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« LE STANCHE MEMORIE DI AD...TORNA LEZIONI DI MUSICA »

MEHLDAU E LE CRISI ECONOMICHE

Post n°2091 pubblicato il 07 Gennaio 2012 da pierrde

Lo spunto mi è dato dalla notizia che Brad Mehldau chiuderà il festival jazz di Bergamo domenica 25 marzo con un concerto in solo.

Brad in Italia fu certamente una scoperta di Umbria Jazz, quando moltissimi anni fa venne a Perugia da perfetto sconosciuto suonando per una settimana di fila allo scoccare della mezzanotte in un teatro.

Ricordo come gli spettatori dalle poche decine delle prime sere man mano andavano aumentando in via esponenziale. La freschezza e la spontaneità di quei primi anni credo siano però andate perdute nella produzione discografica e concertistica degli anni seguenti.

Mehldau è e rimane uno dei grandi protagonisti dell'oggi, eppure, anche ascoltato dal vivo, non ritrovo più quell'afflato poetico e quella forza visionaria dei primi anni. Ovviamente tutto ciò potrebbe essere solo una mia particolare impressione, una suggestione derivata dal primario impatto cosi' puro e trascendente. A dire il vero anche la produzione discografica del pianista non mi è mai sembrata dello stesso livello dei suoi concerti, con l'unica eccezione del terzo volume di Art of The Trio.

Dalla rete giunge questo contributo a firma di Paolo Savini Nicci sul parallelo tra crisi economica e innovazione jazzistica. Mehldau ne è protagonista, e per quanto le tesi di Savini Nicci non mi convincano più di tanto, ne propongo alcuni estratti rimandando come al solito la lettura completa al link a fine post:

I periodi di crisi economica hanno sempre stimolato gli artisti a riflettere di più sulla propria arte, rappresentando i dubbi e le tensioni dell’ambiente dell’epoca. Il jazz in generale, e Brad Mehldau in particolare, offrono una chiave di lettura interessante per riflettere su cosa ci sta succedendo. Se facciamo un paragone, non troppo azzardato visti i tempi che corrono, con la crisi degli anni ’30, li’ il jazz si era trasformato da forza dirompente nei roaring twenties  con i vari Count Basie e Benny Goodman in musica più colta ed introspettiva negli anni ’30, suonata dalle ensenble di Duke Ellington a New York e, in Europa, dall’esplosione di Django Reinhardt.

Si era passato da uno swing pieno di irruenza a suoni più ragionati e molto influenzati da altri generi musicali (dalla musica classica ai suoni gitani). Possiamo osservare come la musica jazz si stia adattando ai tempi attraverso l’evoluzione di Brad Mehldau. Mehldau è uno dei più bravi pianisti jazz in giro e sicuramente ne avrete sentito parlare. Dal 2006 (non a caso l’anno prima dell’inizio della crisi) la sua musica ha preso una piega differente, avvicinandosi alla musica classica (con Highway Rider scritto e registrato con un orchestra sinfonica) ed all’opera (i CD di duetti registrati con cantanti famosissime come Renee’ Fleming ed Anne Sofie Von Otter).

Trovando una prospettiva molto piu’ profonda, allargando i propri orizzonti con umilta’ e rispetto a generi meno leggeri. E’ curioso vedere come uno dei suoi standard più famosi (Blackbird dei Beatles) si sia evoluto nel tempo. E’ stato registrato per la prima volta nel 1997 nel suo trio ed e’ una versione piena di ego della canzone dei Beatles. Il pianoforte domina totalmente la scena ed insegue il refrain più volte imponendolo agli altri strumenti. Lo stesso tema viene registrato nel 2010 con Anne Sophie Von Otter, la famosa soprano Svedese.

La musica e’ molto cambiata, diventando un duetto tra due pari ed e’ molto piu’ intima e profonda. Al tempo stesso bellissima. Ambedue le versioni sono notevoli, ma, citando Fukuyama, è come se nella prima si fosse pensato che la storia fosse finita (avendo appreso già tutto), mentre nella seconda si ritrova una prospettiva piu’ completa ed umile (la storia continua in maniera ciclica, quindi possiamo ispirarci anche ad esempi piu’ colti quando guardiamo al futuro)

Link: http://www.loccidentale.it/node/112604


 

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Francesco Martinelli il 08/01/12 alle 09:36 via WEB
Ma prima di scrivere di jazz online non si potrebbe leggere, che so, un articolo di wikipedia, o anche quello è ormai roba da intellettuali? Sentite questa ponderosa osservazione socioculturale da un quotidiano online con pretese culturali: "il jazz si era trasformato da forza dirompente nei roaring twenties [1] con i vari Count Basie e Benny Goodman in musica più colta ed introspettiva negli anni ’30, suonata dalle ensenble di Duke Ellington a New York e, in Europa, dall’esplosione di Django Reinhardt. Si era passato da uno swing pieno di irruenza a suoni più ragionati e molto influenzati da altri generi musicali (dalla musica classica ai suoni gitani)." L'esperto di jazz si nota subito perchè scrive in altra parte dell'articolo Koonitz e Jarret, sbaglia "ensemble", concorda i verbi in modo creativo (si era passato) ma soprattutto per la prospettiva cronologica: Duke era del 1899 e ha inciso per la prima volta nel 1924, Basie del 1904 e Goodman del 1909, e hanno inciso solo negli anni Trenta. A discutere Django in questa prospettiva non comincio neppure. PS questo commento è stato inviato anche al sito originale.
 
 
pierrde
pierrde il 08/01/12 alle 10:06 via WEB
Come spesso succede i commenti a quanto trovo in rete sono molto più pepati dei miei ed in genere, come nel caso, provengono da operatori del settore. La scorsa estate avevo raccolto un florilegio di recensioni dei diversi jazz festivals e ne avevo fatto dei post tra il divertito e lo stupito, ma volendo applicarsi, in rete si trovano articoli e commenti che, visti con la dovuta ironia, valgono la visita....
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 08/01/12 alle 14:23 via WEB
Certo si tratta di un bel campionario di sciocchezze ed errori vari, ma, francamente, trovo ancor più irritante a volte veder scrivere cavolate pseudo colte musicalmente da chi dovrebbe saperne molto per via cartacea. Alla fine mi pare che sull'ignoranza jazzistica ci sguazzino in parecchi...
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 08/01/12 alle 14:38 via WEB
riguardo a Mehldau, pur non essendo un suo fan, sono parzialmente concorde sul fatto che la sua produzione dei primi anni era jazzisticamente più interessante o forse semplicemente migliore. Consiglierei di ascoltarsi un Anthropology contenuto se non erro in un suo disco del 1993 (aveva solo 23 anni) dal titolo "When i fall in Love" inciso con i Rossy. L'assolo ivi contenuto e di un livello jazzistico assoluto.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Francesco Martinelli il 09/01/12 alle 17:54 via WEB
Aspetta... è arrivata la risposta sul sito: "la mia opinione sulla evoluzione temporale non e' basata sulle date di nascita degli artisti ne' sulla discografia per se ma su una effettiva influenza sul genere jazz, un ragionamento che puo' apparire semplicistico ma che permette di apprezzare il trend" Meravigliosa fumisteria che non spiega nulla: come si manifesta "l'effettiva influenza" di Basie e Goodman negli anni Venti non è ancora chiaro, ma l'ho chiesto e senza dubbio avrò risposta.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Francesco Martinelli il 11/01/12 alle 11:46 via WEB
Tutto tace. Esempi concreti di come si è manifestata l'influenza di Benny Goodman sulla musica degli anni Venti non ne arrivano, nè il mio messaggio di richiesta viene pubblicato.
 
 
pierrde
pierrde il 11/01/12 alle 12:11 via WEB
Credo che non avrai altre risposte...però in compenso puoi partecipare al nuovo tormentone: il jazz è italo-afro-americano ?
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Francesco Martinelli il 11/01/12 alle 12:43 via WEB
he he ma se l'ho aperto io... è l'articolo in cui ho scoperto Richie Sambuka! (il pianista, mi è stato fatto notare, era Sal Mosca..)
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Francesco Martinelli il 12/01/12 alle 10:21 via WEB
Spigolature... Ho preso il libro di Bollani su Tu Vuo' Fa' l'Americano di Carosone. Non mi aspettavo molto, e quindi non sono rimasto deluso. Le pagine più interessanti sono quelle in cui si discute la canzone. Quando si avventura a discutere di storia del jazz, infila un errore marchiano dopo l'altro. La ODJB viene definita un quartetto, e poi subito dopo si cita un episodio in cui la Victor avrebbe offerto di incidere il primo disco di jazz a Buddy Bolden. Ora, ammesso l'episodio sia vero, il povero Buddy era in manicomio da 10 anni. Il riferimento corretto è a Freddie Keppard...minuzie? Forse. Ma se in un libro sulla musica classica uscisse un riferimento a Bach quando si intende Handel, cosa succederebbe a chi l'ha scritto?
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
riccardo il 13/01/12 alle 10:18 via WEB
Mi pare che Bollani voglia fare un po' troppe cose, vizio ormai consolidato tra i ns jazzisti che tra una direzione artistica, uno spettacolo tv o radiofonico, un libro e una recensione, alla fine trascurino la qualità della loro proposta. In questo senso riporto incidentalmente a notizia che il nuovo direttore artistico di bergamo Jazz Enrico Rava ha messo in cartellone l'ex direttore artistico Paolo Fresu. Lascio ad altri pensieri e commenti. Per me è (purtroppo) tutto molto coerente con il panorama italico. La cosa può comunque essere letta in molti modi. Da un lato sarebbe bello che ognuno tornasse a fare il proprio mestiere, dall'altro forse chi dovrebbe svolgere al meglio certi compiti dovrebbe farsi qualche domanda sul proprio livello di comunicazione e divulgazione della materia, insieme alla propria competenza. La spiegazione più semplice è semplicemente una motivazione di marketing. Bollani è un personaggio e quindi qualsiasi cosa possa scrivere il lettore è interessato a comprarla più di un preciso trattato musicologico sul jazz.
 
   
Utente non iscritto alla Community di Libero
babs il 13/01/12 alle 15:33 via WEB
Che ti devo dire ...ogni volta che ti leggo sono totalmente d'accordo con te!
 
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