Creato da pierrde il 17/12/2005

Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

IL JAZZ SU RADIOTRE

 

martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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JAZZ & WINE OF PEACE

Pipe Dream

violoncello, voce, Hank Roberts

pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig

trombone, Filippo Vignato

vibrafono, Pasquale Mirra

batteria, Zeno De Rossi

Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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I PODCAST DELLA RAI

Dall'immenso archivio di Radiotre č possibile scaricare i podcast di alcune trasmissioni particolarmente interessanti per gli appassionati di musica nero-americana. On line le puntate del Dottor Djembč di David Riondino e Stefano Bollani. Da poco č possibile anche scaricare le puntate di Battiti, la trasmissione notturna dedicata al jazz , alle musiche nere e a quelle colte. Il tutto cliccando  qui
 

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Messaggi di Maggio 2012

SORRISI AMARI

Post n°2279 pubblicato il 31 Maggio 2012 da pierrde

Difficile parlare e pensare solo alla musica in questi giorni di notizie tribolate.

Anticipo pertanto un silenzio che sarebbe comunque giunto in coincidenza con qualche giorno di ferie da passare lontano da casa e rigorosamente senza pc.

 
 
 

ANDY

Post n°2278 pubblicato il 31 Maggio 2012 da pierrde

Peregrinando per la rete negli ultimi tempi sempre più spesso sono tornato sul sito di AndyMag.com, magazine on-line attento alle diverse forme di comunicazione e con una serie di interviste interessanti a personaggi del nostro tempo.

Estrapolando tra le parole di musicisti e/o addetti ai lavori è possibile trovare annedoti e perle di vario genere. Eccone alcune, rimandando come sempre ad una lettura più approfondita nel link a fine articolo.

 

Tra i suoi incontri c’è quello con Ornette Coleman….

Lo andai a salutare al termine di un suo concerto e gli regalai alcuni miei dischi. In primavera gli scrissi, invitandolo nella mia casa in campagna, un monastero del ’500 che avevo comprato per poche lire, attraverso un’agenzia, senza vederla, a rate: avevo fatto quattro concerti alla Piccola Scala e volevo coronare il sogno di una casa-laboratorio. Nell’ex refettorio che allora era adibito a stalla avevo allestito un piccolo teatro a cinquanta posti, quanti erano gli abitanti del paese. Lui, tipico dei jazzisti, non mi rispose. L’inverno successivo Ornette era a Roma, per suonare al Music Inn.

Mi telefonò: “Pronto, sono Ornette! È ancora valido il tuo invito? Ho la mia band, siamo in sette”. Li andai a prendere alla stazione con la mia spider e due macchine di amici paesani. Era il suo gruppo di jazz elettrico, i Primetime. Facevano un baccano tremendo. Lui si era messo in testa di riprodurre il brusio della metropoli. Erano vestititi da pirati, la gente li guardava allibita! Rimasero una settimana. Una mattina viene da me con il sax e mi fa “Ma non suoniamo?”. Io per delicatezza in quei giorni non gli avevo mai chiesto nulla! Scendemmo in teatro e suonammo per quattro ore in duo. Ero d’accordo con gli abitanti del paese: quando la porta del teatro era aperta, potevano accedere. A poco a poco la sala si riempì di cinquanta spettatori.

(Intervista di Daniela Floris a Giorgio Gaslini)

Per diventare critico jazz quali caratteristiche bisogna possedere?

Posto che, personalmente, non mi sento un critico ma piuttosto un giornalista di jazz (se do dei giudizi, vengono dall’esperienza e dal gusto, ma non dalla musicologia oggi finalmente entrata nel settore), direi che le prime doti restano la curiosità, base di ogni attività culturale, e lo studio costante della storia del jazz. Ammiro il critico militante: quello che sta dalla parte degli artisti (il che ho sempre fatto) e, in più, si mischia alle loro iniziative (questo purtroppo non l’ho fatto mai).

(Intervista a Gian Mario Maletto di Gianmichele Taormina)

Sapresti descrivere un’emozione o lo stupore che il primo (o l’ultimo) standard ascoltato ti ha provocato nella memoria?

Assolutamente no! Se fossi in grado di descrivere le emozioni provate nell’ascolto o nell’esecuzione della musica sarei il più grande scrittore della storia! (ride).

Nessuno ci è mai riuscito finora, anzi, nessuno ci ha mai provato, dato che è impossibile! Resta invece il fatto che la musica mi piace perché offre una “via di fuga” dalla realtà; o, per meglio dire, un’alternativa. Una sorta di “mondo parallelo” con i suoi codici e con la sua riorganizzazione del tempo che acquista uno speciale spessore, quasi fisico. Ritengo poi che “verbalizzare” fenomeni musicali sia sempre pericoloso. Può essere utile a scopi divulgativi, ma chi si occupa attivamente dalla “cosa” si trova in difficoltà a parlarne. Almeno a me capita così! In questi casi si cita di solito la risposta di Lester Young alla domanda di un critico sul suo ultimo disco: “Sorry, I don’t talk about my sexual life in public!”

(Intervista a Pietro Tonolo di Gianmichele Taormina)

Link: http://www.andymag.com/

 
 
 

LE RAGIONI DI OTTAVIANO

Post n°2277 pubblicato il 30 Maggio 2012 da pierrde

Immediata la risposta al mio precedente post: arriva dallo stesso Roberto Ottaviano, come scrive Michela Ventrella sul Corriere del Mezzogiorno:

 

Proprio nel giorno più importante, quando doveva essere presentato alla stampa il programma di uno degli eventi più attesi per la città, «Bari in Jazz», qualcosa negli ingranaggi della grande macchina inizia a scricchiolare.

Il direttore artistico Roberto Ottaviano, grande sassofonista jazz, dopo aver boicottato la conferenza stampa, comunica le sue dimissioni.

«Con ogni probabilità festival e direzioni artistiche come quelli a cui mi sono sempre ispirato, sono oggi anacronistici. Sempre più spesso i festival vengono disegnati e realizzati da agenzie, da alcuni operatori generici che non vivono la "passione" per ciò che andranno a costruire, e da emissari di una certa politica che fanno bollire in un gran pentolone tutta la cultura senza curarne quelle differenze che costituiscono ricchezza», scrive l'ormai ex-direttore artistico nella sua nota. E poi spiega le ragioni della sua scelta.

«Un festival, a mio avviso, dovrebbe ancora oggi avere una sua anima, al contrario ci si proietta sempre di più verso l’oggetto fatto in serie. Dal momento quindi che non ho più alcuna autonomia e referenti diretti con cui relazionarmi, credo che tutto ciò sia più che sufficiente per giustificare la mia stanchezza, la mia demotivazione e il mio distacco e a non voler avallare ancora una volta con il mio nome, politiche ed indirizzi che portano questo progetto in una direzione che a me, culturalmente e socialmente, non interessa più. Per cui senza grancassa, al termine di questa edizione, guadagnerò l’uscita, lasciando presenze ed "ombre" familiari ad aggirarsi sulla scena. Auguri Bari In Jazz!».

 
 
 

BARI IN JAZZ : ARRIVANO COREA E JARRETT MA SE NE VA OTTAVIANO

Post n°2276 pubblicato il 30 Maggio 2012 da pierrde

Che succede a Bari ? Mentre viene presentata l'ottava edizione di Bari in Jazz, un programma veramente invidiabile, si defila il direttore artistico, il multistrumentista Roberto Ottaviano.

Ma ecco la cronaca tratta dal Corriere del Mezzogiorno:

 

...Sulla terrazza dell’hotel Oriente, a Bari, il direttore artistico di «Bari in Jazz» non arriva mentre si comincia a illustrare al pubblico questa ottava edizione, non arriva dopo che si è cominciato e non arriva neanche a cose fatte.

Una circostanza che stupisce, ma che senza troppi esercizi dietrologici potrebbe attribuirsi al traffico o a qualche altro intralcio occasionale. Almeno fino alle 16.15, quando la posta elettronica ci restituisce una parziale ricostruzione dell’accaduto, quella del grande assente Roberto Ottaviano, che annuncia la prossima fuoriuscita da un progetto che «politiche e indirizzi» conducono «in una direzione che a me, culturalmente e socialmente non interessa più».

Difficile sapere qualcosa di più, Ottaviano si rende irreperibile e la lotteria delle ipotesi non ci appassiona. Meglio parlare di musica, quella che questa ottava edizione di «Bari In Jazz» mette nell’ultimo cartellone firmato da Roberto Ottaviano. Quella che in conferenza stampa è illustrata da Koblan Amissah, animatore del circolo interculturale Abusuan, che da sempre promuove e organizza il festival, con il sostegno antico di Regione, Provincia e Comune e del main sponsor Peroni.

Che tornerà dunque a campeggiare nei dintorni della città vecchia, dove «Bari in Jazz» è nato nel 2005 e dove quest’anno ritorna. Qui si snoderanno gli appuntamenti centrali del festival, dal 3 al 7 luglio, mentre sarà il teatro Petruzzelli a ospitare le due (grandi) appendici del programma, del quale abbiamo già dato ampie anticipazioni: i concerti di Chick Corea l’8 luglio e quello di Keith Jarrett, Gary Peacock e Jack DeJohnette il 27 luglio.

Ancora da definire, invece, il luogo destinato a ospitare l’anteprima del festival, «Una session fra due bicchieri di gin» che fà il verso al titolo del libro di Nicola Gaeta edito da Caratteri Mobili: proprio «il dentista-scrittore» (così lo definisce Koblan) sarà protagonista di una serata fra letture e improvvisazioni affidati «ai migliori talenti della scena jazz pugliese».

Nel cuore del Festival troviamo invece ben tre produzioni speciali, realizzate con il sostegno di Puglia Sounds. A cominciare da quella - immaginata e promossa da Ottaviano che apre la rassegna, il 3 luglio: protagonista la cantante portoghese Maria João, in (consolidata) coppia con il pianista Mário Laginha, che a Bari presentano Symphonic Loves, un progetto che mette insieme «alcune tra le più struggenti canzoni d’amore di tutti i tempi, da Monteverdi ad oggi». E lo fanno insieme all’Orchestra Sinfonica della Provincia di Bari diretta da Claudio Vandelli, alla quale - annuncia Amissah in conferenza stampa - la stessa João invierà presto gli arrangiamenti dei brani.

Il 4 giugno è invece il giorno di Paolo Damiani, che al Summer Village proporrà una nuova versione di un progetto nato quasi trent’anni fa a Roccella Jonica: si tratta di Tracce di Anninnìa, una suite che il violoncellista e compositore romano eseguirà stavolta insieme a una Vanishing Band che vanta in line up lo stesso Ottaviano al sax, insieme a Lauren Newton e Diana Torto (voci), Nguyen Le (chitarra), Glenn Ferris (trombone) e Martin France (batteria). Terzo progetto speciale per il festival quello annunciato per il 6 luglio, quando ancora Ottaviano sarà in palcoscenico a dirigere l’Apulian Orchestra per mettere in scena Crossing the Borders, «una produzione che mette in musica alcune delle più belle poesie della letteratura del Sud del mondo».

Francofonie - care a Koblan Amissah, cittadino della francofona Costa d’Avorio - in scena invece il 5 luglio, quando a dividersi la scena saranno Majid Bekkas e Louis Sclavis, portatori di esperienze profondamente diverse eppure convergenti all’interno di Makenba, un progetto che coniuga le sonorità gnawa con quelle argentine o sahariane e perfino con il jazz occidentale, che il clarinetto di Sclavis interpreta con la consueta plasticità.

 
 
 

PETE COSEY R.I.P

Post n°2275 pubblicato il 30 Maggio 2012 da pierrde
 
Tag: NEWS

Greg Tate called him the Cecil Taylor of guitar. “He’s the guy who, after Hendrix, showed you how ‘out’ you could go with guitar playing, particularly in the improvised context.”

 

Pete Cosey è stato un chitarrista jazz, blues e fusion afroamericano noto soprattutto per aver suonato con il gruppo di Miles Davis tra il 1973 e il 1975. Il suo stile chitarristico ricco di effetti di distorsione, può essere accostato a quello di Jimi Hendrix. Nel corso della sua carriera di Cosey, che non ha mai registrato album da solista e da leader, ha sempre mantenuto un profilo abbastanza basso, pur rimanendo in piena attività.

Prima di unirsi a Davis, cosey era un richiesto turnista per la Chess Records, e aveva inciso con Etta James, Rotary Connection, Howlin' Wolf e Muddy Waters (Electric Mud). Cosey fu anche uno dei primi membri della Association for the Advancement of Creative Musicians (AACM) di Chicago. Fu uno dei primi componenti dei Pharoahs e di un gruppo che vedeva come batterista Maurice White e Louis Satter come bassista, e che sarebbe divenuto gli Earth, Wind & Fire.

Parte della musica di Cosey di quegli anni si trova su un album della Artistic Heritage Ensemble di Phil Cohran. COn Miles, Cosey incise Get Up with It, Dark Magus, Agharta e Pangaea. Nel 1975, Cosey aveva uno stile chitarristico molto avanzato, che, facendo uso di accordature e incordature alternative, e un esteso repertorio di effetti distorsivi, con uso di wah wah e sintetizzatori, influenzò diversi chitarristi d'avanguardia, tra cui Henry Kaiser e Vernon Reid.

Dopo il ritiro di Davis nel 1975, Cosey scomparve quasi completamente dalla scena, salvo per un'incisione sull'album di Herbie Hancock Future Shock. La sua incisione successiva fu sull'album di Akira Sakata Fisherman's.com (con Sakata, Bill Laswell e Hamid Drake) nel 2000. Passò gli anni ottanta suonando con diversi gruppi delle aree di New Ypork e Chicago, senza pubblicare registrazioni. Nel 1987 rimpiazzò Bill Frisell nel trio Power Tools

Nel 2001, Cosey fondò il gruppo The Children of Agharta, dedicato al repoertorio elettrico di Davis. La prima formazione comprendeva Cosey, Gary Bartz, John Stubblefield, Matt Rubano, J. T. Lewis, e DJ Juice. a formazione più recente comprende Cosey, Bartz, Melvin Gibbs e Doni Hagen[3]. Oltre ad aver suonato da solista per i Burnt Sugar sull'album 'The Rites', Cosey nel 2004 apparve nell'episodio del documentario sul blues Godfathers and Sons, durante una riunione dei musicisti dell'album Electric Mud di Muddy Waters. Nel 2003 incise inoltre la colonna sonora del film di Eli Mavros Alone Together, improvvisandola completamente durante una proiezione del film.

Fonte: Wikipedia

 
 
 

MAURIZIO ROLLI BIG BAND - ROLLI'S TONES (WIDWSOUND)

Post n°2274 pubblicato il 29 Maggio 2012 da pierrde
 

Ricevo e volentieri pubblico questa recensione di Francesco Martinelli:

Maurizio Rolli Big Band featuring Hiram Bullock, Stefano “Cocco” Cantini, Peter Erskine, Bob Franceschini, Bob Sheppard, Mike Stern, Achille Succi

Rolli's Tones

Little Wing, And I Love Him, Changes, Losing It, Anelatla, Impulse, Diary of a Madman, Every Breath You Take, Mia.

Wide records WD 180

Ascoltare questo disco è stata per me un'esperienza personalmente illuminante. Al contrario di molti musicisti e ascoltatori infatti la mia frequentazione del rock e dei suoi vari generi è praticamente pari a zero, ed Aerosmith e Black Sabbath sono solo nomi o immagini (inquietanti). Partendo da questa condizione di totale ignoranza – malgrado ascolti musica per molte ore al giorno, il campo è troppo vasto per conoscere tutto, e uno finisce per ascoltare quello che soddisfa le proprie affinità – Rolli intanto mi ha fatto concretamente toccare con mano il valore musicale di questi brani, in molti casi a me poco o nulla familiari (a parte quelli di Hendrix – rocker anomalo che mi ha sempre attirato – e dei Beatles – per motivi generazionali).

I suoi arrangiamenti riescono ad essere fedeli allo spirito dei brani senza rispettarne la lettera – almeno nei casi in cui sono familiare con gli originali – e spesso sorprendono con inaspettati inserimenti di materiali diversi, o fratture del tessuto organizzato per consentire libere improvvisazioni: per complessità ed efficacia il brano dei Beatles mi sembra particolarmente emozionante. Spero che il Cd possa funzionare come passaggio nei due sensi: che cioè ad appassionati di Ozzy Osbourne e di Steve Tyler possano capitare di ascoltare queste interpretazioni apprezzandone il sound e ricevendo così il virus del jazz.

Eh sì, perchè questo è un album profondamente jazzistico, per come metabolizza materiale esistente – lo stesso gioco, mutate le epoche, di Louis o Miles – trasformandolo in piattaforma di lancio per espressioni personali. Altra scelta intelligente di Rolli: invitare solisti non solo dalla grande musicalità, ma dalle personalità molto diverse; alcuni famosi, altri meno, ma tutti capaci di dare spessore al brano cui sono stati chiamati a contribuire. Hiram Bullock, Mike Stern, Achille Succi, Stefano “Cocco” Cantini, Peter Erskine e Bob Franceschini tutti in un solo Cd già fanno venire l'acquolina in bocca, ma i contributi solistici dei componenti della big band hanno altrettanto peso: Filiberto Palermini al soprano in Changes, Gianluca Caporale al tenore in Losing It, Massimo Morganti al trombone in Impulse, Angelo Trabucco al piano in Diary of a Madman, per fare solo quattro nomi, scusandomi con tutti quelli che non ho lo spazio per menzionare, in rappresentanza di una big band che suona con precisione e convinzione musica assolutamente non facile e dalle atmosfere assai diversificate.

Citazione speciale per la vocalist Loredana Di Giovanni che trova il colore giusto per inserirsi nel tessuto orchestrale ed è brillantemente in evidenza sia nella meditativa lettura del brano dei Police – in cui si ascolta finalmente anche il leader come solista - sia nel pirotecnico assolo nel brano conclusivo. Un ultimo elemento da sottolineare, esposto con understatement nelle note dello stesso Rolli, ma che riaffiora lungo tutto il disco, è l'omaggio a musicisti troppo presto scomparsi, che per il bassista hanno costuito importanti fonti di ispirazione: oltre a Bullock, presente come solista, l'album ricorda con affetto l'amico e maestro Alfredo Impullitti, arrangiatore e compositore, la cui Altalena è utilizzata come base per un gioco di affascinanti geometrie, ed Angelo Canelli, il pianista di Vasto scomparso tragicamente in un incidente stradale, cui si deve la ristrutturazione di Every Breath You Take.

Un Cd da passare agli amici sospettosi del jazz, e a figli o nipoti con l'hard rock in cuffia per jazzarli a tradimento!

Francesco Martinelli

 

 
 
 

800 PAGINE DI CONCERTI ?

Post n°2273 pubblicato il 27 Maggio 2012 da pierrde

"Thelonious Monk. Storia di un genio americano, di Robin D.G.Kelley (minimumfax), una densa biografia – un po' romanzo comico-picaresco e un po' storia sociale degli Stati Uniti – che però si riduce fatalmente a un elenco di concerti lungo 800 pagine."

Filippo La Porta - Il Sole 24 Ore - leggi il resto dell'articolo su 

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2012-05-27/penna-intinta-jazz-081916.shtml?uuid=AbF2z6iF

 

 
 
 

MEGLIO ZUCCHERO ?

Post n°2272 pubblicato il 26 Maggio 2012 da pierrde

Devo dire che l'anniversario della nascita di Miles non ha avuto grande eco ne sulla stampa ne su altri media.

Qualcosa sulla rete, ma nulla di veramente significativo. In genere brevi richiami su Facebook con qualche video annesso.

L'unico scritto, chiaramente polemico e provocatorio, è l'articolo ad opera di Valerio Mattioli comparso sul sito Vice e dal titolo già esplicito: Un genio del male, uno stronzo, un vero coatto.

Nulla di nuovo naturalmente, la cruda storia personale di Miles con gli eccessi di cui il trombettista mai ha fatto mistero è oggetto di una analisi più umana che musicale.

D'altronde alcool, droghe, sesso e perversioni assortite costituiscono il lato oscuro di intere generazioni di jazzisti, per non parlare delle legioni di rockers più o meno maledetti.

Che Miles fosse cordiale e simpatico credo sia argomento abbastanza irrilevante rispetto al Miles muscista, e la giusta maniera di inquadrare l'uomo nel contesto in cui ha operato e vissuto non è quella di Mattioli ma semmai quella di Ernesto Assante nel suo personale ricordo di Miles scritto nel 2001 su Repubblica nel decimo anniversario della scomparsa.

Devi dire che lo scritto di Mattioli mi fa sorgere il legittimo sospetto che l'autore, come evidentemente sua mamma, preferisca Zucchero a Miles. Scelta inappuntabile alla quale è doveroso e auspicabile un articolo di egual tenore sui vizi del musicista emiliano.

Non sapete di cosa sto parlando ? Trovate tutto sui seguenti links:

 

http://www.vice.com/it/read/un-genio-del-male-uno-stronzo-un-vero-coatto-tanti-auguri-miles

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/07/14/miles-davis-dal-ghetto-alla-ricchezza-america.html

 
 
 

PROSSIME USCITE E.C.M.

Post n°2271 pubblicato il 26 Maggio 2012 da pierrde

John Surman: Saltash Bells (ECM 2266)

(www.ecmrecords.com/Catalogue/ECM/2200/2266)

John Surman: soprano, tenor and baritone saxophones, alto, bass and contrabass clarinets, harmonica, synthesizer

John Surman is an exceptionally versatile musician and his instrumental prowess has been showcased in many contexts. Yet his solo albums may be the best sources for insights into his melodic imagination. If you want to understand the wellsprings of his creativity, the solo albums are the place to go; “Saltash Bells” ranks with the best of them. This time around the compositions were inspired by the West Country of John’s English childhood, memories of special places – and sounds. The title track refers to the echoes of bell ringing from Saltash church resounding around the Tamar River valley, at the border of Cornwall and Devon. “Whistman’s Wood”, meanwhile, evokes the mysterious petrified forest of Dartmoor … And so it goes, ancient haunts inspiring vivid new music.

ECM Player "Saltash Bells"

 

 

Louis Sclavis Atlas Trio: Sources (ECM 2282) (www.ecmrecords.com/Catalogue/ECM/2200/2282)

Louis Sclavis: bass clarinet, clarinet Benjamin Moussay: piano, Fender Rhodes, keyboards Gilles Coronado: electric guitar

Louis Sclavis’s band of the season is the Atlas Trio, an ensemble with a global reach of reference. Chamber-improvisation, polyrhythmic grooves, minimalistic pulse patterns, enveloping ambience, rhapsodic piano and funky Fender Rhodes, distorted guitar, clarinet soliloquies, contrapuntal themes, free group playing, a bit of everything. An open-form aesthetic applies in multi-facetted music simultaneously exploratory and involving. Recorded in the South of France last September, the album - Louis’s ninth for ECM – features a programme of new Sclavis compositions, and is issued in time for tour dates including a major showcase at the Europa Jazz Festival in Le Mans.

ECM Player "Sources"

 

 

 

Arild Andersen: Celebration (ECM 2259)

(www.ecmrecords.com/Catalogue/ECM/2200/2259)

Arild Andersen: double-bass Tommy Smith: tenor saxophone Scottish National Jazz Orchestra Tommy Smith: director

Bassist Arild Andersen shines as the principal soloist in a celebration of music from ECM with specially-commissioned new big-band arrangements of well-known pieces by Dave Holland, Chick Corea, Trygve Seim, Jan Garbarek, and Keith Jarrett. The resourceful Tommy Smith adds powerful tenor solos, arranges Garbarek’s “Molde Canticle”, and directs the Scottish National Jazz Orchestra. Andersen’s composition “Independency” is a 16-minute highlight, in a sensitive and powerful arrangement by Mike Gibbs. Other contributing arrangers are Makoto Ozone, Christian Jacob, Geoff Keezer and Trygve Seim/Øyvind Bræke: all of them contribute sterling work, and their arrangements are likely to enter modern jazz’s big band repertory book. Recorded live at Glasgow’s Royal Conservatory, “Celebration” is a highly attractive album for a broad listenership, and as a statement about music introduced by ECM will be of special interest to long-time followers of the label.

ECM Player "Celebration"

Credo che anche questi tre nuovi album dell'etichetta tedesca rapprentino ascolti rilevanti per ogni appassionato e li segnalo con la possibilità di un' anteprima audio grazie al Player che ho linkato. Buon ascolto

 
 
 

MILES MILES MILES

Post n°2270 pubblicato il 26 Maggio 2012 da pierrde

Il 26 maggio del 1926 nasceva ad Alton il trombettista Miles Davis, uno dei musicisti più creativi, influenti e importanti del 20° secolo.

In rete da qualche tempo è comparso questo film documentario opportunamente sottotitolato in italiano che ne traccia una biografia ed un profilo artistico e che vi propongo.

Inutile che in un piccolo spazio come questo cerchi di fare un ennesimo ritratto di Miles, qualsiasi appassionato potrebbe farlo come e meglio di me, per gli altri i riferimenti sono questi:

http://it.wikipedia.org/wiki/Miles_Davis

http://www.milesdavis.com/us/home

http://www.plosin.com/milesAhead/

http://milesdavisonline.com/

 
 
 

AUGURI A PAOLO FRESU

Post n°2269 pubblicato il 25 Maggio 2012 da pierrde

Da qualche settimama sul web si rincorrevano le voci sullo stato di salute di Paolo Fresu. I concerti annullati non erano un buon segnale ma per fortuna lo stesso Paolo poche ore fa tramite Facebook rasserena gli animi e concede oltre che notizie sulla sua salute anche qualche anticipazione editoriale:

Ciao a tutti e grazie per gli auguri e per le belle parole di questi giorni. Una broncopolmonite contratta in Europa poco prima del tour tra India e Asia mi ha mandato in ospedale prima a Jakarta (i ragazzi del Quintetto hanno poi tenuto il concerto senza di me a Bangkok) e poi qui a Bologna dove mi trovo dai primi della settimana. Complice di tutto un bacillo indiano e i tanti viaggi, aeroporti, cambi di temperatura ecc. Ora le cose vanno decisamente meglio e il focolaio infettivo si sta ora spegnendo grazie alle cure mediche del reparto specialistico. Naturalmente dovrò poi stare ancora qualche giorno a casa. L'intento è quello di riprendere i concerti l'1 giugno a Locarno con Giorgio Rossi o al massimo il 2 giugno nella bellissima Basilica dei Frari di Venezia con Daniele Di Bonaventura. E poi il via definitivo (senza bacilli al seguito...) per una estate ricchissima in tutta Europa fino ai primi di settembre. Intanto l'otto giugno uscirà con La Repubblica/L'Espresso il primo titolo dei sei (5 cd e un dvd) dedicato a "!50" e il 20 giugno il libro Feltrinelli dal titolo "Paolo Fresu - In Sardegna. Un viaggio musicale". Grazie ancora a tutti per l'affetto e l'augurio è quello di una serena estate. Paolo

 
 
 

LUGANO E MENDRISIO: IL PROGRAMMA DI ESTIVAL

Post n°2268 pubblicato il 24 Maggio 2012 da pierrde

 

Svelato il programma della 34esima edizione di Estival Jazz, appuntamento attesissimo dell'estate ticinese capace di radunare migliaia e appassionati da tutta l'Insubria.

 Si comincerà da Mendrisio, dove al piazzale alla Valle il 29 giugno si esibiranno Djabe, Calima e la Chicago Blues Living History. Sabato 30 ospiterà Youn Shun Nah Dho, il virtuoso della chitarra Al Di Meola insieme ai suoi World Simphonia e all'Orchestra della Svizzera italiana, per finire con Jupiter.

La settimana seguente lo spettacolo si trasferisce a Lugano. Piazza della Riforma vedrà il 5 luglio Lizz Wright & Raul Midon, Amadou & Mariam e Sheila E. Venerdì 6 luglio toccherà a Dr. John al quale verrà consegnato il Premio alla Carriera Estival Jazz - Corriere del Ticino, quindi la regina del soul Macy Gray accompagnata dalla band di David Murray per finire con Ruben Blades.

 Ultimo appuntamento il 7 luglio con Michel Camilo, Mory Kanté e la conclusione al ritmo degli Chic di Nile Rodgers. Tutto finito? certo che no. Dopo il successo ottenuto lo scorso anno, venerdì 25 e sabato 26 maggio torna Aspettando Estival, la rassegna musicale promossa da Estival Eventi che ruota attorno alla valorizzazione del “Made in Ticino”.

 Una vivace due giorni, totalmente gratuita, che per due sere, trasformerà il centro di Lugano e i suoi locali pubblici in un coloratissimo palcoscenico dove si potranno ascoltare e gustare le sonorità più disparate (dal jazz al rap, dalla musica celtica al blues, dal reggae al rock) in una ventina di concerti a sera ad ingresso gratuito, che raduneranno l’eccellenza e le proposte più innovative della scena locale affiancate da prestigiosi ospiti internazionali

 

L'Estival Jazz è il festival musicale gratuito più importante d'Europa che si svolge tra le città svizzere del Canton Ticino di Lugano e Mendrisio nei mesi di giugno/luglio. Gli eventi principali si svolgono in Piazza della Valle a Mendrisio e nella Piazza della Riforma di Lugano

La prima edizione del festival ebbe luogo nel 1979, tra gli artisti di quella edizione si ricordano: Dizzy Gillespie Sextet, Art Ensemble of Chicago, Ambrosetti All Stars, Woody Shaw Quintet, Dexter Gordon Quartet, Joe Henderson Quartet e George Meuwly Trio. La manifestazione era stata inizialmente pensata come vetrina per la musica jazz, ma pian, piano col passare del tempo si è allargata ad altri generi come soul e blues e da alcuni anni viene sperimentato anche il world music con grande successo.

 Grazie al fatto di puntare sempre prima sulla qualità che sulla quantità artistica ed anche in parte al fatto che sia gratuito, è cresciuto molto, guadagnando prestigio e grande popolarità a livello internazionale, diventando appunto il festival gratuito più importante d'Europa. 

 Hanno partecipato numerosi artisti di fama internazionale sia in ambito jazz, rock, blues o world music tra cui Miles Davis, Dizzy Gillespie, Keith Jarrett, Ray Charles, Herbie Hancock, Chick Corea, Buddy Guy, The Manhattan Transfer, B.B. King, Wynton Marsalis, Paco De Lucia, Angelique Kidjo, Cesaria Evora, Solomon Burke, Yes, Steve Hackett e altri ancora.

Fonte: Wikipedia

N.B. Per evitare di essere considerato un vecchio brontolone per parlare di Estival mi sono affidato al comunicato ufficiale e a Wikipedia.....

 
 
 

TOP TEN PER CHI NE CAPISCE UN PIFFERO

Post n°2267 pubblicato il 23 Maggio 2012 da pierrde

Quali album scegliereste per avvicinare al jazz persone completamente digiune di qualsiasi nozione musicale ?

A chiederselo è Sean O'Connell del Los Angeles Weekly, che, a dire il vero, pone la questione in maniera più pepata: 

I dieci top jazz album per persone che non sanno un piffero (mia versione addomesticata) di jazz.

Ovviamente ogni appassionato potrebbe stilare un proprio elenco e sicuramente i risultati sarebbero diversissimi e ben poco omogenei.

Mi accontento quindi di elencare gli album secondo O'Connell, con un unico appunto che riguarda la presenza di Ambrose Akinmusire, unico contemporaneo vivente tra tanti giganti. Vera gloria o infatuazione del giornalista ?

 

1) Dizzy Gillespie

At Newport (1957)

2) Wes Montgomery w/ Wynton Kelly trio

Smokin' at the Half Note (1965)

3) Thelonious Monk/John Coltrane

Thelonious Monk with John Coltrane (1957)

4) Miles Davis

A Tribute to Jack Johnson (1971)

5) Duke Ellington/Charles Mingus/Max Roach

Money Jungle (1963)

6) Jaco Pastorius

Jaco Pastorius (1976)

7) Ambrose Akinmusire

When the Heart Emerges Glistening (2009)

8) Ray Bryant

Alone with the Blues (1958)

9) Art Blakey's Jazz Messengers

Free For All (1964)

10) Sarah Vaughan

Live at Mr. Kelly's (1957)

 
 
 

MARY HALVORSON - BENDING BRIDGES (FIREHOUSE) 2012

Post n°2266 pubblicato il 21 Maggio 2012 da pierrde
 

Track Listing: Sinks When She Rounds The Bend (No. 22); Hemorrhaging Smiles (No. 25); Forgotten Men In Silver (No. 24); Love In Eight Colors (No. 21); The Periphery Of Scandal (No. 23); That Old Sound (No. 27); Sea Cut Like Snow (No. 26); Deformed Weight Of Hands (No. 28); All The Clocks (No. 29).

Personnel: Mary Halvorson: guitar; Jonathan Finlayson: trumpet; Jon Irabagon: alto saxophone; John Hébert: bass; Ches Smith: drums.

Sono passati oramai diversi anni da quando la chitarrista fece la sua prima comparsa nei diversi gruppi di Anthony Braxton. Da allora di immutato è rimasto solo il suo look da liceale secchiona, mentre il suo stile si è impreziosito di prospettive nuove ed emozionanti e questo nuovo album, parte in quintetto e parte in trio, è la summa di un percorso che si fa man mano sempre più intrigante e personale.

Rispetto al precedente lavoro in quintetto, Saturn Sings del 2010, le composizioni sono più definite e meglio sviluppate, condensandosi in melodie e riffs di sicuro impatto. Un altro punto chiave è l'indeterminatezza in cui l'intero progetto si muove: molteplici le influenze ma nessuna prevale, cosicchè si passa da un tema post-bop al suo sviluppo in chiave avant-rock per poi chiudere con increspature free, senza peraltro mai trascendere nell'astratto. 

Notevoli i compagni di avventura scelti dalla leader: Herbert e Smith costituiscono una sezione ritmica sinergica e imprevedibile, mentre Finlayson e Irabagon interagiscono nel progetto della Halvorson apportando colori taglienti e abrasivi e notevole freschezza dinamica.

Mentre i brani in trio sono più sperimentali e aperti con imprevedibilii e graffianti break della chitarra (su tutti Forgotten Man In Silver N. 24), quelli in quintetto sono più costruiti ma non per questo meno tonici e densamente ispirati (vedi Hemorrhaging Smiles N. 25).

Tra i molti album che in questi primi mesi del 2012 sono passati dal mio lettore questo è sicuramente uno dei più eccitanti. Mary Halvorson si conferma una delle attuali personalità di riferimento; la sua originalità come strumentista nonchè di arrangiatrice è in continua evoluzione creativa. Bending Bridgest suona spigoloso e profondo, comunicativo e feroce. 

 

V A L U T A Z I O N E :    *  *  *  *

 

 
 
 

STANDARDS TRIO IN EUROPA

Post n°2265 pubblicato il 20 Maggio 2012 da pierrde

Nove i concerti europei del trio Standards di Keith Jarrett nel mese di luglio. Ecco luoghi e date:

Jul 8, Vienna

Jul 10, Baden-Baden

Jul 13, Zurich

Jul 18, Istanbul

Jul 20, Juan-les-Pins

Jul 23, Genova

Jul 25, Torino

Jul 27, Bari

Jul 29, Roma

Nel frattempo il pianista ha concluso una mini tournèe in solo in Giappone con due date a Tokyo, il 6 e l'11 maggio.

Ecco una bella recensione del primo concerto tratta dal quotidiano The Australian: 

ABOUT 35 years ago a young, idiosyncratic, temperamental genius played a series of solo piano concerts across Japan, setting a new standard for endurance. Keith Jarrett was already known for playing with Miles Davis, but this was something else. At the same time as his jazz career was taking shape, Jarrett had been building a reputation for long-form solo concerts of entirely improvised music. The previous year saw the release of the Koln Concert, a masterpiece that won fans around the world. Next came the Sun Bear concerts, a full record of his Japan tour. Critics mocked the audacity — it was a 10-LP box set — but the music spoke for itself, and endured.

This week Jarrett returned to Japan for two solo concerts, continuing his relationship with an audience he knows well. Japan has become familiar territory; he’s played there dozens of times since Sun Bear days. Australian promoters watch with envy, unable to convince the notoriously fickle musician to travel here. But long-haul flights aside, can Australia compete? On Sunday night, at the Bunkamura Orchard Hall in Shibuya, Tokyo, it was possible to identify clues to Jarrett’s affection for the country. It’s a few minutes before 7pm, and a bell rings out across the auditorium. The gesture is mostly redundant, as the vast majority of the concert hall is already seated.

Not only that: they sit in total silence. The house lights are on, Jarrett is nowhere to be seen and a heady expectation hangs in the air. The lights dim and the star steps on to the stage, hands to his temples as though lost in thought. Forty minutes of improvisation rush past. In Jarrett’s early solo concerts, he played pieces that lasted up to 40 minutes each. In recent years these shortened — to the point that on his latest album, Rio, no piece exceeds nine minutes. Jarrett has found a way to refine ideas into rich, emotionally contained morsels that last only as long as they must. All are delivered with flawless virtuosity and the usual Jarrett eccentricities (standing, grunting, singing, hooting, stamping).

And so it is on Sunday. The first set is broken up into short pieces. It’s thrilling stuff, but he seems to be holding something back. The hall feels tense. At the end of each piece, a man in the crowd moans before applause rushes across the hall. Jarrett bows deeply, and the silence falls again. The second half follows a similar pattern, but the mood feels different. The crowd has been urged to wait a moment before applauding (an announcement surely aimed at the moaning man), but it’s more than that. They wait again in silence for Jarrett to appear, and in the applause that greets him to the stage, both performer and audience seem more at ease. Jarrett, alone and exposed at the piano, is at the top of his game.

He conjures fully formed compositions with deep wells of beauty: impressionistic melodies, double-handed fireworks, gentle grooves, folky narratives, rapid abstractions. He even plays the strings of the piano, something he rarely does. The crowd gives as much back. And it’s here that one of Jarrett’s secrets can be found. Apart from his debut for ECM and one restorative album of standards, his solo albums have all been recorded in front of a live audience. (This one, like all others, is recorded too, though a release is not guaranteed.) As his head and shoulders dip in a bow, Jarrett seems both drained and exalted. At one point, when the applause falls to silence, he waves his arms. “Energy,” he says, as though that needs no explanation. Several standing ovations and three encores cap an enchanting experience. Jarrett needs an audience, but not for egotistical reasons. He’s the star, but in a concert of improvisation, the audience has a role as well. They are more than witnesses. They are invited to join in the mystery of creation, participants in a creative journey that Jarrett leads better than anyone alive.

Fonte: 

http://www.keithjarrett.it/lang/it/jarrett-at-top-of-his-game-in-japan-the-australian/#more-1829

 
 
 
 

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