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Il Desiderio III° Parte

Post n°325 pubblicato il 07 Marzo 2009 da mjkacat

 

 

LA VERITA' SFIORATA



  A questo punto credo che saremo già tutti convinti dell'abilità e delle
  nuove forme di violenza.
  Torniamo allora a quel Nietzsche a cui accennavamo all'inizio
  Paradossalmente, in realtà, è quello che più di tutti s'avvicina a capire
  la rivoluzione portata da Cristo

  Il mito di Dioniso racconta dell'uccisione di quel dio, , che è un
  bambino, attraverso lo "sparagmòs", la vittima fatta a pezzi,  e l'"omofagia",

  la vittima divorata cruda, ad opera dei Titani, a cui segue la reazione di
  Giove che uccide i Titani e fa resuscitare il bambino.

  Per inciso va ricordato che conseguentemente, Giove, dai brandelli dei
  Titani fa gli uomini che son quindi contemporaneamente VIOLENTI, causa
  la natura titanica, e DIVINI causa il dio che avevano appena divorato.

  Quindi nel mito di Dioniso è presente il momento della morte violenta
  seguita da resurrezione, proprio come nella storia di Gesù, che per
  Nietzsche non è storia ma mito, questo va da sè.

  Ma i due casi, quello di Dioniso e quello di Cristo, non sono affatto
  simili.  Il fatto che si tratti in entrambi i casi di "martirio", cioè di
  vittime uccise dalla VIOLENZA umana, può trarre in inganno, ma la
 differenza c'è ed è essenziale.

  Nel caso di Dioniso si ACCETTA la violenza della vita nei suoi
  meccanismi vittimari; nel caso di Gesù la si RIFIUTA

  "Dioniso contro il Crocifisso; eccovi l'antitesi. Non è una differenza in
  base al martirio - solo esso ha un ALTRO SENSO.  La vita stessa, la sua
  eterna fecondità e il suo eterno ritorno determinano la sofferenza, la
  distruzione, il bisogno di annientamento... Nell'altro caso il dolore, il
  Crocifisso in quanto INNOCENTE" valgono come OBIEZIONE contro
  la vita, come formula della sua condanna."

  "La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie - è 
  dura, è piena di auto superamento, perché abbisogna del SACRIFICIO
  dell'uomo.

  E questo pseudo umanesimo che si chiama cristianesimo vuol giungere a
  far sì che NESSUNO VENGA SACRIFICATO"


  Ora, che conclusioni si traggono da tutto questo ?
  Che Nietzsche ha colto perfettamente il NUCLEO psicologico dell'Uomo, la
  VIOLENZA di cui sono impregnati, ma lo sviluppa BANALMENTE, non
  facendo altro che ricoprire solamente con parole nuove e altisonanti
  quello , che in realtà, è sempre stato fatto da tutti e dappertutto e non facendo
  altro che perpetuare le radici di tutte le guerre.

  Cristo, viceversa, RIVOLUZIONA autenticamente il tutto e se, evitando la
  malafede di crociate e inquisizioni, lo si guarda con occhi attenti, se ne
  coglierà molto facilmente l'autentica natura pacifista.




AUTOREALIZZAZIONE




  Abbiamo dovuto fare questo lungo excursus sulla violenza perché senza
  di questo non avremmo mai potuto chiarire la vera natura del desiderio
  Emmanuel Levinas, il grande filosofo lituano di origine ebraica,
  afferma sinteticamente che IL DESIDERIO E' IL BENE stesso
  Potremmo anche, un po' forse forzando il concetto, che
  IL DESIDERIO E' LA CARITA' stessa,
  se è vero, come è vero, che ci "porta fuori da noi stessi" per
  cercare l'Altro, dal quale, in ultima istanza, desideriamo solo "essere
  amati".
  Ovvio, quindi, stante queste premesse, che per chiarire il desiderio-bene
  non si potesse fare a meno di illustrare innanzitutto il suo antagonista
  violenza-male

  Ecco che ora possiamo cominciare a trarre le prime conclusioni partendo
   da quel'"archetipo" dell'Ecumenismo che è stato San Francesco.

  Francesco, quindi, ora possiamo cominciare a comprenderlo meglio,
   lungi dal "sacrificarsi" rinunciando ai suoi beni è stato semplicemente
  una persona che aveva capito tutto.
  Si libera di quei be-ni, che son pur sempre be-ghe, per sì farsi sacro
  (sacri-ficere), ma per star benissimo, mica malissimo come credono gli
  stolti !!
  Ecco da dove nasce la misteriosa "letizia" francescana
  Nel riconoscimento che l'istanza più profonda dell'uomo, quel desiderio
  che abbiamo studiato fin'ora, può venir appagato SOLO nell'Essere che,
  liberandosi dall'Avere, leggero, VOLA!!

  Il grande scrittore irlandese C.S. Lewis diceva che come chi, arrivando
  all'Inferno s'accorgerà d'esserci sempre stato, così chi, come Francesco ,
  arrivando in Paradiso  si sarà accorto di esserci sempre stato.
  Ma non come premio
  Solo come prosecuzione
  E non per rinuncia
  Ma per acquisizione
  Libera, della più autentica Libertà


  La Santità è il desiderio più proprio dell'uomo perchè, fatto ad immagine
  e somiglianza di Dio e come Questi può solo sentirsi appagato nell'Amore.

  Lo Spirito Santo stà al Desiderio
  come la corrente elettrica alla spina

  Ricapitolando, quindi, abbiamo iniziato con il "desiderio di unità" per
  "necessità", stante l'imperante "violenza".
  Liberati SOLO da Cristo possiamo ora parlare del desiderio di unità,

  SOLO ORA, autentico, libero, vero

  Dal desiderio di unità per RICEVERE protezione al desiderio di unità per
  DARE protezione
  Solo un essere intrinsecamente PRIVO di violenza ce lo poteva donare
  Un gabbiano che stava ai pesci come Cristo agli uomini
  Uno di un'altra razza, di un altro pianeta, di un altro mondo.
  Da dove venisse ognuno è libero di scatenare la propria immaginazione, ma
  non mi si dica che era solo un uomo, sebbene fosse anche COME uno di noi.
  Sarebbe come confondere Shakespeare con un pazzo solo perché entrambi
  dotati di fantasia ma, mentre Shakespeare era un genio che coniugava
  fantasia e realtà generando così immaginazione; il pazzo coniuga fantasia e
  sogno,generando così, viceversa, dei mostri

  A questo punto dovremo allora cominciare a parlare di AUTOREALIZZAZIONE,
  anche se in realtà non è mai un "auto" ma sempre un ETERO-realizzazione
  Ci stiamo quindi sempre più avvicinando a quel "NOI" dal quale eravamo
  partiti, quel "desiderio di unità" che, a questo punto, diventa OVVIO,
  nella sua intrinseca semplicità.

  Dobbiamo solo precisare preventivamente, per poter poi dedurre a come si
  giunga dal'"autorealizzazione" alla "eterorealizzazione", delle quattro
  dimensioni antropologiche dell'uomo:

  Dovremo quindi premettere alcune considerazioni sulla RELAZIONALITA'


  Freud, con la sua nota affermazione che "...abbiamo bisogno degli altri",
  nonché con il Transfert, vero e proprio perno della psicoanalisi, dimostra
  l'indubbio primato della RELAZIONE nella vita dell'uomo

  Tale "relazionalita", "intersoggettività", non è tanto da ascriversi a un
  bisogno o ad un desiderio ma è parte STRUTTURANTE di fondo dell'essere
  umano stesso.
  Non c'è possibilità di scelta.
  E' così e basta.

  RELAZIONALITA', si diceva, innanzitutto, quindi :

  A) CON SE STESSI;
  L'uomo nello stesso tempo è corpo e ha un corpo: questa duplice qualità
  fonda le sue relazioni (peculiari rispetto agli animali) con il mondo e la
  storia: il fatto di "essere" corpo pone l'uomo in relazione di immanenza
  con il mondo, così che l'uomo non può pensare né agire senza dipendere
  dal suo corpo e dalla materia; il fatto di "avere" un corpo pone l'uomo in
  relazione di trascendenza con il mondo, così che l'uomo non si esaurisce
  semplicemente nella sua corporeità e in una serie di rapporti materiali, ma
  mantiene la coscienza e la libertà che ne regolano l'agire.  E' attraverso il suo
  corpo che l'uomo entra in relazione con gli altri uomini e con la natura.
  L'integrazione della corporeità nella definizione di "persona umana",
  conduce coerentemente ad ammettere che la persona è essenzialmente
  relazionata al "mondo", nella sua duplice eccezione di "società" e di
  "natura".  Il discorso sulla corporeità è perciò, in ultima analisi, il
  fondamento di quanto ora diremo circa i rapporti interumani e i rapporti
  con la natura.

  Quindi, dal primo tipo di "relazionalità" passiamo al secondo:

  B) L'UOMO IN RELAZIONE CON GLI ALTRI UOMINI:
  Lévinas ben sintetizza: "l'apertura al Tu è costitutiva dell'Io" ; la
  persona umana, cioè, non può realizzarsi che nell'alterità, nel darsi
  agli altri e nel ricevere dagli altri.
  La soggettività umana è essenzialmente intersoggettività.
  Nell'incontro con gli altri uomini, l'uomo si trova di fronte ad un "tu"
  personale come lui, di cui non può disporre come dispone delle cose.
  La realtà del "tu" è situata oltre i rapporti di utilità o di mezzo per
  l'auto-realizzazione del"io"
  L'alterità del "tu", non è di subordinazione ma di comunione:  L'altro, 
  con la sua dignità di persona, pone un divieto alla libertà del'"io": un
  "no" che può essere superato solo con il "si" della accettazione dell'altro
  come valore intangibile, non a motivo di sue particolari qualità ma 
  semplicemente della sua dignità di persona.  Il rapporto con l'altro
  domanda, in una parola, "rispetto" : il contrario del rispetto è la
  "strumentalizzazione".
  L'apertura di ogni uomo agli altri non si esaurisce, però, nei rapporti
  interpersonali: ogni persona appartiene alla comunità UMANA.  Questa
  appartenenza si manifesta in un'esperienza che nello svolgimento dei
  secoli è diventata sempre più cosciente e che, al tempo nostro, ha assunto
  notevole importanza: l'esperienza di comunione di coscienza, pensiero e
  libertà, di convinzione e, soprattutto, di comune destino di tutta l'umanità
  del mondo.
  Un'esperienza tanto radicale nell'essere umano che ripetuti terribili
  conflitti e guerre lungo il corso della storia non l'hanno potuto
  distruggere.  Oggi, tale esperienza è espressa col termine solidarietà
  designante la RADICE ONTOLOGICA della comunità umana, ossia il vincolo
  ontologico che unisce ogni uomo con tutta l'umanità.  Si tratta, pertanto,
  di una dimensione fondamentale dell'essere umano, dalla quale scaturisce
  l'impegno a tutti comune di collaborare al bene della comunità umana e al
  progresso delle sue strutture.
  La comunità umana non è una persona collettiva sopraindividuale: se così
  fosse, ogni persona perderebbe la sua specificità (coscienza e libertà)
  per assommarla in una "superpersona" e sacrificarla ad essa; il fondamento di
  ogni comunità adeguata alla dignità umana resta l'essere personale
  dell'uomo; il "collettivismo" non è conforme alla dignità della persona
  umana.
  D'altra parte però la comunità umana non è neanche semplicemente la somma
  numerica delle persone che la compongono, ma "una realtà qualitativamente
  nuova" in rapporto ad essa, perché nella comunità le persone sono unite
  proprio come persone, ossia come comunità di coscienza e di libertà, e non
  per un legame che sia esterno a esse.
  In conclusione di questo punto, quindi, possiamo dire che il senso non
  riposa semplicemente in se stessi, non è solo auto-realizzazione, ma
  riposa negli altri, è etero-realizzazione.
  Questa non va' però intesa nel senso del Potere, che di Giulio Cesare o
  Napoleone ricordiamo a malapena il nome e svogliatamente le gesta, ma nel
  senso di "servizio", che di Dante e Shakespeare siam ancora allievi e lo
  saremo durevolmente.

  Vi è poi un terzo tipo di "relazionalità":

  C) L'UOMO IN RELAZIONE CON LA NATURA.

  Infine il quarto

  D) L'UOMO IN RELAZIONE CON DIO

  Ma su questi ultimi due, al momento, soprassediamo, non foss'altro per
  ovvi motivi di spazio

  Quindi, riassumiamo così:

  L'AUTOREALIZZAZIONE è IL tema che, più o meno consapevolmente,
  c'accomuna tutti.

  Questa società ti fà credere che tu la possa trovare nel lavoro e nel
  denaro che conseguentemente guadagni e con il quale ti puoi cavare tutti gli
  hobby e i capricci.

  E' sempre la logica dove si diceva:
  "L'ideologia capitalistica da un lato, con il suo bisogno di consumatori
  accaniti, non lascia altro spazio che al lavoro per guadagnare denaro da
  spendere poi in divertimenti, e l'efficienza in questi due campi la
  chiamano "realizzazione".

  A fare il paio poi con questo tema del'"autorealizzazione" c'è quello
  del AUTENTICITA' quando, stante l'ottusità dilagante, della VERITA' non è
  consentito dire.

  Autenticità, ovvero, pura autorefenzialità, sentimentalismo
  soggettivistico, pulsionalità momentanea e relativa transitorietà volubile
  che sfocia infine in quella coazione a ripetere dove il vuoto interiore è
  riempito da amanti, puttane e divorzi a ripetizione.

  Questa lunga premessa per dire cosa ?
  Che la AUTENTICA AUTOREALIZZAZIONE si compie solo in quel

  MISTERO che è la RE-LA-ZIO-NEeeeeeeee !!!!!!

  Questa , lungi dall'essere una PRESCRIZIONE etica ha invece, viceversa,
  solo una valenza di REALIZZAZIONE ESISTENZIALE autentica e ben
  PIU' GRANDE di quella borghese del "self-made-man"

  Inoltre, nell'allontanamento da quell'economicismo dilagante, questa
  autorealizzazione non ha proprio ben nulla a chè fare con lo SCAMBIO
 del "do ut des", ti do se tu mi dai, in quella "partita doppia" che paiono i
  moderni  matrimoni, ma nel DONO

  L'AMORE NON E' SCAMBIO MA UN DONO.

  "Io ti ho scelta come occasione di dono" dovrebbe dire un uomo che si
  richiami a quei "cavalli di razza", per dirla alla Montanelli, e non ai
  ronzini.

  Ho dato il massimo ?
  Posso darti la totalità di me ?
  Quando un'Amore nasce contiene una tensione all'immortalità, al "per
  sempre", che se solo ci ricordassimo del nostro "primo amore" non
  dimenticheremmo più; perché solo nella UNIONE, TOTALITA' ed

  ETRNITA' si comprendono le categorie metafisiche dell'Amore

  Ma se la vita E' UN POSSESSO, tutte queste categorie si perdono
  irrimediabilmente.
  E allora diventerà più chiaro l'abisso che separa tutto ciò dalle
  tristezze di eutanasie e simili amenità

  Quando non si capisce che la VITA AUTENTICA stà nel DONO e nella
  RELAZIONE, allora...rien ne va plus.......



  Ecco che qui l'Amore coniugale sfocia in quel "dono di sé" , elevato
  all'ennesima potenza nel  "consacrato" , che si esprime nell'uso esclusivo
  dell'avverbio  "TU" , e in quel "NOI" che
  come diceva quel grandissimo psichiatra di Ludwig Binswanger, l'Amore non
  usa mai l'IO, e già anche nel solo linguaggio traspare

  Ecco dunque la conclusione di questo lungo discorso, in fondo, solo per
  spiegare questo passaggio dove risiede tutto il "desiderio di unità"
  Dal IO, attraverso il TU, per giungere infine al NOI DELL'AMORE




IL LINGUAGGIO DELL'AMORE





  Nel'"essere-insieme-nell'amore", il Dasein incontra se stesso ("gioca
  con se stesso") nella sua totalità e nella sua pienezza.  Non ci
  meraviglieremo quindi se Binswanger afferma che l'unico linguaggio che
  compete all'amore è il silenzio.  Che cos'è infatti il linguaggio ?

  Il linguaggio è sempre un medium, un vestito del pensiero, specificazione,
  dettaglio, scelta.  Esso è volto a dimostrare, persuadere, difendere,
  accusare.
  Esso articola, specifica, precisa.

  "Il linguaggio - dice Binswanger - non è luce, ma rischiaramento... La
  dualità nell'amore non abbisogna di alcun rischiaramento, poiché, in sé e
  per sé, è già essa stessa luce. Essa non ha bisogno di alcuna
 dimostrazione, ne può in alcun modo essere dimostrata. 
 Essa è Dasein interamente svelato, e non ha bisogno di essere rivestito,
 come appunto fa il linguaggio..."

     E altrove :

     "La dualità nell'amore è pura esaltazione, pienezza inarticolata,
  indeterminata, indivisa, quindi ineffabilità, immobilità silenziosa, senza
  quasi respiro, un'immobilità che in nessun modo significa negazione o
  privazione, bensì il supremo e più positivo, anche se muto, compimento di
  tutto il Dasein"

     L'amore non è ricerca di una verità, ma è "verità" esso stesso, quindi,
  anche se indifeso contro al giudizio, è, nel suo fondo, inattaccabile.

  L'amore è trasparenza immediata, rivelazione diretta del Dasein a se
  stesso, evidenza, quindi indimostrabile.  Esso non può essere "detto", ma
  solo vissuto,. 
  Ogni linguaggio, dice Binswanger, trasforma il Tu dell'amore
  nell'accusativo "lui", per cui l'ineffabile dualità di me e di te si
  spacca nel solito fatale dualismo di oggetto e oggetto.


  Non inprigionabile nella dimensione spaziali e temporali, l'amore è un
  puro "venirsi incontro", un puro e muto linguaggio da cuore a cuore che
  non abbisogna del medium della comunicazione verbale a suo sostegno
  e quale suo interprete, perché esso è sincerità totale.  In quanto "verità",
  l'amore non è neppure collocabile in un quadro etico, non ha quindi bisogno di
  apologie : esso non è un dovere da compiere, né un fine da perseguire, né
  un valore da difendere.  L'amore è, insomma, "docta ignorantia".


  "L'immotivazione dell'amore, che alla ragione appare come
  irragionevolezza, è proprio il suo fondo, la sua "ragione" e la sua "giustificazione"
  Parlando di "muto linguaggio da cuore a cuore", intendiamo sottolineare
  un non piccolo merito dell'antropologia di Binswanger.  Egli ha recuperato
  alla sua meditazione sull'uomo il valore del "cuore", un valore del tutto
  assente in quel MITSEIN heideggeriano che lo stesso Binswanger chiama
  "neutrale", appunto per la mancanza in esso di un Tu amante.  Egli
  descrive la "patria" dell'amore come "la patria del cuore".  Certo, qui il concetto
  di "cuore" non è solo quello che ricorre presso Agostino e Pascal, cioè
  idea comprensiva di tutto ciò che nell'uomo vi è di più centrale, di più
  sorgivo, di più prescientifico e indefinibile, né è semplicemente quello del
  parlare comune.
  Per Binswanger, il "cuore" non sta mai ad indicare una proprietà o una
  funzione dell'uomo, né una sua singola azione, né un rapporto mondano, ma
  allude sempre a un modo fondamentale di essere-uomo, e precisamente
  esprime l'apertura del Dasein al "noi" della dualità amante.

  "Nell'essere-insieme-nell'amore il Dasein si scopre come "cuore" e il
  "da" del Dasein (il "ci" dell'esser-ci) si dischiude come la patria del
  cuore" Lo stesso incontro amoroso viene descritto come un "venir dal
  cuore" e un "andare al cuore".

  Siccome tuttavia essere-uomo non è solo amore, ma anche CURA (in forza di
  quel rapporto dialettico tra amore e CURA che Binswanger chiama sistole e
  diastole dell'essere-nel-mondo), ad ogni contemplazione silenziosa
  dell'amato è immanente il bisogno di darsi una forma esterna.  Ecco perchè
  il Tu della dualità amante tende a diventare Tu espresso, cioè linguaggio.


     Il linguaggio che l'amore sopporta come il più capace di coglierne e di
  convogliarne l'eidos, è quello meno specificante e più allusivo, il
  linguaggio della musica e della poesia.  Se nelle GRUNDFORMEN Binswanger
  cede spesso e volentieri la parola ai poeti non è solo perché essi dicono
  meglio le cose, ma perché la forza dell'immaginazione poetica è ciò che si
  "commisura" meglio alla sovratemporalità e alla sovraspazialità dell'amore.
  Se quindi certe pagine delle GRUNDFORMEN possono avere l'andamento un po'
  disarticolato di un'ontologia dell'amore, Binswanger ci avverte che in
  ogni  lirica autenticamente amorosa si cela un frammento di un'ONTOLOGIA
  DELL'AMORE.


  Certo, poesia e musica rompono anch'esse quel "sacro silenzio" che è il
  vero linguaggio dell'amore, ma a quello si avvicinano perchè non
  specificano  nulla, alludono ma non significano.

  "La loro "patria" ontologica è nella trascendenza esaltante della pura
  "immaginatio". Solo esse possono "alludere alla totalità del Dasein"


  "Esse sono trascendentale "immaginatio", quindi non finalizzata, non
  problematica, prescindente da ogni individuazione, sgorgante dalla
  totalità dell'essere e volta alla totalità dell'essere"

  Con le belle parole di P. Valery, Binswanger ama chiamare musica e poesia
  "les enfants de mon silence"


  Ma anche la quotidianità conosce il lirismo del linguaggio amoroso, sia
  pure non così eletto come quello dei poeti.  Questo dialogo tra amanti è
  "sacro" perchè ex corde sonat e purché rientri, poi, in quell'immobilità
  silenziosa del cuore da cui proviene.  In questo dialogo, gli amanti
  esperimentano la NOVITA' NELLA RIPETIZIONE : "Non esiste nessun altro modo
  di essere in cui la ripetizione e novità siano una cosa sola come
  nell'essere-insieme-nell'amore"


  La forma dell'amore è ogni volta nuova, e ciò denuncia la sua
  sovratemporalità.  Il dialogo tra amanti, in quanto forma dell'amore, è
  senza un tema specifico e senza uno scopo preciso (non è socratico,
  sofistico, politico, economico...).  Sua caratteristica è quella
  autenticità che viene dalla sincerità del cuore, e l'atmosfera che esso sa creare.
  Strttamente parlando, esso non ha contenuti : non ciò che tu dici conta,
  ma il fatto che sei tu a dirlo!


  Ma nel Tu divenuto parola espressa, il dialogo non si apre solo al mondo
  poetico (nel quale il tema è sempre e solo il NOSTRO AMORE) ma anche al
  mondo della PREOCCUPAZIONE.  E' in quest'orizzonte che l'amore si fa
  "storia", destino mondano.  L'essere-insieme-nell'amore esce dall'istante
  eterno e rientra nel tempo e nello spazio della CURA.  Ora l'amore si
  tematizza, si esplora, si interpreta, s'interroga, si preoccupa.  Ora
  passato e futuro gravano sul presente.  Ma anche a questo dialogo inerisce
  pur sempre un po' di quella "esaltazione", di quella "immaginatio" che
  definiscono l'amore, poiché in esse si inquadra e si fonda.

  L'amore diventa così "opera", realtà forgiante .
 
 
 
 
 
 

In conclusione si è voluto dimostrare, con questo piccola "tesi", che il
Desiderio ha sì bisogno della Grazia e di Cristo, ma più che per "convertire"
per far sì che l'uomo possa andare nella "giusta direzione".


  Verrebbe quasi da pensare, giunti a questo punto, che questo "Desiderio"
sia il rovescio della medaglia di quel "Peccato Originale" con il quale
nasciamo e, come quest'ultimo ci porta verso il basso, quello ci porti verso
l'alto.


La spinta verso la Luce di quell'Ombra che ci portiamo anch'essa dentro di
noi.
Verso quelle "stelle", come dice la sua etimologia, per le quali siamo nati.



 












 
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