Mondo Jazz
Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.
IL JAZZ SU RADIOTRE
martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
------------------------------------------------------------------
JAZZ & WINE OF PEACE
Pipe Dream
violoncello, voce, Hank Roberts
pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig
trombone, Filippo Vignato
vibrafono, Pasquale Mirra
batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
MONDO JAZZ SU FACEBOOK E SU TWITTER
CERCA IN QUESTO BLOG
JAZZ DAY BY DAY
I PODCAST DELLA RAI
CERCA IN QUESTO BLOG
Messaggi di Giugno 2018
Apro uno borsa inutilizzata da anni, ed ecco cosa spunta da un suo recesso: Parliamo quindi di venti anni fa, esatti. Apro il pieghevole e scopro il motivo della sua sopravvivenza: Io ho partecipato a questo Festival, forse l'ultima di varie sortite a Verona. Il depliant innesca i ricordi: il debutto italiano di Matthew Shipp nella splendida cornice di Piazza Dante con i passanti che si fermavano incuriositi, l'impatto delle big band di David Murray, George Russell (!!) e William Parker (anche lui ai suoi primi passi in Italia come bandleader) e via discorrendo. Incredibile a dirsi, mi sembrò un'edizione quasi 'in tono minore' rispetto ad altre precedenti (perdono.... non lo faccio più...). Mi vengono spontanee delle riflessioni, stimolate dall'inevitabile confronto con il presente.Innanzitutto, una precisazione dedicata ai professionisti di oggi: muovendomi con un mese di anticipo, arrivai come si suol dire 'in curva'. Per conquistare dei posti non troppo remoti sulle gradinate 'non numerate' del Teatro Romano bisognava presentarsi all'ingresso MUNITI DI BIGLIETTO almeno un'ora prima: si sfilava accanto alla coda di quelli che, non avendolo trovato, speravano in qualche vuoto da rinunce o forfait dell'ultimo minuto. Il Teatro Romano (en passant, un gioiello di acustica e di bellezza paesistica, soprattutto nelle sere di estate) poteva contenere non meno di un migliaio di persone. Ricordo la riconoscenza con cui si versava un piccolo obolo alla Croce Rossa per ottenere in prestito uno smilzo cuscino che avrebbe attutito l'impatto con la granitica Romanità. Rapportati all'economia del tempo, i prezzi non erano nemmeno molto 'popolari' ("cultura alla portata di tutti? ..... volgare demagogia" già allora si pontificava). Contesto sociale e culturale circostante? La Verona di fine anni '90 non era certo la Berlino di oggi...... Negli scorsi giorni ho fatto un rapido giro tra i siti web di festival estivi di una certa tradizione: in molti casi, e spesso a meno di un mese dalle loro date tradizionali, ho trovato pagine 'in costruzione', 'in aggiornamento'... . Brutto segno, si sta improvvisando sperando di cogliere qualche imprevista occasione dell'ultimo minuto oppure..... siamo all'equivalente di certi cartelli "chiuso per ferie" che rimangono ad ingiallire sulle saracinesche di alcuni negozi per vari inverni a seguire. Nella seconda ipotesi, addito il recente esempio di Udine Jazz, che, di fronte alla soppressione annunziata da una vera lista di proscrizione, è 'morto in piedi' ed in pubblico, creando un salutare fracasso (purtroppo molto imprecisamente amplificato anche da certa stampa d'opinione che non è stata capace di andare al fondo del problema). Non infieriamo con il confronto tra il cartellone del 1998 e certi attuali, che farebbero inarcare il sopracciglio anche ad un navigato gestore di night degli anni '60. Mi limito solo ad osservare che molti dei musicisti del 1998 sono ancora in attività, tra l'altro con formazioni e 'progetti' (altra parolina su cui sarebbe opportuno concordare una salutare moratoria per qualche annetto...) di gran lunga meno pesanti ed impegnativi sotto il profilo organizzativo. Le ultime volte che ho visto transitare Murray, Metheny o Ribot dalle nostre parti non ricordo di aver visto sedie vuote..... piuttosto ne ho notato parecchie 'abusive', infilate nei più vari anfratti. Ma non spariamo sulla Croce Rossa, si cade nel moralismo (e cioè l'etica predicata agli altri.... ex cathedra, superflui ed anzi esibizionisitici gli esempi forniti in prima persona). Facciamoci una domanda: dov'è il pubblico del 1998 che si scomodava con un'ora d'anticipo per inerpicarsi sulle gradinate di un anfiteatro, godendosi nell'oretta di attesa uno splendido tramonto sull'ansa dell'Adige .... con temperature medie mai inferiori ai 30 gradi? Beh, in buona parte questo pubblico eravamo noi, certo più giovani e più avvezzi agli strapazzi, ma soprattutto più CURIOSI. Ai miei colleghi ex combattenti e reduci (tempo fa sono stato iscritto d'ufficio alla categoria), ricordo un paio di cose: la fine della meraviglia è l'inizio della vecchiaia. Nel jazz, che oltre ad essere una musica, è anche una visione del mondo, la nostalgia fine a sè stessa, l'esangue calligrafismo non possono e non devono star di casa. Quello che abbiamo amato in questa musica è quel quid di miraggio intravisto, ma irrealizzato, che contiene nei suoi momenti migliori: un seme destinato per forza di cose a germogliare in mani successive. Certo ci sono giardinieri più bravi ed altri meno: al riguardo ricordiamo che di qualche fischio non è mai morto nessuno (anzi, a volte hanno conciliato la nascita qualche talento.... anche per sola reazione). Fischiare fa tanto 'borghese in poltrona'? Mi verrebbe da citare un grande critico letterario, che pensa che in fatto di cultura in Italia la borghesia propriamente detta sia stato un esperimento abortito sul nascere, ma offriamo un' alternativa: starsene a braccia conserte in mezzo a tripudi di folle festanti è altrettanto efficace - se non più - e fa anche tanto 'bon ton', che di questi tempi non guasta. Siccome sicuramente non si passerà inosservati, argomentare compiutamente i motivi del disappunto e dell'indifferenza: chiarirà le idee prima a noi e poi agli altri, che spesso si entusiasmano per la bigiotteria farlocca semplicemente perché nessuno si preso la briga di fargli vedere - ed apprezzare - un gioiello vero. Ricordiamo quanto siamo stati fortunati noi a trovare libri, dischi, programmi radio 'giusti' che hanno forgiato ed educato il nostro gusto. Oggi purtroppo queste opportunità sono scarse (se non inesistenti), e comunque di difficile individuazione: rimettiamo in circolo un po' della nostra fortuna condividendo con altri le risorse di cui noi abbiamo goduto, senza supponenze né alterigie professorali, ma cogliendo le diverse sensibilità e domande altrui verso l'esperienza musicale. Infine, guardiamoci dall'eterno, decrepito 'nuovismo' italico, che spasima per l'Epifania dell'Inaudito e sistematicamente approda solo all'ennesima replica del Kitsch: per quel che si è detto , abbiamo tutti gli strumenti per riconoscerlo e quindi nessuna scusante. Il meglio della musica che amiamo è nato da mesi, anni di esperimenti, di false partenze, di abbozzi da rifinire: non pretendiamo il 'capolavoro pret-a-porter' ogni volta che ci sediamo ad ascoltare musica. Impariamo anche a 'riascoltare' in profondità e fuori dall'occasionalità quotidiana: ma questa è materia di prossima omelia.... Franco Riccardi, alias Milton56
|
Il pianista Vijay Iyer,la cantante Cécile McLorin Salvant, la flautista Nicole Mitchell, il trombettista Amir ElSaffar, la direttrice d'orchestra Maria Schneider e l'artista hip-hop Kendrick Lamar sono tra gli artisti di talento che hanno vinto in più categorie nel 66 ° Annual DownBeat International Critics Poll.
Jazz Artist: Vijay Iyer Jazz Album: Cécile McLorin Salvant, Dreams And Daggers (Mack Avenue) Hall of Fame: Benny Golson and Marian McPartland Historical Album: Miles Davis & John Coltrane, The Final Tour: The Bootleg Series, Vol. 6 (Columbia/Legacy) Jazz Group: Vijay Iyer Sextet Big Band: Maria Schneider Orchestra Trumpet: Ambrose Akinmusire Trombone: Wycliffe Gordon Soprano Saxophone: Jane Ira Bloom Alto Saxophone: Rudresh Mahanthappa Tenor Saxophone: Charles Lloyd Baritone Saxophone: Gary Smulyan Clarinet: Anat Cohen Piano: Geri Allen (1957-2017) Keyboard: Robert Glasper Organ: Dr. Lonnie Smith Guitar: Mary Halvorson Bass: Christian McBride Electric Bass: Steve Swallow Violin: Regina Carter Drums: Jack DeJohnette Percussion: Hamid Drake Vibraphone: Stefon Harris Miscellaneous Instrument: Akua Dixon (cello) Female Vocalist: Cécile McLorin Salvant Male Vocalist: Kurt Elling Composer: Muhal Richard Abrams (1930-2017) Arranger: Maria Schneider Record Label: ECM Producer: Manfred Eicher Blues Artist or Group: Bettye LaVette Blues Album: Taj Mahal & Keb' Mo', TajMo (Concord) Beyond Artist or Group: Kendrick Lamar Beyond Album: Kendrick Lamar, Damn. (Interscope/Top Dawg Entertainment) Rising Star Categories Rising Star-Jazz Artist (TIE): Kris Davis and Julian Lage Rising Star-Jazz Group: Nicole Mitchell's Black Earth Ensemble Rising Star-Big Band: John Beasley's MONK'estra Rising Star-Trumpet: Amir ElSaffar Rising Star-Trombone: Jacob Garchik Rising Star-Soprano Saxophone: Jimmy Greene Rising Star-Alto Saxophone: Caroline Davis Rising Star-Tenor Saxophone: Ingrid Laubrock Rising Star-Baritone Saxophone: Alex Harding Rising Star-Clarinet: Matana Roberts Rising Star-Flute: Rhonda Larson Rising Star-Piano: Orrin Evans Rising Star-Keyboard: Elio Villafranca Rising Star-Organ: Roberta Piket Rising Star-Guitar: Jakob Bro Rising Star-Bass: Thomas Morgan Rising Star-Electric Bass: Mimi Jones Rising Star-Violin: Scott Tixier Rising Star-Drums: Johnathan Blake Rising Star-Percussion: Satoshi Takeishi Rising Star-Vibraphone: Behn Gillece Rising Star-Miscellaneous Instrument: Tomeka Reid (cello) Rising Star-Female Vocalist: Jazzmeia Horn Rising Star-Male Vocalist: Jamison Ross Rising Star-Composer: Tyshawn Sorey Rising Star-Arranger: Amir ElSaffar Rising Star-Producer: Flying Lotus
|
Segnalo alcuni dei link più interessanti della settimana, tutti in lingua inglese, con notizie e articoli riguardanti la nostra musica: http://thequietus.com/articles/24852-john-coltrane-both-directions-at-once-the-lost-album-ted-gioia John Coltrane at Amsterdam airport, October 1963 (Hugo Van Gelderen/Dutch National Archive) https://daily.bandcamp.com/2018/06/21/don-cherry-home-boy-sister-out-story/ Photo by Polo Lombardo https://nmbx.newmusicusa.org/a-lot-of-energy-remembering-cecil-taylor-1929-2018/ https://www.mixcloud.com/NTSRadio/neneh-cherry-four-tet-5th-june-2018/ Neneh Cherry presents a glorious excerpt from an unreleased (and supposedly lost) 1961 Atlantic Records session by Don Cherry, Henry Grimes and Ed Blackwell Another great label enters the @Bandcamp ranks: Silkheart Records (Charles Gayle, David S. Ware, Roy Campbell, Ernest Dawkins, etcetera etcetera) http://www.thefader.com/2018/06/25/kamasi-washington-heaven-and-earth-interview |
ADAM NUSSBAUM The Lead Belly Project Sunnyside/IRD Prezzo € 17,00
Il solo fatto che il batterista Adam Nussbaum abbia deciso d'esordire con un album solista a 62 anni, dopo centinaia d'incisioni a fianco di Scofield, Brecker, Liebman etc. -anche nel disco di Richie Beirach "Inborn", recensito in questo numero- crea numerosi motivi d'interesse. Se il drummer del Connecticut decide poi di sciacquare i panni nel Delta immergendosi mani e piedi nel Blues di una figura mitica come Lead Belly, creando per l'occasione un atipico bass-less combo con due chitarre (Steve Cardenas e Nate Radley) ed un sax (Ohad Talmor) ecco che le aspettative decollano letteralmente, come la musica di questo gioiellino che dovrebbe incontrare sia i favori dei jazz-fans che degli amanti del Blues più sofisticato. Improvvisazioni concise e razzianti su limpide, semplici canzoni che un Nussbaum bambino ascoltava rapito già a cinque anni, come testimoniano le foto del booklet, e che gli sono in qualche modo sempre state vicine, a dimostrazione di come il blues sia la vera pietra angolare su cui innestare un convincente percorso artistico. La dodici corde di Lead Belly e il suo canto accorato è già stato oggetto di omaggi e disparate cover, dai Nirvana a Brian Ferry, dai Led Zeppellin a Mark Lanegan, ma Nussbaum ignora queste riletture e punta dritto alla fonte, ridando lustro a un repertorio in cui convivono l'assonnato incedere di "Where did you sleep last night", le esplosive inflessioni rock di "Black Betty", l'obliqua, alcolica "Bottle up and Go" o il bozzetto percussivo di "Grey Goose" per undici tracce che compongono un quadro d'insieme uniforme e gioioso, fino al valzer finale di "Goodnight Irene". Dopo una serie d'ascolti il suono della band ed il suo peculiare swing flottante diventano familiari e le liriche, sublimate dal sax, tornano a raccontare storie senza tempo in nuovo progetto, cui sinceramente auguriamo ogni fortuna. Fabio Chiarini (Courtesy Of AudioReview)
|
Post n°4021 pubblicato il 25 Giugno 2018 da pierrde
Le indimenticabili canzoni in chiave jazz dell'autore campano risuoneranno nel cortile del Setificio Leuciano. Nino Buonocore non è nuovo a incursioni nel mondo jazz, anzi si può tranquillamente affermare che è stato uno dei precursori nel rivisitare la canzone d'autore in chiave jazz. Indimenticabili le sue interpretazioni accompagnato da Chet Baker alla tromba e Rino Zurzolo al contrabbasso, sono diventate pietre miliari della musica internazionale
|
Foto di Maurizio Zorzi La bellezza, almeno in musica, esiste ancora e la riprova è venuta per la gioia di poco più di un centinaio di appassionati venerdi sera a Monticelli Brusati in occasione del Ground Music Festival. Di scena gli Agles 9, una formazione scandinava guidata da Martin Kuchen e con l'inserimento della giovane e brava trombettista portoghese Susanna Santos.Poco più di un'ora e un quarto di pura gioia per le orecchie con le composizioni di Kuchen che sanno miscelare con maestria atmosfere libere unite ad un gusto spiccato per la melodia e ai riff ostinati che fanno battere spasmodicamente il piede ed agitare la testa a tutti i presenti. Un gruppo giovane, ad eccezione del leader e del formidabile trombettista Magnus Broo, che unisce freschezza ed entusiasmo e che mette in mostra spiccate individualità, come il baritonista norvegese Eirik Hegdal.Purtroppo largamente sconosciuti nel nostro paese, quello di venerdi era solo il terzo concerto in Italia dalla nascita della formazione, il gruppo meriterebbe palcoscenici adeguati alla loro forza orchestrale e alla loro lucidità propositiva. Va però riconosciuto tutto il merito dovuto al Ground Music Festival che sa unire location spettacolari a proposte del tutto inusuali nella stragrande massa di festival italiani accomunati da una avvilente paccotiglia musicale e da una stanca ripetitività dei cartelloni.Fortunati i presenti, quindi, che si sono goduti uno dei migliori concerti di questa estate. |
Post n°4019 pubblicato il 20 Giugno 2018 da pierrde
|
Post n°4018 pubblicato il 19 Giugno 2018 da sandbar
Sospetto di suscitare qualche insofferenza alle sensibilità jazzistiche più ortodosse, ma per una volta vorrei concedermi una piccola divagazione per parlare di due dischi che, pur non parlando un idioma strettamente jazz, da questa musica attingono la capacità di mescolare le fonti, la voglia di sperimentare e l’uso della libertà espressiva. E contribuiscono ad alimentare nuove declinazioni all’abusato termine di world music, che significa tutto e niente, ma qui verrebbe da tradurre con autenticità e leggerezza. Gianluigi Trovesi in “Mediterraneamente” sembra incline ad uno di quei riepiloghi o bilanci che periodicamente tutti stiliamo nel corso della nostra vita. Il musicista bergamasco rispolvera il sax alto ed a capo del Quintetto Orobico (Paolo Manzolini, Marco Esposito, Vittorio Marinoni e Fulvio Marasi), allestisce un repertorio che pare un giro a tappe pescate lungo la propria carriera, nella quale figura con orgoglio la militanza come primo sax alto nell’Orchestra ritmica della Rai di Milano. Ci sono due standards eseguiti con piena aderenza filologica agli originali, l’accenno di “Yesterdays” ed “In your own sweet way” di Dave Brubeck, alcuni esempi delle composizioni ricche di cadenze danzabili e di richiami ancestrali di Trovesi come “Gargantella”, dall’arrangiamento riccamente elaborato, o la “Siparietto” già ascoltata in altre incisioni, una “Tammuriata nera” riletta con corposi accenti funk, frammenti di musica antica (La suave melodia”di Andrea Falconieri) ed un classico di Mina come “Le mille bolle blu”. La musica si sparge avvolgente e ritmicamente frastagliata, con qualche serpentina jazz rock (“Carpinese”, “Materiali”), ed un bel gioco di coppia fra l’alto sinuoso del leader e la chitarra acustica di Paolo Manzolini, in un disco che si propone all’ascolto con semplicità ed approccio diretto. Paolo Fresu è l’unico vero jazzista, insieme a tanti altri ospiti, da Mauro Pagani ad Elena Ledda, Ginevra di Marco, Lucilla Galeazzi e Luisa Cottifogli, di “Argento”, ultima opera di Riccardo Tesi e della sua Banditaliana. La banda è uno dei tesori più o meno sconosciuti della musica italiana contemporanea, un ensemble che ha tracciato una propria via verso la vetta dove si uniscono la tradizione, la canzone popolare ed attuale, folk, jazz e musiche con anima e motivazione dai quattro angoli del mondo. L’organetto di Tesi conduce da anni quest’impresa come fosse una battaglia per la tutela di un patrimonio culturale e musicale a rischio di estinzione, coadiuvato dalla chitarra manuche e dalla limpida voce di Maurizio Geri, dal sax di Claudio Carboni e dalle percussioni di Gigi Biolcati. “Argento” inizia con una scatenata “Anar Passar” cantata in provenzale da Jean Marie Parlotti e sostenuta dal bouzouki di Pagani, prosegue fra suggestivi strumentali con il marchio di casa (“Bradipo Re”), arie popolari, tanghi, esemplari della forma canzone antica e moderna di Geri (“Napoli”, “Miniera”, “Il Bianco”), l’omaggio a Gianmaria Testa di “Polvere di gesso” con la tromba di Fresu, un canto corale alla “Donna guerriera”. C’è tanto da scoprire dentro “Argento”. Fortunato chi deve ancora fare la conoscenza ed innamorarsi di Banditaliana. |
RICHIE BEIRACH Inborn Jazzline/IRD Prezzo € 21,00
Gli anni '80, anche in ambito jazzistico, stanno godendo di un certo sotterraneo recupero, non stiamo certamente parlando di un decennio "fondamentale" per la storia di questa musica, eppure a guardare quegli anni, quel climax e quella scena, decantata da certi eccessi di sovra e post produzione, ci si imbatte in una messe di lavori eccellenti, come questo doppio CD del 1989 (disponibile anche in sontuosa versione LP 180 gr.) che sciorina una line-up scomponibile dal duo al quintetto con Scofield, Mraz, Nussbaum, Randy e Michael Brecker agli ordini del pianista Richie Beirach, all'epoca 42enne e di casa nei leggendari Clinton Recording Studios di NYC. Va detto per onestà ciò che nelle corpose note scritte di pugno dal leader si omette, ovvero che tutto il materiale proposto nel CD "Studio" è già stato edito per Triloka nel 1989 sotto il titolo "Some Other Time: a Tribute to Chet Baker" probabilmente il primo omaggio al trombettista dell'Oklahoma morto pochi mesi prima dell'incisione che contiene celebri temi "bakeriani" accanto a composizioni di Beirach suonate (raramente) da Chet, tra cui la più celebre è l'eloquente "Broken Wing". La notte successiva, 18 aprile '89, lo stesso gruppo firma la registrazione contenuta nel CD "Live": un selezionato pubblico di amici e parenti newyorkesi assistono ad un concerto inedito che presenta parte dello stesso materiale accanto a standards da battaglia come "Con Alma" (l'esplosivo Randy sugli scudi), "You Don't know what love is" o "Alone Together", mentre Michael Brecker si fa vivo solo per l'original "Sunday Song" in duo e per la title-track, in quartetto. Lo spumeggiante volume Live coglie una super band nel pieno delle proprie forze ed in alcuni casi (Brecker Bros, Scofield) anche al proprio picco creativo, jazzmen rilassati e in totale controllo per una session che vale l'acquisto anche in caso di possesso del primo disco originale. Fabio Chiarini (Courtesy Of AudioReview)
|
Post n°4016 pubblicato il 17 Giugno 2018 da pierrde
Riprendiamo il discorso dove lo abbiamo lasciato pochi giorni fa: le 'spine' di Spotifiy, quelle che giustificano questi modesti consigli. Le ricerche in Spotify. Qui naturalmente cominciano i tasti dolenti. E' ovvio che Spotify abbia adottato per il suo colossale database musicale una struttura congruente con quello che è il suo business di gran lunga prevalente, quello della musica pop di consumo. Quindi la chiave di ricerca principale è costituita dall' 'artista leader' - individuale o collettivo che sia - con buoni risultati (salvo qualche svarione, peraltro facilmente individuabile; peccato per la soppressione di una funzionalità che un tempo consentiva di segnalarli). Segue quella "album", anche qui con buona funzionalità (ma con un'importante riserva di cui si dirà poi); poi viene il 'record base' costituito dalla canzone/brano singolo (anche qui buone le performance del motore di ricerca, salvo che per gli standards più eseguiti, per cui vengono offerti voluminose estrazioni in cui dopo i primi risultati congruenti ne vengono proposti altri scarsamente attinenti); scarsa o molto modesta è invece la rilevanza del contributo di sidemen (anche importanti e determinanti ai fini del risultato artistico), affidata alla sezione "partecipa a.." presente nella pagina di ogni artista, che peraltro fornisce risultati puramente indicativi e del tutto frammentarii; infine sono del pressocchè del tutto assenti i dati discografici (date e luogo di incisione, formazioni specie se differenziate all'interno dello stesso album). Qui tocchiamo con mano uno dei primi, fondamentali difetti del metodo di archiviazione Spotify, cioè la sua totale astoricità , lacuna non da poco di fronte ad una musica fortemente derivativa e strutturata in visibilissime linee di discendenza ed evoluzione (spesso anche all'interno delle carriere di singoli musicisti). Ma c'è dell'altro, ahimè. Come non mi stanco di ripetere, nel jazz l'opera è il disco: nell'era del 78 giri essa si identifica quasi sempre con il singolo brano, ma a partire dall'avvento del Long Playing essa va in ogni caso rintracciata nell'album. E qui Spotify ci infligge un altro dispiacere, non da poco: soprattutto per i musicisti di maggior rilievo e celebrità, la Grande Discoteca affianca alle opere effettivamente e storicamente pubblicate sotto il nome dell'artista (e quindi si suppone sotto la sua supervisione ed approvazione), una quantità notevole (in alcuni casi decisamente eccessiva e fastidiosa) di 'compilations' create con i più vari criteri (ammesso che ce ne siano ....), che vengono disinvoltamente mescolate e confuse con le opere originali. In questo guazzabuglio risulta spesso difficile orientarsi anche per appassionati di notevole conoscenza ed esperienza (il sospetto dell'emergere di qualche sconosciuto 'bootleg' o 'live' uscito postumo è sempre in agguato): per quanto riguarda i neofiti, il caos è totale e fonte di disorientamento ed equivoci. Come venirne a capo? Cominciamo con qualche espediente pratico. Gli album 'originali' riportano in fondo alla propria pagina l'indicazione del copyright, che rinvia alla casa discografica titolare dei diritti, con indicazione dell'anno di pubblicazione (che spesso però è quello di riedizione, in qualche lodevole caso è indicato anche quello originario). Altra dritta: prestare attenzione alla grafica delle copertine. Quella delle compilations è spesso abbastanza anonima e generica, con immagini abbastanza anacronistiche se riferite al musicista ed all'epoca in cui ha principalmente operato. Almeno per quanto riguarda le 'labels' di maggiore caratura ed individualità, la loro personale 'estetica' che le caratterizza si riflette non solo nella scelta dei musicisti e nel suono, ma anche e soprattutto nella grafica degli album: ad esempio, quelli Blue Note hanno un'impostazione inconfondibile che, grazie anche alle splendide foto di Wolff, li fanno riconoscere a colpo sicuro. In misura minore questo è vero anche per Impulse, per Atlantic, per Prestige/Riverside, ed anche tra le etichette contemporanee si notano marcate e riconoscibili impostazioni grafiche (ECM, Hat Hut, Smoke, ACT, PI Recordings etc.). Ma mi rendo conto che due aleatorii 'trucchetti' non siano sufficienti a districarsi nella meravigliosa, ma caotica ricchezza della Discoteca Svedese. Quindi occorre rivolgersi a risorse esterne al pianeta Spotify, che aiutino chiunque a trovare ciò che vuole e, soprattutto, ad inquadrare correttamente ciò che ha trovato senza ben conoscerne provenienza e storia. A questo punto faccio una scelta radicale, che molti troveranno discutibile: accantono senza riserve il ricorso a libri e manuali, per non parlare di monumentali, esoteriche e sempre controverse discografie. I motivi sono diversi: lo stato molto critico della bibliografia jazzistica italiana, la scarsa reperibilità di opere complete (per di più disponibili in edizioni poco aggiornate oppure di costo veramente elevato), la sommarietà e la rapidissima obsolescenza delle discografie dalle stesse proposte etc. Su questa scelta (che alcuni riterranno degna del Califfo Omar davanti alla Biblioteca di Alessandria) magari ritorneremo in separata sede, è discorso che merita approfondimento. Anche per ragioni di praticità di consultazione e di efficacia di ricerca, rivolgiamoci alle risorse del Web. "Wikipedia", penserete voi: "anche, ma c'è di meglio" rispondo io. Mi riferisco a questo: https://www.allmusic.com/ Il motore di ricerca di All Music, specie se attivato sul musicista, fornisce schede informative di tutto rispetto, con profili biografici sintetici ma ben costruiti, e soprattutto, discografie (corredate quasi sempre di immagini delle copertine) che hanno un grado di copertura e completezza veramente rimarchevoli (quasi paragonabili a quelli dell'indimenticabile "Penguin Guide to Jazz on CD" dei rimpianti Cook & Morton). Inoltre molti dischi sono accompagnati da brevi, ma informate recensioni, purtroppo dovute alla penna di solo due/tre autori. Lascio a voi il piacere di scoprire altre mirabilia offerte da All Music. Altra risorsa che potrebbe venire utile nel caso volessimo procurarci il disco fisico di un 'album del cuore' incontrato in Spotify, specie se datato e di dubbia reperibilità, è Discogs: https://www.discogs.com/ Oltre alla sua ovvia funzione di mercatino dell'usato e del raro, anche Discogs fornisce dettagliati dati discografici relativi alle varie edizioni di un album, con formati, date etc. Qui però l'attenzione è per ovvii motivi centrata sull' 'oggetto disco', si danno per conosciute formazioni, date di registrazione, per tacere di profili critici, del tutto assenti. Ma ritorniamo - questa volta meglio equipaggiati - sul pianeta Spotify. Quando ci imbattiamo in musicista di cui desideriamo seguire la carriera futura oppure le successive pubblicazioni, suggerisco sempre di cliccare il tasto "Follow" in testa alla sua pagina. Oltre che trattarsi di un militante gesto solidale verso il nostro beniamino che farà toccare con mano a Spotify il suo seguito, ci assicurerà un flusso informativo sulle sue nuove uscite e, spesso, sui suoi concerti programmati nelle nostre vicinanze (servizio questo che vale solo per artisti di reputazione internazionale e per sedi piuttosto importanti). Questa scelta aiuterà poi l'intelligenza artificiale di Spotify ad inquadrarci meglio (schedatura più, schedatura meno... tanto chi ci fa più caso.....), alimentando le interessanti playlists personalizzate "La Tua Discover Weekly" (in cui la Grande Discoteca cerca di proporci musiche correlate a quelle da noi già ascoltate..... a suo modo, devo dire...) e soprattutto "Il Tuo Release Radar" , una playlist in cui la Discoteca Svedese inserisce un brano per ogni sua nuova acquisizione ritenuta di nostro interesse (attenzione: 'nuova acquisizione' non è sinonimo di 'nuova uscita', si può trattare di dischi già da tempo in circolazione, ma solo ora resi disponibili a Spotify). Entrambe sono reperibili nella sezione "Naviga/Discover" , di gran lunga la più interessante del servizio, molto densa di proposte personalizzate. Più episodico e discontinuo, ma sempre interessante, è il flusso di mail con cui Spotify ci tiene informati di novità concernenti i musicisti di cui siamo 'follower'. Funzione in qualche modo analoga al""follow" per il musicista, è il "salva" nella pagina relativa al singola album, che consente di inserirlo nella sezione "La mia libreria", in modo da evitare di perderlo di vista per qualsiasi motivo (cosa facilissima ...); tenere presente che entrambe le funzioni generano archivi con capienza limitata, penso non si possano superare le 100 unità in ciascuno (ovviamente io sono già stato amabilmente redarguito al proposito....). Ma ora è il momento di lasciarvi soli a navigare nell'oceano Spotify, al più sarò felice di fornire qualche ulteriore dettaglio in sede di risposta a vostri eventuali, benvenuti commenti (rammentate comunque che io sono solo un utente intensivo). Un ultimo importante capitolo incombe..."Le Tecnologie" (e qui tornerà il sereno): ma lo riserviamo alla prossima puntata.... Franco Riccardi, alias Milton56 (La prima parte della 'Piccola Guida Critica' è stata pubblicata con post n.4002 dell'8/6/2018)
|
Concediti un'estate all'insegna della buona musica sotto le stelle del Village! Raphael Gualazzi Fonte: http://www.torinooutletvillage.com/it/novita Cito la fonte perchè molti leggendo il programma potrebbero pensare (giustamente) ad uno scherzo con fotomontaggio. Tutto vero ! Battuto ogni record precedente di nefandezza in jazz, a Torino la palma del peggior festival "jazz" italiano. Ma non disperate amici, la concorrenza è forte e c'è la concreta e ragionevole speranza di fare di peggio ! |
Post n°4013 pubblicato il 16 Giugno 2018 da pierrde
Questo trio da favola, Don Cherry, Dollard Brand e Carlos Ward, è durato un solo mese.ha dato pochissimi concerti ed ha prodotto un solo album ufficiale, questo: Ieri il blog Inconstant Sol ha pubblicato il link per scaricare il bootleg del concerto del 3 novembre 1972 alla Philarmonie di Berlino. Agli amici inguaribili appassionati consiglio di scorrere con calma il blog, troveranno un lungo elenco di bootleg e album fuori catalogo, la maggior parte dei quali scaricabili gratuitamente. Lunga vita a Inconstant Blog e ai suoi autori ! https://inconstantsol.blogspot.com/2018/06/don-cherry-universal-silence-berlin.html |
Post n°4012 pubblicato il 14 Giugno 2018 da pierrde
TONY LAKATOS - RICK MARGITZA - GABOR BOLLA GYPSY TENORS SKIP RECORDS 17,00
Sax tenore, Classic Jazz Americano e radici zigane sono i comuni denominatori di questo incontro che rievoca le leggendarie "chase" sassofonistiche degli anni d'oro del bop. L'ungherese Tony Lakatos, che arriva da dinastia musicale che attualmente vede sulla scena anche il fratello Roby, è il produttore di questo incontro, ovviamente celebrato Live, nel calore di un piccolo club tedesco su cui si abbatte un fuoco di fila di assoli inanellati con impeto e virtuosismo fin dal brano iniziale, un'original dello stesso Lakatos decisamente vecchio stile, il torrenziale "Be Bop Csardas", 14 minuti in cui a farla da padrone sono la crescente velocità degli assoli ed i reiterati duelli tra Rick Margitza -vecchia volpe che in queste situazioni si conferma straordinario solista- e Lakatos, e tra quest'ultimo e il trentenne, ungherese anch'egli, Gabor Bolla, un ex enfant prodige che ha già timbrato alcuni interessanti lavori per Act e che pare ispirarsi a modelli tipici del sassofonismo "Blue Note" anni '50. Gli standard scelti vanno dal sempreverde "Invitation", con un momento di gloria anche per il pianista Vincent Bourgeyx, al complesso "317 East 32nd Street" di Lennie Tristano sul quale lavoravano Warne Marsch e Lee Konitz, magnifico veicolo per escursioni solistiche, per arrivare alla ballad "You've Changed", interamente ad appannaggio di Lakatos, e all'inno "Lament" di J.J. Johnson sviluppato dal solo Bolla. L'appoggio ritmico, poggiante su un sideman di livello come il bassista di Filadelfia Darryl Hall oltre che sul drummer austriaco Bernd Reiter, si dimostra granitico nel torrenziale finale, altri 15 minuti di assoli a giro su "E-Jones" di Margitza, con l'atmosfera che si fa più densa e spigolosa. Convinti da questa riuscita serata del 2017 il gruppo è partito con un tour europeo, dovrebbero esserci alcune tappe anche in Italia per i Tre Tenori del Jazz. Fabio Chiarini (Courtesy Of AudioReview)
|
Post n°4011 pubblicato il 14 Giugno 2018 da pierrde
OddSquare è il primo lavoro discografico di Pulsar Ensemble pubblicato da Ritmo&Blu Records, in uscita il 22 marzo 2018. Filippo Sala, Sebastiano Ruggeri, Gionata Giardina, Luca Mazzola e Jacopo Biffi sono cinque musicisti alle prese con un set inusuale e variegato di batterie, percussioni intonate e non, sintetizzatori, campionatori e live electronics alla ricerca di una fusione possibile tra mondo acustico ed elettronico. Le atmosfere oniriche, i suggestivi e delicati ambienti sonori in contrapposizione a strutture musicali irregolari e complesse, collocano il progetto in un contesto di musiche trasversali. Post-jazz, musica ambient, electro-pop, post-rock sono solo alcuni dei riferimenti stilistici dell'album OddSquare, termine preso in prestito da un concetto matematico, indica il quadrato perfetto generato dalla somma di due numeri primi. Esprime il concetto d'irregolare nel regolare, il paradosso di un quadrato dai lati dispari. Il titolo dell'album vorrebbe rappresentare la natura di questo progetto, costituito da una disparità di elementi che, fondendosi insieme, cercano un'alchimia possibile: l'inusuale formazione del gruppo, composto da quattro batteristi e un sound designer, tutti di estrazioni musicali differenti; il particolare set da concerto, ideato ad hoc in più di tre anni di ricerca, che contiene strumenti a percussione ed elettrofoni; l'alternanza fra composizioni ardite e sghembe e brani di più ampio respiro, in equilibrio. Pulsar Ensemble nasce da un'idea e dalle esperienze di Filippo Sala, che dopo una serie di collaborazioni con artisti italiani e stranieri decide di avventurarsi in un ambiente musicale che sappia fondere post-jazz, post-rock, sperimentazione ed electro-pop. Un set inusuale e variegato di batterie, percussioni intonate e non,sintetizzatori, campionatori e live electronics costituiscono l'impronta sonora del gruppo.
Comunicato stampa |
Post n°4010 pubblicato il 13 Giugno 2018 da pierrde
Il 14 giugno di dieci anni fa scompariva in un tragico incidente subacqueo Esbjorn Svensson, pianista e leader del trio EST, certamente una delle figure europee più interessanti degli ultimi anni.
Nel profondo e cantabile contrabbasso di Dan Berglund pare di sentire lo stesso respiro dello strumento suonato da Charlie Haden. La propulsione ritmica di Magnus Ostrom è di una originalità che in Europa ha pochi eguali. E poi c'è Esbjorn, che tesse e cuce trame di bellezza introspettiva difficilmente ascoltabili nel vecchio continente. Il trio è riuscito mirabilmente a fondere ispirazioni di natura diversa: il jazz naturalmente, ma c'è anche una prepotente impronta classica ed una ritmica che strizza più volte l'occhio al rock progressive. La fusione è cosi' originale che non ha avuto imitatori ed è scomparsa insieme a Svensson |
AUTORI DEL BLOG
Andrea Baroni
Fabio Chiarini
Roberto Dell'Ava
Franco Riccardi
Ernesto Scurati
Inviato da: Less.is.more
il 24/08/2019 alle 11:46
Inviato da: Less.is.more
il 23/08/2019 alle 21:27
Inviato da: Piero Terranova
il 13/07/2019 alle 20:06
Inviato da: Luciano Linzi
il 19/10/2018 alle 15:44
Inviato da: juliensorel2018
il 12/10/2018 alle 15:21