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L 'ADDIO
Aprì gli occhi nel cuore della notte, intense iridi scuri come pozzi d’olio nero si sciolsero nel buio della stanza, e se ne stette immobile a fissare il tetto di legno cercando di immaginare il brillio delle stelle . Ma capì che era ora di prepararsi … il suo cuore e la sua mente erano pronti da tempo e quel tempo era ormai scaduto. Distolse il lenzuolo di lino dalle sue gambe e poggiò i piedi nudi sul pavimento di pietra. Rimase seduto sul letto di piume e cardato di lana saldo come una statua di marmo mentre tutto intorno era silenzio e ombra. Guardava fisso i contorni della stanza farsi più chiari nell’albeggiare del mattino informe. Gli spigoli dei muri tinteggiati a calce schiarirsi con le prime luci dell’alba che filtravano dagli scuri della finestra.
Quando la fitta nello stomaco diventò più forte, con una smorfia del viso, si alzò dal letto e si lasciò inghiottire dalla penombra come ci si immerge nelle acque calde del mare … nudo come una creatura celeste, i capelli ornati da tempo, la pelle ambrata dal sole , tesa sopra i muscoli tumidi dal duro esercizio e solo un canapo bianco intorno al ventre a coprire il suo sesso . Si celò per un attimo il viso con le mani per scacciare i pensieri della notte che avevano agitato il suo sonno infausto, poi passò le dita tra i capelli fino alla treccia ricadente sul collo. Il viso tirato e duro come la pietra di Tanel, i denti bianchi come il latte delle sue giovenche, le labbra rosse e carnose sotto la barba corvina, ogni muscolo scolpito nella roccia in un insieme sfrontato e spavaldo da rasentare la superbia di un semidio troppo orgoglioso per flettere il capo e troppo umano per sentirsene pago. Ora tutto nella la stanza aveva preso forma e sostanza, gli occhi si erano abituati alle ombre e la luce dell’aurora filtrava più forte dalle fessure degli scuri come lamine d’argento. Immerse il viso nell’acqua fresca di un bacile e in quel liquido incolore aprì gli occhi inabissandoli come perle d’avorio e pece in fondo al mare . Quando riemerse una voce alle sue spalle risuonò argentina.
"È già tempo di andare ? È dunque giunto il giorno in cui ogni cosa sembra non avere più importanza?". Lui restò di spalle assorto nel silenzio e lei riprese a parlare.“I giorni sono volati via come lemuri nei sogni infranti e i carri di marte Ares già corrono davanti alle nostre porte. Ti porteranno lontano … come lontano sento già il tuo cuore.” Leonidas si voltò verso di lei e i suoi occhi erano chiodi intinti in un amaro calice e allo stesso tempo erano occhi dolci e teneri come quelli di un bambino.“Una parte di me è in viaggio da tempo . Luoghi selvaggi ne trascinano i passi, sogni raminghi la portano in grembo su botri e valli , ma ciò che non lascerà mai questa stanza è qui“ e dicendo queste parole si tocco il cuore con la mano. Poi aggiunse con voce profonda, come se ogni serenità e ogni tempesta di emozioni si fossero dati appuntamento in quel preciso istante per schiudere le porte sull’uscio delle sue labbra“Tu immagini i pensieri di questo soldato sui carri di una guerra disperata … ed è vero … ma i pensieri più profondi di quest’uomo restano qui con Te. Sono i pensieri di uno sposo e di un padre che si infrangono sugli scogli di un destino beffardo”.
Aprì la finestra della stanza e volse lo sguardo davanti a sé e un sospiro venne trattenuto in gola … Vide il terreno scuro dei campi appena arati, i cipressi segnare il profilo delle colline e gli immensi ulivi come sentinelle bardate campeggiare sui prati a difesa della loro storia e del loro mondo di quiete. Poi ancora una volta una voce lo riportò indietro.“Ho paura … ho paura che non ti rivedrò più”. Lui si girò verso di lei e vide i suoi occhi di ghiaccio fissarlo con durezza ma andò oltre quello scudo penetrando nella sua anima e in quel giaciglio caldo la vide rinserrata nel canto di un ombra, immersa in una veste nera nel pianto tenero e composto dei suoi verdi anni . Raccolse il rosso vermiglio del suo mantello come si intinge il drappo nel sangue di un amico d’arme per dare testimonianza del suo sacrificio a chi lo aspetterà invano tra i muri spogli di una casa. Le lacrime di Gorgo scorrevano sulle guance rosee come torrenti senza più argini ma lei restava ferma come una lancia infissa al suolo nel suo portamento regale. Lui ricordò le parole dell’Oracolo, ricordò la profezia del sacrificio di un re della stirpe di Eracle e chinò il capo. Ma fu un attimo e tornò a guardare Gorgo con benevolenza, osservò i suoi capelli sciolti come tenebre assorte nella notte, i suoi occhi vispi rigati di bistro e la pelle liscia e pallida, la sensualità del suo corpo lo richiamava ad altre battaglie, così la carne profumata, serrata nella sua veste candida, i seni turgidi nei canapi di lino e le forme piene intorno ai legacci sui fianchi.
Tutto la richiamava a sé in un onda piena che si abbatte sugli scogli , come un vento d’ostro che si urla nella tempesta inabissando ogni cosa, ma restò immobile nel suo fortilizio di soldato poi esclamò senza tradire le sue emozioni“Ho paura anche io di perdere il nido amorevole che hai innalzato con pazienza e una dedizione in cui non trovo il velo di una discordanza. Ho timore per le gioie della nostra vita che abbiamo ammassato e custodito negli anni della nostra giovinezza come covoni di speranza affastellati nel granaio della nostra intimità. Temo come temi tu di non tornare e di rimpiangere, negli ultimi aneliti di vita, col viso immerso nel fango, il profumo di questa casa, di spogliarmi del suo calore come un pesce smarrito in mari sconosciuti, di morire nella lenta agonia di una notte senza stelle col sangue che gorgoglia in gola togliendo il respiro e le viscere sparse sul campo di battaglia."
Scosse la testa annuendo ma senza un velo di rassegnazione
poi riprese a parlare come spinto da una forza che premeva
nel suo petto finalmente liberata da catene e legacci.
"L’ angoscia mi tormenta come un segugio la sua preda mentre guardo nella visione dei miei sogni i miei soldati gemere come agnelli sacrificali , lacerati dal dolore prima che qualche nemico li finisca dando loro una morte veloce”. Trasse un respiro profondo nella ricerca vana di sciogliere il nodo che gli attanagliava la gola. Infine la guardò fissa negli occhi e una lacrima solitaria celata tra le ciglia sporse oltre il dirupo dei suoi greppi, cosi volse di nuovo lo sguardo sull’orizzonte che ora era illuminato da un barbiglio di luce come se un rogo stesse divampando sui suoi contorni e continuò”Ma temo di più l’immagine di un giorno ingrato in cui, come demoni vomitati dall’Ade, da quelle colline baciate dal sole giunga un esercito straniero che col fuoco e l’arroganza delle loro lunghe e arricciate barbe prenda possesso di tutto ciò che mi è più caro al mondo” Disse queste ultime parole volgendo lo sguardo su di lei e il bambino che le dormiva a fianco. Poi un vuoto lo colse e le parole si spensero come il filo della fiamma di una candela stretto tra le dita umide. Trasse ancora un lungo respiro e la voce tornò ferma e profonda così emise la sua volontà , spietata e crudele come una profezia che si abbatte rovinosa nei giorni felici, come uno strale che squarcia il cielo ancora tinto dal sole.“Se non dovessi tornare sai cosa fare …” “Prenderò nostro figlio e ti raggiungerò sui verdi campi di Etrom” rispose lei stizzita.“Andrai via con lui Gorgo … e ti risposerai dandogli dei fratelli e delle sorelle” disse lui con un tono deciso che non ammetteva repliche. Ma una voce gentile ruppe quel presagio di sventura, quel limbo di disfacimento che andava disegnando i loro pensieri precipitandoli nella tristezza di un futuro che sembrava ormai segnato .“Padre …” E la voce risuonò come il timbro tenero di una cascata di primavera.
Leonidas si era appena rinserrato nella sua armatura e stava indossando il suo rosso mantello quando la voce di suo figlio squarciò l’aria rarefatta della stanza, giungendo al suo cuore come una cuspide che ogni cosa trapassa. Egli si volse di scatto puntando il suo sorriso maliardo negli occhi del suo erede .“Plistarco … figliolo …” furono le sole parole dolci che permise al suo cuore di sbocciare.“Dormi che ancora il sole riposa oltre le cime dei monti." “Padre portami con te …” lo interruppe il giovane e quelle parole scossero il silenzio come un terremoto sbriciola la pietra . Leonidas sentì il suo orgoglio di spartano farsi spazio nelle viscere, gonfiare i muscoli sotto l’onda del suo sangue e il petto premere sul giaco ferrato dell’armatura lucente così, inebriato e commosso, gli si pose accanto e sedutosi sul ciglio del letto gli accarezzò la fronte, mascherando l’ amorevole segno di affetto, col pretesto di sistemargli la treccia di crine scomposta dalla notte troppo presto svanita.“Mi servi qui Plistarco con tua madre a governare in mia assenza” Si sforzò di apparire sereno e deciso ma sapeva bene che non avrebbe più rivisto suo figlio ne Gorgo e insieme alla sua terra e alla sua casa sarebbero state le ultime cose che avrebbe ricordato prima di morire. Si udirono i passi dei suoi uomini sullo spiazzo fuori dalla porta, così egli si scosse e alzandosi disse“È tempo di andare” raccolse l’elmo e la lancia mentre la spada già gli cingeva il fianco e lo scudo gli proteggeva la schiena .
Un ultimo sguardo alla sua casa e alla sua famiglia poi si girò di scatto, aprì la porta e si avviò verso i suoi uomini quando la regina lo chiamò forte“Spartano” egli si volse lentamente lasciandosi raggiungere da Gorgo e da suo figlio Plistarco.“Si mia Signora” “Torna col tuo scudo … o sopra di esso”
disse lei carezzando le parole con l’amore chiuso nel petto e quelle parole per uno spartano furono i baci e le dolcezze negategli fin dall’infanzia.“Si mia Signora …” Rispose fermando il suo cuore.
La guardò negli occhi e fu come un lungo e struggente ultimo abbraccio, poi rivolse lo sguardo al ragazzo e il figlio guardò lui ammirato e commosso. Si consegnarono una stretta ideale forgiando una catena invisibile tra di loro che nessuno avrebbe potuto disfare, i loro cuori si fusero, le loro menti si dissero tutto quello che un padre e un figlio spartano potevano dirsi e anelare in silenzio. Poco dopo con un sorriso appena accennato si volse verso i suoi uomini e diresse oltre i suoi passi, i suoi pensieri andarono via con lui mentre il sole indorava i campi e riluceva sulle armature, gli schinieri e gli elmi opliti di quei 300 guerrieri spartiati, come fiamme vive, come lingue di un fuoco inestinguibile sugli acroteri dorati del tempio vetusto di Apollo.
MARVELIUS