Creato da Marvelius il 21/08/2012

Marvelius

Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento

 

IL CONTE MARVELIUS...

Post n°78 pubblicato il 11 Dicembre 2013 da Marvelius
 



Mi incamminai sul far della sera percorrendo un paesaggio

opprimente e desolato ma sapevo che

 in prossimita del  castello del Conte

il panorama sarebbe mutato e il terreno brullo e

 ciottoloso avrebbe  via via  lasciato il posto  a una

maestosa e impenetrabile selva .


Avevo la certezza che tutto in quella notte

sarebbe mutato, la mia vita  legata a ciò

che sarebbe successo di li a poco, agli eventi che sentivo

 precipitare come un masso giù per il pendio

senza che nulla e nessuno avrebbe potuto opporre la

minima resistenza .

Lui sarebbe stato nel cuore del suo regno e nel fulgore

delle sue forze, io solo un fuscello senza nessuna speranza,

nell’attesa di una tempesta d’orrore che mi avrebbe

spazzato via come un granello di polvere nella furia

del vento.

La carrozza giunse puntuale al rintocco di mezzanottte

Un elegante cocchio scuro come la pece si fermò

dinnanzi alle scale di un marmo bianco come

pelle di luna.

L’uomo di corvette stette immobile nel suo silenzio

stringendo le redini tra le mani smunte

mentre i cavalli che fino ad allora avevano

galoppato come se il Demonio li stesse inseguendo …

oh stolto uomo che sono …anche le mie parole si vestono di

un abito d’ironia  e di tragica disperazione … quei cavalli

lo trasportavano davvero un Demonio, un Alichino potente,

un Barbagrigia invitto il cui profumo d’orgoglio e

e di forza ammantava quelle bestie facendole volare

nella notte merlettata d’ombra e follia.

Nascosto tra le siepi a ridosso del muro del castello

riparato nel cono d’ombra dei cespugli trattenni il respiro

e col  cuore a mille sperai che non potessero sentirmi,

che a Lui sfuggisse il mio odore e la mia paura

materializzata nel battito furente del mio cuore

e dai rivoli della mia fronte imperlata di sudore.

Per un attimo temetti di essere stato scoperto …

l’uomo a cassetta che fino ad allora era restato

immobile nel suo silenzio si era voltato verso di me .

Vidi il guizzo dei suoi occhi scintillare nella notte,

due puntini di un giallo vivo penetrarono nel

verde che mi prestava riparo ed io chiusi gli occhi per istinto

per non essere trafitto da quello sguardo amaro e cacciatore.

Era un uomo … in realtà dovrei indugiare e non poco

su questa definizione, ma non ho altri termini che possano

definirne i tratti e contemplarne la sostanza…

non so se avesse un anima o conservasse i lineamenti

di un umano alla cui specie un tempo doveva appartenere

ma come tale mi sentii di pensarlo almeno per un attimo,

 per un abitudine alla forma , per una indefinito alibi

di speranza sul proseguo del mio destino.

Aveva un cappello a tre punte, una specie di tricorno scuro

 come il mantello che lo avvolgeva fin sotto il naso adunco,

zigomi sporgenti e due occhi … due occhi come un gatto

selvatico , famelico e diffidente.

Si mosse con gesti misurati e una certa lena che lo faceva

apparire deciso e mosso da un unico scopo … una fedele

volontà di servire il suo Padrone.

 

 

Scese dalla carrozza dal lato dell’ingresso al castello e

si fermò dinnanzi alla posterla come ad attendere un comando.

Sembrò freddo, glaciale, premuroso … una certa aspra

sottomissione lo rendeva bizzarro ma non privo di orgoglio

che mostrava alla notte col suo portamento eretto

 e il suo sguardo penetrante.

Le nuvole scorrevano con una velocità inverosimile e

la luna si mantenne schiva nei cumuli alti del suo cielo.

Poi l’uomo si mosse come sotto il timbro di un comando

e aprì la porta della carrozza … fu come se il vento,

prima serrato dentro di essa come in un otre che tutti li

racchiude, si liberasse di colpo e un soffio caldo si sparse lungo

lo spiazzo, un odore di viole tinse l’aria di quel dolce effluvio

che mi pervase togliendomi le forze.

Caddi sulle ginocchia confuso, la testa prese a girarmi

come sotto l’effetto di una droga ma fu un attimo e in

quell’attimo cercai con forza e ostinazione  di rimanere vigile,

mi pizzicati più volte sulle gambe e sulle braccia, mi morsi la

lingua fino a lacrimare ma con l’accortezza di non sanguinare.


Poi nell’oscurità della carrozza vidi brillare i Suoi occhi,

due punti fissi di un rosso carminio, ancora una volta tremai

e mi ritrassi tra le foglie, sentivo il Suo sguardo sopra di me,

intorno a me … e liquido e pungente dentro di me .

Erano occhi di una potenza senza eguali che scandagliavano


in ogni dove come la vista di un aquila affamata nel folto

della foresta.

Pregai che quello sguardo formidabile e quella mente

che bussava alla mia porta come un araldo che annuncia

l’arrivo di un esercito a falcidiare ogni cosa al suo passo

non scardinasse i miei fragili cancelli ,

che le torri del mio maniero non si sgretolassero

sotto i colpi di maglio del suo indagare,

che le barriere della mia mente non cedessero sotto il peso

del suo ariete che indugiava sopra di esse  mentre

come una talpa instancabile scavava gallerie profonde per farle

cedere o cercando crepe e fessure dove penetrare con  i rami e

le radici della sua mala pianta.

Quando riaprii gli occhi la porta della carrozza era aperta

e dei due uomini non c’era più traccia.

Solo un vento ghiaccio intorno a me e una leggera nebbia

che dalla terra si levava verso l’alto celando il terreno brullo

e umido raggelando le ossa  e il respiro mozzo.

Dentro di me qualcosa si stava spezzando, il cuore smise di

correre senza più controllo e arrancò come un orologio senza

più carica, il fiato divenne corto e serrato e i miei occhi, prima

fissi e spalancati sul buio, ora si rincorrevano come in cerca

di una salvezza che sapevo non mi avrebbe rapito ad una fine

scolpita nell’orrore di quella notte.

Ogni muscolo sembrò irrigidirsi come un pezzo di carne battuta,

i tendini si stirarono come funi e stralli di vele tese dal vento forte

 mentre intorno alla mia aura una cappa di terrore mi avvolse

lasciandomi senza forze e privo d’ogni speranza.

Avvertii la presenza di un essenza opprimente,

il peso di uno sguardo possente,

il respiro di una bestia infernale e mille occhi che come

tizzoni ardenti presero a  bruciarmi la carne prima ancora

 di infingersi dentro la mia anima per scrutarne ogni

singola postilla di fede.

Il buio mi stava inghiottendo e con lui qualcosa di inestinguibile,

di eterno e abissale mi portava via con sé trascinando

la mia volontà con la Sua infinitamente più potente.

Chiusi gli occhi e precipitai nel mio inverno in attesa

che mani nerborute mi afferrassero, che artigli laceranti

mi penetrassero la carne e un ruggito di una belva oscura

risuonasse nella radura prima di affondare le sue zanne

sul mio  collo.

Sentivo i miei denti battere gli uni contro gli altri,

 il freddo delle ossa raggiungere il midollo di ogni singola vertebra

e risalire l’ungo la schiena imprigionandola nell’arco rigido

della sua paura.

Poi successe … proprio quando l’ombra deforme della notte

mi aveva avvolto nel suo cubicolo d’ingorda e famelica disperazione

… accadde …

Le mie gambe sentirono fluire di nuovo il sangue

che prima si era raggelato nelle vene, i muscoli pulsarono

come valvole spalancate al flusso della sua rossa linfa,

e i tendini tesi e bloccati dalle catene della codardia scattarono

 come corde di un arco d’Itaca e fui ombra tra le ombre,

fui freccia di vento e dardo di grandine nella cupa boscaglia.

Corsi come un felino braccato da un demone vorace,

volai come un falco che sfida il vento d’ostro

e nuotai tra i corsi  d’acqua come un pesce che non conosce

requie al suo guizzare.

E quando il cuore cedette, quando le gambe piegarono

come giunchi spezzati dalla tempesta, quando i piedi si

storsero giunti al culmine del loro consunto mulinare

crollai a terra … e tanto fu il fragore tra la polvere

infitta nella carne, tanto il ruzzolare tra l’ erba tagliente

e le frustate di spine arginati tra la cartilagine e i nervi

sfilacciati che mi risollevai a fatica grondante di sangue

nei lacerti pulsanti .

I palmi delle  mani spogliati  della pelle bruciavano

come cosparsi di aceto e sale rovente sulla sua carne viva,

il petto flagellato da cuspidi di aculei e serti d’ortica

spillava linfa e rivoli di sangue e il viso tumido e gonfio

non doveva essere molto diverso da tutta quella rovina.

Quando riuscii a rimettermi sulle ginocchia volsi lo sguardo

verso ciò che mi divideva dalla mia salvezza … il fiume …

oltre al quale avrei trovato la stradina che conduceva alla chiesa

Aprii gli occhi tumefatti e gonfi per capire dove dirigere i

miei passi.

Avevo poco tempo e quel poco forse non sarebbe bastato ,

 ma il fiume non c’era dinnanzi a me, sentii il fluire della corrente,

il gorgogliare delle sue acque tra le anse e il greto ciottoloso

ma davanti a me c’era solo il nero della notte,

il buio minaccioso e abissale oltre il quale solo  e ancora tenebre .

Socchiusi le palpebre doloranti ma nulla di diverso mi apparve ,

solo un immenso sudario di inchiostro fino a quanto

su quel lenzuolo d’ombra si aprirono due spilli di un cinabro

vivo e sfolgorante, due rubini profondi come fiamme d’inferno

e quel buio impalpabile divenne un animato spettacolo di carne

e tenebra.

Avete molta fretta Milord …

Correte nel buio di una notte

senza luna e senza stelle …

Nel folto di una foresta molto pericolosa e in una direzione

senza uscita , di certo vi sarete perduto tra questi alberi

cosi simili da inghiottire ogni orizzonte".

La sua voce era come un tuono,

la sua figura maestosa e infissa nella terra come

una quercia in mezzo alla radura.

 


 I suoi occhi di fuoco liquido arroventavano l'aria

catturando la mia attenzione e la mia paura come

un gorgo in mezzo al mare...

Poi Egli con modi gentili aggiunse

"Ma la fortuna vi arride Milord…

avete incontrato Colui  che di queste terre è l’indegno

Custode.

Venite … stanotte sarete mio ospite.

Il mio Castello non’è molto distante da qui  

e bisogna curare

le vostre molte e profonde ferite, 

perdete molto del vostro prezioso sangue


vi rimetterete in viaggio quando sarete guarito.

Immagino  abbiate una certa premura

 di giungere alle rive del vostro corso
”.

Disse queste parole inchiodando i suoi occhi nei miei

ed io non ebbi ne la forza ne la una minima possibilità di rifiutare

… Non sarebbe servito , non sarebbe bastato …

Mi sentii afferrare da dietro da due mani possenti

che con agilità e con un apparente mancanza di sforzo

mi sollevarono da terra e mi posero come una fascina di legna

 sulle spalle dell’uomo che avevo visto prima condurre la carrozza.

Quando volsi lo sguardo sull’entità che mi aveva parlato

non scorsi che un grigio cilindro che svaniva nelle tenebre

e un odore dolcissimo di viole …

Marvelius era dunque tornato ed io ero perduto

forse per sempre …

MARVELIUS



 
 
 

BLOG IN PAUSA...

Post n°77 pubblicato il 16 Novembre 2013 da Marvelius
 

 

 

 

BLOG

IN PAUSA

A PRESTO...

 

 
 
 

Muta Indifferenza...

Post n°76 pubblicato il 14 Novembre 2013 da Marvelius
 

 

 

 

La cercava come cerca l’acqua un pesce.

In Lei vedeva ogni bellezza del creato

il puro disegno di un tratto d’orizzonte.

I suoi capelli erano il crine della notte

e la pelle, nivea corona simile al manto

d’una luna piena.

Il corpo suo era freschezza d’acqua di fonte

e nei suoi occhi la scura

intensità di un pozzo senza fine.

 

 

La cercava come cerca l’acqua un pesce.

Dalla  sua bocca le parole s’adagiavano

come stille sulle rive d’una ciglia

 e l’uscio delle labbra sue

Lui lo custodiva

come perla rara in fondo al mare.

Ai suoi pensieri prestava la più cieca fede 

come verità fissa e senza un vizio d’ombra.

La cercava come cerca l’acqua un pesce.

D’ogni suo passo ne seguiva seco il destino

 e dell’ombra sua ogni più oscura parvenza

si disvelava come un raggio di sole

scaccia tenebre e bruma solida

dal folto della foresta.

E Lei… Lei lo ignorava senza una vera colpa.

D’ogni suo delicato  gesto nulla serbava,

come un fiore reciso che muto cede al taglio

e cade solitario nel rappreso fango.

Così ricambiava le promesse e i delicati affetti

nel fatuo incenso della dimenticanza.

E Lei… Lei lo ignorava senza una vera colpa.

E ogni sua attenzione svaniva nel vuoto

di buie stanze e tartari silenzi.

Negli occhi suoi mai un lampo

a bruciare le chiare stelle

ne l’eco di un tuono che squarcia il velo

di un cielo sempre spento .

Muto il nulla e muti i Loro corpi nella voce stanca.

Ma giunge l’ago del tempo che miete e

capovolge le mute indifferenze.

Così la rugosa marea volse al suo compimento,

negli occhi d’Ella un velo sembrò precipitare

e le gentilezze di Lui si palesarono come

livrea adorna di trame l’amor dimenticato.

Lo cercò come cerca l’aria la fiamma ch’arde lesta.

Le cure di un tempo le riempirono gli occhi,

le carezze di giorni volati via nel caldo soffio

 le si depositarono addosso come

granelli di rossa sabbia nel turbinio del vento.

Lo cercò come cerca l'aria la fiamma ch'arde lesta.

Così l’alito del suo calore l’avvolse come

densa coltre

e gli abbracci un tempo respinti le parvero

un nido di pula dove ripararsi nelle sue

 notti ghiacce.

Il sonno le divenne caro al fianco suo

e il buio un pretesto per farsi piccola vestale

e in Lui rinchiudersi

come mallo tenero nel suo gheriglio.

 

 

Lo cercò come cerca l’aria la fiamma ch’arde lesta.

Così i suoi occhi guardava con rinnovato incesto

muta a fissare lo sguardo suo nel cuore del sonno

ed ogni piega del suo volto ed ogni  lieve ruga

a Lei

sembrava il greto di un fiume d’acque sante,

il magico poetare di un cuore senza colpe.

 

 

Lo cercò come cerca l’aria la fiamma ch’arde lesta.

Ma il tempo è l’anima di un tiranno senza cuore

e il destino il braccio di un giudice bendato.

Così nell’ora di una ritrovata intesa

nel cuore di una vita che sboccia teneri getti

colmi di gemme stillanti tumidi germogli,

la falce di una rossa luna

schiuse lo sguardo sulla mietitura

e batté il tintinnio della roncola l’acerbo grano.

Si cercarono come le acque dei fiumi il loro mare.

Così come gocce infuse si perdono tra

stagni di mota e rivoli sciolti e il

 guasto fango mischia e sgretola il greto fondo

tutto fu perduto nel giorno stesso

di un ritrovato segno

e Lui …

come giovane giunchiglia fu colto

 e raso nel taglio di un falcetto esangue.

 

 

Si cercarono come le acque dei fiumi il loro mare.

Così … nei suoi giorni recisi

un ultimo respiro lasciò sui verdi campi

mentre  nei loro  occhi fiumi di ricordi

si incontrarono mischiando le chiare acque

nel dimentico fluire della corrente del cuore

… come il guizzo di un pesce si perde

nel flusso maestoso del suo grande mare …

MARVELIUS

 
 
 

L'ILLUMINAZIONE III

Post n°75 pubblicato il 10 Novembre 2013 da Marvelius
 

 

 



Si specchiò nelle acque del fiume e riconobbe l’altro se

stesso, sfiorò con le dita tremanti il suo viso come un

cieco cerca  solchi e vertigini su cui leggere nuovi e

vecchi ricordi.

Si alzò trasfigurato e cinta la sua veste bianca con

un canapo si avvio lungo le rive di quel torrente.

Lylieth se ne stava sul bordo del fiume con lo

sguardo immerso nelle sua corrente,

muta ne seguiva il corso e il guizzo dei pesci.

 

 

Le mani raccolte intorno alle ginocchia e i capelli

scuri ricadenti sulle spalle mentre il sole oramai

andava a morire oltre le cime dei rossi monti.

Govinda si fermò sotto l’ombra di un grande mango

con lo sguardo fisso su un mondo che per lui sembrava

avere il fascino  grandioso di un mistero dipanato.

Come rapito da un pensiero fugace si fermò e volto

lo sguardo ai piedi dell’albero si piegò a raccogliere

un bastone.

Lo guardò esaminandone il legno e ogni ruga della

sua corteccia, con le dita ne seguì i rilievi e si

soffermò su ogni nodo come se avesse un valore

decisivo per il proseguo del suo cammino.

Da lontano gli ontani e i pioppi  ondeggiavano nel

vento come stendardi impettiti sul culmine di una

torre, il rumore vibrante delle foglie giunse fino a Lei

e fu simile al pizzicare delle corde di un arpa o il

mormorio dei fili della sua anima contrita .

Lylieth alzò lo sguardo e vide un uccello stagliarsi

sugli ultimi raggi vermigli  mentre le prime ombre si

allungavano oltre i cippi  e i  greppi che cinturavano

le bordure  del fiume.

Una lacrima cercò di farsi strada tra i suoi occhi e

una stretta al petto sembrò proiettarla oltre quel

dirupo fatto di malinconia e un distacco feroce che le

mordeva lo stomaco.

Quando non riuscì più a trattenerle oltre le ciglia e il

nodo in gola si era fatto troppo stretto da soffocarne il

respiro cercò aiuto nel bosco e distolse lo sguardo dal fiume

per immergere gli occhi nel folto dei pini alle sue spalle.

Così si volse di scatto come a scacciare il tremore e l’ansia

del pianto, ma al posto del verde oramai spento della

radura trovò il volto di Lui.

 

 

Il silenzio li avvolse entrambi come un manto di tenebra

che tutto copre, una coltre di intimità  smarrita calò su

di loro come un araldo che squilla col suo filicorno note

di poesia e incanto nel vento caldo di  primavera …

Govinda

disse Lei tra le labbra e quelle parole gli uscirono dalla

bocca come un sussurro arroventato .

Lylieth … cosa fai su  queste rive avvolta  nella

solitudine


gli rispose Govinda con voce calma e profonda.

Lei lo guardò rapita, come se quella visione fosse

un emanazione dei suoi desideri più profondi, poi

quando il suono delle sue parole raggiunse il centro del suo

cuore rispose con tutta la dolcezza che ancora possedeva

dentro di sé …

Ti ho cercato … Ti ho cercato in ogni luogo io potessi

andare, negli angoli sperduti della foresta ho vagato.

Nella corrente di questo fiume, ovunque ho cercato Govinda

ma non l’ho trovato, la sua anima era nel vento e nelle

ombre degli alberi, persino il profumo dei suoi capelli ho

avvertito lungo i sentieri della radura e la sua voce ho

udito nelle notti fredde oltre i confini della terra
”.

E un sussulto gli soffocò i gemiti e i singulti nell’anima

affranta, poi si fece coraggio e respirò forte cosi ebbe

la forza di proseguire guardandolo negli occhi …

Ma dov’era Govinda ? Dove ha smarrito se stesso per

tormentarmi così, dove si è rifugiato per tutto questo

tempo  per trafiggere se stesso e ciò che più caro aveva

giurato di proteggere


e i suoi occhi presero a sanguinare lacrime come grani

acerbi di melograno.

Lui la guardava impietrito come una statua, le sue mani

erano immobili lungo i fianchi, il suo viso disteso e sereno

e le sue rughe erano sparite dal suo volto senza un

espressione definita.

                                               (clicca for continue music)

In lui sembrava scomparsa ogni ansia, ogni timore lasciando

spazio alla calma e a una dolcezza che avvolgeva il suo corpo

di un alone di santità.

Ero ferito di una ferita mortale ed ero ammalato  di un male

senza più speranze”

disse guardando oltre l’orizzonte infuocato.

“Ma Govinda ha curato le sue piaghe e guarito le sue infermità

e per farlo ha dovuto attraversare le fiamme delle sue passioni

e i ghiacci delle sue solitudini
”.

 

 

Ora il suo viso era una maschera di una bellezza senza

confronti ma Lei per un attimo vide un ombra traversargli

lo sguardo, un lieve  incresparsi della fronte e il brillìo

di una stilla inaridita sul nascere.

Ma Govinda non sembrò dolersene e continuò come se le

sue parole fossero le ali fisse di un falco nel cuore

del cielo azzurro...

Là dove ho mosso i miei passi avresti trovato solo morte

Lylieth, nei tartari dove ho dimorato avresti visto la mia

anima lacerarsi come stracci in balia del vento, rovine

d’anime erranti ed eremi abbandonati avresti visto Lylieth,

dove la notte sembra eterna e il riposo non conosce requie
” .

Parlava di  queste cose come se le affidasse al vento e

mentre parlava dai suoi occhi una luce sembrava fuoriuscire

come se  cadesse un velo che ancora l’adombrasse e si dileguasse

tra i barbigli del suo sguardo illuminato, poi aggiunse con un

  candore che segnò il suo sorriso come neve carezzata dal sole...

    “Ma Govinda è tornato e reca nelle sue mani la gioia di un

   nuovo corso, nei miei palmi ho raccolto l’acqua di un nuvo

battesimo

e dicendo questo le si avvicinò ponendogli le mani

 intorno al viso .

 

 

Lei piegò il capo e con lo sguardo pieno di meraviglia

 e di una profonda devozione  lo strinse a sé ….

Non era più il Govinda che aveva lasciato al di la del

bosco, nelle stanze di un castello superbo sulle alture

impervie dei monti.

Non era più l’uomo che aveva conosciuto nei grandi saloni

 di marmo del suo fortilizio, il fiero combattente a cavallo,

 ora era come mutato, da quel seme era nato un albero ritto

che dava frutti generosi e una dolcezza dal sapore della

giustezza.

Non era più il Govinda di un tempo ma era sempre Lui

quell’uomo, come le sue mille facce che si inseguivano da

quando bambino correva nei prati tra i sorrisi e i pianti, tra i

giochi e le cadute,fino all’età che tutto sembra respingere

per rinnegare finanche se stesso.

Ed ora era ancora Lui, come le vittorie e le sconfitte che si

alternano sul volto di un uomo, le ansie e la felicità più

grande che plasma il suo cuore.

Era sempre lo stesso uomo Govinda e Lei lo sentiva nel

palpitare dei suoi battiti, nella stretta  delle sue braccia

intorno al suo corpo.

Era come le acque di quel fiume sempre diverse nel divenire

della sua corrente ma sempre uguale a se stesso, sempre lo

 stesso fiume in ogni momento, sempre lo stesso Govinda in

ogni istante.

Poi quando ancora il pianto le serrava la gola e le

arrossava le guance lui distolse una mano e la posò sul

 mento liscio e candido di Lei.

Con estrema delicatezza lo trascinò verso di Lui e Lei

si ritrovò a guardarlo negli occhi.

Teneri  erano i suoi occhi come di chi non conosce

 rabbia e paura e la  guardavano come rapiti da una

 meraviglia che non si può raccontare .

Sentì che dentro di Lei si spezzavano tutte le catene che

 l’avevano trattenuta sulle rive del dubbio  e  la nave dei

 suo affetti sciolse il provese che la teneva avvinta alle

 incertezze e alle sue tribolazioni scivolando verso una

deriva di dolcezze che la portavano a dimenticare le

inquietudini della sua vita immaginata senza di Lui.

I loro sguardi si fusero come riflessi di luna in un

pozzo senza fine  le loro bocche si schiusero per

cogliersi in un dolce abbraccio e come fichi spezzati

dal rosso fulgore si mischiarono nel fuoco ardente

di un amore  ritrovato …

 

 

MARVELIUS

 
 
 

L'Illuminazione II

Post n°74 pubblicato il 07 Novembre 2013 da Marvelius
 

 

 

Si tirò su appoggiandosi sui gomiti e piegò il

capo indietro fino a toccare la testata del letto,

sistemò il cuscino dietro la schiena e stese le

gambe nude sulle lenzuola bianche.

I capelli castani  scuro e gli occhi tristi  come

il cielo d’inverno spiccavano sul candore delle

 vesti come un pugnale di tenebra conficcato

nell’avorio della pelle.

 



Si passò una mano tra le ciocche e volse lo

sguardo alla finestra rigata dalla pioggia e subito

 le lacrime le bagnarono gli occhi sciogliendosi

 in un pianto sordo fatto di singulti mozzati nella

 gola.

Tirò su col naso e col polso cercò di asciugarsi

le guance, alcune gocce caddero sulle lenzuola

bagnandole e  lei vi appoggiò le dita quando

ormai erano penetrate nel tessuto spandendosi

come un mare gonfio su rive limacciose,

poi sembrò quietarsi quel suo gemere d’affanno

e i suoi singhiozzi parvero un lontano ricordo.

Piccoli cerchi neri le pennellavano i contorni

degli occhi e al bianco splendente delle pupille

si era sostituito il rosso bruciore delle lacrime

versate.

Infisse il suo sguardo oltre le vetrate della sua

finestra e oltre ancora e tra la pioggia battente

si perse la  vista, come aria smossa nel freddo

pungente dell’inverno.

Alitò nel suo petto l’ultimo calore rimasto ma

nulla servì se non per vedere andare in frantumi

le stanze solitarie dei suoi silenzi, così giacque

nel pungente ricordo quel suo cupo ansimare .

Quando fu stanca del suo peregrinare chiuse le

ali e si posò sul ramo scarlatto della sua sventura

lì serrò gli occhi per rivedere se stessa nei suoi

sogni ancora possibili, i suoi mari calmi e caldi

le sfiorarono la pelle, il vento della collina le

scompigliò i capelli e le carezzò gli occhi fino a

farla lacrimare mentre davanti a sé i suoi giorni

futuri presero a scolorire passandogli accanto.

 

 

Poi riaprì le porte del suo cuore, un rumore di

cardini ferrati cigolò nell’eco delle sue stanze,

enormi lastroni di marmo bianco e levigato si

spalancarono alla sua vista e le fiaccole che

prima ardevano imperiose illuminando le volte e

le lesene dell’atrio ora erano poco più che lumini,

piccole fiammelle gialle e tremolanti e lei …

oh lei … candida vestale tra ombre forestiere.

Lei entrò oltre la soglia del suo cuore, ne senti

il richiamo debole e pulsante, il grido lontano

di un dolore profondo, infine dopo tanto cercare

lo trovò riverso sul ghiaccio impiantito di una

caverna disadorna.

Vi posò la mano e ne senti il debole calore, il

battito lieve e la voce stanca . Lo raccolse tra i

palmi esangui e lo tenne tra le mani tremanti,

accanto a lei rosse farfalle svolazzavano senza

requie, i suoi sogni sbocciati in un tempo felice

ora vagano nelle stanze del suo castello come

volute di torba, senza uscita, senza una vera meta.

Pianse nel silenzio del suo seno, pianse di un

lamento eterno e devastante  e di quel pianto

cosi struggente ebbe misericordia persino la

pietra della sua torre,finanche l’acqua dei ruscelli

e la pioggia ghiaccia, ne ebbe pietà la neve e

gli alberi, si piegò il cuore duro delle rocce

e il cielo si squarciò le vesti gemendo e quelle

lacrime bagnarono i grandi lastroni di marmo

fin dentro le mura della Faro antico, tinsero di

candore l’aria rarefatta e mulinarono nel vento

che annunciava la primavera.

Poi quelle stille caddero sul suo cuore affranto,

una a una come il tintinnio di una cascata

argentina ed esso palpitò di nuovo, un piccolo

battito lieve come il soffio di un refolo di mare,

 un impercettibile rintocco di vita penetrò nelle

vene sciogliendone il sangue reso duro dal

dolore del distacco e di nuovo in quelle sale

tuonò il canto gaio di un tempo .

Quando giunse sull’uscio della caverna  e

oltrepassò i cardini dei neri cancelli, un prato

di viole avvolse i suoi piedi nudi e le farfalle

che prima in esilio volteggiavano raminghe tra

le tenebre della torre ora le danzavano intorno

ponendo su di lei ghirlande di fiori e polvere

di ametista.

Poi il tempo pose una mano sulle sue spalle e il

vento le alitò sul viso un soffio di calore e

quando tutto ebbe termine  due tese piumate

 si aprirono nelle sue esili falde senza dolore

e come in un sogno d’incanto la librarono in

volo oltre le sue paure, oltre i limiti del

suo tempo .

 

                                                                                         (segue)

Marvelius

 
 
 

L'Illuminazione I

Post n°73 pubblicato il 02 Novembre 2013 da Marvelius
 

 

 

Quando l’alba  giunse con le sue pennellate

magenta carezzando le cime dei monti e

ricoprendo di luce le vallate, si mossero

spingendo

 le cavalcature oltre le barriere d’erba alta.

Calpestarono i prati coi loro cavalli sbuffanti,

lasciando  dietro di loro  il terreno brullo e

devastato dagli zoccoli ferrati.

Nei loro petti il freddo inverno della loro rabbia,

nei loro cuori la lava bollente dei loro artigli

ancorati alla vita ma che di lì a poco, per molti,

sarebbe scivolata come pioggia sulle foglie

nella rossa spremitura  di virgulti.

Lo aspettavano giungere con la sua armatura

 brunita, cimiero cremisi al vento, lo scudo

scarlatto con ali di falco e un destriero scuro

come penne di un corvo, spillando  dalle froge

bruma  densa simile a  schiuma di mare.

Si sarebbe abbattuto sulle  schiere nemiche

come un angelo mietitore che ha dismesso da

tempo pietà e misericordia e affronta i suoi

demoni brandendo lunghe spade fiammeggianti.

Al suo fianco colui che mai lo avrebbe abbandonato,

l’amico di cento battaglie,  sprezzante della vita e

del dolore, di ferite sul corpo dolorante come

infitte cuspidi lancinanti che lo avrebbero

accompagnato  per sempre nelle lunghe notti di

insonnia .

 

La luna era alta nel cielo e spandeva la sua luce

come una mondina semina junte di riso.

Lylieth se ne stava al fuoco del suo bivacco

con un morso di pane non lievitato tra le mani e

lo sguardo perso su un orizzonte lontano.

Tenebre oltre la notte e la luce delle stelle tra

fiamme ritorte, lingue di un vermiglio fulgore a

incendiare l’aria e la legna scoppiettante.

Lo avrebbe atteso invano nel silenzio della

radura.

Nel vento avrebbe udito i gemiti e il lamento

delle sue ferite e al vento avrebbe consegnato le

preghiere come note di metallo per ammantarne

e proteggerne la vita tra lo stridore delle armi

 e il pianto sincero delle donne .

Lunghi capelli neri su guance di luna

appena ombrate dal rosso pallore del freddo

La bocca era un fico spezzato e i suoi occhi

  pozzi d’ardesia  nella nivea coltre d’inverno

 d’una pelle simile a seta, la dove ogni mistero

avrebbe

                         perso le chiavi del suo  oscuro segreto.                            

Lo avrebbe atteso invano come invano avrebbe

ascoltato null’altro che non il vento stormire tra

le foglie.

Come gocce di un ruscello lontano avrebbe

udito tra il fogliame il tintinnio dei suoi cenni.

Ma Lui non c’era già più in quel mondo,

non era più il Principe  del suo regno,

il Signore delle sue terre, il Dominus del suo

castello, sentiva  bisogno di mutare  il corso delle

 sue cose, cambiare il fato che lo stava avviluppando

come mai così ferocemente era stato nella sua vita.

Come un baco nel suo bozzolo filava le sorti del suo

trasmigrare, lentamente, costantemente nel volgere

del suo pensiero che si cristallizzava nella rinuncia.

Buttò le sue armi a terra e lascio scivolare la

corazza di metallo ai suoi piedi come una pietra

 che precipita nel silenzio della notte, poi diede un

colpo sui garretti del suo cavallo e lo lasciò

andare al suo destino.

Si sedette a pensare alle cose caduche  e al tempo

che stava smarrendo su un fiume troppo impetuoso

da guadare.

Der suchende … der  suchende  si ripeteva tra

labbra morse e sanguinanti, ne aveva consapevolezza

come aveva ben presente le mancanze del suo

cercare, il tragico epilogo della sua vana mèta.

Cercava nelle cose esteriori ciò che non trovava nel

suo io, anzi aveva del suo io la visione di qualcosa

di unico e irripetibile ma più cercava di identificarne

i caratteri più si accorgeva di non conoscerlo affatto,

di avere di esso una conoscenza tanto vaga

quanto quella di un perfetto sconosciuto.

Trovava la superficie delle cose e quanto piu si

affannava più annaspava nelle acque torbide della

sua incapacità di vedere e sentire.

 

 

Si sedette su una pietra come preda dell’ansia,

ma le forze pian piano lo abbandonarono,

la fronte imperlata di sudore  e un disagio che lo

teneva sveglio e palpitante lo proiettavano al di

fuori di sè come un corpo etereo che ha smarrito

la via e il senno..

Tutt’intorno alberi contorti dalle

generose fronde e un verde di cespugli spinosi.

I suoi occhi balenavano come riflessi cangianti

nel brillio dei raggi di un sole splendente e le ore

passarono sui carri del tempo, come anelli di una

catena si fusero le une con le altre, così giunse la

notte e  seguitò il giorno.

Stanco e avvilito, tra i morsi della fame si smarrì,

i giorni si alternarono come le nuvole nel cielo

di marzo mentre lo sguardo si lacerava nel fiume

seguendone il corso.

 

 

Poi giunse la scintilla che tutto incendia, la fiamma

 che spande il calore nei recessi dell’anima e brucia

i covoni ammassati nello spirito come pile di ricordi .

Si alzò di scatto come se il mondo si disciogliesse

davanti ai suoi occhi e di colpo sapesse cosa fare,

in preda al suo pensiero saettante si avviò lungo un

viale d’erba e sassi,  mentre nel suo sguardo la stilla

di un illuminazione profonda aveva l’inconfondibile

segno dell’Uno e dell’Eterno.

In quell’attimo stesso di rivelazione si lasciò alle spalle

le sue vite passate e in quel preciso momento si immerse

come un fanciullo in una nuova vita fatta di promesse e

certezze, di visioni senza inganno e apparenze, anzi le

apparenze divenivano esse stesse verità da sondare e

decifrare immergendosi in esse con tutto il suo essere e

lasciandosene pervadere come quando ci si immerge in

un lago e ci si lascia cadere nel suo fondo fino a toccare il

limo freddo e denso per poi  riemergerne mutati

 nella nuova luce di acque fresche e trasparenti.

Man mano che camminava si liberava degli affanni e

di un velo che lo aveva ricoperto per tutta la sua

esistenza, si spogliava dei suoi vecchi insegnamenti

come una serpe si libera della sua veste  mutando la

sua pelle.

Capiva quanta inconsistenza lo aveva trascinato con sè

e quanti  dogmi lo avevano rivestito di cortecce e idoli,

quante condizioni lo distoglievano dal vivere senza i

vincoli di una liberazione dal dolore e dal proprio io .

Riacquistava dunque  la consapevolezza di se stesso,

del suo Io  pensante da cui tanto era rifuggito in quegli

anni e di cui così poco si accorgeva di conoscere.

Tanto mi è estraneo il Me Stesso che tanto ho vagato

per cercare di distruggerne le catene che mi separavano

da esso
”.. pensò tra  sé e mentre pensava si acquietava

il suo spirito, si ammansiva la sua anima e faceva pace

con l'Io, come due vecchi amici che si ritrovano dopo un

lungo peregrinare tra sofferenze e visioni effimere nel

lungo inverno della vita.

Aveva ritrovato la strada che conduceva a se stesso

 senza bisogno di scarnificare il senso della sua vita e

trovare il mistero tra le rovine della sua dimora,

solo cercando nei segni del mondo, nel vivere del

mondo sentiva la voce che conduce al cuore delle cose.

Ora era semplicemente Lui … l’uno e  il tutto  fusi

nella consapevolezza dell’unicità e della molteplicità,

nella solitudine del mondo aveva ritrovato ciò

che più gli era stato sempre accanto e  in

questa nuova visione di sé  si avviò lungo il corso del

suo fiume tra anse morbide e pennellate da variopinte

chiazze di fiori … mentre il sole indorava le acque che

scivolavano lente verso il suo verde mare …(segue…)

                                                                                               (segue)
Marvelius

 
 
 

Il Bacio Dell'Inverno...

Post n°72 pubblicato il 28 Ottobre 2013 da Marvelius
 

 

 

 

 

Candida è lei come neve tra i monti

 

nel lieve mormorio dell’inverno

 

Ne sento il soffio gelido del petto

 

come mantice su teneri germogli.

 

Non temo il freddo che lega l’orizzonte

 

né il tocco che punge e infiamma gli occhi.

 

È un ago di dolore che snerva le carni

 

un ombra sul cuore che ne confonde i passi

 

Amaro m’è all’anima quel suo morire

 

tra schiuma scarlatta

 

che dalle labbra schiuse

 

tinge e plasma le nostre bianche vesti .

 

Così danziamo tra le nivee coltri

 

come petali tra i nodosi venti

 

nel dolce ultimare

 

dei nostri lesti giorni

MARVELIUS

 
 
 

UN Fiore Reciso...

Post n°71 pubblicato il 23 Ottobre 2013 da Marvelius
 


Un  colpo di frusta

schioccò sul basalto

aprendo una vertigine di ricordi

 precipitandola indietro nel tempo.

Il dolore parve un ricordo

e il disgusto via via svanì

come risucchiato

nel gelo della stanza

mentre l'odore del putridume

e di sudori raffermi evaporò

con l'impeto della carne

 

 

Scie e vortici di colori

pian piano sbiadirono

come coriandoli che snaturano

nel buio della notte

e cadono lenti nell'aria immota

come  neve su greppi imbiancati.

Una musica le rapì la mente

librandola nell'aria

e lei chiuse gli occhi

in quel volo radente

fino ai confini del mondo

Si ritrovò scalza

sull'erba di un verde accecante

Il vento le scivolava lieve

sul viso candido

e i capelli ricci fluttuavano

come schiuma di mare

nel moto delle onde

Si specchiò nelle acque calme

e si rivide fanciulla

coi suoi sogni d'incanto

a immaginare amori dolci ed eterni

come favole senza inganno

Immerse le sue dita

nella corrente del mare

e fu come ritrovare un calore

ormai dimenticato

Dai riverberi dorati

si lasciò attraversare

e nella brezza della sera

il corpo nudo

trovò il conforto

che aveva perduto

nel buio di quella torre

 

 

Poi il suono di brame acerbe

tornò a farsi molesto

e l'olezzo degli umori

bussò alle sue porte

a pungergli la testa

Aghi e cuspidi mortali

le penetrarono la carne

stillando sangue e lacrime d'ombra

E uno stiletto avvelenato

si infisse nell' anima

per togliergli per sempre

sogni ormai infranti

Così nel crollo della sua fortezza

ogni fiore fu reciso

e nel giardino di quella dimora

cadde un velo d'ombra

preda dell'inverno

Ma nel cuore smarrito

una luce

restò fioca ad ardere

a ricordare che un petto

si può pugnalare

e un tempio profanare

ma nulla è piu forte di un anima

che brilla nella notte

come una stella

nel suo firmamento ...

MARVELIUS

 
 
 

Il Destino Siamo Noi...

Post n°70 pubblicato il 16 Ottobre 2013 da Marvelius
 

 

 

"Il destino siamo noi …" pensò

guardandola negli occhi e lei abbassò lo sguardo

e quando lei cercò con coraggio lo sguardo suo

lui già non c’era più …

restava solo il suo come avvolto in una

maschera di pizzo e ombre.

 



 

Le aveva dato la mano per attraversare il filo

lungo del suo orizzonte  ma lei lo aveva lasciato

cadere oltre le stanze del suo fiume …

 
Senza rimpianto, senza emozione, col freddo

incedere dei suoi deserti
s’era mostrata  preda

di una paura senza patria …

 
Ma la paura non è forse figlia di se stessi?

Di un sentimento incerto e senza forza …

di una inconsapevole certezza di un vuoto

 palpitare.

 
Così s’era spento ciò che mai aveva arso,

s’era bagnata la miccia  prima ancora che una

scintilla scoccasse tra immagini fatue e

impalpabili e un campo coltivato a ortiche.

 
Vuote parole, scialbi sussurri e ore piene di sbadigli,

immensi silenzi, prove dettate dai propri errori e dai

dubbi di una fragile condizione di aridi sentimenti

che scolorano nelle scelte mancate …

 
E restano senza rimpianto, senza emozione col freddo

 incedere dei suoi deserti
… ma non’è l’inizio un

espressione anticipata di ciò che sarà?

Non da il sentire immediato già il senso di quel che è

 … e che non si vuol vedere trascinandosi nei vuoti

androni di una routine che riempie buchi e vuoti senza

il sale della passione?





Così volse i suoi occhi su di lui senza altro da chiedere

ne altro da dire, senza più nulla da dare accettando un destino

 che sempre aveva assecondato nell’attesa di un futuro

 da vivere giorno per giorno, senza fantasia e speranza,

come un morso insapore giorno per giorno fino alla fine,

così senza quell’illusione propria dei veri  amanti

lei sapeva, nella sua triste dimensione, che la fine

 sarebbe presto arrivata  …


Per lui tutto questo era stato un denso viaggio nel cuore

dell’estate, si era immerso nelle acque cristalline del suo

 vivere d’incanto, arrampicato sugli alberi alti della foresta

per scrutare lontano, oltre l’orizzonte maturo, oltre il delta

del loro fiume, e in quelle acque aveva nuotato

 immergendosi fino a toccare il fondo e risalendo respirare

 l’aria fresca del bosco. Aveva dato fondo alla sua anima

di librarsi in volo e planare sui greppi oltre le bianche

scogliere.

Ai suoi occhi aveva concesso le chiavi dei suoi

sogni e lasciato aperte le porte del  suo cuore  fino a

 riempirlo d’ogni gioia come un forziere stipato di tesori

nascosti nel fondo del mare. Ma quei tesori si era accorto

di quanto leggeri ora fossero e li lasciava cadere, tratti

dal suo scrigno, uno a uno nelle acque stagnanti di quel lago

abbandonato persino dai pesci …




Restavano gli occhi di lei su di lui mentre il sole si

inabissava  nelle acque che divampavano nella sua luce.

E lui che aveva già sconfinato oltre rise del destino e

delle effimere apparenze, sorrise dei dubbi e delle

paure della gente, ma di più ebbe indulgenza di quanta

poca profondità si circonda la moltitudine degli

insoddisfatti, di coloro che vivono volendo e non

volendo,  sempre tesi ad una scelta tra un paniere di

voglie, in bilico tra cosa fare e non fare, nascosti tra

le immagini distorte di se stessi, sicuri di non

rimpiangere nulla e alla fine rimpiangendo persino

se stessi …

 

MARVELIUS

 
 
 

OLTRE LE OMBRE ...

Post n°69 pubblicato il 24 Settembre 2013 da Marvelius
 

 

 

Era seduto con le gambe incrociate su un candido
cuscino imbottito di piume.
Ai piedi dei morbi calcesi di camoscio dipinti di
verde e nelle mani emaciate un flauto di legno di bamboo.
Una tunica scura lo ricopriva fino alle gambe poi
delle  brache dello stesso colore lo fasciavano
morbidamente sino alle caviglie nude, una stola bianca
gli cingeva il fianco e ne slanciava il fisico consumato
dalla malattia ma non ancora piegato dal dolore che
pativa con stoica dignità.
Duri inverni nel buio del suo sguardo rendevano il
viso  una maschera scolpita di melanconia e fierezza.
La testa ingentilita da una chioma bruna con riflessi
viola e striature ramate come le fronde di un
acero sul finire dell’autunno.
La fronte segnata da rughe scavate da pensieri mai domi
come solchi di fiumi di sorgente nel pieno dell’estate.
Lei si tolse il cappello e lo tenne tra entrambe le mani
in un silenzio composto e nel rispetto che sentiva di
donare a quell’uomo cosi orgoglioso che neanche
le sue ferite erano riuscite a flettere … lacerti pulsanti
di un male che lo avrebbe portato con sé negli oscuri
cubicoli di un altro tempo, cicatrici che non sarebbero
guarite nella sua anima, come piuma che ondeggia in
un vuoto rimestato dal vento.

 

 

Lo guardò con un velo di tristezza e di compassione,
scrutò le sue labbra immobili come rive di un mare
bagnate dalla schiuma e dal mormorio di acque che
 giungono da lontano raccontando storie perdute
nei lampi di vite trascorse nella memoria del tempo  .
Il naso dritto e il viso così scarno che la pelle le
sembrò trasparente e levigata come ossa
imbiancate sotto un sole cocente.
Sentì il cuore battere  come un tamburo percosso da
mazze di cuoio mentre la figura di lui gli appariva 
ancora altera e semplice nello stesso tempo, come una
statua di un dio silente e un virgulto di cedro proteso
al sole fecondo di marzo.
Il suo sguardo si posò sui suoi occhi socchiusi sul
momento, un soffio nel crepuscolo  sospeso tra un
respiro leggero e il mantice morbido del petto e nel
silenzio di quell’attimo, da cogliere con la forza di
un pensiero che sfiorava  l’eternità, una lacrima
si sciolse nel calore delle guance .
Poi per un istante vide le sue pupille schiudersi su
quel mondo avaro di luce e dentro di lei sentì un nuovo
 sussulto, un alito di speranza e il cielo squarciarsi sotto
 la luce di un astro potente che scaccia le ombre della notte.
Provò a fissarne i limiti e le profondità nel brillìo delle
sue iridi spente dal fato che ne rapiva i colori e ogni
barlume d’alba incolore.
Restò salda  nello stupore e nel disagio di quegli occhi
senza luce, del bianco pallore di quelle vitree perle.
Aghi di un dolore malfermo gli si conficcarono nelle
viscere e un bruciore molesto prese possesso della
sua carne.
Eppure lo sguardo dell’uomo era fiero e senza
rimpianti mentre lei sentiva il cuore al colmo di una
commozione così forte da stingergli la gola serrandogli
il respiro e in quel ruvido cercare d’aria comprese
quanto desiderio avesse dentro, quanta condivisione
 li unisse in un abbraccio immortale trasportandoli oltre
 il buio di quel mondo … oltre la notte dei loro diversi
 destini .
Per un attimo chiuse gli occhi come preda di un
sentimento aspro che non riusciva a contenere, così
volse la sua vista intorno a sé e in quel sostare si
immerse nei colori di una natura lussureggiante che
pennellava tutte le declinazioni della gioia della terra.

 

 

Vide le trasparenze delle acque, i guizzi argentei dei
pesci e le loro ombre lungo la corrente del lago, si lasciò
conquistare dalle vette innevate dei ghiacciai chiusi nella
loro ombra di ghiaccio mentre il vento la trasse
immergendola nei profumi dei fiori che ondeggiavano
con le loro corolle sotto le carezze di un caldo  soffio.
Prati multicolori  su sprazzi di verde e il brullo colore
della terra la trascinavano negli spazi infiniti e nelle tinte
smaglianti create da un genio che nessun artista avrebbe
mai eguagliato.
Poi a destarla fu il volo radente delle rondini e le ardite
picchiate di un falco nell’azzurro del cielo e così cedette
al desiderio di lui, tornando sui suoi passi come una
colomba che  volge  indietro il suo volo , in cerca del
suo compagno, come un ramingo volgere sul sentiero
 dei suoi lesti anni che sentiva trascorsi come una
 scintilla che subito scocca e lesta si consuma nel
volgere delle ardite fiamme.
Lo vide immerso nel suo silenzio, nelle stanze dei suoi
freddi  inverni dove il sole fuggiasco se ne era restato in
ombra, come una lunga notte di cui non si scorge la fine
 e nelle ombre egli vagava  solitario come i suoi pensieri .
L’aria che respirava lo conduceva per i prati della sua
esistenza nella visione dei suoi spazi e come un velo
svolazzante sul cippo di una  torre preda del vento egli
scuoteva le sue ansie e i suoi desideri, affidandoli alle
meraviglie della sua memoria e alla speranza sacrificata
al buio della sua vita che ormai volgeva al termine.
Avrebbe solcato la soglia della sua dimora verso i
giardini della sua nuova stagione, mentre un sorriso lo
 avrebbe accompagnato nei ricordi della sua infanzia.
Si morse le labbra per frenare le lacrime o per sentirne
il dolore che l’avvicinasse a lui … ne provò compassione
ma anche qualcosa d’altro che conosceva bene e che la
faceva sanguinare dentro.
Ingoiò l’aria come fossero serti di spine e stillò sangue
 nella carne tenera e smossa da un emozione forte che ne
devastava la superficie come lamine taglienti.
Così lo vide ancora giovane nel pieno di una forza senza
limiti e lo vide vecchio senza la visione del suo tempo,
e in quel muto disagio fermò l’attimo per condividere nel
pensiero le meraviglie del creato.
Quando il suo cuore sembrò esplodere
sotto l’onda di quel pensiero e delle frange di un emozione
non trattenuta,  lui aprì le sue palpebre fissandola negli
occhi e lei si sentì come spogliata fin dentro l’ultima postilla .
Per un lungo momento sentì che quello sguardo era vivo e
vigile dentro di lei, poi l’uomo portò alle labbra il flauto e
si mise a suonare senza smettere di fissarla negli occhi .
Pozzi d’acqua incolore i suoi dove gli  smeraldi di lei
si specchiavano come luce di luna  su acque stagnanti
Le sue pupille che poco  prima erano di un bianco spento
ora riflettevano la luce dei suoi occhi e a lei sembrò che
ora potessero vedere, che acquistassero il verde campo
delle sue iridi, come un faro che squarcia il buio delle
tenebre così erano  ora i suoi occhi dentro di lei .
Quando ebbe terminato l’ultima nota  lui posò il flauto
sulle sue gambe e chiuse gli occhi, piegò appena la testa
come scosso da un sentimento che provava a fuoriuscire
dal suo animo ma trattenne il respiro e una commozione
 malcelata, poi sotto uno sforzo che gli rapì le ultime
forze
alzò nuovamente il capo e con voce vibrante le disse ...
”La luce non’è solo quella che entra da queste finestre

ma è anche quella che filtra dal cuore … Vorrei partire
portando con me questo flauto e il colore dei tuoi occhi”.

Lei ebbe un fremito e senti che il sangue l’aveva abbandonata,
un freddo intenso le ghermì ogni estremità e brividi e
sudori le percossero la schiena … restò muta nel silenzio
di uno spazio che solidificava il respiro.

 

 

Poi lui alzo il braccio quel tanto da cercare di toccarla e
lei fece lo stesso andandogli incontro … le loro mani
si sfiorarono e le loro dita si intrecciarono come virgulti
di vimini o canapi di mare …
Ti ricorderai di me ?
Le  sussurrò con la voce rotta dal respiro corto
“Per tutta la mia vita rispose lei”
e la sua voce tremante risuonò nell’aria come il suono
argentino di una cascata  di montagna..
Lui sorrise e la trasse lentamente a sé … quando sentì
il suo
respiro vicino al suo viso aggiunse dolcemente
“Ti porterò con me dovunque andrò
nel volo di un falco sarò con te,

come nel soffio dell’estate,
nella schiuma del mare sulla roccia che infrange,
come nella pioggia che sposa la terra …
cercami in tutte le cose che i tuoi occhi vedranno
il tuo cuore saprà trovarmi come il mio saprà starti
sempre accanto”

e dicendo queste parole poggiò
il capo sul suo petto mentre le ciocche dei suoi capelli
gli ricaddero sulle tempie nascondendogli il viso.
Il dolore lo avvolse in un mantello di sale mentre
 lei, tra lacrime trattenute e singulti silenti, cullava i
suoi gemiti col calore della sua anima.

Marvelius

 
 
 

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