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LA LEZIONE DEL LUGLIO 1960

Post n°40 pubblicato il 05 Luglio 2010 da ivanfi

Ricorre in questi giorni il 50° anniversario dell'eroica Rivolta antifascista e anticapitalista del Luglio '60 contro il governo fascista Tambroni. Un avvenimento storico che rappresentò per molti aspetti una continuazione della gloriosa Resistenza e anticipò e preparò la Grande Rivolta giovanile e operaia del Sessantotto e quella del Settantasette, e come questi merita di essere ricordata e onorata per sempre e costituire una perenne fonte di ispirazione e di insegnamento per le nuove generazioni di antifascisti e anticapitalisti.
La Rivolta del Luglio '60 fu una rivolta di massa antifascista, perché fu la risposta di massa alla provocazione del governo fascista e golpista Tambroni, da poco costituito dalla DC con l'appoggio del MSI, e che aveva concesso al ricostituito partito fascista di Michelini e del boia Almirante di tenere il suo VI congresso nazionale a Genova, città spiccatamente operaia e antifascista e medaglia d'oro della Resistenza. Ma fu anche una rivolta giovanile e di classe dai forti connotati anticapitalisti, perché vide scendere in campo la classe operaia allora in forte ascesa, non solo quella che aveva sofferto il fascismo e aveva fatto la Resistenza, ma anche le nuove generazioni di lavoratori adolescenti o appena ventenni, gli eroici giovani delle "magliette a strisce", che si affacciavano allora sulla scena e che erano troppo giovani per aver partecipato attivamente al movimento partigiano, ma che tuttavia avevano assorbito lo spirito liberatorio, antifascista e di classe di quella straordinaria e ancora recente epopea.
Fu anche una Rivolta di piazza spontanea, che cominciò il 30 giugno con un grande sciopero spontaneo a Genova per impedire il congresso fascista, che poi si trasformò in una fiera battaglia di tutta la città contro i reparti più feroci e addestrati della famigerata "celere" creata dall'allora ministro dell'Interno Scelba, che il governo aveva scatenato a freddo contro i manifestanti per stroncare sul nascere ogni protesta contro l'infame provocazione fascista. Dando invece con ciò il via ad una catena di scioperi, manifestazioni e scontri di piazza che si estesero in tutto il Paese fino alla lontana Sicilia, e che durarono ininterrottamente fino al 19 luglio, con la caduta del governo Tambroni.

Il sangue versato dagli antifascisti
Molto fu il sangue versato dal popolo e in particolare dai giovani in questa eroica lotta che il governo diede ordine di reprimere senza pietà, facendo anche sparare ad altezza d'uomo. I feriti e gli arrestati si contarono a centinaia, e ci furono anche dieci caduti sotto il piombo dei poliziotti assassini: il primo, Vincenzo Napoli, un giovane operaio di 25 anni, viene ucciso il 5 luglio a Licata (Agrigento). Il 7 luglio tocca a Reggio Emilia pagare il contributo di sangue più alto, con l'uccisione di 5 manifestanti: Lauro Farioli, 22 anni; Marino Serri, 41 anni, operaio ed ex partigiano; Ovidio Franchi, 19 anni, operaio; Emilio Reverberi, 39 anni, operaio ed ex partigiano; Afro Tondelli, 36 anni, operaio ed ex partigiano. Il giorno dopo cadono a Palermo Andrea Gangitano, 19 anni, operaio edile, Francesco Vella, 42 anni, e Rosa La Barbera, 54 anni. Lo stesso giorno, a Catania, la polizia fascista uccide Salvatore Novembre, operaio disoccupato di 22 anni e ferisce altri sei manifestanti. I nomi di questi martiri rimarranno impressi per sempre nella memoria della classe operaia e di tutti gli antifascisti italiani.
Con la caduta di Tambroni la classe dominante borghese capisce che la via della restaurazione diretta del fascismo in Italia per reprimere l'ascesa del movimento operaio è preclusa e quindi cambierà strategia aprendo al PSI e ai governi di "centro-sinistra". La stessa strategia che userà in seguito col PCI revisionista, che dopo il '56, con l'adesione alla "destalinizzazione" kruscioviana e l'abbandono di ogni prospettiva rivoluzionaria, per scegliere la "via italiana al socialismo" e le "riforme di struttura", aveva già cominciato il lungo processo che lo porterà fino alla sua dissoluzione e alla piena integrazione nel sistema capitalistico del superstite gruppo dirigente di formazione togliattiana.
Il PCI revisionista di Togliatti, infatti, non promosse né guidò la Rivolta del Luglio '60, così come farà nel Sessantotto e nel Settantasette, ma cercò semmai di cavalcarla e di metterle le briglie, come aveva già fatto con l'insurrezione del 1948, adoperandosi per spengerla e accontentandosi di capitalizzarla elettoralmente nell'ambito della allora sua strategia socialdemocratica di graduale avvicinamento legale al governo borghese. Ben diversi avrebbero potuto essere invece gli sviluppi rivoluzionari di quella lotta di massa, che aveva riacceso improvvisamente il fuoco della Resistenza che covava ancora sotto la cenere, se alla sua testa vi fosse stato allora un autentico partito proletario e marxista-leninista.

Riscoprire e recuperare quello spirito di lotta
In seguito i rinnegati e liberali della "sinistra" borghese hanno cercato di rimuovere questo grande e rosso avvenimento storico dalla memoria del proletariato e delle nuove generazioni, così come hanno fatto col '68 e il '77. Al massimo, come per la Resistenza, hanno cercato di ridurlo artificiosamente a un episodio del lungo processo di "democratizzazione" del Paese, che a loro dire oggi sarebbe finalmente compiuto dopo la caduta dei "muri" e degli "steccati ideologici". Ma non è così. Il suo valore antifascista e anticapitalista non può essere cancellato o mistificato. Esso è stato di esempio e fonte di ispirazione per la grande stagione rivoluzionaria del '68-69 e del '77, e ancora oggi ha molto da dire e da insegnare alle nuove generazioni operaie e studentesche che si affacciano alle lotte sociali e politiche.
Oggi che il fascismo è stato restaurato in Italia sotto nuove forme, nuovi metodi e nuovi vessilli dalla classe dominante borghese in camicia nera, e che il neoduce Berlusconi sta smantellando ad una ad una le stesse libertà e istituzioni democratico-borghesi e massacrando le masse con una macelleria sociale senza precedenti, c'è bisogno più che mai di riscoprire e recuperare lo spirito di sacrificio e di unità, l'indomita volontà di lotta, il coraggio di osare pensare, osare parlare e osare ribellarsi contro i reazionari, fino ad abbattere il nuovo Mussolini e il suo governo neofascista, piduista, razzista, mafioso e antioperaio, che ebbero i giovani delle "magliette a strisce" del Luglio '60 nell'affrontare ed abbattere il governo fascista e assassino di Tambroni.
Quella battaglia fu vinta non nelle aule parlamentari ma nelle piazze, con la lotta di massa di milioni di lavoratori e giovani antifascisti che si mobilitarono e scesero in campo uniti per sbarrare la strada al ritorno al potere della canaglia fascista. È questa la sola opposizione che il nuovo Mussolini teme veramente e che può sbalzarlo di sella, non certo quella di cartone della sempre più suonata e arrendevole "sinistra" parlamentare, che si accontenta di strappare qualche miserevole "riduzione del danno" mentre costui moltiplica le leggi liberticide e ad personam, assoggetta la stampa e la magistratura, devasta la scuola, la sanità e i servizi sociali, attacca i diritti sindacali per riportarli indietro di cinquant'anni come chiedono Marchionne e la Confindustria, e invoca il presidenzialismo per sancire anche legalmente i pieni poteri mussoliniani che già esercita di fatto.
Questo è l'insegnamento che i combattenti e i martiri antifascisti del Luglio '60 ci hanno consegnato: con la lotta di massa e di piazza è possibile abbattere un governo fascista, ieri quello di Tambroni come oggi quello di Berlusconi.

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