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Prima della guerra.

Post n°3084 pubblicato il 22 Marzo 2024 da fedechiara
 

Imperativi categorici e nostalgie del ritorno. - 22 marzo 2020

'Restate a casa' è l'imperativo categorico di questo scorcio di millennio infame che ci ospita – un tempo di catastrofi inimmaginabili, di medioevi redivivi con califfati e califfi rispolverati in Medio Oriente e ospedali-lazzaretti e le quarantene qui da noi, nell'Occidente delle pandemie trionfanti e assassine.
E lo capiamo un po' tutti il senso e la necessità di restare a casa e interrompere così la maledetta catena dei contagi (salvo chi è nato mona, che, ahinoi, resta mona) e impedire al virus maledetto di replicarsi corpo su corpo.
Ma c'è anche un altro imperativo che ci ha allibito - con i treni notturni presi d'assalto e Higuain che è salito quatto quatto su un aereo privato che lo riportava in Argentina, ed è quello di 'tornare a casa'.
Che, in tempi di globalizzazione imperante, ci sembrava obsoleto e il detto 'casa dolce casa' ridotto ormai a noioso slogan pubblicitario di 'poltrone e sofà' perché è(ra) il mondo la nostra casa globale e dove si trova lavoro e 'si mette su casa', ma, al tempo dei flagelli, ecco chiudersi i confini di ogni stato (perfino i 'barconi' e i gommoni restano fermi nei porti e le o.n.g. taxi del mare disoccupate) e nel cuore degli individui rinasce, miracolo! quel sentimento nostalgico dei 'sapori di casa', con la mamma (la mamma!) e la nonna e gli zii che ci aspettano e che andiamo a contagiare, e la promessa dei loro piatti regionali mai dimenticati, le finestre aperte sul mare e la 'heimat', la patria fino a ieri denegata, insieme ai 'nazionalismi', che torna nei pensieri di tutti prepotente e diventa, infine, canto fiero sui balconi dei reclusi ai domiciliari: l'Italia s'è desta, stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte'.
Che, di fronte alle notizie che ci vengono dagli ospedali e ci deprimono, ci appare inno un filo iettatorio e menagramo e gli preferiamo il cielo azzurro di 'Azzurro' perché la primavera è esplosa e i suoi fiori e colori ci dicono ostinati 'ce la potete fare' - speriamo, accendiamo le candeline virtuali, leviamo al cielo le preghiere dai balconi perché ci hanno chiuso anche le chiese e i templi costruiti alla bisogna al tempo delle pestilenze.
E non sappiamo se questo 'ritorno alle origini' e 'nostos algo', la nostalgia del ritorno, una volta finita la presente pestilenza e ripartite a razzo le economie di ogni paese saranno cancellati dall'onda di risacca della globalizzazione - che tornerà a occupare le prime pagine dei giornali, insieme ai profughi sui barconi, e presto ci dimenticheremo il contagio (noi scampati ai cimiteri) e resteranno solo gli sfilacci degli incubi notturni a dircelo realmente accaduto e parte incredibile delle nostre vite che vogliamo dimenticare.
E tornerà la libertà di muoversi e il libero afflusso delle persone nelle strade e nei supermercati e Venezia sarà nuovamente stipata di turisti (aiuto!) per la gioia di osti e gondolieri e proprietari di case da affittare, ma un lampo di incertezza e malcelata tristezza coglieremo negli sguardi degli amici ritrovati e gli abbracci saranno più cauti (per il tango si vedrà) e l'età dei flagelli avrà nuovamente lasciato il suo segno indelebile negli annali degli uomini - che si credevano invincibili con i loro ospedali super attrezzati e i laboratori di ricerca capaci di scovare anche il più piccolo dei virus e di sterminarli e, invece, è, oggi, il tempo delle Caporetto sanitarie e la vittoria sul Piave non è certa, non ancora; esprimiamo gli auguri, telefoniamo agli amici e a chi amiamo e diciamo loro, accorati, le parole che non si dicono tutti i giorni ma solo quando incombe l'ombra della Contadina che 'pareggia tutte l'erbe del prato'. Amen e così sia.
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