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" Se il matto persistesse nella sua Follia andrebbe incontro alla Saggezza " (W. Blake)



" Meglio che sia poeta a caschi morto... Essere pazzo è l'ultimo dei miei crucci " (J. Kerouac)


" Qualunque cosa dicano di me i mortali (so bene che la pazzia gode di pessima reputazione anche tra i folli più folli) ebbene sono io la sola, proprio io in carne ed ossa, grazie ai miei poteri sovrannaturali, a infondere serenità nel cuore degli uomini e degli dèi. La differenza tra un pazzo e un saggio sta nel fatto che il primo obbedisce alle passioni, il secondo alla ragione." (Erasmo da Rotterdam)



 

 

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Il Diadema (4)

Post n°23 pubblicato il 06 Gennaio 2007 da Erebos

Quelle dita... prossime alla cancrena!
Le ferite vennero facilmente fatte risalire ad un tentativo di furto da parte di qualche contadino della zona, che magari mezzo ubriaco e di ritorno dall'osteria vedendomi in quello stato e credendomi morto cercò di appropriarsi di quanto di più prezioso avessi. La teoria troppo semplicistica del mancato furto non spiegava la miracolosa reazione degli anelli stessi; ma nessuno aveva voglia di avventurarsi in misteri apparentemente insondabili.
Dopo essersi assicurati che ancora respiravo, il cuore batteva lentissimo con un ritmo quasi ipnotico, mi sollevarono di peso e si avviarono a tutta fretta verso la casa. Durante il tragitto, mi dissero in seguito, che ebbero la sensazione di essere seguiti e spiati da qualcuno o qualcosa. Il cielo era sereno e le stelle vi si affacciavano vanitose...
Il resto della storia è presto detto: appena arrivato a casa H., mi portarono di fretta al piano superiore dove vi erano anche le stanze degli ospiti. Stanza in cui ancora mi trovavo dopo due giorni in uno stato di semi incoscienza alternato da brevissimi momenti di delirio sconnesso. Ovviamente io delle ultime quarantotto ore non avevo alcun ricordo.
Grazie alle cure amorevoli della figlia del Signor H., aveva sempre avuto un debole per tipi come me, ed io ad essere sincero per lei, ed a quei strani marchingegni utilizzati dal dottor M., riuscii a rimettermi in maniera sorprendentemente rapida. Ogni pomeriggio passavo più di qualche ora a colloquio con il dottore nella fornitissima biblioteca del magnanimo padrone di casa. La biblioteca raccoglieva circa un migliaio di volumi: alcuni parevano formidabilmente antichi e scritti in una lingua dimenticata (magari non fosse mai esistita!), altri di matrice più recente e di natura più frivola. Quelli più vecchi trattavano argomenti vari e misteriosi come: magia, manuali per evocazioni o richiami, mesmerismo, demonologia, leggende su misteriosi popoli e spiriti...
Per quel che riguarda le domande più ricorrenti dello studioso, vertevano sulle mie visioni, i sogni che avevo avuto in quegli attimi di "distacco dalla realtà", come a lui piaceva chiamare freddamente momenti che al solo pensiero mi fanno rabbrividire di orrore. La notte quali sensazioni provavo prima di addormentarmi? Nello stato di veglia, avevo sensazioni mai provate prima, tipo quella di essere osservato? I miei sensi mi parevano più acuti? Le risposte alle sue domande erano piuttosto evasive: vi ho già detto che non mi fidavo di quella luce maligna che talvolta dimorava negli occhi del medico. Non cercavo mai di fargli capire cosa provassi, ma di contro utilizzavo le sue sagge, a questo gli va dato atto, questioni per condurre una specie di autoanalisi: in tale modo era convinto di riuscire a parametrare le mie sensazioni e di approfondirle in maniera quanto più scientifica mi fosse stato possibile. Ben presto mi sarei scontrato con la dura realtà (uso questo termine sperando che la sua accezione possa essere errata perchè sarebbe orribile se la realtà fosse davvero questa) dei fatti! Confidavo nelle mie scarse ed amatoriali conoscenze di psicologia, esoterismo, fisica e chimica. L'odore di muffa, polvere e carta stantia saturava l'aria, conferendo all'ambiente tutto un'atmosfera vetusta di misteri solo assopiti. Ogni volta che varcavo quella soglia, il ronzio, che pareva essere scomparso, si faceva sempre più forte nelle mie orecchie: non potevo resistere che qualche ora, il dolore sempre più lancinante mi impediva di fare alcunchè, mentre i presenti sostenevano che il mio volto si trasfigurava in una maschera di orrore puro. Uscito di lì, il dolore si attenuava e riprendevo il mio colorito naturale. Voi direte, perchè tenere le sedute proprio in quell'ambiente che tanto mi causava sofferenza fisica? Il motivo è semplice, quanto banale: una malsana, masochistica e crudele teoria del dottore. Quel ronzio era ciò che poteva guarirmi, poteva farmi rivivere gli attimi che non volevo ricordare e scoprirne la causa per poi approntare la cura più appropriata.
A quel folle di un professore devo, a malincuore, riconoscere un merito: grazie alle sue strampalate teorie, alle riunioni in biblioteca, compresi che ciò che sentivo non era un ronzio, ma piuttosto un bisbiglio, un sussurro che ancora non riuscivo ad interpretare. Una voce di cui non capivo l'idioma...
Ora voi vorrete che io vi dica le esatte parole che udii: come vorrei essere stato sordo, o aver in seguito perso l'uso della parola di modo da non poter più udire quella voce o da non poter più pronunciare quella blasfema litania!
continua...

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