Post n°45 pubblicato il 03 Luglio 2012 da psico_crazia
C’ è un’isola delle storie che vive ancora di un respiro comune ritmato dal suono delle campane. Dove si declina il “noi” come fosse la spiegazione del mondo e non esiste figlio educato a diventare l’unica misura di se stesso. Nell’isola delle storie il “noi” è la cittadinanza di una patria tacita dove il tempo è ancora condiviso.
E quando il sole cala i vecchi, come lumache dopo la pioggia, escono trascinando con sé su scannixeddu*, obbedendo ad un richiamo silenzioso. Ciascuno con la sua sedia davanti alla casa concordata, assestata sul marciapiede o sul ciglio della strada a formare una platea. Consessi serali, prolungamento delle abitazioni, espressione di quelle urbanistiche possibili solo nei luoghi in cui la casa e la strada non sono realtà diverse e contrapposte, ma sfumature dello stesso significato.
Tutto intorno persone esotiche con l’accento buffo, donne aliene dai capelli color gramigna con la pelle sempre, ma sempre arrossata. Tutti lì a scoprire perché in sardo la parola lìberos si traduce libero ma anche libro.
E poi io, che non sono di fuori, ma nemmeno di dentro. Diverso. In qualche modo contuso. Scarto di equilibri dimenticati, frutto di tabelle di marcia cittadine troppo rapide per loro.
Nell’isola delle storie ho provato ad usare il mio tempo breve per rinfrancare quei rapporti di familiarità e ritrovare quel “noi”, tempo verbale dell’alibi e della corresponsabilità che non indica un’azione ma un modo di stare dritti sulla terra. Insieme. Adesso.
Vorrei un giorno tornare insieme a te davanti a quelle porte dove i vecchi, accomodati in su scannixeddu, raccontano storie sino a notte fonda… E forse ti stupirai ancora, come accadeva quando, appena incontrata, ti parlavo sempre al presente plurale.
*su scannixeddu è una piccola sedia bassa con la seduta in paglia.
Il piccolo paese di Gavoi accoglie ogni anno nelle sue antiche case di pietra un festival letterario ospitando con cordialità i tanti stranieri e non che giungono per l’occasione.
e su quello scannixeddu sedeva mio padre...ed io fra le sue braccia...prendevo sonno facendomi cullare da quei racconti in dialetto...emozioni che ogni tanto vado ad evocare, perse col tempo e dai luoghi ormai lontani..."noi"...
Mi hai ricordato una vacanza a Carloforte... dopo qualche giorno anche noi abbiamo preso le seggioline e ci siamo trasformate in simpatiche "ziodde"!!! Ciao
..questa è bella. Come la musica e la sedia che accoglie.