Creato da pierrde il 17/12/2005

Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

IL JAZZ SU RADIOTRE

 

martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

------------------------------------------------------------------

JAZZ & WINE OF PEACE

Pipe Dream

violoncello, voce, Hank Roberts

pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig

trombone, Filippo Vignato

vibrafono, Pasquale Mirra

batteria, Zeno De Rossi

Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

MONDO JAZZ SU FACEBOOK E SU TWITTER

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Luglio 2018 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30 31          
 
 

JAZZ DAY BY DAY

 

 

L'agenda quotidiana di

concerti rassegne e

festival cliccando qui

 

I PODCAST DELLA RAI

Dall'immenso archivio di Radiotre č possibile scaricare i podcast di alcune trasmissioni particolarmente interessanti per gli appassionati di musica nero-americana. On line le puntate del Dottor Djembč di David Riondino e Stefano Bollani. Da poco č possibile anche scaricare le puntate di Battiti, la trasmissione notturna dedicata al jazz , alle musiche nere e a quelle colte. Il tutto cliccando  qui
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

Messaggi di Luglio 2018

D'ANDREA A BORGO VAL DI TARO

Post n°4044 pubblicato il 31 Luglio 2018 da pierrde
 

Nel corso degli ultimi anni, l'arte al pianoforte di Franco D'Andrea
ha assunto, in modo crescente, i connotati di una personale ed unica
ricostruzione della storia del jazz, nella quale gli stili, le epoche
ed i riferimenti storici del pianista, da Ellington a Coltrane, da
Tristano all'imprescindibile Monk, sono tessere di un affresco che si
compone sera dopo sera sotto alle mani dell'autore.

Nella difficoltà,o impossibilità, di raccogliere tutti i richiami, gli accenni tematici
subito occultati, le sfumature stilistiche del disegno complessivo,
agli spettatori, rapiti dal gioco delle agilissime mani sulla
tastiera, con la sinistra che spesso elabora patterns ritmici che la
destra sviluppa o smentisce, viene trasmesso dall'autore un senso di
profonda appartenenza e rispetto per la storia di questa musica.


Contemporaneamente, si assiste ad un processo creativo sviluppato
tramite un linguaggio del tutto peculiare, che unisce in modo
equilibrato tradizione e libertà espressiva, senza mai deviare da un
percepibile rigore. Si è avuto un saggio eloquente di questa arte
domenica 29 luglio a Borgo Val di Taro, nel corso del tradizionale
concerto dedicato al Maestro Giorgio Gaslini che nella cittadina
parmense fissò la propria residenza negli ultimi vent'anni della
propria vita.

Occasione propizia anche per l'annuncio del vincitore
della terza edizione del Premio intitolato a Gaslini , scelto sulla
base dei puntuali criteri di una giuria (Franco D'Andrea, Roberto
Bonati e Bruno Tommaso) che cerca ogni anno giovani
esecutori/compositori da valorizzare, nella figura del venticinquenne
sassofonista norvegese Mathias Hagen, già membro del BJERGSTED JAZZ
ENSEMBLE, una delle orchestre dirette da Roberto Bonati, direttore
anche del Festival Parma Frontiere.

Prima del concerto di D'Andrea c'è stato spazio per una breve vetrina del vincitore 2017 del Premio, il trombonista vicentino Filippo Vignato il quale, accompagnato al
pianoforte da Giovanni Guidi, ha condotto una mezz'ora improvvisata di
musica mescolando blues, tango e liricità con la sensibilità ed il
pathos che in molti hanno imparato ad apprezzare nei due dischi
pubblicati in anni recenti. 

A Borgotaro, oltre alla musica, molta commozione nel ricordo di Gaslini,e la conferma di un'iniziativa che di anno in anno sta affermandosi come realtà prolifica e propagatrice
di buone semine jazz. 

Andrea Baroni

 
 
 

NOTE ED IMPRESSIONI DA AMBRIA JAZZ - PARTE SECONDA

Post n°4043 pubblicato il 30 Luglio 2018 da pierrde
 

Di tutt'altra pasta il cartellone del sabato sera. Si inizia con un trio inconsueto e, fin dalla strumentazione, di stampo decisamente più etnico. Elias Nardi all'oud, Daniele Di Bonaventura al bandoneon e Ares Tavolazzi, glorioso bassista degli Area, al basso elettrico. Una musica che investe molto sulla forma, sulla bellezza del suono e sull'estetica complessiva del progetto, ma, almeno alle mie orecchie, priva di beat, di poca presa emozionale, suggestiva quanto epidermica. Ma non prendetemi sul serio, in maniera evidente i miei gusti sono del tutto fuori moda perchè il pubblico ha tributato in maniera compatta un caloroso successo al trio.


Il vero motivo della mia presenza del sabato era però il trio DaDaDa di Roberto Negro, un pianista torinese da dieci anni residente a Parigi e, di fatto, piuttosto misconosciuto nel nostro paese. Rispetto all'album Saison 3 (2017)che vedeva Emile Parisien al sax, la formazione esibitasi all'Auditorium Torelli di Sondrio ha visto Giovanni Maier al contrabbasso e Michele Rabbia, elettronica e percussioni.


Nel cambio tra sassofono e contrabbasso non si è persa l'atmosfera del tutto particolare che contraddistingue il trio di Negro: una musica dadaista, fin dal primo approccio di Rabbia, inconsueto quanto geniale su pelli e piatti, aperta a soluzioni inaspettate, tra passaggi furenti e momenti di minimalismo al pianoforte. Tre personalità forti ed integrate che hanno dato vita ad un set sospeso tra contemporaneità astratta e momenti di pura e lirica bellezza. Una lieta sorpresa, parlo del pianista naturalmente, perchè Maier e Rabbia sono personaggi molto noti ad un medio appassionato. Rimango a questo punto in curiosa e fremente attesa dell'annunciato album solo di pianoforte per l'etichetta romana CAM.

 
 
 

ADDIO TOMASZ

Post n°4042 pubblicato il 29 Luglio 2018 da pierrde
 

Tomasz Tłuczkiewicz, un amico del musicista e Paweł Brodowski, il redattore capo del "Jazz Forum" hanno informato della morte dell'artista.

 Il musicista è mancato questa mattina all'ospedale oncologico di Varsavia a Ursynów. Era nato l'11 luglio 1942 a Rzeszów.

E' stato uno dei più importanti artisti della scena jazz polacca. Ha registrato circa quaranta album a suo nome e composto musica da film. Il suo quintetto dal 1968 al 1973 era considerato una delle migliori formazioni nella storia del jazz polacco. Stańko aveva un suo stile caratteristico, facilmente riconoscibile dalle prime note emesse dalla sua tromba. 

 
 
 

NOTE E IMPRESSIONI DA AMBRIA JAZZ-PARTE PRIMA

Post n°4041 pubblicato il 29 Luglio 2018 da pierrde
 

La decima edizione di Ambria Jazz, rassegna della provincia di Sondrio a cura di Giovanni Busetto, prevede una ventina di concerti sparsi per le varie località del territorio. Sfortunatamente tutte al lato opposto rispetto a dove vivo, quindi diventa necessaria e dolorosa una selezione preventiva delle proposte .


Lo scorso week end mi ha dato modo di partecipare a due serate dalle proposte quanto mai differenti e vaiegate. Si inizia venerdi ' sera alla centrale Enel di Boffetto con un imprevedibile quanto simpatico gruppo swing, gli Hot Gravel Eskimos, capitanati da Mauro Porro, alto e tenore, tromba, da Yuri Biscaro alla chitarra elettrica, Marco Rottoli al contrabbasso e dalla splendida voce di Marcella Malacrida. Humor, grazia, eleganza unita ad intelligenza e swing anni 20/30 distribuito con sapiente scelta dei brani pescati tra i grandi dell'epoca (Goodman, Ellington, Waller). Divertenti e godibili, una rivelazione.


A seguire Blast, il quartetto di Gavino Murgia con il formidabile Mauro Ottolini, trombone e conchiglie, Pietro Iodice instancabile stantuffo alla batteria e Aldo Vigorito, un metronomo al contrabbasso. Che dire del gruppo ? Basterebbe accennare al brano di apertura (Pithecanthropus erectus di Charles Mingus) e a quello eseguito come bis, (Odwalla dell'Art Ensemble of Chicago) per mettere in chiaro i confini espressivi ed il percorso di Blast. 


Ma non va dimenticato che tra le due composizioni famose il gruppo ha suonato brani scritti appositamente da Gavino che hanno messo in risalto le prerogative e le doti sia individuali che tematiche. Se nelle parti solistiche è emersa una vena decisamente coltraniana da parte del leader, in realtà le composizioni sono il frutto di un sapiente equilibrio tra radici popolari, una particolare attenzione alla melodia ed una attenta osservazione di quanto di nuovo emerge nel jazz internazionale .  Mattatore, come sempre, il trombone di Ottolini, duttile, feroce, inarrestabile. Un grande gruppo, sicuramente tra i più originali in Italia in questa fase storica. 

 
 
 

Jim Rotondi Italian Quartet al Festival Valle Christi Jazz

Post n°4040 pubblicato il 27 Luglio 2018 da pierrde
 

L'entusiasmo di Bruno Guardamagna, Direttore artistico della rassegna, era talmente straripante, nel presentare la prima data del calendario jazz del Festival Valle Christi di Rapallo, - protagonista il trombettista americano Jim Rotondi ed il trio composto da Daniele Gorgone, Daniele Sorrentino ed Elio Coppola -che, ad un certo punto, si è cominciato a dubitare che la sua presentazione potesse lasciare spazio alla musica.

Succede anche questo quando è la passione a dettare le parole. La musica poi c'è stata eccome, ed ha avuto un effetto contagioso presso il pubblico della suggestiva location di San Michele di Pagana a due passi dal mare e vicino a Portofino. La precisa pronuncia e la capacità di plasmare la melodia di Rotondi insieme ad una ironica comunicativa, hanno catturato fin dal primo brano, l'inedito "Oscar winner" dedicato a Peterson ed eseguito in prima assoluta.

Poi si è potuto apprezzare l'inventiva al pianoforte di Gorgoni, l'esuberanza ritmica di Coppola e l'approccio lirico di Sorrentino, in un gioco di squadra che, pur organizzato sui binari di un solido mainstream, ha riservato intensi momenti di creatività collettiva ed individuale. Repertorio che spaziava da Freddie Hubbard, uno degli ispiratori di Rotondi, al Cole Porter di "I concentrate on you" rivista in chiave soul jazz, da una dinamica "Budo" a firma Powell- Davis all'estesa interpretazione in chiave sottilmente bossa nova di "Amsterdam after dark" di un altro dei maestri del trombettista, George Coleman.

Fino al sipario del trio con lo standard "If i should lose you" nel quale le doti tecniche e comunicative di Gorgone emergevano nitidamente. Finale nel segno della melodia con un brano tratto dall'ultimo lavoro di Rotondi "Dark Blue" inciso per la Smoke session, "Pure imagination", che è finito anche nella colonna sonora del cartoon "Willy Wonka e la fabbrica del cioccolato".

Ottimo inizio e promettente anche il seguito del programma che proseguirà, nella suggestiva cornice di Valle Christi, sotto alle rovine del duecentesco monastero, con le seguenti date .

Giovedì 9 agosto ore 21.30

FRANCO AMBROSETTI - DADO MORONI ALL STARS

Franco Ambrosetti, tromba Dado Moroni, pianoforte Gianluca Ambrosetti, sax soprano Riccardo Fioravanti, contrabbasso Stefano Bagnoli, batteria

Giovedì 16 agosto ore 21.30

TRIBUTO AD ART PEPPER GIANNI CAZZOLA QUINTET Gianni Cazzola, batteria Claudio Chiara, sax Fulvio Chiara, tromba Nico Menci, pianoforte Roberto Piccolo, contrabbasso

Domenica 19 agosto ore 21.30

CUBICULUM Massimiliano Rolff-David Pastor Quartet David Pastor, tromba Joost Swart, piano Massimiliano Rolff, contrabbasso Ruben Bellavia, batteria

Andrea Baroni

 

 
 
 

TRIPLO RITORNO DI WAYNE

Post n°4039 pubblicato il 26 Luglio 2018 da pierrde
 

 

Blue Note Records ha fissato per il 24 agosto la data di uscita per Emanon , il nuovo album di Wayne Shorter dal Without A Net (2013) . Quell'album live segnò il ritorno di Shorter all'etichetta dove iniziò la sua carriera discografica nel 1964. Emanon, "nessun nome" in inglese letto al contrario, è un triplo album di musiche originali di Shorter eseguite dal suo quartetto, con Shorter soprano e sax tenore, Danilo Pérez al pianoforte, John Patitucci al basso e Brian Blade alla batteria con la 34-piece Orpheus Chamber Orchestra nel primo cd in studio e gli altri due con il quartetto Live in London. 

Nel box Blue Note c'è anche una graphic novel scritta da Shorter, sceneggiata da Monica Sly e illustrata da Randy DuBurke. I fumetti sono infatti un'altra grande passione di Wayne che all'età di quindici anni, nel 1949, illustrò e scrisse un suo comic book (vedi foto)

Emanon  sarà disponibile in due versioni: un'edizione standard che contiene tre CD con la graphic novel e un'edizione deluxe che contiene tre LP in vinile da 180 g e tre CD con la graphic novel, racchiuso in un cofanetto con copertina rigida .

L'elenco dei brani di Emanon è il seguente:

DISC 1 
The Wayne Shorter Quartet con Orpheus Chamber Orchestra 
1. Pegasus 
2. Prometeo illimitato 
3. Lotus 
4. The Three Marias

DISC 2 
The Wayne Shorter Quartet Live a London 
1. The Three Marias 
2. Lost and Orbits Medley

DISC 3 
The Wayne Shorter Quartet Live in London 
1. Lotus 
2. Si muove attraverso la fiera 
3. Avventure a bordo della Golden Mean 
4. Prometeo illimitato

Shorter è stato appena nominato (insieme al compositore Philip Glass, la star di musica country Reba McEntire e  Cher) come uno dei destinatari del Kennedy Center Honors. Lui e gli altri premiati prenderanno parte a una cerimonia speciale al John F. Kennedy Center for the Performing Arts di Washington, DC, il 2 dicembre.

Fonte: Jazztimes e profilo Twitter di Shorter

 

 

 
 
 

I DUE VOLTI DI KENNY GARRETT

Post n°4038 pubblicato il 21 Luglio 2018 da pierrde
 

Concerto ricco di energia quello di giovedi' sera a Lecco, prima serata del Jazz Festival quest'anno in tono minore per quantità e qualità. Sul palco il quintetto dell'ex pupillo di Miles Davis, oggi cinquantottenne leader e un tempo giovane promessa a fianco dell'ultimo Miles.

Indubbiamente Garrett ha una idea precisa su come gestire un proprio gruppo, concentrando su di se la maggior parte dello spazio solistico e propositivo, ma proprio questo, unitamente ad una seconda parte del concerto piuttosto discutibile, è apparso anche il maggior limite del quintetto.

Solamente il pianismo di stretta derivazione monkiana di Vernell Brown, che ad un certo punto in pieno assolo ha citato letteralmente Blue Monk,  ha dato a tratti il cambio al tenore del leader, mancando del tutto un dialogo a piu' voci con la sezione ritmica chiamata esclusivamente a punteggiare e sostenere i voli di stampo post coltraniano di Garrett.

Brani lunghi e dal tema semplice e ben marcato, lunghissimi assoli del sax, un interessante duetto con il batterista Marcus Baylor, un lungo solo accompagnato solo dal battito del piede (una reminiscenza alla Jimmy Giuffre, solo a velocità supersonica...) e per poco più di un'ora il gruppo, seppur con i limiti descritti, è parso distribuire con generosità, se non un dialogo tra strumentisti, una energia notevole r coinvolgente.

Poi, di colpo, la svolta. Come recita il titolo dell'ultimo album uscito giusto due anni fa, Do you dance !, Garrett si improvvisa rapper invitando i John Travolta e le Olivia Newton John del Lario a scendere in pista, ed è subito festa (e notte fonda per quanto riguarda la parte musicale).

Sarebbe stato un epilogo accettabile e simpatico se solo fosse durato il giusto. Invece la vicenda è andata oltre i limiti, e da possibile chiusura in gloria è diventata una festa di piazza di grana grossa.

Che dire ? Che Garrett è solista preparato, intelligente, duttile e formidabile al fianco di un leader come ha ampiamente dimostrato con celebri collaborazioni. Meno interessante come titolare, oscillando tra diversi modi interpretativi  e senza una precisa direzione da intraprendere. 

 
 
 

Another side of Bill Frisell

Post n°4037 pubblicato il 20 Luglio 2018 da pierrde
 

Tre fuoriclasse del jazz contemporaneo ed una cantante dalle indiscutibili doti vocali, ed una manciata di canzoni, ispirate, direttamente o meno, al mondo del cinema. E'iniziata così la quindicesima edizione del festival Gezmataz a Genova giovedì 19 luglio con un' Arena del mare gremita di fans di Bill Frisell, alla fine contenti ma con un pizzico di rimpianto per quello che tre maestri come il chitarrista, il batterista Rudy Royston ed il contrabbassista Thomas Morgan avrebbero potuto esprimere in diverso contesto.

Ma stavolta la partita è questa, il progetto "When you wish upon a star", che dal vivo diventa una vetrina per le estese ottave di Petra Haden, figlia del grande Charlie, con un gruppo che la supporta con creatività, ma senza particolari guizzi improvvisativi, nell'excursus attraverso una piccola parte del patrimonio cine musicale mondiale. Il pregio maggiore dell'operazione risiede forse nella capacità di Frisell e soci di ricostruire, in una dimensione volutamente rarefatta ed emotivamente pacata, classici delle colonne sonore costruiti in origine con sontuosi arrangiamenti orchestrali.

Qui tutto è evocato da pochi accordi, un loop della chitarra, un solo del contrabbasso di Morgan ed il drumming mai invadente di Royston. E naturalmente dalla splendida voce della Haden che, dal centro del palco, coinvolge la platea nel gioco della memoria a chi indovina più titoli, spaziando dall' Henry Mancini dell'iniziale "Moon river", al Nino Rota di "The Godfather" fino al Morricone di "Once upon a time in the west" con la title track e la versione lievemente reggata di "Farewell to Cheyenne".

Presenti in scaletta ovviamente John Berry con "You only live twice" ed il tema di "Goldfinger", le novità rispetto al disco sono una bella versione del classico di Jackson Browne "These days", una "Space oddity" immersa nella bambagia ed il Burt Bacharach di "What the world needs now", tutte canzoni che hanno lasciato il segno anche sul grande schermo.

Finale con il brano che ispira l'intero progetto tratto dal film Pinocchio ed ulteriore bis con il traditional "Shenandoah" titolo originale anche del film del 1965 La valle dell'onore con James Steward. Alla fine resta l'impressione di un grande divertissment per Frisell che se la ride tutto contento dopo un'oretta e mezzo di (tranquilla) musica, lasciando all'immaginazione dei presenti gli altri orizzonti del proprio mondo musicale. 

Andrea Baroni

 
 
 

CHARLES LLOYD AND THE MARVELS AD EMPOLI JAZZ

Post n°4036 pubblicato il 17 Luglio 2018 da pierrde
 

Esasperati dall'interminabile astinenza di grande musica che caratterizza una scena milanese sempre più depressa (altro che la 'Capitale del Jazz' di cui alcuni van parlando), con un'amico abbiamo preso il treno che ci ha portato ad Empoli, inattesa sede di un piccolo e giovane festival diffuso, che peraltro offre un cartellone di tutto rispetto per la rappresentatività della scena internazionale di oggi (vedere per credere: http://www.eventimusicpool.it/festivals/empoli-jazz/. Complimenti all'organizzazione ed al Comune di Empoli, quest'ultimo per la sede di cui si dirà ).

Noi abbiamo scelto la piccola gemma di una data (forse l'unica italiana) di Charles Lloyd and The Marvels. Reduci da recente seduta discografica per una Blue Note che si sta sempre più caratterizzando per la sua attenzione alla scena più comunicativa del momento, i Marvels si sono presentati sulla scala di San Miniato senza la voce di Lucinda Williams.

A dir la verità, l'assenza ha inciso poco dell'equilibrio della band, salvo forse che per la minimizzazione della componente di 'Americana' che era lecito attendersi. Poco male, trattandosi di un'etichetta molto vaga e forse posticcia (la world music del jazz?), una volta tanto partorita oltreoceano e non alle nostre latitudini.

Lloyd ha alle sue spalle un movimentato ed avventuroso passato di volgarizzatore del verbo coltraniano e di carismatico dominatore di folle giovanili in un'epoca in cui queste frequentavano ben poco le platee del jazz. Di questi trascorsi oggi poco è rimasto, sia nell'impostazione strutturale che in quella strumentale.

Del resto, l'organico sottile, con chitarra di Frisell a sostituire il piano, poco si prestava anche ad una sola evocazione della calda eloquenza tipica del Lloyd di fine anni '60 . Infatti la frontline formata da Lloyd e Frisell si è dedicata a tracciare dei sottili, trasparenti acquerelli, in cui il leader si è fatto beffe dei suoi 80 anni suonati (parecchi dei quali poco tranquilli...) sfoggiando un'impeccabile padronanza delle nuances timbriche e dinamiche necessarie a sbozzare queste miniature . Personalmente mi ha sorpreso la modestia con cui Frisell ha messo tra parentesi il suo mirabolante solismo, per mettersi al servizio del gruppo con un supporto di ammirevole sobrietà ed efficacia, che però apportava alla band l'indispensabile componente di un drive discreto, ma incessante e sempre pronto a sbocciare in improvvise, avventurose aperture (forse la traccia più percepibile dei trascorsi carismatici della musica del leader).

La lontananza delle maniere coltraniane avrebbe potuto far presagire un ripiegamento di Lloyd sul lirismo sottile, ma anche un po' monocorde, tipico del suo periodo ECM, da poco conclusosi. Invece il veterano Charles ha dato una bella prova di versatilità con sfumature occasionali di lieve ironia nella scelta di materiali tematici apparentemente lontani dalle sue abituali fonti di ispirazione: è stato cosi per un brano d'apertura che suggeriva sottili debiti con il Warne Marsh più maturo ed intellettuale, e soprattutto con un'inatteso, elegantemente dinoccolato 'Ramblin' che ha portato Lloyd e Frisell sugli scoscesi ed avventurosi sentieri melodici dell'Ornette che mostrava il suo nascosto cuore più antico ed earthy . Molto pregevoli e raffinati anche alcuni articolati e sottili assoli che Lloyd ci ha regalato al flauto.

Ma anche in un acquerello spesso è necessario tracciare linee nitide e decise: a questa necessità provvede il drumming compatto e pieno di Harland, che, assolto questo contributo alla consistenza strutturale del gruppo, ha mostrato poi ammirevole ricchezza di accenti e sfumature, sfociata da ultimo un lungo assolo ammirevole per sobrietà e limpidezza costruttiva (l'Harland sicuro 'architetto di musiche' lo ricordavamo già dal gruppo di Dave Holland): il pubblico ha percepito questa nitida chiarezza premiandola con un'ovazione significativamente

seguita ad un attimo di raccolto, concentrato silenzio, cosa che non accade spesso con gli assoli dei batteristi . Il basso elettrico di Reuben Rogers ha generosamente rinunziato ad un più ampio spazio solistico per creare un riuscito blend timbrico e ritmico con la chitarra di Frisell, donando maggior corpo e slancio al drive di cui si è detto.

Il pubblico che ha riempito la splendida, raccolta Piazza Farinata degli Uberti (uno di quei teatri a cielo aperto di cui era capace la grande cultura architettonica italiana dei secoli scorsi) ha premiato con lungo, convinto applauso la riuscita performance di una band accuratamente calibrata e bilanciata, interprete di un repertorio raffinato e sostanzialmente inatteso.

Franco Riccardi, aka milton56

 

 
 
 

RITORNA BODY AND SOUL

Post n°4035 pubblicato il 16 Luglio 2018 da pierrde
 

Body & Soul
dal 7 luglio al 9 settembre, il sabato e la domenica alle 18.00

Come ogni estate ritorna Body & Soul, la nostra storia disinvolta del jazz. Quest'anno replicheremo l'intero ciclo andato in onda nell'estate del 2016: a partire da sabato 7 luglio e fino a domenica 9 settembre ogni fine settimana proporremo pagine di quella che ci piace immaginare come una piccola enciclopedia portatile del jazz, scomponibile e ricomponibile a piacere in un continuo gioco di rimandi tra la radio e il web dove si possono riascoltare tutte le vecchie puntate. L'attenzione di questo ciclo è puntata sugli strumenti. Ogni sabato, Pino Saulo ospiterà un musicista che racconterà il proprio strumento, tracciandone una traiettoria che inevitabilmente si interseca con la propria vicenda artistica e dandone quindi una visione più intima, più personale, mentre la domenica Claudio Sessa parlerà dello stesso strumento ricostruendone una prospettiva storica e più oggettiva.


Questi gli appuntamenti con la musica più eccitante del mondo. Buon ascolto!


sabato 7 luglio Maurizio Giammarco racconta il sax tenore

domenica 8 luglio Claudio Sessa racconta il sax tenore

sabato 14 luglio Bruno Tommaso racconta il contrabbasso

domenica 15 luglio Claudio Sessa racconta il contrabbasso

sabato 21 luglio Enrico Pieranunzi racconta il pianoforte

domenica 22 luglio Claudio Sessa racconta il pianoforte

sabato 28 luglio Roberto Gatto racconta la batteria

domenica 29 luglio Claudio Sessa racconta la batteria

sabato 4 agosto Enrico Rava racconta la tromba

domenica 5 agosto Claudio Sessa racconta la tromba

sabato 11 agosto Maria Pia De Vito racconta la voce

domenica 12 agosto Claudio Sessa racconta la voce

sabato 18 agosto Giancarlo Schiaffini racconta il trombone

domenica 19 agosto Claudio Sessa racconta il trombone

sabato 25 agosto Eugenio Colombo racconta il sax contralto

domenica 26 agosto Claudio Sessa racconta il sax contralto

sabato 1 settembre Francesco Diodati racconta la chitarra

domenica 2 settembre Claudio Sessa racconta la chitarra

sabato 8 settembre Mario Raja racconta l'orchestra

domenica 9 settembre Claudio Sessa racconta l'orchestra

Ascolta Body & Soul >> 

 
 
 

HUDSON IN RIVA AL CERESIO

Post n°4034 pubblicato il 14 Luglio 2018 da pierrde
 

Chi mi conosce o mi legge sa che per me Estival Jazz, la manifestazione luganese che quest'anno festeggia i 40 anni, è un festival da bollino nero per qualsiasi appassionato di musica jazz.

Due i motivi principali. Il primo sta nella deriva che da ormai molti anni i due direttori artistici hanno impresso al festival: dai nomi più prestigiosi e significativi della musica afro americana ad un etno pop di facile presa e di altrettanto facile dimenticanza. 

D'altronde basterebbe leggere il libretto stampato per questa edizione e scorrere i nomi che dal 1977 hanno calcato il palcoscenico di Piazza della Riforma. Credo si tratti di un formidabile autogol da parte di Jacky Marty e soci, si è passati infatti da Miles Davis ai New Trolls o, per rimanere sull'attualità di quest'anno, da Keith Jarrett a Renzo Arbore.

Il secondo motivo per il quale sconsiglio dal frequentare Estival è lo scarso rispetto (un eufemismo) verso gli appassionati. La piazza infatti è praticamente occupata per tre quarti da transenne che delimitano lo spazio per i vip a vario titolo, che naturalmente si presentano a concerto iniziato, chiacchierano amabilmente tra loro, salvo poi applaudire freneticamente a fine brano. Non parliamo poi dei clienti dei ristoranti che fiancheggiano la piazza: apertamente disinteressati all'ascolto, si dilettano nel rendere impossibile fruire del motivo principale per il quale, in teoria, si è li sulla piazza, in piedi, scomodi e purtroppo rassegnati.

Ci sono poi tutti gli effetti collaterali dei concerti gratuiti: folle di passaggio del tutto poco interessate alla musica, voci alte, rumori di gozzoviglie e altre piacevolezze tipiche di situazioni simili.

Insomma, molto meglio stare a casa. Ma dopo tanti anni in cui ho messo in pratica il mio stesso consiglio, venerdi' ho ceduto alle insistenze di amici, e, contando sul fatto che i gruppi jazz vengono fatti esibile in primissima serata (ovvio, la festa vera comincia dopo, quindi prima ci salviamo la faccia con l'opinione pubblica (ahahahah, ma quale ? ) e poi finalmente ci divertiamo con salsa, merengue e i cori russi (il noto cantautore qui aggiungeva il free jazz ed il punk inglese...).

Sta di fatto che in programma c'era il nuovo gruppo di Jack De Johnette, Hudson, come l'album uscito un anno fa, e come la vallata in riva al fiume omonimo dove abitano i quattro musicisti.

Rispetto all'album Scott Colley ha preso il posto di Larry Grenadier, ma nulla è cambiato nella proposta musicale: un funky blues ricchissimo di groove, con una spinta indiavolata della sezione ritmica a sostenere i voli pindarici di John Medeski alle tastiere e John Scofiled alla chitarra.

Repertorio costituito, come sull'album, da alcuni classici del rock anni sessanta (Dylan, Hendrix, Mitchell) e da originals da parte dei componenti del gruppo. Sentito anche il leader in veste di cantante, molto dignitoso, ma rimane molto piu' impresso il beat scatenato e l'energia profusa che smentisce i 76 anni registrati all'anagrafe da De Johnette.

Quattro maestri del rispettivo strumento, indubbiamente, ed un concerto che ha confermato le qualità dell'album. Tuttavia....tuttavia almeno a mio parere non si tratta certo del gruppo più significativo messo in piedi nella sua lunga carriera da De Johnette. Non ci sono gli impasti sonori ne gli arrangiamenti ricercati delle Special Edition, tanto per fare un paragone piuttosto distante nel tempo.

La mia  impressione è che il leader abbia preferito un progetto dal successo sicuro e dall'impatto sonoro decisamente impressionante piuttosto che scavare alla ricerca di qualcosa di inudito o di inaudito. Tant'è che, per quanto apprezzi i funambolismi di Medesky sia all'Hammond che al Fender Rhodes, il brano più convincente, l'ultimo in programma (Woodstock), ci ha fatto aprezzare il pianista in veste acustica gettando una luce completamente diversa sulle possibilità inespresse del gruppo.

Successo pieno comunque, applausi convinti sia dai vip seduti che dai peones accaldati e all'impiedi, e poi rapida fuga verso casa prima che si scatenino le danze !    

 
 
 

PUBBLICO DI IERI, PUBBLICO DI OGGI

Post n°4033 pubblicato il 14 Luglio 2018 da pierrde
 

E' ormai destino che io diventi il chiosatore ufficiale del collega Dell'Ava. Ma il suo recente post, nel quale si riportano lapidariamente le dichiarazioni di Carlo Pagnotta sulle metamorfosi del pubblico di Umbria Jazz mi sembra meritevole di ulteriori, espliciti approfondimenti, da non lasciare all'iniziativa ed all'intuito del lettore.

L'intervista nel suo complesso merita la massima attenzione, non foss'altro per il fatto che a parlare è colui che può a ragione esser definito il 'padre padrone' di Umbria Jazz, con tutte le responsabilità che ne conseguono. Chi ci segue dai tempi di 'Tracce' conosce benissimo la compatta posizione di questa redazione sul corso recente di questa importante e - ai suoi tempi - gloriosa manifestazione: molto significativa quest'unanimità, soprattutto ove si considerino la notevole diversità di inclinazioni e gusti musicali dei vari componenti.

Ma veniamo alle dichiarazioni di Pagnotta sul pubblico - o meglio sui pubblici - di Umbria Jazz. Innanzitutto il patron del festival merita dovuti complimenti. In un periodo in cui in commercio dilaga il cinismo più sfacciato e protervo, vedere qualcuno che si preoccupa di coccolare i suoi consumatori è cosa che scalda il cuore. Intendiamoci: questa attenzione è indubbiamente doverosa nei riguardi di un pubblico che mette mano alla carta di credito 'oro' per acquistare i biglietti da 50/80 euro che consentono di ascoltare le Lady Gaga ed i Mika in una arena estiva scoperta, in balia degli incerti metereologici.

Non siamo meschini, e quindi sorvoliamo sul fatto che questi spettacoli di gran rilievo commerciale finiscono di fatto per esser cofinanziati dalla mano pubblica attraverso un recente riconoscimento di rilievo culturale nazionale, che sarebbe stato giusto ed anzi doveroso (soprattutto considerate le rilevanti ricadute economiche) se non fosse arrivato 'alla memoria' di quel Umbria Jazz è stata  nei suoi primi decenni, un unicum culturale  di prima grandezza (e che è stato rapidamente riconosciuto come tale all'estero e soprattutto negli States e dalla comunità jazzistica). Oggi si tratta solo di un rivolo in più in quel fiume che sostiene i cachet certo non modesti delle vedettes che monopolizzano il palco dell'Arena Santa Giuliana. 

Quanto a quest'ultima, è senz'altro vero quel che osserva Pagnotta circa la difficoltà di riempire una struttura che ormai appare un autentico 'monstre' senza ricorrere a celebrità (a volte un po' impolverate...) che fanno facile presa su un pubblico 'generalista'. Da ex frequentatore del festival, però, mi limito a rammentare che di gigantismo spesso si muore e che non più tardi di sei-sette anni fa (già in piena crisi, dunque), ricordo di aver visto sfilare su quel palco Sonny Rollins, Herbie Hancock ed altri musicisti sulle cui credenziali artistiche e di continuità con una certa tradizione musicale nulla era possibile eccepire: non ricordo viceversa di aver notato posti vuoti, nemmeno sulle 'gradinate'.

Viceversa, nell'edizione di quest'anno siamo giunti alla paradossale conseguenza che di jazz di qualsiasi caratura e livello se ne ascolta proprio pochino, a parte Quincy Jones (che forse si sarebbe divertito di più con una delle bistrattate, ma collaudate big band italiane....). La cosa più dignitosa sul piano artistico rimane la serata brasiliana, che accanto ad un carioca autentico di grandissima levatura ne appare un altro... come dire? "postito"? su cui volentieri sorvoliamo con un sorriso. 

Nonostante le passate delusioni ed il crescente sconforto, tuttavia anche quest'anno ho esaminato programma e relativo listino prezzi del festival. Scartati i concerti di Santa Giuliana (non siamo all'altezza di comprendere le ardite contaminazioni che lì vanno in scena a beneficio del pubblico 'gold'...), qualcosa di interessante ed intrigante si nota, ma rigorosamente segregato e ghettizzato nella pur esteticamente  splendida cornice del Teatro Morlacchi.

Da ex frequentatore di questa mirabile Scala in miniatura, posso tranquillamente affermare che andare ad ascoltare un concerto in un pomeriggio di luglio in questa splendida 'bomboniera' priva di aria condizionata è una delle più grandi prove di amore per la musica che uno spettatore possa tributare, immergendosi per due ore in una fornace quasi sempre sovraffollata per capienza limitata. A proposito: ai miei tempi, i biglietti per il Morlacchi andavano acquistati almeno con un mese di anticipo, e non era escluso il rischio di trovarsi relegati in un angusto recesso del teatro.

Quest'anno, viceversa, ho notato che a pochi giorni dal concerto si rilevavano ancora apprezzabili disponibilità di posti in ogni ordine del teatro per il concerto del Vijay Iyer Sextet. Stiamo parlando di una formazione che per miracolosa unanimità della critica è stata riconosciuta come la punta di diamante della scena jazzistica odierna: a tutto onore dell'organizzazione, va altresì notato che il concerto era proposto ad un prezzo più che onesto, considerata la tournee transatlantica di un gruppo che raduna musicisti che singolarmente già risultano molto impegnati.

Si tratta di un strana circostanza su cui il direttore artistico dovrebbe riflettere: a mio avviso è il segnale del fatto che il pubblico 'hard core' di Umbria Jazz, quello 'zoccolo duro' stabile che per decenni ne ha assicurato non solo la sopravvivenza, ma anche il crescente successo, la sta ormai gradualmente disertando, cercando analoghe occasioni di ascolto in contesti meno 'glamour' e sacrificati. Ipotesi da ponderare con molta attenzione, anche da un mero punto di vista commerciale e di immagine.

Commovente è poi la lacrimuccia spesa da Pagnotta per i pubblici degli anni '70, naturalmente più naif, turbolenti e meno acculturati musicalmente rispetto a quelli muniti di carta 'gold' e che esigono le Lady Gaga, i Mika etc.... Tuttavia il nostro Direttore Artistico sorvola sul fatto che i saccopelisti di allora (sprovveduti quanto si vuole, ma che per la musica dormivano all'addiaccio...) hanno poi costituito la spina dorsale di una nuova generazione del pubblico italiano del jazz, consentendogli nei decenni '80 e '90 una fioritura sconosciuta in passato (sugli sviluppi più recenti, anche qui sorvoliamo....).

Quello stesso pubblico che, tenuto a balia dall'Umbria Jazz degli happening in piazza (a cui però jazzmen insospettabili di compiacenze gaglioffe hanno dedicato addirittura degli album....), ha poi sostenuto nei decenni successivi la manifestazione nelle sue edizioni più raffinate e coraggiose, quelle che hanno fatto la sua grande reputazione presso jazzmen di consumata professionalità, che non a caso facevano ben attenzione a presentarsi a Perugia con formazioni in gran spolvero.

Ma tant'è, accontentiamoci pure di una menzione 'alla memoria' per questo pubblico naif che purtroppo si è fermato alla musica da cocktail di Vijay Iyer e compagni, invece di evolversi sino all'altezza delle mirabili 'fusioni' in scena a Santa Giuliana. Tanto più che c'è da ritenere che questo pubblico sempliciotto abbia levato il disturbo da solo, forse per sempre.

Franco Riccardi

 
 
 

SUPERQUARK MUSICA

Post n°4032 pubblicato il 12 Luglio 2018 da pierrde

Subito dopo la tradizionale puntata (di Superquark) parte Superquark Musica, un nuovo programma di Piero Angela in onda sempre su Rai 1 il mercoledi' dalle 23.50 a partire dal 4 luglio. Cinque puntate, per 5 settimane, ciascuna dedicata a una diversa famiglia di strumenti: pianoforte e dintorni; archi; ottoni; ance e strumenti a corda. Per l'occasione Piero Angela sarà nel suo studio con due storici della musica: il Maestro Giovanni Bietti per la musica classica e il giornalista Adriano Mazzoletti, grande esperto e storico del jazz. Con loro spiegherà come sono fatti, come funzionano e che storia hanno questi strumenti.

Ma SuperQuark Musica è anche l'occasione per riproporre in una ideale antologia i migliori incontri realizzati da Piero Angela con i grandi solisti italiani di musica classica e jazz: tra i protagonisti il violinista Uto Ughi (con il suo Stradivari), il violoncellista Mario Brunello, l'arpista Elena Zaniboni, il clavicembalista Enrico Baiano, il chitarrista classico Emanuele Segre, il contrabbassista Franco Petracchi, oltre ai musicisti delle varie sezioni dell'orchestra sinfonica di Santa Cecilia a Roma.

Per il jazz ci saranno grandi solisti come Paolo Fresu, Gianni Basso, Franco Cerri, Francesco Cafiso, Andrea Dulbecco, Alberto Marsico

Fonte: http://www.tvblog.it/post/1549687/superquark-2018-prima-puntata-diretta-anticipazioni?refresh_cens 

Per vedere le prime due puntate:

https://www.raiplay.it/video/2018/06/SuperQuark-Musica-fc0dd65b-d6df-4c7a-b17f-745885d6ecc0.html 

 

 
 
 

HARBIE E LA CRISI DI MEZZA ETA' DI MILES

Post n°4031 pubblicato il 11 Luglio 2018 da pierrde
 

Le vite dei musicisti e dei cantanti sono spesso oggetto di romanzi biografici, film e serie TV. Anche il mondo del fumetto ha dedicato le sue tavole ai miti della musica e, di recente, lo ha fatto con Miles Davis (...)

Tra i musicisti di jazz capaci di produrre uno stile e comunicare una vera e propria visione del mondo, c'è di sicuro Miles Davis. Trombettista, arrangiatore e compositore, Davis è stato un artista dal segno inconfondibile. A lui Lucio Ruvidotti ha dedicato il graphic novel Miles. Assolo a fumetti (Edizioni BD), in cui racconta la sua musica, gli aspetti più estremi e l'esperienza del suo periodo elettrico.

La scelta di Ruvidotti è quella di non raccontare in maniera lineare la vita del musicista, ma di cambiare spesso epoca e scenario. Qualcosa di simile a una improvvisazione, individuando ciò che più di tutto meritava di essere condiviso.

Nel suo fumetto Ruvidotti racconta i tanti aspetti di Miles Davis, quello appassionato di musica e impegnato a creare un suo stile, quello cool e snob attento al modo di vestire, quello ruvido nella vita familiare, quello indebolito dalla droga, quello immensamente curioso che non smette mai di sperimentare.

La tavolozza di colori utilizzata (dal blu del periodo più cupo ai colori fluo della psichedelia) e l'impostazione grafica sono elementi che caratterizzano una varietà stilistica, necessaria per raccontare i cambiamenti che hanno tenuto viva la musica di Davis.

Fonte: https://www.mondofox.it/2018/07/09/musica-a-fumetti-le-vite-di-miles-davis-e-syd-barrett/ 

L'articolo di Tanina Cordaro racconta il libro con passione, ma non è esente da qualche svarione:

A metà degli anni '60 forma una nuova band con Harbie Hancock e altri musicisti neri giovani che lo considerano un ispiratore, una guida. Alla fine degli anni '60, Davis stupisce il mondo della musica fondendo il suo jazz al rock psichedelico. Alcuni associano questo periodo a una crisi di mezza età del musicista e una voglia irrefrenabile di far parte del giro "in" della musica. 

 

 
 
 

Pubblico

Post n°4030 pubblicato il 10 Luglio 2018 da pierrde
 

AAJ: Come è cambiato il pubblico di UJ nei decenni? 

CP: Per rispondere ci vorrebbe un libro. Forse Umbria Jazz è stato un fenomeno di costume ancor prima che un evento culturale. Il pubblico delle prime edizioni, quelle degli anni Settanta, ed il tipo di audience di oggi hanno davvero poco in comune. La manifestazione ha cercato di seguire questi mutamenti, spesso addirittura anticipandoli, cambiando essa stessa. Oggi abbiamo un pubblico più consapevole, esigente, musicalmente colto. I complimenti più belli al pubblico di Umbria Jazz li fanno i musicisti. Ma senza quei ragazzi degli anni Settanta, magari ingenui, talvolta turbolenti, ma anche curiosi di capire quell'oggetto per loro sconosciuto che era il jazz, Umbria Jazz, semplicemente, non sarebbe diventata il fenomeno che è oggi.  

Intervista di Libero Farnè a Carlo Pagnotta

fonte: https://www.allaboutjazz.com/carlo-pagnotta-direttore-artistico-di-umbria-jazs-brad-mehldau-by-libero-farne.php?pg=2 

 
 
 
 

AUTORI DEL BLOG

                 Andrea Baroni


                 Fabio Chiarini


                 Roberto Dell'Ava


                 Franco Riccardi

 

                 Ernesto Scurati

 

ULTIME VISITE AL BLOG

corradobulgarifederico_calcagnogirasoli69andronico.massimoClooney1967ossimoramirkosaxdiz69gattogerlandomariailaria1979vincenzogiordanogianni6781flavioborghivetgio0ockram70
 

ULTIMI COMMENTI

Non ti preocupare, capisco benissimo. Vi sto seguendo...
Inviato da: Less.is.more
il 24/08/2019 alle 11:46
 
Molto bello e interessante il nuovo blog.
Inviato da: Less.is.more
il 23/08/2019 alle 21:27
 
La musica di di Monk ne definisce la prepotente...
Inviato da: Piero Terranova
il 13/07/2019 alle 20:06
 
Grazie!
Inviato da: Luciano Linzi
il 19/10/2018 alle 15:44
 
Una notizia che scalda il cuore. Anche perchč č decisamente...
Inviato da: juliensorel2018
il 12/10/2018 alle 15:21
 
 

CONTATTI:

pierrde@hotmail.com
 

FACEBOOK

 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

AREA PERSONALE

 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963