Creato da liberemanuele il 26/01/2009

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Anarchia, stato e utopia

Post n°15 pubblicato il 09 Marzo 2009 da liberemanuele
 

Prendendo in prestito il titolo del saggio di Robert Nozik (che per la verità è interessante ma non sono riuscito ad entrarci bene, trovo molto più sulle mie corde gli scritti di Murray N. Rothbard per temi trattati), sulla scia del post di AnarchiaVelenosa e di un acquisto fresco di ieri, "Lo Stato canaglia" di Piero Ostellino, vorrei sviluppare un ragionamento sulla crisi.

Avrei voluto farlo non prima della lettura del libro appena citato dell'editorialista del CorSera, ma devo dire di essere rimasto colpito dal post sopra riportato sulle proposte anticrisi.

Il titolo è solo un esperimento - molto "semplificato"e breve: userò - con improbabili risultati - la "triade dialettica" del da me odiatissimo Hegel: TESI (anarchia), ANTITESI (stato) e SINTESI(utopia). Spero mi scuserete se alla fine risulterà un esercizio utile solo a dimostrare la mia inadeguatezza intellettuale.

Anarchia (una lettura della crisi).

La crisi viene da un sistema di cattivo investimento - l'ho già scritto su "Il ministro che cita Marx" e "Obanomics",  abbiamo sperperato denari su investimenti sbagliati, essi non ci hanno remunerato e la crisi è diventata finanziaria (non avendo restituito i soldi che le banche, drogate dalle liquidità "centrali", ci prestavano acriticamente). Questo è il momento di riparare.
"Tutti sono froci con il culo degli altri" ci consiglierebbe un detto popolare (scusate la volgarità ma è esplicativa), ma in verità i licenziamenti sono un tributo ad anni di crescita inflazionistica ed economica sconsiderata, in quanto a buon (falso) prezzo. Ricchezza è stata bruciata per dei castelli di aria, ora è il momento di risparmiare - c'è la deflazione che ci aiuta a vivere, e far si che la disoccupazione e le risorse si incanalino verso le giuste imprese economiche.
Lo stato continua a spremere i contribuenti con la pistola alla tempia, per bruciare quanti più soldi in stupide ed inutili casse integrazioni , opere faraoniche come il ponte sullo stretto o investimenti a perdere come le energie rinnovabili (ovviamente generalizzo, alcune di queste energie sono valide, ma vanno sviluppate con criterio e non dallo stato).

Stato (la proposta).

Ma uno Stato c'è, è in gran parte lui responsabile della crisi - con le banche centrali - : può essere utile?
La risposta è "no" in teoria: meno fa, prima la crisi si "assorbe".  Il "laissez-faire" è la migliore medicina per una pronta guarigione consiglierebbe Rothbard (ma si sa, lui è anarchico: una società senza stato è più giusta, solidale e ricca). In fondo in America la recessione del 1920, molto severa negli effetti, si risolse in un anno senza politiche anti-cicliche, mentre quella del 1929 con una guerra mondiale e una decina di anni di depressione.
 Ma a oggi è una risposta poco realistica, sarebbe abominevole agli occhi di tutti.
Nel caso italiano qualcosa si può fare, innanzi tutto la riforma del "welfare state" in "welfare to work".
Basta con l'iniquo assistenzialismo politico! Ci vuole una riforma che attivi la società: l'imprenditore deve essere libero di licenziare, lo stato supporta economicamente  il lavoratore, lo riqualifica professionalmente, e fa da tramite con il mercato del lavoro: alla seconda proposta di lavoro rifiutata, basta. Aboliamo il valore legale dei titoli universitari e le categorie professionali: lasciamo che tutti possano in poco tempo e senza lacci, realizzare la loro impresa e le loro professioni, neghiamo alle varie corporazioni qualsiasi "diritto" alla protezione! Togliamo i regolamenti che vincolano le attività economiche, dagli orari, ai giorni di apertura. Facciamo delle nostre metropoli delle piccole New York dove non si dorme mai ed evitiamo divieti inutili come quello di Alemanno sui cornetti dopo l'una di notte ...
Per il sud un bello shock fiscale (basta con i contributi a pioggia alle mafie): incentiviamo l'impresa economica e l'occupazione con un anno di zero tax.

Utopia (sintesi).

La sintesi di ciò è la sua irrealizzabilità. L'Italia ha i suoi anticorpi contro la libertà, fatti di regolamenti centrali e locali, di politica e cultura politica, di sindacati e di corporazioni, accumunati dalla condivisione del principio che l'Italia "è il paese dove tutto è vietato tranne che ciò che è espressamente permesso" - citando Ostellino -  e il loro potere è direttamente proporzionale al "vietato".

Un giorno, tra non poco, forse diventeremo più "occidentali". Un "paese dove tutto è permesso, tranne ciò che è espressamente vietato", ma bisogna accogliere prima di tutto in noi la responsabilità dell'indipendenza.

Non sarà facile.

 

 

 
 
 
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