Creato da: hrothaharijaz il 27/12/2006
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RACCONTI: n.3

Post n°4 pubblicato il 28 Dicembre 2006 da hrothaharijaz

   Il fatto che i primi due racconti fossero stati pubblicati sul quotidiano locale (la mitica PROVINCIA PAVESE) mi diede coraggio, cosi', elaborai questo terzo racconto.                                 

                                 " BRUTTO SCHERZO DELLA NATURA"

L'ultimo episodio capitatole ne pomeriggio di quel mercoledi' 1 settembra 1999 era stata la classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

Il semaforo, in viale della Liberta', era scattato al verde e lei, come spesso le succedeva in situazioni come quelle, lasciandosi prendere da un immotivato panico, aveva lasciato spegnere il motore della sua vecchia FIAT Panda.

Pochi secondi e si scatena, dietro di lei, il finimondo; clacsons che suonano, urla inviperite: "alura", "che cazzo fai", "imbranata".

Un'auto di grossa cilindrata, forse una Mercedes, le si affianca, dal finestrino ne esce una faccia rossa e congesta, un cranio pelato e lucido che vomita. "vai a cagare" e, dopo un attimo di pausa, durante il quale l'energumeno dalla faccia rossa e congesta e dal cranio pelato e lucido si rende conto con chi ha a che fare, "brutto scherzo della natura".

Ebbene si, lei, Silvana di nome e, per ironia della sorte, Grandi di cognome, era nata apparentemente sana ma non era cresciuta oltre il metro e trentotto di altezza., con la testa grossa, le gambe corte e con una struttura ossea fragile fragile.: Acondroplasia era stata la diagnosi formulata in Pediatria dall'equipe medica: "Una nana, come quelle del circo" il lapidario commento di suo padre.

Questo non le aveva impedito di laurearsi in lettere antiche, anche con voti discreti e di scrivere e vedersi pubblicati alcuni saggi, uno sulla vis comica del commediografo latino Terenzio e l'altro sulla semantica del termine latino "libellus".

Le sue cagionevoli condizioni di salute non le avevano permesso di trovare un impiego fisso ma, grazie all'eredita' lasciatale dal padre, vecchio ufficiale dei carristi della Div. Ariete e medaglia d'argento al valore ad El Alamein,poteva condurre una esistenza decorosa, pur senza grandi lussi.

Viveva in una casa del centro storico, dalle parti di via Capsoni, di sua proprieta', formata da tre locali che davano su uno dei tanti "cortili nascosti" della vecchia Pavia a suo tempo immortalati dalla poetessa Ada Negri in una delle sue liriche dedicate alla citta'.

In giardino era solita passare i pomeriggi delle calde e afose estati pavesi con un bicchiere di limonata, i dizionari di greco e latino e i suoi amati classici. Proprio in quei giorni aveva ripreso con entusiasmo la traduzione dell'Alcesti di Euripide.

Il suo aspetto fisico le aveva pero' negato tutto il resto, a cominciare dall'affetto del padre Tranquillo Grandi, vecchio ufficiale dei carristi e medaglia d'argento al valore. Di lui ricordava i baffi alla Vittorio Emanuele II°, il viso sempre imbronciato e i modi secchi e autoritari con cui era abituato a rivolgersi alla moglie: "passarin ve' chi" o a lei: "uslin ve' chi".

Della madre, Venanzia Degli Esposti, aveva uno sfuocato ricordo, essendo questa morta quando lei aveva solo nove anni.

Non che le cose fossero andate meglio alle scuole dove la cattiveria dei compagni si era sbizzarrita in una serie di soprannomi: nana, scheletro, pulcino bagnato, ossi di seppia, Toulouse-Lautrec.

Una tbc polmonare con ricovero a Sondalo per quasi un anno non aveva fatto altro che incupire oltremodo il suo carattere e portarla ad un isolamento ancora maggiore.

Unico sprazzo di sole in quella grigia adolescenza fu l'incontro con Gianni Morandi, allora militare di leva a Pavia, durante il quale riusci' ad ottenere una fotografia autografata dal cantante che, ancora oggi, campeggia, in una cornice di peltro, sopra il caminetto di casa.

Ad aspettare Gianni Morandi fuori dalla caserma ci era andata con la Fausta, l'unica amica vera che avesse e che avrebbe avuto in vita sua. La Fausta sarebbe morta di li' a qualche anno per una forma fulminante di leucemia.

Piu' il tempo passava e piu' il suo carattere diventava difficile: Aveva avuto questioni un po' con tutti i vicini di casa e sempre per futili motivi. una carta di caramella lasciata cadere davanti alla sua porta da un bambino, i panni degli inquilini del piano superiore che sgocciolavano, il volume di un televisore tenuto troppo alto.

Aveva cambiato piu' di una parrucchiera perche' non era mai soddisfatta del taglio di capelli; una di queste l'aveva addirittura apostrofata con un umiliante: "Ma cosa pretende d itirare fuori con una testa e dei capelli cosi'?". in effetti i suoi capelli erano andati via via indebolendosi e diradandosi assumendo precocemente il colore grigio.

Nei negozi del rione veniva sopportata a fatica e, piu' di una volta, aveva sentito frasi sul tipo: "eccola che arriva" o "rumpaball".

Piano piano era scivolata verso una depressione cronica e nessuno della nutrita schiera di neuropsichiatri pavesi da lei consultati era riuscito a risollevarla da quella triste situazione.

Le sembrava che il mondo intero ce l'avesse con lei, quando usciva per strada si sentiva gli occhi di tutti addosso.

Alla sera, al ritorno a casa, la assalivano malinconia e angoscia a cui facevano seguito lunghi e disperati pianti. Aveva perso qualsiasi interesse, non guardava piu' la televisione,non ascoltava piu' l'adolrato Mozart e i libri dei suoi amati classici si stavano pian piano ricoprendo di polvere.

Strani pensieri turbavano la sua mente, le notti le passava insonni e nei momenti, rari, di sonno i suoi sogni erano popolati da incubi nei quali, sempre piu' spesso, compariva l'energumeno dalla faccia rossa e congesta e dal cranio pelato e lucido che, ossessionatamente le ripeteva. "Va a cagare, brutto scherzo della natura". Bruschi erano i risvegli, in un bagno di sudore e con il cuore che martellava nel petto.

Un pomeriggio, quasi senza accorgesene, si ritrovo' ad accarezzare il revolver di suo padre. Da allora non solo passo' i pomeriggi ad amoreggiare col freddo metallo del revolver ma si dilettava a smontarlo, oliarlo e rimontarlo: caricava i proiettili e, prendendo la mira, faceva finta di sparare ora a questo ora a quello.Dopo Natale aveva preso ad uscire con il revolver in borsetta; le dava un senso di sicurezza, si vedeva mentre sparava al figlio della portinaia del palazzo di fronte che era solito farle le boccacce dietro il vetro della guardiola, oppure al cane del salumiere che lei riteneva essere l'autore delle montagnole organiche che spesso ritrovava davanti all'uscio di casa.

Quel venerdi' mattina del 21 aprile del 2000 doveva recarsi ai Poliambulatori della ASL, dove avrebbe consultato, ultimo e poi aveva giurato basta, il neurologo della mutua di cui non ricordava gia' piu' il nome, tanto era difficile da pronunciare, ma di cui la sua sarta le aveva parlato cosi' bene:"ci vada signorina Silvana, e' cosi' bravo,pensi che la mia Giulietta erano vent'anni che soffriva di esaurimento nervoso e nessuno era mai riuscito a darle una cura per farla stare bene; questo dottore in poco tempo l'ha guarita e adesso sono quasi tre anni che non prende piu' medicine".

Arrivando nella sala d'aspetto dell'ambulatorio neurologico la Silvana vide un signore dalla faccia rossa e congesta e col cranio pelato e lucido in attesa di essere visitato.

Lei lo guarda, estrae il revolver dalla borsetta e fa' fuoco tre volte. Il signore dalla faccia rossa e congesta e dal cranio pelato e lucido si sente entrare in corpo, uno dopo l'altro, i tre proiettili senza riuscire ad avere il tempo di chiedersi: "perche'?". 

                                         - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Anche in questo caso il racconto e' di pura fantasia.

 
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