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Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

IL JAZZ SU RADIOTRE

 

martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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JAZZ & WINE OF PEACE

Pipe Dream

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trombone, Filippo Vignato

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CARI ITALIANI, E' TEMPO DI VALORIZZARE I VOSTRI JAZZISTI

Post n°1100 pubblicato il 11 Novembre 2008 da pierrde

Non lo dico io, che già ho abbondantemente scritto in proposito, lo dice Thierry Quenum sul nuovo numero di Jazzit in edicola in questi giorni. Il critico francese pare inconsapevolmente riprendere i temi della animata discussione che nei giorni scorsi ha tenuto banco su questo blog. Ne pubblico una parte, a mio parere significativa e che in gran parte condivido, senza per questo voler rinfocolare polemiche. Si tratta di un parere qualificato e che proviene da un osservatore esterno, poi naturalmente ognuno può trarre le proprie considerazioni.

......voglio parlarvi di voi ed esporre il punto di vista di un osservatore francese.....La prima osservazione ha a che fare con il posto che occupano i musicisti americani nei programmi dei vostri festival e concerti, cosi' come nei workshop e negli stage di jazz. Niente del genere accade in Francia, Germania, Scandinavia. Mi è stato spiegato che una stupida legge relativa alle tasse fa si' che molto spesso ingaggiare musicisti americani costi assai meno che far suonare un italiano. Ed ecco quello che lascia perplessi: il valore del musicista in questione non sembra intervenire affatto su questo piano. E in effetti si vedono spesso nei cartelloni delle rassegne italiane musicisti americani pressochè  sconosciuti nel resto d'Europa. Io però scorgo in questo fenomeno un'altra ragione. Una sorta di complesso italiano (il contrario dell'arroganza francese) nei confronti degli Stati Uniti. Un complesso che, senza dubbio, non ha la sua origine nel jazz..........

Avete torto, cari amici italiani. I vostri musicisti jazz sono tra i più interessanti d'Europa, addiritura del mondo, e spesso valgono molto di più di certi americani considerati da voi come degli dei. Non farò nomi...ma anche si. Qualche anno fa ero ad Amburgo per un concerto del quartetto di Chris Potter seguito dal duo di Enrico Rava e Stefano Bollani. Il fatto stesso di far suonare  un duo dopo un quartetto pare già indicare che per la Radio della Germania del Nord che organizzava il concerto, Rava e Bollani superavano Potter nella gerarchia di valore. D'altro canto prendere il testimone dopo la profusione di enmergia e di volume sonoro sviluppata da un quartetto con batteria, poteva sembrare una scommessa rischiosa per il duo. Potter e i suoi compagni, sicuramente affaticati dalla lunga tournèe che terminava, hanno suonato bene ma senza guizzi, sui soliti riflessi e clichè di un gruppo americano della loro generazione: tecnica impeccabile,ma poca musica, poco feeling e poca comunicazione con il pubblico che applaudiva educatamente come ci si aspetta dai tedeschi. I due italiani, invece, nel giro di due minuti avevano il pubblico in tasca. Certamente per musicalità e virtuosismo, ma anche per la loro umanità, il loro umorismo, le loro presentazioni italo-anglo-tedesche dei pezzi...Insomma per la carica vitale di cui era piena la loro esibizione. Il pubblico, radioso, ha lasciato il teatro dopo interminabili applausi e richieste di bis. ....Gli italiani sono coscienti dell'opinione  che gli ascoltatori stranieri hanno di questi musicisti ?...Sanno che alcuni di loro sono star europee, addiritura mondiali ? E che Rava e Bollani (ma potrei parlarvi di Trovesi, che ha trasformato con la sua musica un villaggio normanno in colline toscane; o Pino Minafra, che ha incendiato il Palazzo dei Congressi di Le Mans; o Francesco Bearzatti, che ha dato agli spettatori del festival Banlieus Bleues l'impressione di sudare, di felicità, in pieno inverno parigino...) che hanno ricevuto rispettivamente il Jazzpar Prize a Copenhagen e l'European Jazz Prize a Vienna, che valgono molto più degli americani che monopolizzano le scene italiane. Non ho niente contro gli americani, ma trovo siano sopravvalutati dal pubblico e dagli operatori italiani. E trovo che, se fanno ombra ai musicisti italiani, ancora di più ne fanno agli altri musicisti europei.......Mathias Ruegg della Vienna Art Orchestra mi diceva qualche tempo fa che prendeva clarinettisti italiani nella sua orchestra (Nico Gori, Mauro Negri) perchè erano i migliori. L'Italia gli ha mai reso omaggio invitandolo a tenere stage d'arrangiamento o direzione d'orchestra ? No, in compenso li fa tenere, decine e decine di volte, da Carla Bley...

L'articolo completo su Jazzit di novembre/dicembre nella rubrica Ici la France 

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Anonimo il 11/11/08 alle 12:06 via WEB
Curioso, a me l'articolo ha provocato una serie di (modeste) riflessioni di segno opposto. Poniamo un punto fermo: non discuto che in Italia vi siano ottimi musicisti che operano nel campo del jazz e della musica improvvisata. Discuto la loro esagerata, ormai nazionalistica sopravvalutazione, che a mio parere danneggia -con lo sperpero di incondizionati "laudatores"- la stessa crescita di alcuni degli stessi musicisti. E il nazionalismo guascone è cosa che sempre mi inquieta in una nazione (?) in cui lo "spirito di patria" (riconosco che persino il termine "patria" poco mi entusiasma) è sempre sfociato (come peraltro accade oggidì) in tentazioni autoritarie. Il Minculpop è sempre in agguato, da noi, persino fra le forze cosiddette d'opposizione. Ciò detto, il tutto mi pare una provinciale "ospitata" concessa provincialmente da una pubblicazione provinciale a un testo altrettanto provinciale, per di più venato di un intollerabile paternalismo, che mi pare vieppiù criticabile e da rispedire al pacioso e un po' spocchioso mittente. Già, perché nel culturale deserto che oggi è la Francia (teatro di grande vivacità culturale per tradizione, ma oggi ridotta a un coacervo di brillanti intellettuali votati alla superficialità, allo spolvero brillante ma privo di ogni autentica solidità), permane il tradizionale vezzo chauvinista di piccarsi di saperne una non solo più del diavolo, m soprattutto dell'amato-odiato cugino italiano. Si sa che i francesi si sono sempre vantati di saper individuare, accogliere e ospitare meglio di chiunque altro, il talento altrui, che si trattasse di intellettuali, artisti, filosofi o esponenti delle Brigate Rosse. A lungo si sono e ci siamo cullati nel mito che la Francia fosse stato l'Eden per gli artisti africani-americani segregati e non riconosciuti in patria (idea che accomunava anche tanti intellettuali americani, i cosiddetti "expatriate", che da Henry James a Hemingway o Paul Bowles o George Antheil, a Parigi avevano trovato -erano anche altri tempi e non vi era stata né la Shoa o Vichy a radere al suolo un'intera civiltà- accoglienza): basta leggere un testo di stampo antropologico e sociologico come "Negrophilia: Avant-Garde Paris and Black Culture in the 1920s" di Petrine Archer-Straw, per riportare la discussione su binari più equi e meno retorici, laddove certa generosità, da Josephine Baker a Sidney Bechet, si è dimostrata ben pelosa... Per cui, debbo dire che la tirata del giornalista francese (confesso di non credere al giornalismo musicale, fenomeno piuttosto folkloristico a tutte le latitudini. Preferisco credere alla musicologia) olezza di un paternalismo accondiscendente che saprà anche solleticare l'orgoglio nazionale, ma che in realtà ha quel tono di chi la sa lunga, più lunga dei poveri italiani incapaci (per conclamata esterofilia) di comprendere quelle realtà che, invece, i francesi dotati di pascaliani "esprit de finesse" ed "esprit de géometrie", hanno invece ben chiare. E' un (antico) meccanismo a doppio binario, è vero, tant'è che taluni fra i nostri artisti (uno per tutti, Paolo Fresu) hanno goduto di migliore accoglienza nel patrio lido una volta ottenuto un imprimatur francese. Frutti, per l'appunto, di un provincialismo che assilla ambedue i versanti della frontiera in comune. Peraltro, lo scrivano francese mostra di non conoscere taluni meccanismi storici della "fruizione" (parola orrenda, lo so: la uso per comodità) del jazz in Italia. Musica che ci è stata a lungo negata dal fascismo, con l'aggravante del tradizionale ritardo culturale dell'Italia-non nazione nei confronti dell'Europa, e che ha poi conosciuto -nel bene e nel male- un momento di straordinaria espansione (ai concerti di Sam Rivers o Max Roach e Archie Shepp, a Umbria Jazz o altrove, si potevano raccogliere, negli anni Settanta, folle che in Francia erano e sono ancora oggi impensabili) in coincidenza con una stagione di portata anche ideologica, anche prima che l'intollerabile e dilettantesco libercolo di Philippe Carles e Jean-Louis Comolli, "Free Jazz/Black Power", diventasse il livre de chevet di una generazione che sulla cultura americana e africana-americana aveva conoscenze piuttosto confuse. E lo stesso scrivano francese dimentica il rapporto, fecondo quanto critico, che l'Italia del secondo dopoguerra, ha intrattenuto con la cultura americana, grazie a intellettuali (ve ne fossero oggi, da noi come in Francia) dello stampo di Elio Vittorini o Cesare Pavese o, anche, se vogliamo, di Fernanda Pivano. Tout se tien, si potrebbe commentare. diffido, ad esempio, di chi, per proporre l'improponibile paragone fra esperienze radicalmente diverse, come quelle di Chris Potter e quelle di Enrico Rava con Stefano Bollani, esalta non dati linguistici o culturali o musicali, ma si prodiga nell'elogio di un tongue-in-cheek italico che sa di iconografia turistica. A quando anche un bell'elogio della melodia popolare all'italiana come succedaneo del "Chist'è 'o paese d' 'o sole, chist'è 'o paese d' 'o mare...", della pizza, dei pomodorini o grappolo o, peggio, del mandolino e della serenata napulitana (le cui origini gloriose forse verrebbero fraintese dal nostro gallico giornalista)? Purtroppo, molti dei nostri migliori artisti rischiano di essere elogiati per stereotipi da plebeo neo-Baedeker turistico, come si evince dalla prosa ampollosa e, ripeto, paternalistica, di un giornalista che, mi pare, rischi di scivolare con troppa facilità nel "colore locale" (è una mia impressione forse fallace, lo riconosco, non avendo letto l'intero testo: pronto a ricredermi, dunque). Niente da eccepire su Matthias Ruegg, per carità, anche se da tempo pare avere esaurito una vena creativa: come autorità mi pare piuttosto labile... Con tutto il rispetto per Pino Minafra o per Gianluigi Trovesi: l'impressione, per me penosa, è che certe valutazioni siano asfittiche e superficiali, alquanto presuntuose e basate sul perpetuarsi di un angusto dualismo fra Europa e Stati Uniti che è idée fixe della cultura francese post-gollista (che, non a caso, trangugiò e digerì malissimo un testo per molti versi profetico come "Le Défi americain" di Jean-Jacques Servan-Schreiber). Trovo culturalmente ridicolo, per il rispetto che si dovrebbe spontaneamente tributare alla Cultura), questo "contest" fra europei e gli odiati ex-colonizzati oggi padroni, basato, in fin dei conti, sull'appropriazione, del tutto indebita da parte degli europei, di una cultura creata altrove, in un contesto unico e peculiare, da parte degli africani-americani e, in seconda battuta, da un crogiuolo di etnie unite dalla fenomenologia, criticabile o meno, ma affatto unica e per adesso irripetibile del cosiddetto "American Dream". La Cultura si diffonde ed influenza, ma non si clona: da tempo una missione italiana a Rondonia, in Brasile, trasmette agli indios le conoscenze sulla ceramica di Caltagirone. Con ottimi risultati, certo. Ma che mai si avvicineranno, ovviamente, alla originaria cultura secolare... I risultai, ovviamente, portano a qualcosa di nuovo, di diverso, con una sua propria validità. Non riesco a capire quest'ansia presuntuosa di riuscire meglio degli americani in campi che ci sono in parte estranei... Qual è il succo di questa gara che sfiora il ridicolo...? E che poi sfocia, per l'appunto, non nell'elogio dell'originalità di un autore come Enrico Rava, ma nel bieco paragone con qualcun altro, oltretutto di diversa preparazione, di altra generazione, di diversa cultura, di differente sensibilità... Mi pare un ridursi a un triste mercato delle vacche, in cui si cerca legittimazione culturale in una metà campo avversaria di cui si vogliono sfidare a tutti i costi i ben diversi parametri linguistici. Ed è ancora più banale quest'evocazione di un bipolarismo in cui il mondo culturale dovrebbe ridursi alla volgare competizione (non stiamo parlando di formaggi o di vini, pur con tutte le loro storiche personalità culturali, ma di un bene immateriale fra esseri umani) fra Europa e Stati Uniti (una staffetta, insomma, fra "padroni del mondo", nuovi e vecchi), in un momento storico in cui è straordinaria la ricchezza creativa che ci proviene da ogni parte del globo. Se penso alla creatività, anche nella musica improvvisata e accademica, che oggi è rigogliosa in America Latina, tanto per citare, mi fa un po' sorridere questa visione angusta dell'ecumene e che sa tanto di geopolitica un po' logora. Riconosco la validità di innumerevoli artisti nell'ambito della musica improvvisata (che discende in larga parte dal jazz): per quanto di "valori universali" (via, un po' di retorica...), il jazz è nato da una conquista da parte di un'etnia e poi di più etnie ferite, segregate, perseguitate, in un Mondo Nuovo (per l'appunto), con una fisionomia-laboratorio irripetibile. In quell'ambito, mi pare che -delineatosi un Canone africano-americano, gli americani dispongano di un'idiomaticità difficilmente assimilabile appieno. Ai miei modesti occhi, la vittoria di Obama rappresenta l'ascesa di nuove élite meticciate, la fine non tanto degli Stati Uniti, come si va cianciando, ma del predominio WASP, soprattutto del predominio bianco di derivazione europea. Il jazz ne è stato l'araldo da tempo. Mi pare, però, che riesca a molti difficile accettarlo... GMG
 
 
pierrde
pierrde il 12/11/08 alle 19:10 via WEB
Come sempre nella tua prosa, colta e prolissa, trovo punti di convergenza e altrettanti di divergenza. Cercherò di essere il più sintetico possibile (mica facile), sperando in altri interventi. Comincio dalla fine, quella del predominio WASP, che personalmente auspico ma che vedo ancora molto lontana. Cosi’ come credo che, tua precedente affermazione, il successo di Osama non spazzi via la vecchia Europa dal tavolo che conta.. Ci abbiamo già pensato da soli. Finchè Europa significherà più politiche e molto diverse tra loro continueremo a non contare niente e a non incidere nemmeno in (possibili) processi di pace. Tornando ad argomenti più consoni al blog, trovo alquanto ingenerosa la valutazione sulla rivista Jazzit. Un gruppo di persone che in una realtà difficile come quella italiana riesce a dare vita, mantenere e continuamente migliorare un progetto editoriale merita, secondo me, solo rispetto. Poi si può essere d’accordo o in disaccordo con le politiche editoriali e con le impostazioni di fondo, ma certo non si può spazzare via cosi’ l’impegno, il lavoro e la passione di Vincenzo Martorella (nota bene, non lo conosco personalmente …..). Quenum, senza pretese di trattato filologico, e in forma “leggera” e discorsiva ha dato voce a stati d’animo reali. Trasferirla su livelli più “alti”, sociologici, politici o di revanche potrebbe anche travalicare di molto le intenzioni reali dello scrittore. La presenza fissa che si protrae da molti anni degli stessi venti nomi americani a Umbria Jazz a discapito di idee più fresche e di personaggi più intriganti è solo negativa. Con questo, se l’aria nuova e le nuove proposte venissero dagli States credo proprio che nessuno se ne lamenterebbe. Paragonare Rava a Potter è possibile se fatto in chiave di pura godibilità e fruizione di un concerto. Tutti l’abbiamo fatto e lo facciamo continuamente quando scegliamo di andare ad un concerto piuttosto che ad un altro. Se ascoltando Chick Corea mi faccio due palle cosi’( per la noia e la rabbia nel vedere tanto talento dilapidato) non mi consola sapere che ha scritto pagine di storia, anzi…Al Teatro Manzoni preferisco andarci per altri protagonisti, che magari non lasceranno traccia nei sacri testi, ma che in compenso mi fanno divertire e magari dispensano idee più stuzzicanti e meno convenzionali di un bolso jazz rock. Preferire musicisti europei a quelli americani non necessariamente va letto in chiave scardinante , provinciale o di negazione della storia, è invece nell’ordine delle cose e delle possibilità di scelta. Nessuno sano di mente e con un minimo di conoscenza nega la primogenitura della musica afro americana alla società e alle etnie che l’hanno prodotta, e nemmeno si sogna di scipparne l’imprimatur ed il ruolo assolutamente centrale e unico che non può non avere. In quanto ai musicisti italiani sopravalutati e portati in palmo di mano bisognerà intendersi. A fianco dei cinque/dieci nomi che monopolizzano la scena, i media e le poche occasioni di visibilità, ce ne sono a decine che non riescono nemmeno a vivere con il loro lavoro e la loro passione pur avendo le carte assolutamente in regola. Di chi stiamo parlando quando affermi che la valutazione è esagerata? Di Rava e Fresu ? O di Angeli eBebo Ferra? Perché se si tratta dei primi è un conto (e comunque ci sarebbe da discutere…), degli altri invece non saprei proprio dove e come . Chiudo qui, anche perché sono in partenza per lidi lontani. La casa rimane aperta comunque a chiunque abbia da dire o da ridire su questi argomenti. A presto.
 
   
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Anonimo il 12/11/08 alle 23:02 via WEB
JazzIt è, a mio modesto parere, pubblicazione banale e superficiale, realizzata con una prosa raccapricciante e spesso con una sorprendente pochezza di approfondimento. La sua lettura è spesso esercizio che rasenta il "dramma giocoso". Ognuno è libero di pensarla diversamente, a seconda delle proprie necessità. Come ho già reso chiaro, non credo al giornalismo musicale, che è pratica dilettantistica un po' ogni dove. Per il resto, la pensiamo in modo diametralmente diverso, cosa di cui ho già preso atto e mi sembra inutile proseguire nella riproposizione dei nostri distinti punti di vista. Sicuramente, il Vietnam è più attraente e consolatorio (uno dei luoghi più influenzati dalla cultura americana che io conosca). Quanto a Chick Corea, lungi da me farne il panegirico. Non amo, però, né i pregiudizi né gli stereotipi, che riguardino il jazz-rock (che andrebbe studiato meglio prima di emettere giudizi preconfezionati e venati dai soliti ismi) o lo stesso Corea (che s'è guardato bene dal fare jazz-rock... è difficile recensire, immagino, concerti cui non si è stati... per partito preso), per quanto la sua arte non sia proprio my cup of tea. Ma, come hai già detto, divertendoti meno del solito (mi par di capire), hai altre preferenze, cosa che è ovviamente lecita. Il mondo, dicono, è bello perché è vario. Più passano gli anni, più diffido degli stereotipi e delle mummificazioni ideologiche. Buon viaggio. GMG
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 11/11/08 alle 19:14 via WEB
Sono completamente in sintonia con GMG. Non so ancora a parte i soliti nomi (Favre, Humair, Schweizer)se ci saranno dei nuovi beniamini per la squadra svizzera.....fiorenzo
 
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Anonimo il 11/11/08 alle 23:11 via WEB
Hey every one, my best friends lil brother just introduced me to Gordin Goodwin's music because they played on of his songs in his High School Jazz group. I wasn't a jazz fan untill I heard his stuff and now I am a believer. You can download one of his songs for free from here http://www.amazon.com/gp/product/B001GLHC6M/ref=cm_cr_thx_view ENJOY! AND MAY THE GROOVES FLOW THROUGH DEPTHS UNKNOWN........
 
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Anonimo il 12/11/08 alle 18:54 via WEB
GMG, guarda che abbiamo capito; il nostro jazz non ti piace (da quanti anni un italiano non è invitato ad Aperitivo in Concerto?)e guai a chi non la pensa come te. Un modesto suggerimento. Visto che hai tanto tempo a disposizione e tante cose da dire, perché non crei un tuo blog?
 
 
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Anonimo il 12/11/08 alle 22:48 via WEB
Credo che il punto del contendere non sia la mia persona, che ti piaccia o non ti piaccia. Per rispetto nei confronti di altri, dunque, credo sia più interessante sapere se hai idee in materia o solo quelle -peraltro pochine- sulla mia persona, che non reputavo così degna del tuo interesse. Grazie. GMG
 
   
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 14/11/08 alle 18:47 via WEB
Invece di usare il solito tono sprezzante, rispondi alla domanda. Quanti anni sono che un jazzista italiano non si esibisce ad Aperitivo in Concerto?
 
     
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Anonimo il 14/11/08 alle 18:51 via WEB
per fortuna che è cosi aperitivo in concerto e poi a te cosa te ne frega non sei altro che un maleducato e non hai nemmeno il coraggio di mettere il tuo nome quello vero....
 
     
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Anonimo il 15/11/08 alle 10:15 via WEB
Dunque, ti rispondo con una premessa che, spero, ti sia chiara: non beneficio di fondi pubblici, non uso il denaro del contribuente ma fondi privati. Mi dirai: "che c'entra?". E' semplice: se usassi fondi pubblici avvertirei il dovere di ospitare musicisti "locali", come m'è accaduto per EtnaFest, la manifestazione che ho diretto per cinque anni a Catania. Utilizzando fondi privati mi sento libero di realizzare, nei limiti del possibile e di un budget risicato, una stagione come la immagino io, impostata perciò su di un contesto di progetti in larga parte pensati per un teatro, assumendo il jazz e la musica improvvisata come parte fondante dei linguaggi più sofisticati della nostra contemporaneità. Credo che vi siano ottimi musicisti in Italia come in Europa, ma nel campo del jazz ho -riconosco- scarso interesse per dei linguaggi che reputo derivativi e in larga parte ininfluenti. Credo pochissimo nella cultura europea, credo molto di più nel meticciato (che è la mia "filosofia") e nella nuova creatività extra-europea. Sono un meticcio anch'io, perciò rispondo alle mie coordinate culturali. Pensa che l'unico improvvisatore europeo per il quale ho una stima profonda è Michel Portal, ed è forse uno dei pochi artisti europei che vorrei avere sempre in una stagione. Gusti personali, come vedi. Con questo non intendo negare validità alla musica improvvisata italiana: non è, però, nelle mie corde, non fa parte del mio "progetto" culturale. Credo, inoltre, che sia molto più utile che i talenti "locali" fuoriescano dall'Italia, come credo che sia molto più utile, per il pubblico, incontrare e conoscere la diversità, l'alterità. Nessun tono sprezzante (casomai il tuo m'è parso irritato), bensì semplici considerazioni professionali. Ognuno risponde alla propria cultura e, fino a prova contraria, viviamo in democrazia. M'è capitato di ospitare Paolo Fresu, in un progetto di Jim Hall, ho apprezzato l'intelligenza di Fresu che, come musicista, poco mi convince e poco mi interessa. Ripeto, ne riconosco l'intelligenza e la sensibilità: per il resto, mi impressiona come un dejà ecouté. Capisco quelli che chiamano in continuazione Enrico Rava: per quanto sia uno strumentista ben mediocre, ha saputo costruirsi una propria originalità attorno ai suoi difetti, caratteristica delle persone molto intelligenti e sensibili. E' l'unico artista italiano, nell'ambito della musica improvvisata, che abbia saputo realizzare un linguaggio originale, molto italiano ma allo stesso tempo estremamente cosmopolita. Per il resto, però, direi che soffre di un certo presenzialismo, ma poco male... GMG
 
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Anonimo il 14/11/08 alle 18:54 via WEB
....e non hai nemmeno argomentazioni...fiorenzo
 
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Anonimo il 15/11/08 alle 12:50 via WEB
Ho avuto modo di leggere l'acclamato testo di Thierry Quenum: una pubblicazione seria si sarebbe astenuta dall'ospitare un articolo dilettantesco, scritto poveramente e con argomentazioni da analfabetismo di ritorno. Solo dei provinciali con un forte complesso di inferiorità possono ancora misurarsi sulla critica musicale francese, sempre più paludata, presuntuosa e ignorante. Perché solo un ignorante (e solo una pubblicazione affetta da anchilosi culturale) può misurare la "grandezza" di un artista sull'accoglienza ricevuta in Francia: perché i parametri del Signor Quenum sono semplicemente risibili e di uno chauvinismo da banlieu: è il pubblico francese, insomma, a decretare la qualità, ed è in base a tale pubblico, dunque, che si misura l'eccellenza. Eccellenza che, naturalmente, i francesi (la cui scena musicale oggi è di sconcertante povertà anche in campo accademico, fatta eccezione per il senso organizzativo e il marketing, di gran lunga superiore ai nostri) sono gli unici a percepire, anche per ciò che concerne i musicisti italiani. Questa prosopopea scritta male (e l'ineffabile parallelo fra Carla Bley e Matthias Ruegg?, che l'editore o il direttore della malcapitata pubblicazione nostrana avranno preso per chissà quale intelligente peana sui musicisti italiani, in realtà si rivela umiliante per gli stessi. Di questo tipo di elogi zoppicanti, scritti con la zappa si può ben fare a meno. Per dignità, quanto meno. GMG
 
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Anonimo il 16/11/08 alle 19:04 via WEB
GUALBERTO BASTA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
 
 
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Anonimo il 16/11/08 alle 19:56 via WEB
Scemo o fascista? O più semplicemente maleducato per manifesto complesso d'inferiorità?
 
 
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Anonimo il 16/11/08 alle 20:37 via WEB
perchè non scrivi il tuo nome . sicuramente come dice GMG hai un complesso di inferiorità non indifferente e un cuoziente di intellegenza che lascia a desiderare come sono tutti i nazionalisti come te, di una ignoranza paurosa....testa di cazzo fiorenzo
 
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Anonimo il 17/11/08 alle 13:31 via WEB
Per GMG. Premessa. Sono un semplice appassionato con poco tempo per ascoltare e ancora meno per leggere riviste o saggi. Non so leggere la musica, né suonare uno strumento. Sono, insomma, un analfabeta. Dico questo per farle risparmiare tempo: non mi insulti, lo faccio da solo. Per i modesti appassionati del mio genere la musica si distingue in due categorie: quella che ci emoziona e quella che non ci riesce. Il critico francese ha scritto un pezzo per quelli come noi e gliene sono grato. Che c'entrino con l'emozione che suscita un concerto Hemingway, Bechet, il paternalismo, il fascismo, Comolli, Obama e via elencando non lo capisco, così come non capisco un'altra cosa: lei scrive di esagerata sopravvalutazione degli artisti italiani e poi afferma che Fresu ha ottenuto miglior accoglienza in Italia dopo l'imprimatur francese. Non è una palese contraddizione? Per Fiorenzo. Prima di scrivere di ignoranza paurosa, sarà meglio ripassare l'ortografia di quoziente. DM
 
 
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Anonimo il 17/11/08 alle 14:56 via WEB
si certo, però quoziente o cuoziente sono per me la stessa cosa, cioè sinonimo di cretino. quando qualcuno stravede per i propri beniamini non può capire il concetto di GMG noi italiani all estero non abbiamo questa stupida presunzione di far nostra a tutti i costi una cultura lontana dalla nostra.
 
 
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Anonimo il 17/11/08 alle 17:05 via WEB
Che dirLe? Chi si accontenta gode. Lei ne fa una questione di gusti, magari a pelle. Io faccio un ragionamento diverso. Come diceva Totò, "a prescindere"... In realtà, a me paiono esageratamente, e neocolonialisticamente sopravvalutati, i jazzisti europei in generale... E l'articolo di somma provincia mi ha colpito per la sua volgare rozzezza, per il suo autarchico atteggiamento da hit parade dei poveri, con dei raffronti semplicemente improponibili. Tutto qua. GMG
 
pierrde
pierrde il 17/11/08 alle 16:44 via WEB
Da Hanoi, grazie all'ospitalità di amici, riesco a dare un'occhiata a casa, ma quello che vedo non mi diverte molto....Non so che dire, ho lasciato casa aperta, spero ancora in un utilizzo intelligente e privo di eccessi degli spazi...Arrivederci !
 
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Anonimo il 18/11/08 alle 13:31 via WEB
Qualche domanda sparsa. La ceramica di Caltagirone. GMG stesso scrive che i risultati degli allievi brasiliani portano a qualcosa di nuovo, di diverso, con una sua propria validità. Perché questo non può valere per il jazz italiano? La critica. I nostri artisti sarebbero sopravvalutati, spinti dalla critica italiana. Ho confrontato i nomi citati nell'articolo di jazzit con quelli del Top Jazz 2007. Rava e Bollani sono primi, Trovesi ha un secondo posto, Minafra un terzo indiretto nei gruppi grazie a Canto General. Gli altri non sono inseriti fra i primi cinque di alcuna graduatoria. Come spinta non mi sembra tanto poderosa... Fresu. Ha suonato con Hall e, più recentemente, con Uri Caine e Carla Bley. Lo hanno scelto con il bieco scopo di vendere qualche disco e fare qualche concerto in più in Italia? Li ha pagati lui per suonare con loro? E se lo avessero banalmente scelto per il suo valore? perché lo considerano all'altezza dei colleghi statunitensi, almeno quelli della sua generazione? Michel Portal. Grande rispetto, stima e affetto per Konitz, Mariano, Jones, Newman, Wess: icone della storia del jazz. Ma davvero vogliamo sostenere che non esiste in Europa un artista - tolto Portal - in grado di dire qualcosa di più interessante rispetto a questo gruppo di più o meno arzilli ottuagenari? In sostanza, ho la sensazione che GMG si sia messo sulle orme di un noto personaggio che con questo sistema ha fatto i milioni, andando ad occupare la nicchia del critico jazz bastiancontrario. Tutti lodano un film? Io lo stronco. Tutti lodano un artista? Io lo stronco. Tutti lodano un libro? Io lo stronco. Dal punto di vista del marketing il sistema funziona meravigliosamente. Una critica positiva in mezzo ad altre cento passa inosservata, una stroncatura - specie se scritta con linguaggio acceso e sferzante - fa notizia. Questo post ne è un modesto esempio. E' vero: qualche volta il Re è nudo; altre volte però è nudo il critico. Con la speranza di non aver urtato troppo la suscettibilità di nessuno. Alex
 
 
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Anonimo il 18/11/08 alle 20:37 via WEB
Insomma, Alex si meraviglia che qualcuno ogni tanto canti fuori dal coro. Tale misera indipendenza di giudizio, insomma, non viene apprezzata o valutata, passa invece per esibizionismo, magari a fine di lucro. Interessante. Insomma, Alex trova criticabile che non ci si allinei ai gusti correnti. Anzi, reputa che avere una propria opinione sia criticabile, ché -come egli sostiene- il critico sarebbe nudo. Insomma, o si bela col gregge o si rischia anche di essere più o meno interpretati come dei presuntuosi rompicoglioni. Il problema è che io non sono un critico, né -ringraziando il Padreterno- un giornalista musicale. Ho smesso di scrivere professionalmente da quando ho assunto una direzione artistica, onde evitare conflitti di interesse. Nudo o meno, ho cercato di elaborare una teoria in cui credo fermamente. Trovo il meticciato, oggi, la vera risorsa culturale, non riconosco alcuna superiorità culturale agli europei e alle loro pretese -lo ripeto- neocolonialiste, in contesti e ambiti linguistici in cui il loro ruolo è sempre stato da comparse, mai da protagonisti. Con questo non intendo dire che non vi siano ottimi strumentisti anche in Europa, nel campo del jazz: il loro ruolo è, a mio parere, essenzialmente ininfluente. Io non ho neanche detto che gli artisti italiani (ed europei) siano sopravvalutati: ho detto e ripetuto che trovo insopportabile il coro di lodi che li accompagna in modo stucchevole e acritico, che sa di autarchia, di nazionalismo fesso, soprattutto nel momento in cui questi artisti vengono paragonati "contro", vengono raffrontati ai creatori storici del jazz con aria ormai di spocchioso ludibrio, come quell'autentico comico francese pubblicato da JazzIt, che parla di Chris Potter e Carla Bley con la stessa competenza con cui un macellaio potrebbe parlare di carpe, tinche, trote e lavarelli. Insomma, per il neocolonialismo europeo, non si tratta di valutare il talento europeo, ma di pubblicizzarlo come superiore ad altri, che oltretutto tale idioma hanno vissuto storicamente con ben altro ruolo e spessore. Ripeto, trovo imbecille la "gara" fra europei e extra-europei: lì sì che il critico è nudo, altro che... E facendo il mestiere che faccio, mi permetto di conoscere i retroscena di certe amichevoli collaborazioni, peraltro anche venate di stima e di senso diplomatico. Spesso gli americani sanno essere più scaltri e diplomatici di quanto possiamo sospettare. Ma non mi addentro oltre in questo campo, conscio che, comunque, una rondine non fa primavera. Né capisco cosa c'entrino gli ottuagenari (adoro il bieco razzismo giovanile di chi tratta l'arte come un fatto ormonale, più o meno come un amplesso: dopo una certa età, insomma, si cessa di essere utili. Ottuagenario è Ornette Coleman, ad esempio. Lo è Sam Rivers, lo sono altri: come dicono a Roma, certuni dovrebbero sciacquarsi la bocca con i selci quando, trattando la Storia, la riducono a macchietta: arzilli ottantenni, una definizione francamente triste e indicativa di una certa povertà culturale): nella mia attività ho trattato con rispetto la contemporaneità (non mi risulta che nei cartelloni da me realizzati per gli Arcimboldi o per il Manzoni vi siano solo artisti anziani, che pure hanno molto da insegnare anche a certi lettori di questo minimo dibattito) ma lo stesso rispetto, se non di più, l'ho dedicato agli "arzilli ottuagenari" che hanno creato una forma d'Arte in mezzo al razzismo e alla segregazione. Definire certi artisti degli arzilli ottuagenari evoca un senso di miseria morale. Comunque, ho espresso le mie opinioni, non ho chiesto né imposto ad altri di aderirvi. Sì, francamente, non vedo nel panorama musicale europeo dal secondo dopguerra ad oggi niente che non cessi di sottolineare la crescende aridità culturale di un continente non più centrale, non più dominatore, che rifiuta di accollarsi la responsabilità di prendersi qualche turno di riposo nel succedersi dei grandi cicli storici. Credo che la Cultura della nostra contemporaneità si faccia (forse) in minima parte in Europa: il mondo, oggi, è altrove. E di questo mutamento epocale il jazz è stato profeta e alfiere. Che piaccia o meno. GMG
 
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Anonimo il 19/11/08 alle 21:21 via WEB
così parlò " er sòla"
 
 
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Anonimo il 20/11/08 alle 08:28 via WEB
Una bella ricchezza di argomentazioni, non c'è che dire... I complessi d'inferiorità giocano sempre brutti scherzi. GMG
 
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Anonimo il 20/11/08 alle 11:26 via WEB
Una giuria di critici qualificati ha assegnato il premio Top Post 2008. 1° premio a Fiorenzo, per la profondità del ragionamento e la raffinatezza del linguaggio. Hanno consegnato il premio Massimo Boldi e Alvaro Vitali; 2° premio a GMG, per la larghezza di vedute e il rispetto delle opinioni altrui. Ha consegnato il premio l'on. Maurizio Gasparri. GMG ha vinto anche la Coppa dell'Amicizia Italia - Francia, sponsorizzata dalla rivista Jazzit; Sempre a GMG è andata la targa Conflitto d'interesse,no grazie, consegnata dall'on. Silvio Berlusconi. Nota di colore: mentre posavano per i fotografi, l'on. Berlusconi ha fatto il gesto delle corna dietro la testa di GMG. 3° premio a Pierrde, per la temerarietà dimostrata nel lasciare aperta la porta del blog. Avrebbe consegnato il premio Giselle Bundchen, ma Pierrde era assente. Peggio per lui. WPF
 
 
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Anonimo il 20/11/08 alle 11:49 via WEB
Uau, che humor sopraffino... In realtà, pierrde, come lo chiami tu, è stato civile e democratico, tant'è che la discussione con lui, come con tutte le persone civili e intelligenti, si è mantenuta nei confini doverosi della buona educazione. Purtroppo, i tuoi interventi privi di sostanza, più che un insulto all'intelligenza (di cui mi pare essere allarmantemente privo), quelli sì sono prova di intolleranza. Non contribuiscono a nulla, non fanno progredire la discussione, non convincono, sviliscono, sono solo il teatro cadente di una gastralgia alimentata da frustrazioni personali. Sono, in definitiva, un insulto proprio alla civiltà del padrone di casa, che tu prendi bellamente a pedate, sputando sulla diversità di opinioni che egli dimostra di saper affrontare. Un consiglio: cresci, matura e cerca di contribuire alla discussione dando prova di avere qualche idea personale. Anche perché il mesiere del comico è difficile, richiede talento e professionalità: altrimenti ci si riduce, per l'appunto, a fare il buffone. Mestiere che, peraltro, eserciti piuttosto male. Persino quello... Un caro saluto, GMG
 
   
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Anonimo il 20/11/08 alle 16:03 via WEB
<<una pubblicazione seria si sarebbe astenuta dall'ospitare un articolo dilettantesco, scritto poveramente e con argomentazioni da analfabetismo di ritorno. Solo dei provinciali con un forte complesso di inferiorità possono ancora misurarsi sulla critica musicale francese, sempre più paludata, presuntuosa e ignorante. Perché solo un ignorante (e solo una pubblicazione affetta da anchilosi culturale) può misurare la "grandezza" di un artista sull'accoglienza ricevuta in Francia: perché i parametri del Signor Quenum sono semplicemente risibili e di uno chauvinismo da banlieu>>. E tu, che hai dato dell'ignorante, del dilettante, dell'analfabeta di ritorno e via disprezzando a Quenum, saresti quello che si è mantenuto <<nei confini doverosi della buona educazione>>? WPF detto Il Buffone
 
     
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Anonimo il 20/11/08 alle 20:26 via WEB
Ancora una volta non contribuisci alla discussione, preso da un livore che è francamente fuori luogo: capisco di essere al centro della tua attenzione ma, francamente, il fatto non mi lusinga, non essendo io in grado di aiutarti a superare problemi che, evidentemente, richiedono un intervento specialistico. Più che pensare a Quenum, ripeto, pensa al padrone di casa, che non merita certo i tuoi rantoli. Poiché, è evidente, sono io l'ogetto dei tuoi desideri, puoi sfogarti scrivendomi in privato e risparmiando così ad altri le tue fisime. Per il resto, una cosa buona l'hai fatta: hai firmato con nome e qualifica. Per me la discussione è definitivamente chiusa, non avrai da me altre risposte. Divertiti. Un cordiale saluto, GMG
 
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Anonimo il 22/11/08 alle 12:43 via WEB
il discorso di GMG è sacrosanto: l'Europa è in declino storico da più di un secolo. E' storia. Oggi pare il turno degli USA. NOn si capisce perché in un contsto del genere l'Europa e tantomeno l'Italia debbano godere di una nuova fioritura culturale e musicale. In Italia di fatto si è reso il jazz non un affare provinciale, direi addirittura una faccenda per pochi e da tempo non è più una faccenda culturale. Parlare di cultura e informazione musicale in un paese che è ormai un deserto culturale-etico ed economico fa ridere o piangere a seconda dei punti di vista. Guardatevi intorno invece di dare addosso ai pochi che hanno ancora un minimo di conoscenza di ciò di cui si parla e la pensano diversamente dal "pensiero unico" imperante.
 
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Anonimo il 26/11/08 alle 00:23 via WEB
Trovo ridicola la querelle che si scatena puntualmente laddove si vadano a toccare gli evidenti fragili nervi di certa politica culturale nostrana che ammannisce dictact impermalositi e saccenti , ma promuove poco, dice ancor meno ed e' pericolosamente ammanettata a combutte e spartizioni interne, economicamente giustificabili, mai artistiche tout court per convinzione.Sfiora il patetico poi leggere l'argomentare nullo e il travisare di principio dei presunti musicisti o chi per essi (in Italia manca la decenza d'assumere una posizione netta e coerente;sempre questo sottobosco furbetto e piagato dal male atavico dell'omerta', del rovistare tra il pattume e del mai far decollare il discorso critico, viziati e deresponsabilizzati come siamo che apporre una firma riconoscibile crea sommovimenti preistorici dell'io). Non ravviso nulla di sano,nobile e di sinistra in certi interventi presunti tali che qui ho letto, ma uguali a tanti altri, come altrove e da tempo.Solo la vacuita' del pensiero unico che regge il nostro paese.Puo' la musica che produce essere progressiva ed avere identita' ? Certo che no. E' evidente che sia "cortigiana" e consona alle strategie perseguite dall'alto. Questa e' la mia accusa intellettuale al circolo dei soliti noti.Degli artisti non ho mai guardato il passaporto. Ma trovo semplicemente ributtante l'attuale condizione nazionale e che musicisti di qualche valore accettino di appannare cosi' acriticamente le proprie aspirazioni,in virtu' di un successo assicurato a tavolino, a suon di pubbliche relazioni e pressioni di case discografiche e manager di grido. GMG ha ragione. Ma la mia domanda e' : a quale compito avete consegnato le vostre orecchie e cervello ? Rassicurarvi o provocare ? Buona serata rain
 
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