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Mondo Jazz

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martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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CARI ITALIANI, E' TEMPO DI VALORIZZARE I VOSTRI JAZZISTI

Post n°1100 pubblicato il 11 Novembre 2008 da pierrde

Non lo dico io, che già ho abbondantemente scritto in proposito, lo dice Thierry Quenum sul nuovo numero di Jazzit in edicola in questi giorni. Il critico francese pare inconsapevolmente riprendere i temi della animata discussione che nei giorni scorsi ha tenuto banco su questo blog. Ne pubblico una parte, a mio parere significativa e che in gran parte condivido, senza per questo voler rinfocolare polemiche. Si tratta di un parere qualificato e che proviene da un osservatore esterno, poi naturalmente ognuno può trarre le proprie considerazioni.

......voglio parlarvi di voi ed esporre il punto di vista di un osservatore francese.....La prima osservazione ha a che fare con il posto che occupano i musicisti americani nei programmi dei vostri festival e concerti, cosi' come nei workshop e negli stage di jazz. Niente del genere accade in Francia, Germania, Scandinavia. Mi è stato spiegato che una stupida legge relativa alle tasse fa si' che molto spesso ingaggiare musicisti americani costi assai meno che far suonare un italiano. Ed ecco quello che lascia perplessi: il valore del musicista in questione non sembra intervenire affatto su questo piano. E in effetti si vedono spesso nei cartelloni delle rassegne italiane musicisti americani pressochè  sconosciuti nel resto d'Europa. Io però scorgo in questo fenomeno un'altra ragione. Una sorta di complesso italiano (il contrario dell'arroganza francese) nei confronti degli Stati Uniti. Un complesso che, senza dubbio, non ha la sua origine nel jazz..........

Avete torto, cari amici italiani. I vostri musicisti jazz sono tra i più interessanti d'Europa, addiritura del mondo, e spesso valgono molto di più di certi americani considerati da voi come degli dei. Non farò nomi...ma anche si. Qualche anno fa ero ad Amburgo per un concerto del quartetto di Chris Potter seguito dal duo di Enrico Rava e Stefano Bollani. Il fatto stesso di far suonare  un duo dopo un quartetto pare già indicare che per la Radio della Germania del Nord che organizzava il concerto, Rava e Bollani superavano Potter nella gerarchia di valore. D'altro canto prendere il testimone dopo la profusione di enmergia e di volume sonoro sviluppata da un quartetto con batteria, poteva sembrare una scommessa rischiosa per il duo. Potter e i suoi compagni, sicuramente affaticati dalla lunga tournèe che terminava, hanno suonato bene ma senza guizzi, sui soliti riflessi e clichè di un gruppo americano della loro generazione: tecnica impeccabile,ma poca musica, poco feeling e poca comunicazione con il pubblico che applaudiva educatamente come ci si aspetta dai tedeschi. I due italiani, invece, nel giro di due minuti avevano il pubblico in tasca. Certamente per musicalità e virtuosismo, ma anche per la loro umanità, il loro umorismo, le loro presentazioni italo-anglo-tedesche dei pezzi...Insomma per la carica vitale di cui era piena la loro esibizione. Il pubblico, radioso, ha lasciato il teatro dopo interminabili applausi e richieste di bis. ....Gli italiani sono coscienti dell'opinione  che gli ascoltatori stranieri hanno di questi musicisti ?...Sanno che alcuni di loro sono star europee, addiritura mondiali ? E che Rava e Bollani (ma potrei parlarvi di Trovesi, che ha trasformato con la sua musica un villaggio normanno in colline toscane; o Pino Minafra, che ha incendiato il Palazzo dei Congressi di Le Mans; o Francesco Bearzatti, che ha dato agli spettatori del festival Banlieus Bleues l'impressione di sudare, di felicità, in pieno inverno parigino...) che hanno ricevuto rispettivamente il Jazzpar Prize a Copenhagen e l'European Jazz Prize a Vienna, che valgono molto più degli americani che monopolizzano le scene italiane. Non ho niente contro gli americani, ma trovo siano sopravvalutati dal pubblico e dagli operatori italiani. E trovo che, se fanno ombra ai musicisti italiani, ancora di più ne fanno agli altri musicisti europei.......Mathias Ruegg della Vienna Art Orchestra mi diceva qualche tempo fa che prendeva clarinettisti italiani nella sua orchestra (Nico Gori, Mauro Negri) perchè erano i migliori. L'Italia gli ha mai reso omaggio invitandolo a tenere stage d'arrangiamento o direzione d'orchestra ? No, in compenso li fa tenere, decine e decine di volte, da Carla Bley...

L'articolo completo su Jazzit di novembre/dicembre nella rubrica Ici la France 

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 18/11/08 alle 20:37 via WEB
Insomma, Alex si meraviglia che qualcuno ogni tanto canti fuori dal coro. Tale misera indipendenza di giudizio, insomma, non viene apprezzata o valutata, passa invece per esibizionismo, magari a fine di lucro. Interessante. Insomma, Alex trova criticabile che non ci si allinei ai gusti correnti. Anzi, reputa che avere una propria opinione sia criticabile, ché -come egli sostiene- il critico sarebbe nudo. Insomma, o si bela col gregge o si rischia anche di essere più o meno interpretati come dei presuntuosi rompicoglioni. Il problema è che io non sono un critico, né -ringraziando il Padreterno- un giornalista musicale. Ho smesso di scrivere professionalmente da quando ho assunto una direzione artistica, onde evitare conflitti di interesse. Nudo o meno, ho cercato di elaborare una teoria in cui credo fermamente. Trovo il meticciato, oggi, la vera risorsa culturale, non riconosco alcuna superiorità culturale agli europei e alle loro pretese -lo ripeto- neocolonialiste, in contesti e ambiti linguistici in cui il loro ruolo è sempre stato da comparse, mai da protagonisti. Con questo non intendo dire che non vi siano ottimi strumentisti anche in Europa, nel campo del jazz: il loro ruolo è, a mio parere, essenzialmente ininfluente. Io non ho neanche detto che gli artisti italiani (ed europei) siano sopravvalutati: ho detto e ripetuto che trovo insopportabile il coro di lodi che li accompagna in modo stucchevole e acritico, che sa di autarchia, di nazionalismo fesso, soprattutto nel momento in cui questi artisti vengono paragonati "contro", vengono raffrontati ai creatori storici del jazz con aria ormai di spocchioso ludibrio, come quell'autentico comico francese pubblicato da JazzIt, che parla di Chris Potter e Carla Bley con la stessa competenza con cui un macellaio potrebbe parlare di carpe, tinche, trote e lavarelli. Insomma, per il neocolonialismo europeo, non si tratta di valutare il talento europeo, ma di pubblicizzarlo come superiore ad altri, che oltretutto tale idioma hanno vissuto storicamente con ben altro ruolo e spessore. Ripeto, trovo imbecille la "gara" fra europei e extra-europei: lì sì che il critico è nudo, altro che... E facendo il mestiere che faccio, mi permetto di conoscere i retroscena di certe amichevoli collaborazioni, peraltro anche venate di stima e di senso diplomatico. Spesso gli americani sanno essere più scaltri e diplomatici di quanto possiamo sospettare. Ma non mi addentro oltre in questo campo, conscio che, comunque, una rondine non fa primavera. Né capisco cosa c'entrino gli ottuagenari (adoro il bieco razzismo giovanile di chi tratta l'arte come un fatto ormonale, più o meno come un amplesso: dopo una certa età, insomma, si cessa di essere utili. Ottuagenario è Ornette Coleman, ad esempio. Lo è Sam Rivers, lo sono altri: come dicono a Roma, certuni dovrebbero sciacquarsi la bocca con i selci quando, trattando la Storia, la riducono a macchietta: arzilli ottantenni, una definizione francamente triste e indicativa di una certa povertà culturale): nella mia attività ho trattato con rispetto la contemporaneità (non mi risulta che nei cartelloni da me realizzati per gli Arcimboldi o per il Manzoni vi siano solo artisti anziani, che pure hanno molto da insegnare anche a certi lettori di questo minimo dibattito) ma lo stesso rispetto, se non di più, l'ho dedicato agli "arzilli ottuagenari" che hanno creato una forma d'Arte in mezzo al razzismo e alla segregazione. Definire certi artisti degli arzilli ottuagenari evoca un senso di miseria morale. Comunque, ho espresso le mie opinioni, non ho chiesto né imposto ad altri di aderirvi. Sì, francamente, non vedo nel panorama musicale europeo dal secondo dopguerra ad oggi niente che non cessi di sottolineare la crescende aridità culturale di un continente non più centrale, non più dominatore, che rifiuta di accollarsi la responsabilità di prendersi qualche turno di riposo nel succedersi dei grandi cicli storici. Credo che la Cultura della nostra contemporaneità si faccia (forse) in minima parte in Europa: il mondo, oggi, è altrove. E di questo mutamento epocale il jazz è stato profeta e alfiere. Che piaccia o meno. GMG
 
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