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Scienza & Uomo

Post n°188 pubblicato il 01 Settembre 2008 da mjkacat

In tutte le psicologie che riducono l'uomo a un oggetto, soprattutto in
quelle dei nostri naturalisti, come Freud, Bleuler, Monakow, Pavlov, ecc.,
troviamo una spaccatura, ossia una fessura dalla quale appare chiaro che non
è tutto l'uomo, cioè l'uomo come totalità, che giunge alla elaborazione
scientifica.  Dappertutto troviamo "qualcosa" che sommerge e fa saltare i
confini di una simile psicologia; e questo "qualcosa", che non viene degnato
di uno sguardo dallo psicologo naturalista, per l'antropologo è invece
proprio il fattore decisivo.  Limitandoci a Freud basta aprire una pagina
qualsiasi dei suoi scritti, per trovarvi questo "qualcosa".
Per esempio egli parla della struttura e del funzionamento del NOSTRO
apparato mentale, oppure della NOSTRA mente in quanto prezioso strumento a
mezzo del quale ci manteniamo in vita; inoltre parla della NOSTRA vita
mentale, oppure dei NOSTRI pensieri.
In tutti questi possessivi si parla di un essere che viene considerato
ovvio, e che ovviamente viene omesso: si parla cioè della PRESENZA COME
NOSTRA PRESENZA.  Lo stesso vale naturalmente anche per i PRONOMI PERSONALI
come : io penso, io preferisco, lui crede, lui racconta, lui si ricorda, lui
ha dimenticato, lui si rifiuta, io gli chiedo, lei mi risponde, noi abbiamo
stabilito, noi confidavamo nel futuro, noi eravamo d'accordo, ecc.  Anche
qui si parla di una presenza in quanto MIA, SUA, ecc., e di una
comunicazione tra presenze o di un rapporto interumano ovvero "tra-noi",
cioè di un rapporto tra una persona e un suo SIMILE, ossia un'altra persona.
Se si omette questo MIO o NOSTRO, questo IO e LUI o NOI, si ottiene il
risultato che la psicologia diviene si "impersonale" e "oggettiva", ma allo
stesso tempo perde il carattere scientifico di un'autentica psicologia e
diventa una scienza naturale.
Freud esamina l'uomo colla stessa "oggettività" e colla stessa dedizione
esistenziale "all'oggetto", colla quale ha esaminato nel laboratoria di
Brucke la MEDULLA dell'ammoceto-Petromizonte (la larva di lampreda), lì con
l'occhio reso più penetrante dal microscopio, qui con l'orecchio reso più
sensibile dalla sua infallibile consapevolezza e sensibilità per le
"situazioni umane".  Alla comunicazione reciproca e 2personale" del rapporto
"tra-noi" si sotituisce la relazione unilaterale e cioè irreversibile del
medico col paziente, e quella ancora più impersonale del ricercatore con
l'oggetto della sua ricerca teoretica.  Dall'esperienza, dalla
partecipazione e dal dialogo interumano e "presente"  è sorto l'esame
teoretico di un "preterito".  In questo modo Freud giunge ad un'IMMENSO
SAPERE sull'uomo come creatura scissa, sofferente, in lotta, che vela e
disvela se stessa; egli ha servito e soddisfatto la scienza (naturale)
dell'uomo come nessuno prima di lui e forse anche come nessun'altro dopo di
lui.

Ma ormai sappiamo che la scienza naturale non esaurisce la totalità
dell'esperienza umana dell'uomo. Dato che essa omette la persona e la
comunicazione e, come vedremo in seguito, il Sé e il significato o senso;
dato che insomma omette l'esistenza, essa non può spiegare perchè in realtà
l'uomo si assume la divina missione di essere produttivo nella ricerca della
verità scientifica, facendone il fondamento e il senso della propria
esistenza, soffrendo e combattendo per essa, ritrovandovi la propria forza e
la propria missione da compiere fino in fondo con eroica perseveranza contro
la resistenza di un mondo ottuso.

In questo modo abbiamo allargato la fessura di cui parlavamo.  La psicologia
naturalistica (una contraddizione in termini) non degna di attenzione
scientifica il fatto antropologico originario (anthropologische Urtatsache)
che la presenza è sempre, MIA, TUA, NOSTRA, e che noi ci comportiamo sempre
in qualche modo sia nei confronti del concetto astratto di corpo che nei
confronti di quello di anima, inoltre essa ignora anche l'intero campo dei
problemi ontologici legati alla questione di CHI sia effettivamente quello
che si comporta in questo modo, cioè alla questione del Sé.  Se questo Sé
viene oggettivato, isolato, e teorizzato in un Io, o in un Es, un Io, e un
Super-io, esso viene esiliato dal suo vero campo di presenza, cioè
dall'esistenza, e viene soffocato in senso ontologico e antropologico.
Invece di seguire questo problema antropologico fondamentale, invece di
RICERCARE se stesso come Eraclito, o di TORNARE IN SE STESSO, come Agostino,
Freud (e con lui tutti gl'altri ricercatori che abbiamo menzionato) scavalca
il problema del Sé come se fosse qualcosa di ovvio. E' proprio qui che si
vede come esistano due vie per fare della psicologia; l'una porta lontano da
noi verso la fissazione teoretica, cioè verso la percezione, l'osservazione,
l'esame e la distruzione dell'uomo reale allo scopo di COSTRUIRE una sua
immagine scientifica (un apparato, un "meccanismo di riflessi", una totalità
funzionale, ecc.); l'altra porta "in noi stessi", non in un senso
ANALITICO-PSICOLOGICO (ché non faremmo altro che ridurre proprio noi stessi
ad oggetti) o CARATTEROLOGICO (ché ci oggettiveremmo di nuovo nella
direzione della nostra "tipologia" psicologica individuale), ma nel senso
antropologico, cioè nella direzione delle condizioni e delle possibilità
della presenza IN QUANTO NOSTRA PROPRIA presenza oppure, ma è lo stesso,
nella direzione della maniera e delle modalità possibili del nostro
esistere.  Questa via "in noi stessi" si riferisce in primo luogo al Sé
della particolare esistenza del ricercatore e a quello su cui egli sta sul
fondamento più propriamente e veramente suo, cioè alla presenza che egli ha
assunto come propria in quanto egli CREA NEL FONDAMENTO DELLA SCIENZA e
ricerca, costruisce, ed esprime la vertà scientifica NEL mondo e CONTRO il
mondo.  Per i ricercatori di cui abbiamo parlato tutto ciò costituisce una
premessa ovvia; invece è ciò che è meno ovvio di tutto, e proprio quello che
viene cercato e indagato da una psicologia che non voglia essere solo una
scienza naturale, ma appunto una PSICO-logia.

Ludwig Binswanger

 
 
 
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