche altri che in televisione dissero che si vergognavano di lavorare per noi. La città ha perso una grande occasione».

Progetti.

«Continuare a vivere. Appartengo solo a mia moglie e ai miei figli. Il mio progetto è quello di accompagnare e di aiutare i miei figli a crescere bene. Non ho altre ambizioni. Tutto quello che pensavo di non potere avere nella vita l'ho avuto».

Errori fatti?

«Tanti».

Quali?

«Affari miei».

In questa storia chi è l'assassino?

«Raul direbbe: un uomo in guanti bianchi».

Lei ne conosce il nome? «Certo».

Secondo la sentenza Enimont, Gardini, dopo aver versato 8 miliardi ai due maggiori partiti di maggioranza, mise a disposizione denaro anche del maggior partito di opposizione ma non è stato individato il soggetto che ricevette la somma. Ne sa nulla?

«La sentenza dice che quel miliardo è stato consegnato».

A chi?

«La sentenza non l'ha stabilito». Si mette a ridere.

Perché ride?

«Lasciamo perdere».

 
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UN SOGNO DI LIBERTA'

Post n°138 pubblicato il 28 Maggio 2006 da fra.gas
 
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  Ho un sogno, sì, assomiglia al PARTITO DEMOCRATICO ITALIANO, ma, molto poco. Non lo è perché non parte da ragioni elettoralistiche, perché non è quello pensato da Prodi ed, in minor misura, da Fassino.

E’ un partito Laburista Italiano, è un partito Socialista Democratico: Libertario e Popolare!

Un partito Laico che però riconosca, valorizzi e difenda la cultura Cattolica, la Storia del Partito Popolare da don Sturzo ad oggi.

Un partito che a partire da una dura autocritica di tutti superi, anzi azzeri il congresso di Livorno, lavi l’onta dell’espulsione di Turati, cacciata a mio modesto avviso responsabile di non poco conto dell’avvento del Fascismo,  avvenuto nel terrore piccolo borghese per il Bolscevismo. Che lavi l’onta dei martiri che hanno costellato la storia del ‘900 italiano, da Matteotti e Don Minzoni, passando per i fratelli Cervi e Marzabotto, per le Foibe, per il triangolo della morte, fino ai suicidi di mani pulite!

Non posso  che ricordare i 250 milioni di morti delle aberrazioni dello scorso secolo: però seguendo il mio ragionamento essi sono tutti legati da un filo rosso ed uno nero dipanati dalle tragiche scelte che spaccarono il movimento operaio e popolare ai primi del ‘900.

Una piena riconciliazione tra i movimenti dei lavoratori: Socialisti e Cattolici!

Sulla base del reciproco riconoscimento dei valori Culturali e Sociali del Cristianesimo, rifuggendo però dal confessionalismo, da rispettarsi e praticare ma non da dogmatizzare.

Sulla base del riconoscimento dei valori comuni Culturali e Sociali dell’ età dei Lumi, dei fermenti alimentati dalle rivoluzioni settecentesche, borghesi e popolari: Francese ed Americana che portarono ai movimenti Liberali, Radicali e Socialisti dell’800, dilaniati, come ricordato dalle catastrofi del XX secolo!

Un Partito Europeo che riparta dagli errori economicistici dell’Euro, a cui si sono sacrificati troppi principi di Libertà e di Solidarietà!

Come superare il dilemma tra Eurosocialisti ed Europopolari?

Francamente non lo so, ma pur rifuggendo dai concetti di partito unico, mi auguro possa divenire l’ultimo dei problemi!

Mi auguro per l’Europa intera un fermento Culturale, come nella prima metà dell’800, ma senza quelle violenze: che porti a nuovi movimenti, nuove idee e che scateni le energie necessarie per creare un modello Europeo allo sviluppo che coniughi Libero Mercato e Welfare su basi nuove, che superi gli squilibri interni all’Europa Allargata ed affronti costruttivamente i gravi problemi posti dalla globalizzazione dei mercati, ma non certo delle idee, delle culture, delle fedi, politiche e religiose!

Mi auguro un fermento Culturale che unifichi l’Europa vera, che valorizzi i fattori comuni, ma al contempo aiuti a crescere verso un maggiore riconoscimento ed una conoscenza reciproci le Culture Regionali, Regioni Europee più ma forse meno, coincidenti con gli attuali Stati, certo coincidenti con le Nazioni.

I temi sono tanti, i problemi sono enormi, ma a mio modesto avviso questa è l’unica via da intraprendere.

 

Bologna, 28 maggio 2006 Contributo di F. Gasparini al convegno: verso un Partito Democratico Italiano?

 
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Il Martire per la libertà: Giacomo Matteotti

Post n°137 pubblicato il 28 Maggio 2006 da fra.gas
 
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Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

http://it.wikipedia.org/wiki/Giacomo_Matteotti

.

Giacomo Matteotti (Fratta Polesine (Rovigo), 22 maggio 1885 - Roma, 11 giugno 1924), è stato un uomo politico italiano.

Nato da una famiglia benestante Matteotti si laureò in giurisprudenza all'Università di Bologna ed entrò in contatto con i movimenti socialisti, dei quali divenne ben presto una figura di spicco. Durante la prima guerra mondiale si dimostrò un convinto sostenitore della neutralità italiana e questa sua posizione gli costò l'internamento in Sicilia.

Matteotti fu il capo del Partito Socialista Unitario alla Camera dei Deputati. Prese posizione contro il Fascismo e contro Benito Mussolini; per un certo tempo fu il capo della ridotta opposizione parlamentare che si contrappose al Partito Nazionale Fascista.

Il 30 maggio 1924 Matteotti prese la parola alla camera per contestare le elezioni tenutesi il precedente 6 aprile. Mentre dai banchi fascisti scaturivano urla e risate, Matteotti incalzava con un discorso che sarebbe rimasto famoso:

«Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni.»

Matteotti continuò, elencando tutte le illegalità e gli abusi commessi dai fascisti per riuscire a vincere le elezioni. Al termine del discorso, dopo le congratulazioni dei suoi compagni rispose loro dicendo: "Io il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me".

Il 10 giugno fu rapito a Roma. Il suo corpo fu ritrovato in stato di decomposizione il 16 agosto alla macchia della Quartarella, un bosco nel comune di Riano a 25 km da Roma.

Pietro Nenni, suo caro amico, molto tempo dopo ebbe a dire di lui: "Un socialista e, come tale, un uomo".

L'omicidio

A tutt'oggi il rapimento e il successivo assassinio presentano numerosi lati misteriosi. Per quanto se ne è potuto ricostruire, ma non senza che residuino aspetti lacunosi, la meccanica dovrebbe essere stata la seguente: alle 4 del pomeriggio del 10 giugno Matteotti uscì di casa a piedi per dirigersi verso Montecitorio prendendo per il lungotevere Arnaldo da Brescia. Sotto i platani era ferma un'auto con a bordo alcuni elementi della polizia politica: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo, i quali, appena videro passare il parlamentare socialista, scesero dall'auto, gli balzarono addosso e lo caricarono velocemente a bordo.

Roma, Monumento a Giacomo Matteotti al Lungotevere Arnaldo da Brescia, nel luogo dove fu rapito (Jorio Vivarelli, 1947)

Matteotti riuscì nelle fasi convulse della lotta a gettare in terra la tessera da parlamentare, nella speranza che qualcuno vedendola potesse lanciare l'allarme. In macchina nel frattempo i sicari fascisti avrebbero sottoposto Matteotti ad un pestaggio. Il Viola, dopo qualche tempo, estrasse un coltello e colpì la vittima sotto l'ascella e al torace uccidendola.

Per sbarazzarsi del corpo i 5 girovagarono per la campagna romana fino a raggiungere, verso sera, la macchia della Quartarella, a 25 km da Roma. Qui, servendosi del cric dell'auto, seppellirono il cadavere piegato in due.

Quasi tutti gli storici sono concordi nell'affermare che non fu Mussolini a dare esplicitamente l'ordine di uccidere Matteotti. Pare che il futuro Duce rientrato a palazzo Chigi dopo il famoso discorso del deputato socialista si sia rivolto a Giovanni Marinelli (capo della polizia segreta fascista) urlandogli: "Cosa fa questa Ceka? Cosa fa Dumini? Quell´uomo dopo quel discorso non dovrebbe più circolare...". Questo sarebbe bastato a Marinelli per ordinare al suo sicario Dumini di uccidere Matteotti. Fu lo stesso Marinelli ad ammetterlo a Cianetti e Pareschi vent'anni più tardi quando si trovò con loro e gli altri traditori del 25 luglio 1943 nel carcere di Verona per essere processato.

Il corpo di Matteotti fu ritrovato da un cane di guardiacaccia il 16 agosto. Dal 16 marzo al 24 marzo 1926 si tenne il processo contro i suoi assassini che si concluse con 3 assoluzioni (per Panzeri, che non partecipò attivamente al rapimento, Malacria e Viola) e tre condanne a cinque anni, undici mesi e venti giorni di carcere per Dumini, Volpi e Poveromo.

Mussolini, in un noto discorso tenuto alla Camera il 3 gennaio 1925, si assunse direttamente e personalmente le responsabilità delle violenze che si susseguivano in quegli anni ed in particolare, pur senza fare esplicite ammissioni, del delitto Matteotti.

«Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!»
STORIA DEL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO Clicca qui:

 
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OMAGGIO A TURATI

Post n°136 pubblicato il 28 Maggio 2006 da fra.gas
 
Foto di fra.gas

   

FONDAZIONE DI STUDI STORICI “FILIPPO TURATI” - VIA M. BUONARROTI, 13 – 50122 FIRENZE.

TEL +39 055.243123 – FAX +39 055.2008280 – E-MAIL: fondazione.turati@pertini.it

http://www.pertini.it/turati/pdf/a_turati.pdf

Archivio Fondazione di Studi Storici “Filippo Turati” – I Fondi

FILIPPO TURATI (1857-1932)

Bb. 14, fotografie 300, opuscoli 16, volantini 3, bobine 43 (1866-1932, con documenti posteriori).

Inventario a stampa a cura di Antonio Dentoni Litta.

Biografia

Filippo Turati nacque a Canzo (Como) il 26 novembre 1857. Compì gli studi liceali

a Cremona, dove conobbe Leonida Bissolati, e quelli universitari a Pavia ed a

Bologna, dove si laureò in Giurisprudenza nel 1877. Stabilitosi a Milano, collaborò

alle riviste della scapigliatura e della sinistra democratica antitrasformista.

Fondamentali per la sua formazione furono i rapporti col filosofo positivista

Roberto Ardigò e col repubblicano Arcangelo Ghisleri.

Nel 1882 si avvicinò al dibattito politico e sociale, affrontando criticamente le

teorie lombrosiane sulla questione penale, nella rivista "La Plebe" di Ettore

Bignami. Nel 1885 accettò l'incarico di coordinare in Toscana e in Campania

l'inchiesta di Agostino Bertani sulle condizioni sanitarie delle popolazioni agricole.

A Napoli conobbe la rivoluzionaria russa Anna Kuliscioff, con la quale nacque un

sodalizio intellettuale, politico ed affettivo che durò per tutta la vita. Nel 1889

fondò la Lega socialista milanese e nel gennaio 1891 iniziò la pubblicazione di

"Critica sociale" (scaturita dalla trasformazione di "Cuore e critica"), che divenne il

più autorevole organo teorico e politico del socialismo italiano prefascista. Nel

1892 diede vita, a Genova, al Partito dei lavoratori italiani. Nel 1893 guidò la

delegazione italiana al congresso dell'Internazionale socialista a Zurigo, dove

conobbe Engels. Nel 1896 fu eletto deputato nel V collegio a Milano.

Durante la repressione politica del 1898, il 9 maggio fu arrestato, privato

dell'immunità parlamentare e condannato a dodici anni di reclusione; venne

liberato per indulto il 4 giugno 1899. Con l'eccezione degli anni 1904-1906, pur

senza rivestire alcuna carica particolare, Turati fu il vero leader del Psi dal 1900 al

1912, quando in seguito alla guerra libica la sinistra conquistò la direzione del

partito. Allo scoppio del conflitto mondiale, Turati prese posizione contro la

guerra e contro l'intervento dell'Italia. Rimasto alla testa della minoranza

riformista, Turati partecipò nel giugno 1922 alle consultazioni del re, aperte dopo

la caduta del primo governo Luigi Facta. Tale gesto portò, durante il XIX

congresso del Psi, all'espulsione della sua corrente, che diede vita, insieme ai

gruppi staccatisi dai massimalisti, al Partito socialista unitario. Oppositore

intransigente del fascismo, dopo l'assassinio di Matteotti nel 1924 divenne il capo

morale delle opposizioni unite nell'Aventino.

Dopo la morte della Kuliscioff, il 29 dicembre 1925, e la promulgazione, da parte

del regime fascista, delle leggi eccezionali nel 1926, Turati affrontò la dura scelta

dell'esilio. Nel dicembre di quell'anno, con l'aiuto di Carlo Rosselli, Ferruccio Parri

e Sandro Pertini, Italo Oxilia, riuscì a fuggire in Corsica, da dove raggiunse la

Francia. Stabilitosi a Parigi, continuò attivamente la lotta politica, promuovendo

nel 1927 la nascita della Concentrazione antifascista, del bollettino "Italia" e del

settimanale "La Libertà" e favorendo la riunificazione dei due tronconi del

socialismo italiano, che si verificò nel congresso del 1930, sotto la direzione di

Pietro Nenni. Particolarmente intenso e significativo fu il suo impegno nella

denuncia della minaccia fascista, attraverso la stampa, i comizi e nelle riunioni

dell'Internazionale socialista. Morì a Parigi il 29 marzo 1932. Le sue ceneri furono

traslate a Milano nel 1948.

Biografie

http://www.romacivica.net/anpiroma/antifascismo/biografie%20antifascisti29.html

 Filippo Turati

Nato a Canzo (Como) nel 1857. Di famiglia altoborghese e conservatrice, laureatosi in legge e accostatosi agli ambienti della democrazia radicale, nel 1884 a Napoli conobbe Anna Kuliscioff, allora moglie di Andrea Costa, con cui  legò sentimentalmente e intellettualmente. Spinto da lei allo studio del marxismo e al socialismo, nell'estate del 1889 costituì la Lega socialista milanese con l'intento di porre fine all'isolamento della classe operaia e di dar vita a un nuovo partito. Fondata, quindi, la rivista Critica sociale (1891), nel 1892 fu - insieme a Costa - tra i promotori del congresso di Genova che portò alla nascita del Partito dei Lavoratori Italiani (dal 1895 - al congresso clandestino di Parma - Partito Socialista Italiano) attraverso la scissione dall'anarchismo e dal radicalismo borghese. Persuaso però che la difesa delle libertà fondamentali e l'evoluzione in senso democratico dello Stato fossero la prima condizione per la sopravvivenza e lo sviluppo del movimento operaio tornò a favorire stretti legami operativi con le forze radicali e repubblicane sia in Parlamento sia nel Paese. Sarebbe stato la mente e poi il simbolo del socialismo italiano dall'inizio del secolo ai primi anni di Mussolini. Socialismo riformista, ovvero, nella prassi: primato della forza parlamentare rispetto a ogni iniziativa "spontaneista", affermazione di un partito di classe aperto, sviluppo del socialismo a fianco e dentro l'economia borghese. Insomma, insieme a Turati, un nucleo di liberi pensatori, di deputati, di amministratori comunali: capifila, Giuseppe Emanuele Modigliani, fratello del pittore, e Claudio Treves. E poi, la compagna: Anna Kuliscioff, russa, ebrea, viveva con lui dal 1885, non si sarebbero mai sposati; era stata bakuniniana, era vissuta con Andrea Costa, aveva studiato medicina in Svizzera, aveva teorizzato le prime lotte per i diritti sociali delle donne. Eletto deputato nel 1896, nel 1898 fu condannato a dodici anni di reclusione in occasione dei "moti del pane" di Milano, repressi nel sangue da Bava Beccaris, ma fu amnistiato l'anno successivo e il 4 giugno venne liberato. Nel 1901 appoggiò il Ministero Zanardelli e quindi stabilì una sorta di tacita collaborazione con Giolitti che gli attirò l'accusa di riformismo. Antimilitarista convinto si oppose alla campagna alla guerra italo-turca (1911) e all'entrata nella prima guerra mondiale nel 1915, svolgendo un'intensa campagna contro l'intervento in guerra. Aderì, tuttavia, alla mobilitazione patriottica successiva alla rotta di Caporetto. Dopo il 1918 tentò ancora una volta di favorire i legami tra i partiti di democrazia laica e progressista e il movimento operaio. Massimo esponente dei riformisti nella lotta contro i massimalisti all'interno del partito, percepì con ritardo l'avvento del fascismo ma fu uno dei pochi disposti ad agire ("ogni quarto d'ora perduto è un tradimento"). Dopo la scissione di Livorno, da cui nacque il PCI (1921), messo in minoranza, fu espulso dal PSI e diede vita al Partito socialista unitario (1922). Dopo il delitto Matteotti (1924) prese parte alla secessione dell'Aventino. Morta nel '25 Anna Kuliscioff, in seguito alle leggi speciali del 1926 dovette fuggire in motoscafo in Francia, attraverso la Corsica, grazie all'aiuto di Parri, Pertini e Carlo Rosselli. Qui si adoperò per la nascita della concentrazione antifascista (1927), per la riunificazione del partito insieme a Nenni (1930-31) e per una strenua attività di denuncia della dittatura mussoliniana. Morì a Parigi nel 1932.

Filippo Turati
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Un ritratto fotografico di Filippo Turati

Filippo Turati (Canzo, 26 novembre 1857 - Parigi, 29 marzo 1932) fu un avvocato, uomo politico, giornalista e letterato italiano. Collaborò con varie riviste d'orientamento democratico e radicale.

La sua linea politica fu determinata molto dalle idee marxiste della compagna russa Anna Kuliscioff e dallo stretto rapporto con gli ambienti operai milanesi. Nel 1886 sostenne apertamente il Partito Operaio Italiano (fondato a Milano nel 1882 dagli artigiani Giuseppe Croce e Costantino Lazzari) per poi fondare, nel 1889, la "Lega Socialista Milanese", ispirata ad un marxismo non dogmatico, che rifiutava apertamente l'anarchia. Dal 1891 diresse la rivista Critica sociale. Penso' ad un organo in cui confluissero tutte le organizzazioni popolari, operaie e contadine e queste sue idee furono accolte nel congresso di Genova (1892), in cui nacque il Partito dei Lavoratori Italiani, divenuto nel 1895 Partito Socialista Italiano, d'impronta riformista, che utilizzava la lotta parlamentare per soddisfare le aspirazioni sindacali.

Nonostante Francesco Crispi tentasse di bandire tutte le organizzazioni di sinistra, Turati fu eletto deputato nel 1896 e da tale fu fautore di un'apertura all'area repubblicana mazziniana ed a quella radicale, nel tentativo di dare una svolta democratica al governo. Nel 1898 fu messo agli arresti, con l'accusa d'aver guidato le sollevazioni popolari di Milano, ma fu liberato l'anno dopo tramite indulto e fece ostruzionismo contro il governo reazionario di Luigi Pelloux. Nel 1901, in sintonia con le sue istanze "minimaliste" (il cosiddetto "programma minimo", che si poneva come obbiettivi parziali riforme, che i socialisti riformisti intendevano concordare con le forze politiche moderate o realizzare direttamente se al governo), Turati appoggiò prima il governo liberale moderato presieduto da Giuseppe Zanardelli e successivamente (1903) quello di Giovanni Giolitti, che nel 1904 approvò importanti provvedimenti di "legislazione sociale" (leggi sulla tutela del lavoro delle donne e dei bambini, infortuni, invalidità e vecchiaia, comitati consuntivi per il lavoro, apertura verso le cooperative). A causa, però, della strategia politica messa in atto dallo stesso Giolitti, che eliminava la fazione massimalista (capeggiata da Arturo Labriola ed Enrico Ferri) del P.S.I, nel congresso di Bologna dello stesso anno, la "corrente" di Turati fu messa in minoranza e nel 1922 egli fu espulso dal partito e diede vita al Partito Socialista Unitario.

Fu favorevole all'interventismo, dopo la disfatta di Caporetto del 1917, convinto che in quel momento la difesa della patria in pericolo fosse piu importante della lotta di classe.

A seguito del delitto Matteotti partecipò alla secessione dell'Aventino, e nel 1926 a causa delle persecuzioni del regime fascista, fu costretto a fuggire in Francia (con l'aiuto di Carlo Rosselli e Sandro Pertini), e qui svolse un'intensa attività antifascista. Nel 1930 collaboro' con Pietro Nenni per la riunificazione del P.S.I.

http://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Turati

 
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