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Stalin ha creato una potenza industriale e Berlusconi ne è l'erede. Il progresso secondo il vincitore dello Strega Pennacchi

Post n°26 pubblicato il 12 Settembre 2010 da ltedesco1

Se <<è vero che nella sua fase finale - anni Settanta-Ottanta del secolo scorso - il sistema sovietico è imploso a causa della totale mortificazione delle forze della produzione, è altrettanto vero che dal 1917 fino agli anni Settanta il sistema delle collettivizzazioni e della pianificazione aveva fatto di una Russia affamata e semifeudale la seconda potenza industriale, con l'emancipazione di sterminate masse di diseredati. E questo è un fatto, costituito da innalzamento dei tenori di vita, sistema sanitario, standard abitativi, altissima scolarizzazione di massa e totale giustizia sociale>>.

Così scriveva Antonio Pennacchi su <<Limes>> nel 2004 e questa, cogliendo al volo l'occasione dell'assegnazione (a nostro avviso strameritata) dell'ultimo premio Strega a Canale Mussolini, ripropone quel suo intervento, come altri, nella serie I Classici, confezionando un'antologia degli articoli che Pennacchi ha scritto per la rivista da dodici anni a questa parte.

E quello del progresso è un vero e proprio chiodo fisso che ritorna, ossessivamente, in molte delle pagine dello storico delle città del duce ed ex operaio della Fulgocarvi. Sull'altare di quel mito prometeico si celebra allora la scoperta di un filo rosso che va dal comunismo sovietico di cui sopra (pp. 73-81) al berlusconismo italiano di oggi.

Di fronte al no al ponte di Messina e alla tav in Val di Susa del Prodi II, Pennacchi deve infatti sconsolatamente ammettere di essere stato uno <<stronzo>> ad essere andato ad attaccare i manifesti dei Ds e aggiungere amaramente:<<dovevo andare ad attaccare quelli di Berlusconi di manifesti , mannaggia a te, e gonfiarti di botte a tutti e due - Margherita e Ds - insieme a lui. Ma allora è davvero lui il progresso in questo Paese, e tu la conservazione>> (p. 143). E poi conclude:<<ma io preferisco mille volte un delinquente ma che sappia guidare, piuttosto che una brava persona che mi porta a infrociare al primo incrocio, come dice giustamente Machiavelli. E se le cose stanno davvero così, lui è il progresso e tu la conservazione, tu la destra e lui la sinistra, almeno in termini marxisti e strutturali>> (p. 143).

Ecco, questa contrapposizione tra le categorie della delinquenza e del progresso, della impalpabile moralità e del ben più concreto sviluppo tecnologico è forse la migliore chiave di lettura per comprendere l'appassionata ma non retorica difesa pennacchiana di Stalin.

Per Pennacchi, difatti, sembra di capire, se c'è un dato antropologico costante che ha accompagnato l'intera storia delle vicende umane è quello della ricerca del benessere materiale, della liberazione (per l'appunto marxiana) dalla fatica e dal bisogno. Questa scommessa, proprio quella della produzione e dello sviluppo, ha però perso l'Unione sovietica.

Il socialismo reale è quindi <<caduto non per difetto di libertà - più o meno individuali o più o meno pluralistico-democratiche - ma perché non ha saputo dare il benessere, i tv-color, le macchine, i frigoriferi, le discoteche eccetera>>. L'esigenza del godimento materiale, dell'esecrato (dalle pensose élite intellettuali nostrane, non da Pennacchi e dal popolo crasso e triviale) consumismo (altro che papa polacco, aggiungiamo noi) ha portato al crollo del muro di Berlino.

Il resto, coscienza civile, spirito democratico, diritti umani e quant'altro, è per Pennacchi mutevole, riflesso storicamente determinato, sovrastruttura delle condizioni materiali dell'esistenza. Un passo più in là e ci imbatteremmo nella tesi di Jeremy Bentham dei diritti naturali come <<mera assurdità, retorica e ampollosa>>.

Eppure, senza allargare lo sguardo alla storia dei diritti politico-civili o democratico-borghesi e rimanendo sul terreno del puro soddisfacimento materiale, ricordiamo come Pennacchi stesso ammetta che il capitalismo, pur non essendo <<la realizzazione in terra della città di Dio>>, che squilibri, crisi, migrazioni, sfruttamento e stermini li ha prodotti e continua a produrli pure lui, ha conseguito quella massimizzazione dei livelli produttivi, non riuscita al sistema comunista.

Non solo; aggiunge che nelle zone rurali dell'Italia precapitalistica i contadini non vivevano granché meglio dei loro omologhi della Russia zarista (p. 80) e conclude di essere ben contento di aver vissuto e di vivere nell'Italia del secondo dopoguerra, cioè <<nell'età e in un paese del benessere acquisito>> (p. 80).

Bene, ma se, come dice Pennacchi, alla fine della fiera il capitalismo è stato più capace del comunismo di garantire uno sviluppo sostenuto, allora, gli vorremmo domandare, non sarà stata una iattura per i russi che le forze controrivoluzionarie, cadetti, menscevichi, socialrivoluzionari, per non parlare delle armate bianche sostenute da Gran Bretagna e Francia, abbiano perso contro i bolscevichi? Allo stesso modo non sarà stato un bene per il futuro della nostra penisola che a guidare l'unificazione sia stato Cavour, foraggiato sempre dagli inglesi, con le sue 'controrivoluzionarie' truppe sabaude piuttosto che il mistico Mazzini?

Stalin, afferma Pennacchi, ha fatto della Russia feudale una superpotenza economica. Giusto, ma anche il Giappone, costretto manu militari dagli Usa ad aprire i propri porti, abbandonò il sistema feudale, copiò quello occidentale e, nel giro di pochi decenni e senza grandissimi rivolgimenti sociali, divenne un gigante industriale, conseguendo poi un pil procapite un po' più altino di quello russo.

Insomma, per eliminare la noiosa mosca che mi ha tormentato in biblioteca durante la stesura di queste poche righe avrei potuto, invece di un giornale, usare un lanciafiamme. Avrei raggiunto effettivamente lo scopo ma avrei compiuto la scelta ad esso più funzionale?

 

Luca Tedesco

 
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