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Post n°325 pubblicato il 07 Marzo 2009 da mjkacat
LA VERITA' SFIORATA
A questo punto credo che saremo già tutti convinti dell'abilità e delle
nuove forme di violenza.
Torniamo allora a quel Nietzsche a cui accennavamo all'inizio
Paradossalmente, in realtà, è quello che più di tutti s'avvicina a capire
la rivoluzione portata da Cristo
Il mito di Dioniso racconta dell'uccisione di quel dio, , che è un
bambino, attraverso lo "sparagmòs", la vittima fatta a pezzi, e l'"omofagia",
la vittima divorata cruda, ad opera dei Titani, a cui segue la reazione di
Giove che uccide i Titani e fa resuscitare il bambino.
Per inciso va ricordato che conseguentemente, Giove, dai brandelli dei
Titani fa gli uomini che son quindi contemporaneamente VIOLENTI, causa
la natura titanica, e DIVINI causa il dio che avevano appena divorato.
Quindi nel mito di Dioniso è presente il momento della morte violenta
seguita da resurrezione, proprio come nella storia di Gesù, che per
Nietzsche non è storia ma mito, questo va da sè.
Ma i due casi, quello di Dioniso e quello di Cristo, non sono affatto
simili. Il fatto che si tratti in entrambi i casi di "martirio", cioè di
vittime uccise dalla VIOLENZA umana, può trarre in inganno, ma la
differenza c'è ed è essenziale.
Nel caso di Dioniso si ACCETTA la violenza della vita nei suoi
meccanismi vittimari; nel caso di Gesù la si RIFIUTA
"Dioniso contro il Crocifisso; eccovi l'antitesi. Non è una differenza in
base al martirio - solo esso ha un ALTRO SENSO. La vita stessa, la sua
eterna fecondità e il suo eterno ritorno determinano la sofferenza, la
distruzione, il bisogno di annientamento... Nell'altro caso il dolore, il
Crocifisso in quanto INNOCENTE" valgono come OBIEZIONE contro
la vita, come formula della sua condanna."
"La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie - è
dura, è piena di auto superamento, perché abbisogna del SACRIFICIO
Giove che uccide i Titani e fa resuscitare il bambino.
Per inciso va ricordato che conseguentemente, Giove, dai brandelli dei
Titani fa gli uomini che son quindi contemporaneamente VIOLENTI, causa
la natura titanica, e DIVINI causa il dio che avevano appena divorato.
Quindi nel mito di Dioniso è presente il momento della morte violenta
seguita da resurrezione, proprio come nella storia di Gesù, che per
Nietzsche non è storia ma mito, questo va da sè.
Ma i due casi, quello di Dioniso e quello di Cristo, non sono affatto
simili. Il fatto che si tratti in entrambi i casi di "martirio", cioè di
vittime uccise dalla VIOLENZA umana, può trarre in inganno, ma la
differenza c'è ed è essenziale.
Nel caso di Dioniso si ACCETTA la violenza della vita nei suoi
meccanismi vittimari; nel caso di Gesù la si RIFIUTA
"Dioniso contro il Crocifisso; eccovi l'antitesi. Non è una differenza in
base al martirio - solo esso ha un ALTRO SENSO. La vita stessa, la sua
eterna fecondità e il suo eterno ritorno determinano la sofferenza, la
distruzione, il bisogno di annientamento... Nell'altro caso il dolore, il
Crocifisso in quanto INNOCENTE" valgono come OBIEZIONE contro
la vita, come formula della sua condanna."
"La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie - è
dura, è piena di auto superamento, perché abbisogna del SACRIFICIO
dell'uomo.
E questo pseudo umanesimo che si chiama cristianesimo vuol giungere a
far sì che NESSUNO VENGA SACRIFICATO"
Ora, che conclusioni si traggono da tutto questo ?
Che Nietzsche ha colto perfettamente il NUCLEO psicologico dell'Uomo, la
VIOLENZA di cui sono impregnati, ma lo sviluppa BANALMENTE, non
facendo altro che ricoprire solamente con parole nuove e altisonanti
quello , che in realtà, è sempre stato fatto da tutti e dappertutto e non facendo
altro che perpetuare le radici di tutte le guerre.
Cristo, viceversa, RIVOLUZIONA autenticamente il tutto e se, evitando la
malafede di crociate e inquisizioni, lo si guarda con occhi attenti, se ne
coglierà molto facilmente l'autentica natura pacifista.
AUTOREALIZZAZIONE
Abbiamo dovuto fare questo lungo excursus sulla violenza perché senza
di questo non avremmo mai potuto chiarire la vera natura del desiderio
Emmanuel Levinas, il grande filosofo lituano di origine ebraica,
afferma sinteticamente che IL DESIDERIO E' IL BENE stesso
Potremmo anche, un po' forse forzando il concetto, che
IL DESIDERIO E' LA CARITA' stessa,
se è vero, come è vero, che ci "porta fuori da noi stessi" per
cercare l'Altro, dal quale, in ultima istanza, desideriamo solo "essere
amati".
Ovvio, quindi, stante queste premesse, che per chiarire il desiderio-bene
non si potesse fare a meno di illustrare innanzitutto il suo antagonista
violenza-male
Ecco che ora possiamo cominciare a trarre le prime conclusioni partendo
da quel'"archetipo" dell'Ecumenismo che è stato San Francesco.
Francesco, quindi, ora possiamo cominciare a comprenderlo meglio,
lungi dal "sacrificarsi" rinunciando ai suoi beni è stato semplicemente
una persona che aveva capito tutto.
Si libera di quei be-ni, che son pur sempre be-ghe, per sì farsi sacro
(sacri-ficere), ma per star benissimo, mica malissimo come credono gli
stolti !!
Ecco da dove nasce la misteriosa "letizia" francescana
Nel riconoscimento che l'istanza più profonda dell'uomo, quel desiderio
che abbiamo studiato fin'ora, può venir appagato SOLO nell'Essere che,
liberandosi dall'Avere, leggero, VOLA!!
Il grande scrittore irlandese C.S. Lewis diceva che come chi, arrivando
all'Inferno s'accorgerà d'esserci sempre stato, così chi, come Francesco ,
E questo pseudo umanesimo che si chiama cristianesimo vuol giungere a
far sì che NESSUNO VENGA SACRIFICATO"
Ora, che conclusioni si traggono da tutto questo ?
Che Nietzsche ha colto perfettamente il NUCLEO psicologico dell'Uomo, la
VIOLENZA di cui sono impregnati, ma lo sviluppa BANALMENTE, non
facendo altro che ricoprire solamente con parole nuove e altisonanti
quello , che in realtà, è sempre stato fatto da tutti e dappertutto e non facendo
altro che perpetuare le radici di tutte le guerre.
Cristo, viceversa, RIVOLUZIONA autenticamente il tutto e se, evitando la
malafede di crociate e inquisizioni, lo si guarda con occhi attenti, se ne
coglierà molto facilmente l'autentica natura pacifista.
AUTOREALIZZAZIONE
Abbiamo dovuto fare questo lungo excursus sulla violenza perché senza
di questo non avremmo mai potuto chiarire la vera natura del desiderio
Emmanuel Levinas, il grande filosofo lituano di origine ebraica,
afferma sinteticamente che IL DESIDERIO E' IL BENE stesso
Potremmo anche, un po' forse forzando il concetto, che
IL DESIDERIO E' LA CARITA' stessa,
se è vero, come è vero, che ci "porta fuori da noi stessi" per
cercare l'Altro, dal quale, in ultima istanza, desideriamo solo "essere
amati".
Ovvio, quindi, stante queste premesse, che per chiarire il desiderio-bene
non si potesse fare a meno di illustrare innanzitutto il suo antagonista
violenza-male
Ecco che ora possiamo cominciare a trarre le prime conclusioni partendo
da quel'"archetipo" dell'Ecumenismo che è stato San Francesco.
Francesco, quindi, ora possiamo cominciare a comprenderlo meglio,
lungi dal "sacrificarsi" rinunciando ai suoi beni è stato semplicemente
una persona che aveva capito tutto.
Si libera di quei be-ni, che son pur sempre be-ghe, per sì farsi sacro
(sacri-ficere), ma per star benissimo, mica malissimo come credono gli
stolti !!
Ecco da dove nasce la misteriosa "letizia" francescana
Nel riconoscimento che l'istanza più profonda dell'uomo, quel desiderio
che abbiamo studiato fin'ora, può venir appagato SOLO nell'Essere che,
liberandosi dall'Avere, leggero, VOLA!!
Il grande scrittore irlandese C.S. Lewis diceva che come chi, arrivando
all'Inferno s'accorgerà d'esserci sempre stato, così chi, come Francesco ,
arrivando in Paradiso si sarà accorto di esserci sempre stato.
Ma non come premio
Solo come prosecuzione
E non per rinuncia
Ma per acquisizione
Libera, della più autentica Libertà
La Santità è il desiderio più proprio dell'uomo perchè, fatto ad immagine
e somiglianza di Dio e come Questi può solo sentirsi appagato nell'Amore.
Lo Spirito Santo stà al Desiderio
come la corrente elettrica alla spina
Ricapitolando, quindi, abbiamo iniziato con il "desiderio di unità" per
"necessità", stante l'imperante "violenza".
Liberati SOLO da Cristo possiamo ora parlare del desiderio di unità,
SOLO ORA, autentico, libero, vero
Dal desiderio di unità per RICEVERE protezione al desiderio di unità per
DARE protezione
Solo un essere intrinsecamente PRIVO di violenza ce lo poteva donare
Un gabbiano che stava ai pesci come Cristo agli uomini
Uno di un'altra razza, di un altro pianeta, di un altro mondo.
Da dove venisse ognuno è libero di scatenare la propria immaginazione, ma
non mi si dica che era solo un uomo, sebbene fosse anche COME uno di noi.
Sarebbe come confondere Shakespeare con un pazzo solo perché entrambi
dotati di fantasia ma, mentre Shakespeare era un genio che coniugava
fantasia e realtà generando così immaginazione; il pazzo coniuga fantasia e
Ma non come premio
Solo come prosecuzione
E non per rinuncia
Ma per acquisizione
Libera, della più autentica Libertà
La Santità è il desiderio più proprio dell'uomo perchè, fatto ad immagine
e somiglianza di Dio e come Questi può solo sentirsi appagato nell'Amore.
Lo Spirito Santo stà al Desiderio
come la corrente elettrica alla spina
Ricapitolando, quindi, abbiamo iniziato con il "desiderio di unità" per
"necessità", stante l'imperante "violenza".
Liberati SOLO da Cristo possiamo ora parlare del desiderio di unità,
SOLO ORA, autentico, libero, vero
Dal desiderio di unità per RICEVERE protezione al desiderio di unità per
DARE protezione
Solo un essere intrinsecamente PRIVO di violenza ce lo poteva donare
Un gabbiano che stava ai pesci come Cristo agli uomini
Uno di un'altra razza, di un altro pianeta, di un altro mondo.
Da dove venisse ognuno è libero di scatenare la propria immaginazione, ma
non mi si dica che era solo un uomo, sebbene fosse anche COME uno di noi.
Sarebbe come confondere Shakespeare con un pazzo solo perché entrambi
dotati di fantasia ma, mentre Shakespeare era un genio che coniugava
fantasia e realtà generando così immaginazione; il pazzo coniuga fantasia e
sogno,generando così, viceversa, dei mostri
A questo punto dovremo allora cominciare a parlare di AUTOREALIZZAZIONE,
anche se in realtà non è mai un "auto" ma sempre un ETERO-realizzazione
Ci stiamo quindi sempre più avvicinando a quel "NOI" dal quale eravamo
partiti, quel "desiderio di unità" che, a questo punto, diventa OVVIO,
nella sua intrinseca semplicità.
Dobbiamo solo precisare preventivamente, per poter poi dedurre a come si
giunga dal'"autorealizzazione" alla "eterorealizzazione", delle quattro
dimensioni antropologiche dell'uomo:
Dovremo quindi premettere alcune considerazioni sulla RELAZIONALITA'
Freud, con la sua nota affermazione che "...abbiamo bisogno degli altri",
nonché con il Transfert, vero e proprio perno della psicoanalisi, dimostra
l'indubbio primato della RELAZIONE nella vita dell'uomo
Tale "relazionalita", "intersoggettività", non è tanto da ascriversi a un
bisogno o ad un desiderio ma è parte STRUTTURANTE di fondo dell'essere
A questo punto dovremo allora cominciare a parlare di AUTOREALIZZAZIONE,
anche se in realtà non è mai un "auto" ma sempre un ETERO-realizzazione
Ci stiamo quindi sempre più avvicinando a quel "NOI" dal quale eravamo
partiti, quel "desiderio di unità" che, a questo punto, diventa OVVIO,
nella sua intrinseca semplicità.
Dobbiamo solo precisare preventivamente, per poter poi dedurre a come si
giunga dal'"autorealizzazione" alla "eterorealizzazione", delle quattro
dimensioni antropologiche dell'uomo:
Dovremo quindi premettere alcune considerazioni sulla RELAZIONALITA'
Freud, con la sua nota affermazione che "...abbiamo bisogno degli altri",
nonché con il Transfert, vero e proprio perno della psicoanalisi, dimostra
l'indubbio primato della RELAZIONE nella vita dell'uomo
Tale "relazionalita", "intersoggettività", non è tanto da ascriversi a un
bisogno o ad un desiderio ma è parte STRUTTURANTE di fondo dell'essere
umano stesso.
Non c'è possibilità di scelta.
E' così e basta.
RELAZIONALITA', si diceva, innanzitutto, quindi :
A) CON SE STESSI;
L'uomo nello stesso tempo è corpo e ha un corpo: questa duplice qualità
fonda le sue relazioni (peculiari rispetto agli animali) con il mondo e la
storia: il fatto di "essere" corpo pone l'uomo in relazione di immanenza
con il mondo, così che l'uomo non può pensare né agire senza dipendere
Non c'è possibilità di scelta.
E' così e basta.
RELAZIONALITA', si diceva, innanzitutto, quindi :
A) CON SE STESSI;
L'uomo nello stesso tempo è corpo e ha un corpo: questa duplice qualità
fonda le sue relazioni (peculiari rispetto agli animali) con il mondo e la
storia: il fatto di "essere" corpo pone l'uomo in relazione di immanenza
con il mondo, così che l'uomo non può pensare né agire senza dipendere
dal suo corpo e dalla materia; il fatto di "avere" un corpo pone l'uomo in
relazione di trascendenza con il mondo, così che l'uomo non si esaurisce
semplicemente nella sua corporeità e in una serie di rapporti materiali, ma
relazione di trascendenza con il mondo, così che l'uomo non si esaurisce
semplicemente nella sua corporeità e in una serie di rapporti materiali, ma
mantiene la coscienza e la libertà che ne regolano l'agire. E' attraverso il suo
corpo che l'uomo entra in relazione con gli altri uomini e con la natura.
L'integrazione della corporeità nella definizione di "persona umana",
conduce coerentemente ad ammettere che la persona è essenzialmente
relazionata al "mondo", nella sua duplice eccezione di "società" e di
"natura". Il discorso sulla corporeità è perciò, in ultima analisi, il
fondamento di quanto ora diremo circa i rapporti interumani e i rapporti
con la natura.
Quindi, dal primo tipo di "relazionalità" passiamo al secondo:
B) L'UOMO IN RELAZIONE CON GLI ALTRI UOMINI:
Lévinas ben sintetizza: "l'apertura al Tu è costitutiva dell'Io" ; la
persona umana, cioè, non può realizzarsi che nell'alterità, nel darsi
agli altri e nel ricevere dagli altri.
La soggettività umana è essenzialmente intersoggettività.
Nell'incontro con gli altri uomini, l'uomo si trova di fronte ad un "tu"
personale come lui, di cui non può disporre come dispone delle cose.
La realtà del "tu" è situata oltre i rapporti di utilità o di mezzo per
l'auto-realizzazione del"io"
L'alterità del "tu", non è di subordinazione ma di comunione: L'altro,
con la sua dignità di persona, pone un divieto alla libertà del'"io": un
corpo che l'uomo entra in relazione con gli altri uomini e con la natura.
L'integrazione della corporeità nella definizione di "persona umana",
conduce coerentemente ad ammettere che la persona è essenzialmente
relazionata al "mondo", nella sua duplice eccezione di "società" e di
"natura". Il discorso sulla corporeità è perciò, in ultima analisi, il
fondamento di quanto ora diremo circa i rapporti interumani e i rapporti
con la natura.
Quindi, dal primo tipo di "relazionalità" passiamo al secondo:
B) L'UOMO IN RELAZIONE CON GLI ALTRI UOMINI:
Lévinas ben sintetizza: "l'apertura al Tu è costitutiva dell'Io" ; la
persona umana, cioè, non può realizzarsi che nell'alterità, nel darsi
agli altri e nel ricevere dagli altri.
La soggettività umana è essenzialmente intersoggettività.
Nell'incontro con gli altri uomini, l'uomo si trova di fronte ad un "tu"
personale come lui, di cui non può disporre come dispone delle cose.
La realtà del "tu" è situata oltre i rapporti di utilità o di mezzo per
l'auto-realizzazione del"io"
L'alterità del "tu", non è di subordinazione ma di comunione: L'altro,
con la sua dignità di persona, pone un divieto alla libertà del'"io": un
"no" che può essere superato solo con il "si" della accettazione dell'altro
come valore intangibile, non a motivo di sue particolari qualità ma
semplicemente della sua dignità di persona. Il rapporto con l'altro
semplicemente della sua dignità di persona. Il rapporto con l'altro
domanda, in una parola, "rispetto" : il contrario del rispetto è la
"strumentalizzazione".
L'apertura di ogni uomo agli altri non si esaurisce, però, nei rapporti
interpersonali: ogni persona appartiene alla comunità UMANA. Questa
appartenenza si manifesta in un'esperienza che nello svolgimento dei
secoli è diventata sempre più cosciente e che, al tempo nostro, ha assunto
notevole importanza: l'esperienza di comunione di coscienza, pensiero e
L'apertura di ogni uomo agli altri non si esaurisce, però, nei rapporti
interpersonali: ogni persona appartiene alla comunità UMANA. Questa
appartenenza si manifesta in un'esperienza che nello svolgimento dei
secoli è diventata sempre più cosciente e che, al tempo nostro, ha assunto
notevole importanza: l'esperienza di comunione di coscienza, pensiero e
libertà, di convinzione e, soprattutto, di comune destino di tutta l'umanità
del mondo.
Un'esperienza tanto radicale nell'essere umano che ripetuti terribili
conflitti e guerre lungo il corso della storia non l'hanno potuto
distruggere. Oggi, tale esperienza è espressa col termine solidarietà
designante la RADICE ONTOLOGICA della comunità umana, ossia il vincolo
ontologico che unisce ogni uomo con tutta l'umanità. Si tratta, pertanto,
di una dimensione fondamentale dell'essere umano, dalla quale scaturisce
l'impegno a tutti comune di collaborare al bene della comunità umana e al
progresso delle sue strutture.
La comunità umana non è una persona collettiva sopraindividuale: se così
fosse, ogni persona perderebbe la sua specificità (coscienza e libertà)
per assommarla in una "superpersona" e sacrificarla ad essa; il fondamento di
ogni comunità adeguata alla dignità umana resta l'essere personale
dell'uomo; il "collettivismo" non è conforme alla dignità della persona
umana.
D'altra parte però la comunità umana non è neanche semplicemente la somma
numerica delle persone che la compongono, ma "una realtà qualitativamente
nuova" in rapporto ad essa, perché nella comunità le persone sono unite
proprio come persone, ossia come comunità di coscienza e di libertà, e non
per un legame che sia esterno a esse.
In conclusione di questo punto, quindi, possiamo dire che il senso non
riposa semplicemente in se stessi, non è solo auto-realizzazione, ma
riposa negli altri, è etero-realizzazione.
Questa non va' però intesa nel senso del Potere, che di Giulio Cesare o
Napoleone ricordiamo a malapena il nome e svogliatamente le gesta, ma nel
senso di "servizio", che di Dante e Shakespeare siam ancora allievi e lo
saremo durevolmente.
Vi è poi un terzo tipo di "relazionalità":
C) L'UOMO IN RELAZIONE CON LA NATURA.
Infine il quarto
D) L'UOMO IN RELAZIONE CON DIO
Ma su questi ultimi due, al momento, soprassediamo, non foss'altro per
ovvi motivi di spazio
Quindi, riassumiamo così:
L'AUTOREALIZZAZIONE è IL tema che, più o meno consapevolmente,
Un'esperienza tanto radicale nell'essere umano che ripetuti terribili
conflitti e guerre lungo il corso della storia non l'hanno potuto
distruggere. Oggi, tale esperienza è espressa col termine solidarietà
designante la RADICE ONTOLOGICA della comunità umana, ossia il vincolo
ontologico che unisce ogni uomo con tutta l'umanità. Si tratta, pertanto,
di una dimensione fondamentale dell'essere umano, dalla quale scaturisce
l'impegno a tutti comune di collaborare al bene della comunità umana e al
progresso delle sue strutture.
La comunità umana non è una persona collettiva sopraindividuale: se così
fosse, ogni persona perderebbe la sua specificità (coscienza e libertà)
per assommarla in una "superpersona" e sacrificarla ad essa; il fondamento di
ogni comunità adeguata alla dignità umana resta l'essere personale
dell'uomo; il "collettivismo" non è conforme alla dignità della persona
umana.
D'altra parte però la comunità umana non è neanche semplicemente la somma
numerica delle persone che la compongono, ma "una realtà qualitativamente
nuova" in rapporto ad essa, perché nella comunità le persone sono unite
proprio come persone, ossia come comunità di coscienza e di libertà, e non
per un legame che sia esterno a esse.
In conclusione di questo punto, quindi, possiamo dire che il senso non
riposa semplicemente in se stessi, non è solo auto-realizzazione, ma
riposa negli altri, è etero-realizzazione.
Questa non va' però intesa nel senso del Potere, che di Giulio Cesare o
Napoleone ricordiamo a malapena il nome e svogliatamente le gesta, ma nel
senso di "servizio", che di Dante e Shakespeare siam ancora allievi e lo
saremo durevolmente.
Vi è poi un terzo tipo di "relazionalità":
C) L'UOMO IN RELAZIONE CON LA NATURA.
Infine il quarto
D) L'UOMO IN RELAZIONE CON DIO
Ma su questi ultimi due, al momento, soprassediamo, non foss'altro per
ovvi motivi di spazio
Quindi, riassumiamo così:
L'AUTOREALIZZAZIONE è IL tema che, più o meno consapevolmente,
c'accomuna tutti.
Questa società ti fà credere che tu la possa trovare nel lavoro e nel
denaro che conseguentemente guadagni e con il quale ti puoi cavare tutti gli
hobby e i capricci.
E' sempre la logica dove si diceva:
"L'ideologia capitalistica da un lato, con il suo bisogno di consumatori
accaniti, non lascia altro spazio che al lavoro per guadagnare denaro da
spendere poi in divertimenti, e l'efficienza in questi due campi la
chiamano "realizzazione".
A fare il paio poi con questo tema del'"autorealizzazione" c'è quello
del AUTENTICITA' quando, stante l'ottusità dilagante, della VERITA' non è
consentito dire.
Autenticità, ovvero, pura autorefenzialità, sentimentalismo
soggettivistico, pulsionalità momentanea e relativa transitorietà volubile
Questa società ti fà credere che tu la possa trovare nel lavoro e nel
denaro che conseguentemente guadagni e con il quale ti puoi cavare tutti gli
hobby e i capricci.
E' sempre la logica dove si diceva:
"L'ideologia capitalistica da un lato, con il suo bisogno di consumatori
accaniti, non lascia altro spazio che al lavoro per guadagnare denaro da
spendere poi in divertimenti, e l'efficienza in questi due campi la
chiamano "realizzazione".
A fare il paio poi con questo tema del'"autorealizzazione" c'è quello
del AUTENTICITA' quando, stante l'ottusità dilagante, della VERITA' non è
consentito dire.
Autenticità, ovvero, pura autorefenzialità, sentimentalismo
soggettivistico, pulsionalità momentanea e relativa transitorietà volubile
che sfocia infine in quella coazione a ripetere dove il vuoto interiore è
riempito da amanti, puttane e divorzi a ripetizione.
Questa lunga premessa per dire cosa ?
Che la AUTENTICA AUTOREALIZZAZIONE si compie solo in quel
MISTERO che è la RE-LA-ZIO-NEeeeeeeee !!!!!!
Questa , lungi dall'essere una PRESCRIZIONE etica ha invece, viceversa,
solo una valenza di REALIZZAZIONE ESISTENZIALE autentica e ben
Questa lunga premessa per dire cosa ?
Che la AUTENTICA AUTOREALIZZAZIONE si compie solo in quel
MISTERO che è la RE-LA-ZIO-NEeeeeeeee !!!!!!
Questa , lungi dall'essere una PRESCRIZIONE etica ha invece, viceversa,
solo una valenza di REALIZZAZIONE ESISTENZIALE autentica e ben
PIU' GRANDE di quella borghese del "self-made-man"
Inoltre, nell'allontanamento da quell'economicismo dilagante, questa
autorealizzazione non ha proprio ben nulla a chè fare con lo SCAMBIO
Inoltre, nell'allontanamento da quell'economicismo dilagante, questa
autorealizzazione non ha proprio ben nulla a chè fare con lo SCAMBIO
del "do ut des", ti do se tu mi dai, in quella "partita doppia" che paiono i
moderni matrimoni, ma nel DONO
L'AMORE NON E' SCAMBIO MA UN DONO.
"Io ti ho scelta come occasione di dono" dovrebbe dire un uomo che si
richiami a quei "cavalli di razza", per dirla alla Montanelli, e non ai
ronzini.
Ho dato il massimo ?
Posso darti la totalità di me ?
Quando un'Amore nasce contiene una tensione all'immortalità, al "per
sempre", che se solo ci ricordassimo del nostro "primo amore" non
dimenticheremmo più; perché solo nella UNIONE, TOTALITA' ed
ETRNITA' si comprendono le categorie metafisiche dell'Amore
Ma se la vita E' UN POSSESSO, tutte queste categorie si perdono
irrimediabilmente.
E allora diventerà più chiaro l'abisso che separa tutto ciò dalle
tristezze di eutanasie e simili amenità
Quando non si capisce che la VITA AUTENTICA stà nel DONO e nella
RELAZIONE, allora...rien ne va plus.......
Ecco che qui l'Amore coniugale sfocia in quel "dono di sé" , elevato
all'ennesima potenza nel "consacrato" , che si esprime nell'uso esclusivo
dell'avverbio "TU" , e in quel "NOI" che
come diceva quel grandissimo psichiatra di Ludwig Binswanger, l'Amore non
usa mai l'IO, e già anche nel solo linguaggio traspare
Ecco dunque la conclusione di questo lungo discorso, in fondo, solo per
spiegare questo passaggio dove risiede tutto il "desiderio di unità"
Dal IO, attraverso il TU, per giungere infine al NOI DELL'AMORE
IL LINGUAGGIO DELL'AMORE
Nel'"essere-insieme-nell'amore", il Dasein incontra se stesso ("gioca
con se stesso") nella sua totalità e nella sua pienezza. Non ci
meraviglieremo quindi se Binswanger afferma che l'unico linguaggio che
compete all'amore è il silenzio. Che cos'è infatti il linguaggio ?
Il linguaggio è sempre un medium, un vestito del pensiero, specificazione,
dettaglio, scelta. Esso è volto a dimostrare, persuadere, difendere,
accusare.
Esso articola, specifica, precisa.
"Il linguaggio - dice Binswanger - non è luce, ma rischiaramento... La
dualità nell'amore non abbisogna di alcun rischiaramento, poiché, in sé e
per sé, è già essa stessa luce. Essa non ha bisogno di alcuna
dimostrazione, ne può in alcun modo essere dimostrata.
moderni matrimoni, ma nel DONO
L'AMORE NON E' SCAMBIO MA UN DONO.
"Io ti ho scelta come occasione di dono" dovrebbe dire un uomo che si
richiami a quei "cavalli di razza", per dirla alla Montanelli, e non ai
ronzini.
Ho dato il massimo ?
Posso darti la totalità di me ?
Quando un'Amore nasce contiene una tensione all'immortalità, al "per
sempre", che se solo ci ricordassimo del nostro "primo amore" non
dimenticheremmo più; perché solo nella UNIONE, TOTALITA' ed
ETRNITA' si comprendono le categorie metafisiche dell'Amore
Ma se la vita E' UN POSSESSO, tutte queste categorie si perdono
irrimediabilmente.
E allora diventerà più chiaro l'abisso che separa tutto ciò dalle
tristezze di eutanasie e simili amenità
Quando non si capisce che la VITA AUTENTICA stà nel DONO e nella
RELAZIONE, allora...rien ne va plus.......
Ecco che qui l'Amore coniugale sfocia in quel "dono di sé" , elevato
all'ennesima potenza nel "consacrato" , che si esprime nell'uso esclusivo
dell'avverbio "TU" , e in quel "NOI" che
come diceva quel grandissimo psichiatra di Ludwig Binswanger, l'Amore non
usa mai l'IO, e già anche nel solo linguaggio traspare
Ecco dunque la conclusione di questo lungo discorso, in fondo, solo per
spiegare questo passaggio dove risiede tutto il "desiderio di unità"
Dal IO, attraverso il TU, per giungere infine al NOI DELL'AMORE
IL LINGUAGGIO DELL'AMORE
Nel'"essere-insieme-nell'amore", il Dasein incontra se stesso ("gioca
con se stesso") nella sua totalità e nella sua pienezza. Non ci
meraviglieremo quindi se Binswanger afferma che l'unico linguaggio che
compete all'amore è il silenzio. Che cos'è infatti il linguaggio ?
Il linguaggio è sempre un medium, un vestito del pensiero, specificazione,
dettaglio, scelta. Esso è volto a dimostrare, persuadere, difendere,
accusare.
Esso articola, specifica, precisa.
"Il linguaggio - dice Binswanger - non è luce, ma rischiaramento... La
dualità nell'amore non abbisogna di alcun rischiaramento, poiché, in sé e
per sé, è già essa stessa luce. Essa non ha bisogno di alcuna
dimostrazione, ne può in alcun modo essere dimostrata.
Essa è Dasein interamente svelato, e non ha bisogno di essere rivestito,
come appunto fa il linguaggio..."
E altrove :
"La dualità nell'amore è pura esaltazione, pienezza inarticolata,
indeterminata, indivisa, quindi ineffabilità, immobilità silenziosa, senza
quasi respiro, un'immobilità che in nessun modo significa negazione o
privazione, bensì il supremo e più positivo, anche se muto, compimento di
tutto il Dasein"
L'amore non è ricerca di una verità, ma è "verità" esso stesso, quindi,
anche se indifeso contro al giudizio, è, nel suo fondo, inattaccabile.
L'amore è trasparenza immediata, rivelazione diretta del Dasein a se
stesso, evidenza, quindi indimostrabile. Esso non può essere "detto", ma
E altrove :
"La dualità nell'amore è pura esaltazione, pienezza inarticolata,
indeterminata, indivisa, quindi ineffabilità, immobilità silenziosa, senza
quasi respiro, un'immobilità che in nessun modo significa negazione o
privazione, bensì il supremo e più positivo, anche se muto, compimento di
tutto il Dasein"
L'amore non è ricerca di una verità, ma è "verità" esso stesso, quindi,
anche se indifeso contro al giudizio, è, nel suo fondo, inattaccabile.
L'amore è trasparenza immediata, rivelazione diretta del Dasein a se
stesso, evidenza, quindi indimostrabile. Esso non può essere "detto", ma
solo vissuto,.
Ogni linguaggio, dice Binswanger, trasforma il Tu dell'amore
nell'accusativo "lui", per cui l'ineffabile dualità di me e di te si
spacca nel solito fatale dualismo di oggetto e oggetto.
Non inprigionabile nella dimensione spaziali e temporali, l'amore è un
puro "venirsi incontro", un puro e muto linguaggio da cuore a cuore che
non abbisogna del medium della comunicazione verbale a suo sostegno
nell'accusativo "lui", per cui l'ineffabile dualità di me e di te si
spacca nel solito fatale dualismo di oggetto e oggetto.
Non inprigionabile nella dimensione spaziali e temporali, l'amore è un
puro "venirsi incontro", un puro e muto linguaggio da cuore a cuore che
non abbisogna del medium della comunicazione verbale a suo sostegno
e quale suo interprete, perché esso è sincerità totale. In quanto "verità",
l'amore non è neppure collocabile in un quadro etico, non ha quindi bisogno di
apologie : esso non è un dovere da compiere, né un fine da perseguire, né
un valore da difendere. L'amore è, insomma, "docta ignorantia".
"L'immotivazione dell'amore, che alla ragione appare come
irragionevolezza, è proprio il suo fondo, la sua "ragione" e la sua "giustificazione"
Parlando di "muto linguaggio da cuore a cuore", intendiamo sottolineare
un non piccolo merito dell'antropologia di Binswanger. Egli ha recuperato
alla sua meditazione sull'uomo il valore del "cuore", un valore del tutto
assente in quel MITSEIN heideggeriano che lo stesso Binswanger chiama
"neutrale", appunto per la mancanza in esso di un Tu amante. Egli
descrive la "patria" dell'amore come "la patria del cuore". Certo, qui il concetto
di "cuore" non è solo quello che ricorre presso Agostino e Pascal, cioè
idea comprensiva di tutto ciò che nell'uomo vi è di più centrale, di più
sorgivo, di più prescientifico e indefinibile, né è semplicemente quello del
parlare comune.
Per Binswanger, il "cuore" non sta mai ad indicare una proprietà o una
funzione dell'uomo, né una sua singola azione, né un rapporto mondano, ma
allude sempre a un modo fondamentale di essere-uomo, e precisamente
esprime l'apertura del Dasein al "noi" della dualità amante.
"Nell'essere-insieme-nell'amore il Dasein si scopre come "cuore" e il
"da" del Dasein (il "ci" dell'esser-ci) si dischiude come la patria del
cuore" Lo stesso incontro amoroso viene descritto come un "venir dal
cuore" e un "andare al cuore".
Siccome tuttavia essere-uomo non è solo amore, ma anche CURA (in forza di
quel rapporto dialettico tra amore e CURA che Binswanger chiama sistole e
diastole dell'essere-nel-mondo), ad ogni contemplazione silenziosa
dell'amato è immanente il bisogno di darsi una forma esterna. Ecco perchè
il Tu della dualità amante tende a diventare Tu espresso, cioè linguaggio.
Il linguaggio che l'amore sopporta come il più capace di coglierne e di
convogliarne l'eidos, è quello meno specificante e più allusivo, il
linguaggio della musica e della poesia. Se nelle GRUNDFORMEN Binswanger
cede spesso e volentieri la parola ai poeti non è solo perché essi dicono
meglio le cose, ma perché la forza dell'immaginazione poetica è ciò che si
"commisura" meglio alla sovratemporalità e alla sovraspazialità dell'amore.
Se quindi certe pagine delle GRUNDFORMEN possono avere l'andamento un po'
disarticolato di un'ontologia dell'amore, Binswanger ci avverte che in
ogni lirica autenticamente amorosa si cela un frammento di un'ONTOLOGIA
DELL'AMORE.
Certo, poesia e musica rompono anch'esse quel "sacro silenzio" che è il
vero linguaggio dell'amore, ma a quello si avvicinano perchè non
specificano nulla, alludono ma non significano.
"La loro "patria" ontologica è nella trascendenza esaltante della pura
"immaginatio". Solo esse possono "alludere alla totalità del Dasein"
"Esse sono trascendentale "immaginatio", quindi non finalizzata, non
problematica, prescindente da ogni individuazione, sgorgante dalla
totalità dell'essere e volta alla totalità dell'essere"
Con le belle parole di P. Valery, Binswanger ama chiamare musica e poesia
"les enfants de mon silence"
Ma anche la quotidianità conosce il lirismo del linguaggio amoroso, sia
pure non così eletto come quello dei poeti. Questo dialogo tra amanti è
"sacro" perchè ex corde sonat e purché rientri, poi, in quell'immobilità
silenziosa del cuore da cui proviene. In questo dialogo, gli amanti
esperimentano la NOVITA' NELLA RIPETIZIONE : "Non esiste nessun altro modo
di essere in cui la ripetizione e novità siano una cosa sola come
nell'essere-insieme-nell'amore"
La forma dell'amore è ogni volta nuova, e ciò denuncia la sua
sovratemporalità. Il dialogo tra amanti, in quanto forma dell'amore, è
senza un tema specifico e senza uno scopo preciso (non è socratico,
sofistico, politico, economico...). Sua caratteristica è quella
autenticità che viene dalla sincerità del cuore, e l'atmosfera che esso sa creare.
Strttamente parlando, esso non ha contenuti : non ciò che tu dici conta,
ma il fatto che sei tu a dirlo!
Ma nel Tu divenuto parola espressa, il dialogo non si apre solo al mondo
poetico (nel quale il tema è sempre e solo il NOSTRO AMORE) ma anche al
mondo della PREOCCUPAZIONE. E' in quest'orizzonte che l'amore si fa
"storia", destino mondano. L'essere-insieme-nell'amore esce dall'istante
eterno e rientra nel tempo e nello spazio della CURA. Ora l'amore si
tematizza, si esplora, si interpreta, s'interroga, si preoccupa. Ora
passato e futuro gravano sul presente. Ma anche a questo dialogo inerisce
pur sempre un po' di quella "esaltazione", di quella "immaginatio" che
definiscono l'amore, poiché in esse si inquadra e si fonda.
L'amore diventa così "opera", realtà forgiante .
l'amore non è neppure collocabile in un quadro etico, non ha quindi bisogno di
apologie : esso non è un dovere da compiere, né un fine da perseguire, né
un valore da difendere. L'amore è, insomma, "docta ignorantia".
"L'immotivazione dell'amore, che alla ragione appare come
irragionevolezza, è proprio il suo fondo, la sua "ragione" e la sua "giustificazione"
Parlando di "muto linguaggio da cuore a cuore", intendiamo sottolineare
un non piccolo merito dell'antropologia di Binswanger. Egli ha recuperato
alla sua meditazione sull'uomo il valore del "cuore", un valore del tutto
assente in quel MITSEIN heideggeriano che lo stesso Binswanger chiama
"neutrale", appunto per la mancanza in esso di un Tu amante. Egli
descrive la "patria" dell'amore come "la patria del cuore". Certo, qui il concetto
di "cuore" non è solo quello che ricorre presso Agostino e Pascal, cioè
idea comprensiva di tutto ciò che nell'uomo vi è di più centrale, di più
sorgivo, di più prescientifico e indefinibile, né è semplicemente quello del
parlare comune.
Per Binswanger, il "cuore" non sta mai ad indicare una proprietà o una
funzione dell'uomo, né una sua singola azione, né un rapporto mondano, ma
allude sempre a un modo fondamentale di essere-uomo, e precisamente
esprime l'apertura del Dasein al "noi" della dualità amante.
"Nell'essere-insieme-nell'amore il Dasein si scopre come "cuore" e il
"da" del Dasein (il "ci" dell'esser-ci) si dischiude come la patria del
cuore" Lo stesso incontro amoroso viene descritto come un "venir dal
cuore" e un "andare al cuore".
Siccome tuttavia essere-uomo non è solo amore, ma anche CURA (in forza di
quel rapporto dialettico tra amore e CURA che Binswanger chiama sistole e
diastole dell'essere-nel-mondo), ad ogni contemplazione silenziosa
dell'amato è immanente il bisogno di darsi una forma esterna. Ecco perchè
il Tu della dualità amante tende a diventare Tu espresso, cioè linguaggio.
Il linguaggio che l'amore sopporta come il più capace di coglierne e di
convogliarne l'eidos, è quello meno specificante e più allusivo, il
linguaggio della musica e della poesia. Se nelle GRUNDFORMEN Binswanger
cede spesso e volentieri la parola ai poeti non è solo perché essi dicono
meglio le cose, ma perché la forza dell'immaginazione poetica è ciò che si
"commisura" meglio alla sovratemporalità e alla sovraspazialità dell'amore.
Se quindi certe pagine delle GRUNDFORMEN possono avere l'andamento un po'
disarticolato di un'ontologia dell'amore, Binswanger ci avverte che in
ogni lirica autenticamente amorosa si cela un frammento di un'ONTOLOGIA
DELL'AMORE.
Certo, poesia e musica rompono anch'esse quel "sacro silenzio" che è il
vero linguaggio dell'amore, ma a quello si avvicinano perchè non
specificano nulla, alludono ma non significano.
"La loro "patria" ontologica è nella trascendenza esaltante della pura
"immaginatio". Solo esse possono "alludere alla totalità del Dasein"
"Esse sono trascendentale "immaginatio", quindi non finalizzata, non
problematica, prescindente da ogni individuazione, sgorgante dalla
totalità dell'essere e volta alla totalità dell'essere"
Con le belle parole di P. Valery, Binswanger ama chiamare musica e poesia
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silenziosa del cuore da cui proviene. In questo dialogo, gli amanti
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di essere in cui la ripetizione e novità siano una cosa sola come
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La forma dell'amore è ogni volta nuova, e ciò denuncia la sua
sovratemporalità. Il dialogo tra amanti, in quanto forma dell'amore, è
senza un tema specifico e senza uno scopo preciso (non è socratico,
sofistico, politico, economico...). Sua caratteristica è quella
autenticità che viene dalla sincerità del cuore, e l'atmosfera che esso sa creare.
Strttamente parlando, esso non ha contenuti : non ciò che tu dici conta,
ma il fatto che sei tu a dirlo!
Ma nel Tu divenuto parola espressa, il dialogo non si apre solo al mondo
poetico (nel quale il tema è sempre e solo il NOSTRO AMORE) ma anche al
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pur sempre un po' di quella "esaltazione", di quella "immaginatio" che
definiscono l'amore, poiché in esse si inquadra e si fonda.
L'amore diventa così "opera", realtà forgiante .
In conclusione si è voluto dimostrare, con questo piccola "tesi", che il
Desiderio ha sì bisogno della Grazia e di Cristo, ma più che per "convertire"
per far sì che l'uomo possa andare nella "giusta direzione".
Verrebbe quasi da pensare, giunti a questo punto, che questo "Desiderio"
sia il rovescio della medaglia di quel "Peccato Originale" con il quale
nasciamo e, come quest'ultimo ci porta verso il basso, quello ci porti verso
l'alto.
La spinta verso la Luce di quell'Ombra che ci portiamo anch'essa dentro di
noi.
Verso quelle "stelle", come dice la sua etimologia, per le quali siamo nati.
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