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Contro la funzione pedagogica dell’arte

Post n°78 pubblicato il 01 Gennaio 2016 da ltedesco1
 

 

Le pagine migliori sono quelle che non educano proprio a nulla. Gli ultimi lavori di Verasani e Oliva.

Lo ammetto. Li avevo comprati confidando di trovarmi davanti a dei lavori mediocri e senz’anima che confermassero la bontà dei dubbi da me espressi nell’affaire Bonassi (http://goo.gl/2x843u).

Ed invece mi devo ricredere, mannaggia. Certo, non mancano qualche pedanteria pedagogica da maestrina con la matita rossa e blu come quando Grazia Verasani ci ammonisce che UNA-DONNA-SE-VERAMENTE-LA-AMI-NON-LA-TOCCHI-NEANCHE-CON-UN-FIORE («lo avevano trovato mentre lui, in stato di semiubriachezza, singhiozzava come un bambino, ripetendo che era un uomo distrutto, a un pelo dalla pazzia, che dovevano curarlo, che amava la fidanzata e altre stronzate del genere»; «se questo paese sta andando alla malora è anche perché ci sono troppi uomini che danno della troia a una donna» in Senza ragione apparente, Milano 2015, rispettivamente p. 18 e 130) o qualche sussulto di indignazione etico-civile buttato là, da minimo sindacale, un po’ posticcio, come quando la stessa, insieme alla sua creatura, l’investigatrice Giorgia Cantini, si interroga su scantinati pullulanti di donne cinesi lavoranti in nero e sull’attuale «momento storico in cui i giovani, laureati e no, espatriano in massa in cerca di fortuna» (ivi, pp. 20-1).

Ma sono ‘infortuni’ assolutamente sporadici, riscattati da pagine potentissime come quella che riassume l’universo dell’assistente di Cantini, Genzianella, universo antimoderno fatto di brodo di gallina, serate di briscola, uova sbattute a colazione, pellicce tarmate della nonna e diffidenza nei confronti delle «badanti furbette» e dei «finti martiri della crisi economica», indefessi accumulatori di panettoni (ivi, pp. 21-2).

Per non parlare di quella pagina di stordente e dolorosa bellezza sul suicidio, su cosa sia per chi lo compie e per chi rimane (ivi, p. 97) o di quell’altra, a mo’ di chiusa, che ci restituisce perfettamente gli umori e l’entusiasmo di un amore appena nato, con le sue «gambe molli» e il voler «restare allegro e scimunito tutto il tempo, in stato di grazia, inchiodato ai […] baci come un crocifisso» (ivi, p. 195).

Poi c’è lo splendido bestiario, grottesco e rivoltante, di Marilù Oliva (Lo zoo, Roma, 2015), bestiario illuminato da una sicura padronanza linguistica che esplode in mille fuochi pirotecnici, in cui creature dolenti e tragicomiche sono costrette alla fine a gettare la maschera e a mostrare tutta l’arbitrarietà e l’incertezza della rassicurante e consolante distinzione tra carnefici e vittime.

E allora ci sia concesso di elevare una prece alle due scrittrici di vaglia (stavamo per dire di razza ma già sentivamo i lai tonitruanti e gli interrogativi maligni delle sentinelle del viver civile:«razza? In che senso razza? Forse razza bianca a significare la superiorità  di questa e dei suoi scrittori sulle altre? E poi la genetica non ha forse dimostrato definitivamente che le razze non esistono?»).

Lascino perdere variazioni letterarie, proclami e lettere aperte su ciò che dovrebbe essere ma non è; lascino pure questa penosa incombenza ai pretoriani delle buone maniere, ai cantori delle virtù civiche e ai dispensatori di tabù e censure, agli occhiuti revisori dei vocabolari della lingua italiana da cui espungere termini come virile, padre e madre (quest’ultimi da sostituire con genitore 1 e 2), affinché nessuno nella neolingua ridotta a pappetta omogeneizzata abbia a offendersi.

Nel mentre, infatti, non un solo stronzo desisterà dal prendere a calci la propria donna in seguito alla lettura dei loro romanzi, questi ultimi non troverebbero alcun giovamento dall’inserimento appiccicaticcio di sermoni edificanti.

 

 

 
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Le accuse a Marco Bonassi, il libraio che non predilige le autrici. Facciamo un po’ di ordine?

Post n°77 pubblicato il 23 Dicembre 2015 da ltedesco1

 

Non è esercizio facile ‘tipizzare’ le accuse mosse a Marco Bonassi, direttore della storica libreria Feltrinelli di piazza Ravegnana a Bologna, in un momento in cui le polemiche non accennano a placarsi. Vogliamo comunque tentare, rivolgendo la nostra attenzione a quelle a nostro avviso meno concludenti. Perché? Perché, facendo un giro per il web, abbiamo avuto l’impressione che il Bonassi sia solo a fronteggiare il plotone d’esecuzione. In verità c’ha provato Inge Feltrinelli a difenderlo.  - Ma quella è l’editrice - qualcuno potrebbe malignamente far rilevare -, non vale! -. Un ulteriore straccio di difesa va dunque assicurato al tapino. Proviamo dunque, anche se come avvocati siamo probabilmente scarsi.

A nostro avviso le accuse di cui sopra possono rientrare in una delle seguenti categorie:

 

1)     1) quelle non motivate affatto.

Trattasi delle accuse più brutali, più stizzite, più prive di equilibrio. Massima espressione di questa categoria è forse il j’accuse lanciato da Maurizio De Giovanni che si è così pronunciato: «prendo solennemente l’impegno personale di non presentare mai più nella mia vita un libro alla Feltrinelli di Bologna, finché il direttore sarà questo mentecatto» (http://goo.gl/F8KdMw). Tale affermazione non necessita per De Giovanni di spiegazione alcuna. Che il direttore della Feltrinelli bolognese sia un mentecatto è per il giallista napoletano una verità autoevidente (chissà se il suo, da me amatissimo, commissario Ricciardi, splendida incarnazione di compassione e pietas, avrebbe usato le stesse parole).

La posizione di De Giovanni è stata fatta propria da Emanuela Giampaoli che ha scritto come le dichiarazioni del malcapitato Bonassi abbiano «fatto indignare scrittrici e per fortuna anche qualche scrittore» (http://goo.gl/F8KdMw), con riferimento proprio a De Giovanni. La Giampaoli, per soprammercato, qualifica Bonassi come «direttore inquisito», ingenerando nel lettore il dubbio se questo termine, dal neanche troppo vago sapore giudiziario, sia da addebitare a fretta o da intendersi come un auspicio;

 

2)        2) quelle caratterizzate da una dubbia coerenza logica.

Grazia Verasani ha scritto: «sconvolgente. La giornalista di Repubblica ha fatto la domanda giusta, rivelando questa sorta di snobismo nei confronti della letteratura scritta da donne. E il peggio è che una volta colto in fallo, il direttore della Feltrinelli è apparso fiero della propria lacuna, ribadendo la sua scelta. È come dire: ‘Leggo poco gli scrittori con gli occhi blu’» (http://goo.gl/F8KdMw). Un chiaro esempio di «maschilismo inorgoglito» (http://goo.gl/6tvBKv), insomma.

Ma quale era stata la domanda della giornalista? La seguente: «nella sua playlist personale, Bonassi, di autrici nemmeno una?» (http://goo.gl/ohSUkL). E Bonassi, ingenuo, aveva risposto:«lo confesso, non ne leggo molte. E non volevo barare, né fare il politicamente corretto».

Tale risposta per la Verasani è da censurare, parrebbe di capire, perché la qualità di un’opera d’arte non dipenderebbe dal sesso dell’autore. Ma se così è, la Verasani non avrebbe dovuto considerare «giusta» la domanda della giornalista perché quella domanda ha senso solo per chi pensa che l’identità sessuale dell’autore o dell’autrice abbia un qualche nesso con la qualità della sua creazione artistica. Ma per la Verasani così non è. Domandare se si leggono libri di donne avrebbe allora lo stesso senso che domandare se si leggono libri di autori o autrici dagli occhi blu. Nessuno, per l’appunto;

 

3)       3) quelle basate sulla liceità, di più sulla doverosità morale dell’ipocrisia, imposta dalla funzione pedagogica dell’arte.

«Forse con una piccola bugia - suggerisce infatti Marilù Oliva in una lettera aperta a Bonassi (https://goo.gl/ejSaIY) -  avrebbe fatto più bella figura e sarebbe stata una bella pacca sulla spalla alle battaglie per l’uguaglianza di genere che portiamo avanti quotidianamente».

Per coloro che credono che l’arte possa avere in se stessa il proprio fine, che possa essere puro godimento intellettuale e che possa quindi rifiutarsi di farsi strumento di obiettivi etico-politici la debolezza di tale motivazione appare patente.

 

 

 
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Tutti contro Marino? E allora viva Marino

Post n°75 pubblicato il 12 Ottobre 2015 da ltedesco1
 

 

 Ancora una volta l’animo meschino e gretto della Capitale, raccontato dal Carducci, ha messo in fuga l’esprit de géométrie 

 

 

D’accordo, avrebbe pagato qualche cena non proprio istituzionale con la carta di credito del Campidoglio e si sarebbe imbucato nella trasferta del Pontefice nel Nuovo Continente.

 

Cose che non si fanno.

 

Ma sarà per questo o non piuttosto per aver imposto l’apertura pomeridiana degli uffici comunali, la rotazione dei vigili urbani e dei dirigenti comunali, nuove regole per gli appalti della Capitale, lo sfratto di camioncini-bar e bancarelle dall’area archeologica che Marino è stato silurato?

 

L’ingenuità dell’oramai ex sindaco è stata quella di credere di poter governare Roma con spirito geometrico e razionalità cartesiana ma Roma per molti versi è ancora quella tratteggiata dal Carducci; una città «di affittacamere, di coronari, di antiquari, che vende di tutto, coscienza, santità, erudizione, reliquie false di martiri, false reliquie di Scipioni, e donne vere; un ceto di monsignori e abati in mantelline e fogge di più colori, che anch’esso compra e vende e ride di tutto; un’aristocrazia di guardiaportoni; una società che in alto e in basso, nel sacro e nel profano, nel tempio e nel tribunale, nella famiglia e nella scuola, vive in effetto quale è tratteggiata nelle satire di Settano e del Belli, come la più impudicamente scettica, la più squisitamente immorale, la più serenamente incredula e insensibile a tutto ciò che di sublime, di virtuoso, d’umano possano credere, vagheggiare, adorare o sognare le altre genti» (G. Carducci nella Prefazione a U. Pesci, Come siamo entrati a Roma. Ricordi, Milano, 1895, cit. in V. Vidotto, Roma contemporanea, Roma-Bari ,2001, p. 36).

Marino è un tipo iracondo e talvolta sprezzante; ma come si fa a non tifare per lui quando gli si scagliano tutti contro, dall’ultimo degli uscieri al Papa, un altro tipo non poco stizzoso, alla comunità ebraica scesa in campo a difesa dei propri ambulanti? 

Luca Tedesco

 

 

 

 
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Dell’Utri, Scattone e la forza redentrice della curiosità

Post n°74 pubblicato il 24 Settembre 2015 da ltedesco1

Come due storie diversissime parlino di riscatto (possibile, il primo; certo, il secondo) a chi sappia respingere gli attacchi vigliacchi della canaglia

 

Giovanni Scattone viene giudicato colpevole di omicidio colposo in via definitiva nel 2003, alla conclusione di un iter giudiziario contestassimo.

Dal giorno del primo arresto, il 14 giugno 1997, a oggi, Scattone, secondo quanto si legge su Wikipedia, ha pubblicato diversi libri e articoli scientifici.

Al suo posto, mi chiedo, sarei stato in grado di mantenere la lucidità necessaria per scrivere alcunché? Ne dubito.

Fedele Confalonieri, sul Corriere della Sera del 23 settembre (p. 15), racconta che Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, si è iscritto all’Università e che il mese prossimo darà l’esame di storia medievale.

Due storie diversissime, ovviamente, quella di Scattone e Dell’Utri; l’uno, giovane e brillante assistente universitario all’epoca dei fatti, l’altro, ex potentissimo collaboratore di Silvio Berlusconi, che accetta l’idea di essere interrogato ed, eventualmente, respinto da, non possiamo escluderlo, un giovane cultore della materia.

Due storie diversissime ma che ci parlano entrambe, al di là dei giudizi che ognuno di noi può dare circa la fondatezza e la solidità delle accuse mosse ai protagonisti, della capacità luminosa, salvifica e redentrice della curiosità umana, che raccoglie due uomini nella polvere e, nonostante il vociare scomposto e isterico della canaglia che si placherebbe solo nell’allestimento dell’ennesima piazzale Loreto, ne lenisce le ferite e schiude davanti ai loro occhi, comunque, qualche orizzonte.

P.S.

Subito dopo la notizia che la canaglia di cui sopra aveva convinto Scattone a rinunciare, alcuni giorni fa, ad insegnare presso l’Istituto professionale Einaudi di Roma, preso dalla foga, su Agoravox.it, accennavo alla prima, criticatissima, sentenza d’appello che condannava l’imputato per “omicidio colposo aggravato dalla previsione dell'evento” (http://goo.gl/mell09), senza precisare che la sentenza definitiva della Cassazione avrebbe fatto propria la tesi dell’omicidio colposo con colpa cosciente (reato di cui si macchia chi, ad esempio, si mette brillo alla guida), assai meno grave della precedente. Di questa mancata precisazione mi scuso allora con i lettori e con Scattone stesso.

 

 
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Che Scattone insegni!

Post n°73 pubblicato il 21 Settembre 2015 da ltedesco1
 

 

C’è un uomo che si gingilla con un una pistola.

 

Perché lo fa? Perché è eccitato da un’idea tanto stupida?

 

Non lo si è mai saputo con certezza. Forse aveva appena ricevuto unagratificazione professionale, forse aveva conosciuto una ragazza che gli facevagirare la testa. Comunque era su di giri. Troppo.

 

Ad ogni modo, quell’uomo si affaccia alla finestra. Parte accidentalmente un colpo e un corpo, lì sotto, si affloscia per terra.

 

Questo ci racconta una sentenza.

 

Colpevole o meno di omicidio colposo, quell’uomo ha insegnato nelle scuole per molti anni. Se innocente, ovviamente, non esiste ragione al mondo per negargli di continuare a insegnare.

 

Se colpevole, perché dubitare chel’interrogativo che lo accompagna ogni giorno da quel 9 maggio 1997, su come abbia potuto fare quello che ha fatto insieme all’essere costretto incessantemente a guardare negli abissi più profondi e negli anfratti della propria coscienza, al rimorso, alla consapevolezza disperata di aver distrutto la vita altrui, ma sfregiato anche la propria e di quello che sarebbe potuto essere ma non sarà mai, non abbia fatto di quell’uomo un grumo di sensibilità e  di penosa riflessione di cui i suoi scolari non potrebbero che fare tesoro?

 

Mia figlia ha dieci anni. Penso che per lei sarebbe una grande fortuna avere un giorno come insegnante Giovanni Scattone.

 

Spero che Scattone ritiri la rinuncia ad insegnare pressol’Istituto professionale Einaudi di Roma come spero che tutti coloro che possono avere un ruolo nella sua decisione, dal ministro Stefania Giannini al dirigente scolastico dell’Einaudi, lo consiglino in questo senso.

 

 
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