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Mi incamminai sul far della sera percorrendo un paesaggio
opprimente e desolato ma sapevo che
in prossimita del castello del Conte
il panorama sarebbe mutato e il terreno brullo e
ciottoloso avrebbe via via lasciato il posto a una
maestosa e impenetrabile selva .
Avevo la certezza che tutto in quella notte sarebbe mutato, la mia vita legata a ciò che sarebbe successo di li a poco, agli eventi che sentivo precipitare come un masso giù per il pendio senza che nulla e nessuno avrebbe potuto opporre la minima resistenza . Lui sarebbe stato nel cuore del suo regno e nel fulgore
delle sue forze, io solo un fuscello senza nessuna speranza, nell’attesa di una tempesta d’orrore che mi avrebbe spazzato via come un granello di polvere nella furia del vento. La carrozza giunse puntuale al rintocco di mezzanottte Un elegante cocchio scuro come la pece si fermò dinnanzi alle scale di un marmo bianco come pelle di luna. L’uomo di corvette stette immobile nel suo silenzio stringendo le redini tra le mani smunte mentre i cavalli che fino ad allora avevano galoppato come se il Demonio li stesse inseguendo … oh stolto uomo che sono …anche le mie parole si vestono di un abito d’ironia e di tragica disperazione … quei cavalli lo trasportavano davvero un Demonio, un Alichino potente, un Barbagrigia invitto il cui profumo d’orgoglio e e di forza ammantava quelle bestie facendole volare nella notte merlettata d’ombra e follia. Nascosto tra le siepi a ridosso del muro del castello riparato nel cono d’ombra dei cespugli trattenni il respiro e col cuore a mille sperai che non potessero sentirmi, che a Lui sfuggisse il mio odore e la mia paura materializzata nel battito furente del mio cuore e dai rivoli della mia fronte imperlata di sudore. Per un attimo temetti di essere stato scoperto … l’uomo a cassetta che fino ad allora era restato immobile nel suo silenzio si era voltato verso di me . Vidi il guizzo dei suoi occhi scintillare nella notte, due puntini di un giallo vivo penetrarono nel verde che mi prestava riparo ed io chiusi gli occhi per istinto per non essere trafitto da quello sguardo amaro e cacciatore. Era un uomo … in realtà dovrei indugiare e non poco su questa definizione, ma non ho altri termini che possano definirne i tratti e contemplarne la sostanza… non so se avesse un anima o conservasse i lineamenti di un umano alla cui specie un tempo doveva appartenere
ma come tale mi sentii di pensarlo almeno per un attimo,
per un abitudine alla forma , per una indefinito alibi di speranza sul proseguo del mio destino. Aveva un cappello a tre punte, una specie di tricorno scuro come il mantello che lo avvolgeva fin sotto il naso adunco, zigomi sporgenti e due occhi … due occhi come un gatto selvatico , famelico e diffidente. Si mosse con gesti misurati e una certa lena che lo faceva apparire deciso e mosso da un unico scopo … una fedele volontà di servire il suo Padrone.
Scese dalla carrozza dal lato dell’ingresso al castello e si fermò dinnanzi alla posterla come ad attendere un comando. Sembrò freddo, glaciale, premuroso … una certa aspra sottomissione lo rendeva bizzarro ma non privo di orgoglio che mostrava alla notte col suo portamento eretto e il suo sguardo penetrante. Le nuvole scorrevano con una velocità inverosimile e la luna si mantenne schiva nei cumuli alti del suo cielo. Poi l’uomo si mosse come sotto il timbro di un comando e aprì la porta della carrozza … fu come se il vento, prima serrato dentro di essa come in un otre che tutti li racchiude, si liberasse di colpo e un soffio caldo si sparse lungo lo spiazzo, un odore di viole tinse l’aria di quel dolce effluvio che mi pervase togliendomi le forze. Caddi sulle ginocchia confuso, la testa prese a girarmi come sotto l’effetto di una droga ma fu un attimo e in quell’attimo cercai con forza e ostinazione di rimanere vigile, mi pizzicati più volte sulle gambe e sulle braccia, mi morsi la lingua fino a lacrimare ma con l’accortezza di non sanguinare.
Poi nell’oscurità della carrozza vidi brillare i Suoi occhi, due punti fissi di un rosso carminio, ancora una volta tremai e mi ritrassi tra le foglie, sentivo il Suo sguardo sopra di me, intorno a me … e liquido e pungente dentro di me . Erano occhi di una potenza senza eguali che scandagliavano
in ogni dove come la vista di un aquila affamata nel folto della foresta. Pregai che quello sguardo formidabile e quella mente che bussava alla mia porta come un araldo che annuncia l’arrivo di un esercito a falcidiare ogni cosa al suo passo non scardinasse i miei fragili cancelli , che le torri del mio maniero non si sgretolassero sotto i colpi di maglio del suo indagare, che le barriere della mia mente non cedessero sotto il peso del suo ariete che indugiava sopra di esse mentre come una talpa instancabile scavava gallerie profonde per farle cedere o cercando crepe e fessure dove penetrare con i rami e le radici della sua mala pianta. Quando riaprii gli occhi la porta della carrozza era aperta e dei due uomini non c’era più traccia. Solo un vento ghiaccio intorno a me e una leggera nebbia che dalla terra si levava verso l’alto celando il terreno brullo e umido raggelando le ossa e il respiro mozzo. Dentro di me qualcosa si stava spezzando, il cuore smise di correre senza più controllo e arrancò come un orologio senza più carica, il fiato divenne corto e serrato e i miei occhi, prima fissi e spalancati sul buio, ora si rincorrevano come in cerca di una salvezza che sapevo non mi avrebbe rapito ad una fine scolpita nell’orrore di quella notte. Ogni muscolo sembrò irrigidirsi come un pezzo di carne battuta, i tendini si stirarono come funi e stralli di vele tese dal vento forte mentre intorno alla mia aura una cappa di terrore mi avvolse lasciandomi senza forze e privo d’ogni speranza. Avvertii la presenza di un essenza opprimente, il peso di uno sguardo possente, il respiro di una bestia infernale e mille occhi che come tizzoni ardenti presero a bruciarmi la carne prima ancora di infingersi dentro la mia anima per scrutarne ogni singola postilla di fede. Il buio mi stava inghiottendo e con lui qualcosa di inestinguibile, di eterno e abissale mi portava via con sé trascinando la mia volontà con la Sua infinitamente più potente. Chiusi gli occhi e precipitai nel mio inverno in attesa che mani nerborute mi afferrassero, che artigli laceranti mi penetrassero la carne e un ruggito di una belva oscura risuonasse nella radura prima di affondare le sue zanne sul mio collo. Sentivo i miei denti battere gli uni contro gli altri, il freddo delle ossa raggiungere il midollo di ogni singola vertebra e risalire l’ungo la schiena imprigionandola nell’arco rigido della sua paura. Poi successe … proprio quando l’ombra deforme della notte mi aveva avvolto nel suo cubicolo d’ingorda e famelica disperazione … accadde … Le mie gambe sentirono fluire di nuovo il sangue che prima si era raggelato nelle vene, i muscoli pulsarono come valvole spalancate al flusso della sua rossa linfa, e i tendini tesi e bloccati dalle catene della codardia scattarono come corde di un arco d’Itaca e fui ombra tra le ombre, fui freccia di vento e dardo di grandine nella cupa boscaglia. Corsi come un felino braccato da un demone vorace, volai come un falco che sfida il vento d’ostro e nuotai tra i corsi d’acqua come un pesce che non conosce requie al suo guizzare. E quando il cuore cedette, quando le gambe piegarono come giunchi spezzati dalla tempesta, quando i piedi si storsero giunti al culmine del loro consunto mulinare crollai a terra … e tanto fu il fragore tra la polvere infitta nella carne, tanto il ruzzolare tra l’ erba tagliente e le frustate di spine arginati tra la cartilagine e i nervi sfilacciati che mi risollevai a fatica grondante di sangue nei lacerti pulsanti . I palmi delle mani spogliati della pelle bruciavano come cosparsi di aceto e sale rovente sulla sua carne viva, il petto flagellato da cuspidi di aculei e serti d’ortica spillava linfa e rivoli di sangue e il viso tumido e gonfio non doveva essere molto diverso da tutta quella rovina. Quando riuscii a rimettermi sulle ginocchia volsi lo sguardo verso ciò che mi divideva dalla mia salvezza … il fiume … oltre al quale avrei trovato la stradina che conduceva alla chiesa Aprii gli occhi tumefatti e gonfi per capire dove dirigere i miei passi. Avevo poco tempo e quel poco forse non sarebbe bastato , ma il fiume non c’era dinnanzi a me, sentii il fluire della corrente, il gorgogliare delle sue acque tra le anse e il greto ciottoloso ma davanti a me c’era solo il nero della notte, il buio minaccioso e abissale oltre il quale solo e ancora tenebre . Socchiusi le palpebre doloranti ma nulla di diverso mi apparve , solo un immenso sudario di inchiostro fino a quanto su quel lenzuolo d’ombra si aprirono due spilli di un cinabro vivo e sfolgorante, due rubini profondi come fiamme d’inferno e quel buio impalpabile divenne un animato spettacolo di carne e tenebra. “Avete molta fretta Milord … Correte nel buio di una notte senza luna e senza stelle … Nel folto di una foresta molto pericolosa e in una direzione senza uscita , di certo vi sarete perduto tra questi alberi cosi simili da inghiottire ogni orizzonte".
La sua voce era come un tuono,
la sua figura maestosa e infissa nella terra come
una quercia in mezzo alla radura.
I suoi occhi di fuoco liquido arroventavano l'aria
catturando la mia attenzione e la mia paura come
un gorgo in mezzo al mare...
Poi Egli con modi gentili aggiunse
"Ma la fortuna vi arride Milord… avete incontrato Colui che di queste terre è l’indegno
Custode. Venite … stanotte sarete mio ospite. Il mio Castello non’è molto distante da qui
e bisogna curare
le vostre molte e profonde ferite,
perdete molto del vostro prezioso sangue
vi rimetterete in viaggio quando sarete guarito.
Immagino abbiate una certa premura di giungere alle rive del vostro corso ”. Disse queste parole inchiodando i suoi occhi nei miei ed io non ebbi ne la forza ne la una minima possibilità di rifiutare … Non sarebbe servito , non sarebbe bastato … Mi sentii afferrare da dietro da due mani possenti che con agilità e con un apparente mancanza di sforzo mi sollevarono da terra e mi posero come una fascina di legna sulle spalle dell’uomo che avevo visto prima condurre la carrozza. Quando volsi lo sguardo sull’entità che mi aveva parlato non scorsi che un grigio cilindro che svaniva nelle tenebre e un odore dolcissimo di viole … Marvelius era dunque tornato ed io ero perduto
forse per sempre …
MARVELIUS