“La scoperta del pomodoro ha rappresentato, nella storia dell’alimentazione, quello che, per lo sviluppo della
coscienza sociale, è stata la rivoluzione francese”.
Così Luciano De Crescenzo, nel suo inconfondibile stile, celebra la
comparsa sulle nostre tavole del pomodoro.
Per un napoletano è quasi impossibile immaginare una cucina priva del colore e del profumo della pummarola
(= pomodoro in napoletano). Il piatto tradizionale della Napoli
antica – la minestra maritata – non conteneva però alcuna traccia
di pomodoro, come del resto tutte le ricette partenopee antecedenti
l’Ottocento.
Il pomodoro come nasce? Il pomodoro è una pianta orticola della famiglia delle solanacee (Lycopersicon esculentum).
Raggiunge a volte l’altezza di 2 metri e necessita di un sostegno. Le
sue foglie sono lunghe e con un lembo profondamente inciso; i fiori si
presentano a grappoli e sono distribuiti lungo il fusto e le
ramificazioni. Il suo frutto, anch’esso denominato pomodoro, è una
bacca rossa di forme e dimensioni diverse a seconda della varietà, con
una polpa dal sapore dolce-acidulo ricca di vitamine (A, C, B1, B2, K,
P e PP). La pianta è originaria del Cile e dell’Ecuador, dove per effetto del clima tropicale offre i suoi frutti
tutto l’anno, mentre nelle nostre regioni ha un ciclo annuale limitato all’estate, se coltivata all’aperto. Dominatore della gastronomia napoletana e largamente diffuso in tutto
il mondo per il suo gusto oltre che per le sue importanti proprietà
dietetiche, il pomodoro ha tuttavia raggiunto le cucine europee in
tempi relativamente recenti e, sebbene importato già nel Cinquecento,
soltanto due secoli dopo è stato impiegato nell’alimentazione. La coltivazione della
pianta del pomodoro era diffusa già in epoca precolombiana in Messico e
Perù, fu poi introdotta in Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma non
come ortaggio commestibile, bensì come pianta ornamentale, ritenuta
addirittura velenosa per il suo alto contenuto di solanina,
sostanza considerata a quell’epoca dannosa per l’uomo. Infatti, nel
1544 l’erborista italiano Pietro Matthioli classificò la pianta del
pomodoro fra le specie velenose, anche se ammise di aver sentito voci
secondo le quali in alcune regioni il suo frutto veniva mangiato fritto
nell'olio.
Piuttosto, al pomodoro venivano attribuiti misteriosi poteri eccitanti
ed afrodisiaci e, per tale motivo, veniva impiegato in pozioni e filtri
magici dagli alchimisti del ‘500 e del ‘600. Forse ciò aiuta a
comprendere anche i nomi che le varie lingue europee attribuirono a
questa pianta proveniente dal nuovo mondo: love apple in inglese, pomme d’amour in francese, Libesapfel in tedesco e pomo (o mela) d’oro
in italiano, tutte definizioni con un esplicito riferimento all’amore.
Va ricordato, per completezza, che altre fonti fanno risalire il nome
ad una storpiatura dell’espressione pomo dei Mori, giacché il
pomodoro appartiene alla famiglia delle solanacee cui appartiene anche
la melanzana, ortaggio a quei tempi preferito da tutto il mondo arabo.
Oggi, con l’eccezione dell’italiano, le vecchie espressioni sono state
sostituite in tutte le altre lingue da derivazioni dell’originario
termine azteco tomatl. Ma, anche in questo caso, il nome è frutto di un errore. La pianta che fu importata in Europa era chiamata dagli Aztechi xitomatl, che significa grande tomatl. La tomatl era
un’altra pianta, simile al pomodoro, ma più piccola e con i frutti di
colore verde-giallo (chiamata oggi Tomatillo ed impiegata nella cucina
centro-americana).
Gli Spagnoli chiamarono entrambe tomate e ciò diede origine alla confusione.Non
è ben chiaro come e dove, nell’Europa barocca, il frutto esotico di una
pianta ornamentale, accompagnata da un alone di mistero e da una serie
di credenze e dicerie popolari, comparisse sulla tavola di qualche
coraggioso (oppure affamato) contadino. Infatti, gli stessi indigeni
del Perù, i primi coltivatori del pomodoro, non mangiavano i frutti
della pianta, usata invece a solo scopo ornamentale e come tale fu
conosciuta dagli Europei: nel 1640 la nobiltà di Tolone regalò al
cardinale Richelieu, come atto di ossequio, quattro piante di pomodoro,
e sempre in Francia era usanza per gli uomini offrire piantine di
pomodoro alle dame, come atto d’amor gentile. Così la coltivazione del
pomodoro, come pianta ornamentale, dalla Spagna, forse attraverso il
Marocco, si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, trovando il
clima adatto per il suo sviluppo, soprattutto in Italia, nella regione
dell’agro nocerino-sarnese, tra Napoli e Salerno. Scarsissima
è, inoltre, la documentazione relativa all’uso alimentare: le prime
sporadiche segnalazioni di impiego del suo frutto come alimento
commestibile, fresco o spremuto e bollito per farne un sugo, si
registrano in varie regioni dell’Europa meridionale del XVII secolo.
Soltanto alla fine del Settecento la coltivazione a scopo alimentare
del pomodoro conobbe un forte impulso in Europa, principalmente in
Francia e nell’Italia meridionale.
Ma mentre in Francia il pomodoro
veniva consumato soltanto alla corte dei re, a Napoli si diffuse
rapidamente tra la popolazione, storicamente oppressa dai morsi della
fame! Nel 1762 ne furono definite le tecniche di conservazione in
seguito agli studi di Lazzaro Spallanzani che, per primo, notò come gli
estratti fatti bollire e posti in contenitori chiusi non si
alterassero.
In seguito, nel 1809, un cuoco parigino, Nicolas Appert,
pubblicò l'opera L'art de conserver les substances alimentaires d'origine animale et végétale pour pleusieurs années, dove
fra gli altri alimenti era citato anche il pomodoro. Negli
Stati Uniti ed in genere nelle Americhe, da cui proveniva,
l’affermazione del pomodoro come ortaggio commestibile trovò invece
molte più difficoltà per la diffusa convinzione popolare dei suoi
poteri tossici.
Tuttavia, nel 1820 il colonnello statunitense Robert
Gibbon Johnson decise di mangiare, provocatoriamente, davanti ad una
folla prevenuta e sorpresa, un pomodoro senza per questo morirne.
Addirittura, si narra, che alcuni avversari politici del Presidente
americano Abrahm Lincoln convinsero il cuoco della Casa bianca a
preparare una pietanza a base di pomodoro per avvelenarlo.
Ovviamente,
dopo la cena, la congiura fu scoperta, anzi l’episodio contribuì a
rendere popolare il pomodoro, poiché Lincoln ne divenne un appassionato
consumatore.
Ma è solo nell’Ottocento che
il pomodoro fu inserito nei primi trattati gastronomici europei, come nell’edizione del 1819 delCuoco Galante
a firma del grande cuoco napoletano di corte Vincenzo Corrado, dove
sono descritte molte ricette con pomodori farciti e poi fritti:
“Per
servirli bisogna prima rotolarli su le braci o, per poco, metterli
nell'acqua bollente per toglierli la pelle. Se li tolgono i semi o
dividendoli per metà, o pure facendoli una buca.” (da Il cuoco galante, prima ed., Napoli 1773)
Come
risulta anche da altre fonti Vincenzo Corrado usava il pomodoro nelle
sue ricette già all’epoca della prima edizione del libro, ma senza mai
abbinarlo alla pasta né tantomeno alla pizza!Finalmente
nel 1839, il napoletano Don Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino,
codificando quello che presumibilmente era diventata nel popolino
un’usanza alquanto diffusa, nella seconda edizione della sua Cucina Teorico Pratica propose di condire la pasta col pomodoro ed illustrò la prima ricetta del ragù.
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Inviato da: Rebuffa17
il 28/05/2012 alle 10:56
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