Creato da Marvelius il 21/08/2012

Marvelius

Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento

 

« Selene e la Notte...L' ULTIMO VOLO ... »

LEONIDAS I

Post n°80 pubblicato il 21 Gennaio 2014 da Marvelius
 

 

 

 

L 'ADDIO

Aprì gli occhi nel cuore della notte,

intense iridi scuri come pozzi d’olio nero

si sciolsero nel buio della stanza,

e se ne stette immobile a fissare il tetto di legno

cercando di immaginare il brillio delle stelle .

Ma capì che era ora di prepararsi …

il suo cuore e la sua mente erano pronti da tempo

e quel tempo era ormai scaduto.

Distolse il lenzuolo di lino dalle sue gambe e

poggiò i piedi nudi sul pavimento di pietra.

Rimase seduto sul letto di piume e cardato di lana

saldo come una statua di marmo

mentre tutto intorno era silenzio e ombra.

Guardava fisso i contorni della stanza farsi

più chiari nell’albeggiare del mattino informe.

Gli spigoli dei muri tinteggiati a calce schiarirsi

 con le prime luci dell’alba che filtravano

dagli scuri della finestra.

 

 

Quando la fitta nello stomaco diventò più forte,

con una smorfia del viso, si alzò dal letto

 e si lasciò inghiottire dalla penombra

come ci si immerge nelle acque calde del mare …

nudo

come una creatura celeste, i capelli ornati da tempo,

 la pelle ambrata dal sole , tesa sopra i muscoli tumidi

dal duro esercizio e  solo un canapo bianco intorno

 al ventre a coprire il suo sesso .

Si celò per un attimo il viso  con le mani

per scacciare i pensieri della notte che avevano

agitato il suo sonno infausto, poi passò le dita tra i

capelli fino alla treccia ricadente sul collo.

Il viso tirato e duro come la pietra di Tanel,

i denti bianchi come il latte delle sue giovenche,

le labbra rosse  e carnose sotto la barba corvina,

ogni muscolo scolpito nella roccia in un insieme

sfrontato e spavaldo da rasentare la superbia di un

semidio troppo orgoglioso per flettere il capo e

troppo umano per sentirsene pago.

Ora tutto nella la stanza aveva preso forma e sostanza,

gli occhi si erano abituati alle ombre e la luce dell’aurora

filtrava più forte dalle fessure degli scuri come

lamine d’argento.

Immerse il viso nell’acqua fresca di un bacile e

in quel liquido incolore aprì gli occhi inabissandoli

come perle d’avorio e pece in fondo al mare .

Quando riemerse una voce alle sue spalle risuonò argentina.

 

 

"È già tempo di andare ?

È dunque giunto il giorno in cui ogni cosa sembra

non avere più importanza?".


Lui restò di spalle assorto nel silenzio e lei riprese a parlare.

“I giorni sono volati via come lemuri nei sogni infranti

e i carri di marte Ares già corrono davanti alle nostre porte.

Ti porteranno lontano … come lontano sento già il

tuo cuore.”


Leonidas si voltò verso di lei e i suoi occhi erano

chiodi intinti in un amaro calice e allo stesso tempo

erano occhi dolci e teneri come quelli di un bambino.

“Una parte di me è in viaggio da tempo .

Luoghi selvaggi ne trascinano i passi,

sogni raminghi la portano in grembo su botri e valli ,

ma ciò che non lascerà mai questa stanza è qui“


e dicendo queste parole si tocco il cuore con la mano.

Poi aggiunse con voce profonda, come se ogni serenità

e ogni tempesta di emozioni si fossero dati

appuntamento in quel preciso istante per schiudere

le porte sull’uscio delle sue labbra

“Tu immagini i pensieri di questo soldato sui carri

di una guerra disperata … ed è vero …

ma i pensieri più profondi di quest’uomo restano qui con

Te.

Sono i pensieri di uno sposo e  di un padre che si

 infrangono sugli scogli di un destino beffardo”.

 

 


Aprì la finestra della stanza e volse lo sguardo davanti

a sé e  un sospiro venne trattenuto in gola …

Vide il terreno scuro dei campi appena arati,

i cipressi segnare il profilo delle colline e

gli immensi ulivi

come sentinelle bardate campeggiare sui prati a

difesa della loro storia e del loro mondo di quiete.

Poi ancora una volta una voce lo riportò indietro.

“Ho paura … ho paura che non ti rivedrò più”.

Lui si girò verso di lei e vide i suoi occhi di ghiaccio

fissarlo con durezza ma andò oltre quello scudo

penetrando nella sua anima e in quel giaciglio caldo

la vide rinserrata nel canto di un ombra,

 immersa in una veste nera nel pianto tenero e composto

dei suoi verdi anni .

Raccolse il  rosso vermiglio del suo mantello come

si intinge il drappo nel sangue di un amico d’arme

per dare testimonianza del suo sacrificio a chi

 lo aspetterà invano tra i muri spogli di una casa.

 Le lacrime di Gorgo scorrevano sulle guance rosee

come torrenti senza più argini ma lei restava ferma

come una lancia infissa al suolo nel suo portamento regale.

Lui ricordò le parole dell’Oracolo, ricordò la profezia

del sacrificio di un re della stirpe di Eracle e chinò il capo.

Ma fu un attimo e tornò a guardare Gorgo con benevolenza,

osservò i suoi capelli sciolti come tenebre assorte nella notte,

i suoi occhi vispi rigati di bistro e la pelle liscia e pallida,

la sensualità del suo corpo lo richiamava ad altre battaglie,

 così la carne profumata, serrata nella sua veste candida,

i seni turgidi nei canapi di lino e le forme piene

intorno ai legacci  sui fianchi.

 

 

Tutto la richiamava a sé in un onda piena

che si abbatte sugli scogli , come un vento d’ostro

che si urla nella tempesta inabissando ogni cosa,

ma restò immobile nel suo fortilizio di soldato

poi esclamò senza tradire le sue emozioni

“Ho paura anche io di perdere il nido amorevole che hai

innalzato con pazienza e una dedizione in cui non trovo il velo

di una discordanza.

Ho timore per le gioie della nostra vita che abbiamo

ammassato e custodito negli anni della nostra

 giovinezza come covoni di speranza affastellati

nel granaio della nostra intimità.

Temo come temi tu di non tornare e di rimpiangere,

negli ultimi aneliti di vita, col viso  immerso nel fango,

il profumo di questa casa, di spogliarmi del suo calore

come un pesce smarrito in mari sconosciuti,

 di morire nella lenta agonia di una notte senza stelle

col sangue che gorgoglia in gola togliendo il respiro

e le viscere sparse sul campo di battaglia."

Scosse la testa annuendo ma senza un velo di rassegnazione

poi riprese a parlare come spinto da una forza che premeva


nel suo petto finalmente liberata da catene e legacci.

"L’ angoscia mi tormenta come un segugio la sua preda

mentre guardo nella visione dei miei sogni

 i miei soldati gemere come agnelli sacrificali ,

lacerati dal dolore  prima che qualche nemico

 li finisca dando loro una morte veloce”.


Trasse un respiro profondo nella ricerca vana di

 sciogliere il nodo che gli attanagliava la gola.

 Infine la guardò fissa negli occhi e una lacrima solitaria

celata tra le ciglia sporse oltre il dirupo dei suoi greppi,

cosi volse di nuovo lo sguardo sull’orizzonte che

ora era illuminato da un barbiglio di luce come se un

rogo stesse divampando sui suoi contorni e continuò

”Ma  temo di più l’immagine di un giorno ingrato in

cui, come demoni  vomitati dall’Ade, da quelle colline

baciate dal sole giunga un esercito straniero che

col fuoco e l’arroganza delle loro lunghe e arricciate

barbe prenda possesso

di tutto ciò che mi è più caro al mondo”


Disse queste ultime parole volgendo lo sguardo su di lei

e il bambino che le dormiva a fianco.

Poi un vuoto lo  colse e le parole si spensero

come il filo della fiamma di una candela

stretto tra le dita umide.

Trasse ancora un lungo respiro e la voce tornò ferma e

 profonda  così emise la sua volontà , spietata e crudele

come una profezia che si abbatte rovinosa nei giorni felici,

come uno strale che squarcia il cielo ancora tinto dal sole.

“Se non dovessi tornare sai cosa fare …”
 

“Prenderò nostro figlio e ti raggiungerò sui verdi

campi di Etrom”


rispose lei stizzita.

“Andrai via con lui Gorgo … e ti risposerai dandogli

 dei fratelli e delle sorelle” 


disse lui con un tono deciso che non ammetteva repliche.

Ma una voce gentile ruppe quel presagio di sventura,

quel limbo di disfacimento che andava disegnando

 i loro pensieri precipitandoli nella tristezza di un futuro

che sembrava ormai segnato .

“Padre …”

E la voce risuonò come il timbro tenero di una cascata

 di primavera.

 

 

Leonidas si era  appena rinserrato nella sua armatura

 e stava indossando il suo rosso mantello quando

la voce di suo figlio squarciò l’aria rarefatta della stanza,

giungendo al suo cuore come una cuspide che

ogni cosa trapassa.

Egli si  volse di scatto puntando il suo sorriso maliardo

negli occhi del suo erede .

“Plistarco … figliolo …”

furono le sole parole dolci che permise al suo cuore di 

sbocciare.

“Dormi che ancora il sole riposa oltre le cime dei monti."

“Padre portami con te …”

lo interruppe il giovane e quelle parole scossero

il silenzio come un terremoto sbriciola la pietra .

Leonidas sentì il suo orgoglio di spartano farsi spazio

nelle viscere, gonfiare i muscoli sotto l’onda

del suo sangue e il petto premere sul giaco ferrato

dell’armatura lucente così, inebriato e commosso,

gli si pose accanto e sedutosi sul ciglio del letto

gli accarezzò la fronte, mascherando l’ amorevole segno

di affetto, col  pretesto di sistemargli la treccia di crine

scomposta dalla notte troppo presto svanita.

“Mi servi qui Plistarco con tua madre a governare in

mia assenza”


 Si sforzò di apparire sereno e deciso ma sapeva bene

che non avrebbe più rivisto suo figlio ne Gorgo

e insieme alla sua terra e alla sua casa sarebbero

state le ultime cose che avrebbe ricordato prima di morire.

Si udirono  i passi dei suoi uomini sullo spiazzo

 fuori dalla porta, così egli si scosse e alzandosi disse

“È  tempo di andare”

raccolse l’elmo e la lancia mentre la spada

già gli cingeva il fianco e lo scudo gli proteggeva

la schiena .

 

 

Un ultimo sguardo alla sua casa e alla sua famiglia

 poi si girò di scatto,  aprì la porta e si avviò

verso i suoi uomini quando la regina lo chiamò forte

“Spartano”

egli si volse lentamente  lasciandosi raggiungere da Gorgo

e da suo figlio Plistarco.

“Si mia Signora”

“Torna col tuo scudo … o sopra di esso”

disse lei carezzando le parole con l’amore chiuso nel

petto e quelle parole per uno spartano furono i

baci e le dolcezze negategli fin dall’infanzia.

“Si mia Signora …”

Rispose fermando il suo cuore.

 

 

La guardò negli occhi e fu come un lungo

e struggente ultimo abbraccio, poi rivolse lo sguardo

 al ragazzo e il figlio guardò lui ammirato e commosso.

Si consegnarono una stretta ideale forgiando una catena

 invisibile tra di loro che nessuno avrebbe potuto disfare,

 i loro cuori si fusero, le loro menti si dissero tutto quello

che un padre e un figlio spartano potevano dirsi e

anelare in silenzio.

 Poco dopo con un sorriso appena accennato

si volse verso i suoi uomini e diresse oltre i suoi passi,

i suoi pensieri andarono via con lui mentre

il sole indorava i campi e riluceva sulle armature,

gli schinieri e gli elmi opliti di quei 300 guerrieri spartiati,

come fiamme vive, come lingue di un fuoco inestinguibile

sugli acroteri dorati del tempio vetusto di Apollo.

 



MARVELIUS

 
Rispondi al commento:
Marvelius
Marvelius il 23/01/14 alle 19:05 via WEB
No tranquilla Lulu...nessun dolore petsonale aparte la febbre di oggi. Solo una condivisione ideale per il sacrificio e il senso di responsabilita che spesso la storia porta a esempio rispetto alla mediocrita e al senso doopportunismo che impera nell assenza di valori attuali...
 
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