Creato da Marvelius il 21/08/2012

Marvelius

Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento

 

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IL CONTE MARVELIUS...

Post n°78 pubblicato il 11 Dicembre 2013 da Marvelius
 



Mi incamminai sul far della sera percorrendo un paesaggio

opprimente e desolato ma sapevo che

 in prossimita del  castello del Conte

il panorama sarebbe mutato e il terreno brullo e

 ciottoloso avrebbe  via via  lasciato il posto  a una

maestosa e impenetrabile selva .


Avevo la certezza che tutto in quella notte

sarebbe mutato, la mia vita  legata a ciò

che sarebbe successo di li a poco, agli eventi che sentivo

 precipitare come un masso giù per il pendio

senza che nulla e nessuno avrebbe potuto opporre la

minima resistenza .

Lui sarebbe stato nel cuore del suo regno e nel fulgore

delle sue forze, io solo un fuscello senza nessuna speranza,

nell’attesa di una tempesta d’orrore che mi avrebbe

spazzato via come un granello di polvere nella furia

del vento.

La carrozza giunse puntuale al rintocco di mezzanottte

Un elegante cocchio scuro come la pece si fermò

dinnanzi alle scale di un marmo bianco come

pelle di luna.

L’uomo di corvette stette immobile nel suo silenzio

stringendo le redini tra le mani smunte

mentre i cavalli che fino ad allora avevano

galoppato come se il Demonio li stesse inseguendo …

oh stolto uomo che sono …anche le mie parole si vestono di

un abito d’ironia  e di tragica disperazione … quei cavalli

lo trasportavano davvero un Demonio, un Alichino potente,

un Barbagrigia invitto il cui profumo d’orgoglio e

e di forza ammantava quelle bestie facendole volare

nella notte merlettata d’ombra e follia.

Nascosto tra le siepi a ridosso del muro del castello

riparato nel cono d’ombra dei cespugli trattenni il respiro

e col  cuore a mille sperai che non potessero sentirmi,

che a Lui sfuggisse il mio odore e la mia paura

materializzata nel battito furente del mio cuore

e dai rivoli della mia fronte imperlata di sudore.

Per un attimo temetti di essere stato scoperto …

l’uomo a cassetta che fino ad allora era restato

immobile nel suo silenzio si era voltato verso di me .

Vidi il guizzo dei suoi occhi scintillare nella notte,

due puntini di un giallo vivo penetrarono nel

verde che mi prestava riparo ed io chiusi gli occhi per istinto

per non essere trafitto da quello sguardo amaro e cacciatore.

Era un uomo … in realtà dovrei indugiare e non poco

su questa definizione, ma non ho altri termini che possano

definirne i tratti e contemplarne la sostanza…

non so se avesse un anima o conservasse i lineamenti

di un umano alla cui specie un tempo doveva appartenere

ma come tale mi sentii di pensarlo almeno per un attimo,

 per un abitudine alla forma , per una indefinito alibi

di speranza sul proseguo del mio destino.

Aveva un cappello a tre punte, una specie di tricorno scuro

 come il mantello che lo avvolgeva fin sotto il naso adunco,

zigomi sporgenti e due occhi … due occhi come un gatto

selvatico , famelico e diffidente.

Si mosse con gesti misurati e una certa lena che lo faceva

apparire deciso e mosso da un unico scopo … una fedele

volontà di servire il suo Padrone.

 

 

Scese dalla carrozza dal lato dell’ingresso al castello e

si fermò dinnanzi alla posterla come ad attendere un comando.

Sembrò freddo, glaciale, premuroso … una certa aspra

sottomissione lo rendeva bizzarro ma non privo di orgoglio

che mostrava alla notte col suo portamento eretto

 e il suo sguardo penetrante.

Le nuvole scorrevano con una velocità inverosimile e

la luna si mantenne schiva nei cumuli alti del suo cielo.

Poi l’uomo si mosse come sotto il timbro di un comando

e aprì la porta della carrozza … fu come se il vento,

prima serrato dentro di essa come in un otre che tutti li

racchiude, si liberasse di colpo e un soffio caldo si sparse lungo

lo spiazzo, un odore di viole tinse l’aria di quel dolce effluvio

che mi pervase togliendomi le forze.

Caddi sulle ginocchia confuso, la testa prese a girarmi

come sotto l’effetto di una droga ma fu un attimo e in

quell’attimo cercai con forza e ostinazione  di rimanere vigile,

mi pizzicati più volte sulle gambe e sulle braccia, mi morsi la

lingua fino a lacrimare ma con l’accortezza di non sanguinare.


Poi nell’oscurità della carrozza vidi brillare i Suoi occhi,

due punti fissi di un rosso carminio, ancora una volta tremai

e mi ritrassi tra le foglie, sentivo il Suo sguardo sopra di me,

intorno a me … e liquido e pungente dentro di me .

Erano occhi di una potenza senza eguali che scandagliavano


in ogni dove come la vista di un aquila affamata nel folto

della foresta.

Pregai che quello sguardo formidabile e quella mente

che bussava alla mia porta come un araldo che annuncia

l’arrivo di un esercito a falcidiare ogni cosa al suo passo

non scardinasse i miei fragili cancelli ,

che le torri del mio maniero non si sgretolassero

sotto i colpi di maglio del suo indagare,

che le barriere della mia mente non cedessero sotto il peso

del suo ariete che indugiava sopra di esse  mentre

come una talpa instancabile scavava gallerie profonde per farle

cedere o cercando crepe e fessure dove penetrare con  i rami e

le radici della sua mala pianta.

Quando riaprii gli occhi la porta della carrozza era aperta

e dei due uomini non c’era più traccia.

Solo un vento ghiaccio intorno a me e una leggera nebbia

che dalla terra si levava verso l’alto celando il terreno brullo

e umido raggelando le ossa  e il respiro mozzo.

Dentro di me qualcosa si stava spezzando, il cuore smise di

correre senza più controllo e arrancò come un orologio senza

più carica, il fiato divenne corto e serrato e i miei occhi, prima

fissi e spalancati sul buio, ora si rincorrevano come in cerca

di una salvezza che sapevo non mi avrebbe rapito ad una fine

scolpita nell’orrore di quella notte.

Ogni muscolo sembrò irrigidirsi come un pezzo di carne battuta,

i tendini si stirarono come funi e stralli di vele tese dal vento forte

 mentre intorno alla mia aura una cappa di terrore mi avvolse

lasciandomi senza forze e privo d’ogni speranza.

Avvertii la presenza di un essenza opprimente,

il peso di uno sguardo possente,

il respiro di una bestia infernale e mille occhi che come

tizzoni ardenti presero a  bruciarmi la carne prima ancora

 di infingersi dentro la mia anima per scrutarne ogni

singola postilla di fede.

Il buio mi stava inghiottendo e con lui qualcosa di inestinguibile,

di eterno e abissale mi portava via con sé trascinando

la mia volontà con la Sua infinitamente più potente.

Chiusi gli occhi e precipitai nel mio inverno in attesa

che mani nerborute mi afferrassero, che artigli laceranti

mi penetrassero la carne e un ruggito di una belva oscura

risuonasse nella radura prima di affondare le sue zanne

sul mio  collo.

Sentivo i miei denti battere gli uni contro gli altri,

 il freddo delle ossa raggiungere il midollo di ogni singola vertebra

e risalire l’ungo la schiena imprigionandola nell’arco rigido

della sua paura.

Poi successe … proprio quando l’ombra deforme della notte

mi aveva avvolto nel suo cubicolo d’ingorda e famelica disperazione

… accadde …

Le mie gambe sentirono fluire di nuovo il sangue

che prima si era raggelato nelle vene, i muscoli pulsarono

come valvole spalancate al flusso della sua rossa linfa,

e i tendini tesi e bloccati dalle catene della codardia scattarono

 come corde di un arco d’Itaca e fui ombra tra le ombre,

fui freccia di vento e dardo di grandine nella cupa boscaglia.

Corsi come un felino braccato da un demone vorace,

volai come un falco che sfida il vento d’ostro

e nuotai tra i corsi  d’acqua come un pesce che non conosce

requie al suo guizzare.

E quando il cuore cedette, quando le gambe piegarono

come giunchi spezzati dalla tempesta, quando i piedi si

storsero giunti al culmine del loro consunto mulinare

crollai a terra … e tanto fu il fragore tra la polvere

infitta nella carne, tanto il ruzzolare tra l’ erba tagliente

e le frustate di spine arginati tra la cartilagine e i nervi

sfilacciati che mi risollevai a fatica grondante di sangue

nei lacerti pulsanti .

I palmi delle  mani spogliati  della pelle bruciavano

come cosparsi di aceto e sale rovente sulla sua carne viva,

il petto flagellato da cuspidi di aculei e serti d’ortica

spillava linfa e rivoli di sangue e il viso tumido e gonfio

non doveva essere molto diverso da tutta quella rovina.

Quando riuscii a rimettermi sulle ginocchia volsi lo sguardo

verso ciò che mi divideva dalla mia salvezza … il fiume …

oltre al quale avrei trovato la stradina che conduceva alla chiesa

Aprii gli occhi tumefatti e gonfi per capire dove dirigere i

miei passi.

Avevo poco tempo e quel poco forse non sarebbe bastato ,

 ma il fiume non c’era dinnanzi a me, sentii il fluire della corrente,

il gorgogliare delle sue acque tra le anse e il greto ciottoloso

ma davanti a me c’era solo il nero della notte,

il buio minaccioso e abissale oltre il quale solo  e ancora tenebre .

Socchiusi le palpebre doloranti ma nulla di diverso mi apparve ,

solo un immenso sudario di inchiostro fino a quanto

su quel lenzuolo d’ombra si aprirono due spilli di un cinabro

vivo e sfolgorante, due rubini profondi come fiamme d’inferno

e quel buio impalpabile divenne un animato spettacolo di carne

e tenebra.

Avete molta fretta Milord …

Correte nel buio di una notte

senza luna e senza stelle …

Nel folto di una foresta molto pericolosa e in una direzione

senza uscita , di certo vi sarete perduto tra questi alberi

cosi simili da inghiottire ogni orizzonte".

La sua voce era come un tuono,

la sua figura maestosa e infissa nella terra come

una quercia in mezzo alla radura.

 


 I suoi occhi di fuoco liquido arroventavano l'aria

catturando la mia attenzione e la mia paura come

un gorgo in mezzo al mare...

Poi Egli con modi gentili aggiunse

"Ma la fortuna vi arride Milord…

avete incontrato Colui  che di queste terre è l’indegno

Custode.

Venite … stanotte sarete mio ospite.

Il mio Castello non’è molto distante da qui  

e bisogna curare

le vostre molte e profonde ferite, 

perdete molto del vostro prezioso sangue


vi rimetterete in viaggio quando sarete guarito.

Immagino  abbiate una certa premura

 di giungere alle rive del vostro corso
”.

Disse queste parole inchiodando i suoi occhi nei miei

ed io non ebbi ne la forza ne la una minima possibilità di rifiutare

… Non sarebbe servito , non sarebbe bastato …

Mi sentii afferrare da dietro da due mani possenti

che con agilità e con un apparente mancanza di sforzo

mi sollevarono da terra e mi posero come una fascina di legna

 sulle spalle dell’uomo che avevo visto prima condurre la carrozza.

Quando volsi lo sguardo sull’entità che mi aveva parlato

non scorsi che un grigio cilindro che svaniva nelle tenebre

e un odore dolcissimo di viole …

Marvelius era dunque tornato ed io ero perduto

forse per sempre …

MARVELIUS



 
Rispondi al commento:
lascrivana
lascrivana il 24/12/13 alle 18:23 via WEB
Come al solito mi perdo nelle magia delle tue parole. Auguri Marvi, e bentornato. Ti abbraccio.
 
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