Creato da fedechiara il 14/11/2014
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Messaggi di Maggio 2024

Arte buonista.

Post n°3207 pubblicato il 27 Maggio 2024 da fedechiara
 

L'Arte alle prese col buonismo. 27 maggio 2015

E c'è un palazzo, qui in città, occupato manu militari e per intero da una quantità incredibile di artisti - e fino al sottotetto, magistralmente organizzato dai curatori con le travi secolari che sembrano più 'artistiche' delle opere esposte e interposte e miracolosamente sospese.
E si son messi insieme artisti delle Seychelles, delle Filippine, della Mongolia insieme a tedeschi e statunitensi, e chi più ne sa più ne elenchi, nel dar vita a una kermesse artistica visitatissima e apprezzatissima – non come in altri palazzi parecchio deserti che ti fanno venire in mente come nell'arte contemporanea talvolta l'offerta superi la domanda e molti artisti non ce la fanno più a 'stupire i borghesi' con messaggi forti, troppo forti da strappare a un visitatore, a mezza bocca, un 'disgusting' che gli saliva dallo stomaco.
E quel desso ne aveva ben donde, trattandosi di una serie di fotografie e un video di un artista tedesco che raccontano una performance di donne ignude distese su croci e cosparse di sangue e folpetti neri e grigi dazu a completare l'immangiabile e incomprensibile menù.
E il sangue attrae un sacco i pensieri dolenti di molti artisti – se perfino la Marangoni, al Pesaro, ci mostra un lungo filo al neon rosso-sangue che parte da una struttura circolare sospesa sull'acqua e sale, sale – e le fotografie all'interno della sua sala ci parlano e denunciano l'intolleranza che dilaga nel nostro mondo di cinici e indifferenti; e quanto dovremmo essere buoni e generosi, invece e il Mondo trasudare amore universale e farsi carico di povertà e angosce, amen e così sia.
E, tornando a palazzo Mora (Strada Nuova) e ai suoi molti e diversi artisti che ne riempiono le sale con i linguaggi e le invenzioni le più varie, ci è venuto di soffermarci su un nastro trasportatore color del mare che trasportava due barconi pieni di gatti dorati migranti – e naturalmente era chiara la metafora e la denuncia di quell'artista tedesco dei tragici eventi quotidiani che hanno fatto del Mediterraneo una tomba liquida – andasse a dire ai suoi governanti, la Merkel in testa, che 'facciano di più' e 'non ci lascino soli', noi italiani, nel fare fronte all'arrembaggio di un intero continente in guerra e affamato e boko aram, che non sappiamo più dove stiparli, e, se qualcuno tra loro simpatizza con l'Isis, lo vedremo presto in azione rifocillato, col telefonino satellitare e con passaporto europeo in viaggio tra Siria e Gran Bretagna.
E c'è un tale che, invece, torna tranquillamente al figurativo e ci mostra dei moderni barboni alle prese coi molti oggetti di recupero della loro vita grama e, di fronte, un emulo di Caravaggio illumina volti e corpi con quella luce specialissima che fu del Nostro. E, qualche sala più avanti, un altro artista ci da resoconto fotografico di un suo specialissimo 'Dejeneur sur l'herbe' e speciale riflessione sulla Natura che abbiamo dimenticato e vilipeso - e mi veniva in mente la Susanna coi vecchioni, ma qui le Susanne sono due e molto ben disposte a vellicare il vegliardo che le accompagna a spasso nella foresta.
Andateci e divertitevi. In fondo l'Arte contemporanea mira anche a questo: a farvi pensare, si, ma col segreto proposito di sapervi segretamente felici (seppure esteriormente dolenti) nella vostra condizione di privilegiati e cinici. E che i 'barconi' mediterranei coi loro gatti dorati arrembino, che possiamo farci. Questi sono i tempi che ci sono dati da vivere.

 
 
 

Il tessile di Prato ed il mondo globale.

Post n°3206 pubblicato il 26 Maggio 2024 da fedechiara
 

Correva l'anno.... - 26 maggio 2015

Era l'epoca che 'i tuoi baci non son semplici baci' e uno solo ne valeva almeno tre (e per questo, bambina, tu mi piaci) e indossavamo i pantaloni a zampa d'elefante, ma non eravamo per questo meno belli o intelligenti e 'fichi'.
E non usava, allora, l'Isis delle orribili decollazioni di innocenti e i monumenti dell'antico demoliti col martello pneumatico o colla dinamite – tutt'al più ci si lamentava perché le periferie industriali si mangiavano i prati della 'via Gluck'.
E non c'erano neanche i barconi degli arrembaggi quotidiani di migliaia di profughi e/o 'migranti economici' – che, per la verità, visto che 'non eravamo in Europa' ci saremmo potuto permettere anche i milioni di euro mensili dei costi dei 'salvataggi', (si fa per dire: basta una telefonata satellitare e Marina e Guardia Costiera corrono a raccoglierli appena si distaccano dalle rive libiche), ci saremmo potuto permettere, dicevo, ogni esborso milionario e generosa 'accoglienza', tanto andava tutto nel conto del futuro dei figli - col debito pubblico che lievitava a dismisura; e ci avrebbero pensato poi Monti e Renzi a ricondurlo 'al tre per cento dei P.i.l.' a botte di tagli, ritagli e frattaglie sociali. E non usavano ancora 'le badanti' - perché la 'cintura di ferro' dell'U.r.s.s e il prodigioso 'muro di Berlino' facevano il loro sporco lavoro e contenevano un mondo che, poi, sarebbe andato a pezzi e cominciò la maledetta 'globalizzazione' e l'esodo facile e incontrollato di tutti verso ogni dove.
Un'epoca d'oro, insomma, dove usava ancora il 'posto fisso' e le pensioni si facevano col 'sistema retributivo' e si pre-pensionava facile ad ogni fabbrica che chiudeva – ma chi poteva immaginare, allora, che il lavoro italico avrebbe lasciato il posto ai 'cinesi' - e che 'il tessile di Prato' avrebbe cambiato faccia e si sarebbe rinchiuso nei capannoni-fantasma dove centinaia di nuovi schiavi lavorano quattordici ore al giorno e solo qualche incendio, di quando in quando, ci rivela la presenza di quelle formiche dagli occhi a mandorla che hanno cambiato la nostra percezione di futuro?
Correva l'anno......
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Si, viaggiare.

Post n°3205 pubblicato il 26 Maggio 2024 da fedechiara
 

Buenos Aires - 01 aprile 2019
E il ritorno in città, dopo tanto spettacolo e teatro delle meraviglie della luce e dei colori della pachamama, è all'insegna della costrizione – e sarebbe stato meglio migrare nel deserto di Atacama, una volta arrivato nella zona dei 'salares' e ampliare il viaggio verso il Cile o la Bolivia, ma tant'è.
E mi rifugio nelle librerie e nei teatri – che è un altro modo di viaggiare e traslare della mente.
E mi capita di incontrare ad ogni scaffale il vate nazionale, Jorge Luis Borges, perfino in un ristorante, assai fornito, in verità, di cose buone e gli hanno fatto un monumento, a lui e al suo amico Bioy Casares che qui si ritrovavano.
Ed è un peccato davvero che la moda dei 'caffè letterari' si sia spenta, ma oggi sarebbero pieni di curiosi e turisti da un tanto al chilo, come quelli che si ritrovano al caffè Tortoni e fanno la fila per entrarvi e lì la letteratura di riferimento è il tango delle origini, anche quello un mito da ri-evocare (il museo relativo a lato del caffè, però, va diserto) perché l'oggi è 'di massa', con tutto ciò di negativo che questo termine comporta - e si sprecano i ristoranti che ospitano gli spettacoli di tango e ti ci portano coi pulmini delle agenzie a frotte e sciami – da 'tagliarsi le vene per lungo' dalla tristezza.
E, se per Ernesto Sabato è 'un pensiero triste che si balla' – bella definizione, ma che vale solo per le lentezze e le lamentosità di alcuni tanghi - per Borges il tango è un'allegria di altri tempi e uomini e la Buenos Aires allora era una piccola città di vecchie case e baracche circondata da paludi, come ci rammenta qui sotto la sua testimonianza orale registrata in due audio cassette.
Ma dovremmo smetterla di cercare di mettere troppi cappelli letterari sopra questa danza ormai divenuta 'patrimonio dell'umanità' ed esondata di là dell'Atlantico e del Pacifico e portarci sugli altri suoi orizzonti (di Borges) – aperti, apertissimi - e sui suoi cento libri – inclusa la 'Historia universal de la infamia' e di lui mi è cara la luce cristallina dell'anima che compensava il buio delle pupille.

 
 
 

La rana e il lampione.

Post n°3204 pubblicato il 25 Maggio 2024 da fedechiara
 

Il Lampione e la rana a testa in giù. - 24 maggio2013

La nostra mente è un sistema fragile e complesso che ha bisogno di continue rassicurazioni e conferme per non 'andare in tilt'.
E ci alziamo dal letto la mattina, - dopo aver lasciato andare il cervello per gli sconosciuti sentieri del sonno e dei sogni e ancora in preda alle sottili angosce che da quel disordine notturno ci derivano – cercando con gli occhi gli oggetti di sempre e le persone di sempre e i dialoghi, forse noiosi, ma rassicuranti che ci confermano che il mondo ha ancora una sua riconoscibilità e praticabilità pur nelle mille quotidiane mutazioni.
E ieri ci è stato restituito lo storico Lampione di Punta della Dogana, nostra fioca luce nelle nebbie lagunari e nei crepuscoli che ci rassicurava, magrittianamente, che una luce sempre si accende prima della notte ed è barlume che ci rassicura che ancora, noi esseri umani, dominiamo gli eventi di natura e nessuna notte mai scenderà sui nostri occhi, come l'Ultima che ci impaura - e contro le sue angosce abbiamo inventato le leggende della Luce delle Anime nel Tempo che sempre ritorna circolare.
E non ne potevamo più di quel biancore arrogante del ragazzo troppo cresciuto che ci beffava colla sua rana tenuta per la zampa a testa in giù - ed era attrazione turistica che ci confermava che tutto ormai, a Venezia, si fa per 'stupire i borghesi'; e ci inventiamo i tristi Carnevali fitti di 'eventi' triti e ritriti pur di riempire oltremisura questo piccolo arcipelago tenuto insieme da ponti fragili e animato da chiese che si riempiono di 'fedeli' solo in occasione di un funerale.
Città di fantasmi e ammuffiti gabbiani, Venezia è una sfida alla storia e alla storia dell'arte. Cambia tutto perché nulla cambi e tutto il suo vecchio di palazzi e campanili e chiese è teatro biennale del nuovo delle menti degli artisti che sono vecchi e 'classici', già alla prova della Biennale che verrà.
Però quel Lampione storico lo abbiamo fortemente voluto al suo posto, dopo lo scippo degli arroganti sindaco e assessori 'novatori', ed è, forse, la sola 'cosa nuova' che ha fatto questo sindaco e la sua amministrazione in tanto vecchio andare di tempi grami e visioni indecorose di una città che, anno dopo anno, diciamo sempre meno nostra.
Di residui e afasici cittadini, intendo.
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I plebei e il partigiano Sergio.

Post n°3203 pubblicato il 25 Maggio 2024 da fedechiara
 

I plebei alla presa del palazzo d'Inverno. - 25 maggio 2018

Continua l'aspra battaglia del partigiano Sergio, asserragliato nel bunker del Quirinale con in mano il mitra costituzionale con il quale intende stendere uno alla volta tutti i ministri nominati da Conte/Di Maio/Salvini che, a suo insindacabile giudizio, non rispondono ai requisiti di fedeltà all'Europa e ai suoi burocrati - anime morte che, dall'Olimpo di Bruxelles, continuano a dirci: 'Guai a sgarrare sui conti pubblici e a dare al popolo ciò che è del popolo.'
Perché, prima, bisogna dare al dio-Europa quel che spetta agli dei austeri e vendicativi: il sacrificio di uno sviluppo possibile che otterremmo in barba alle regole dei rigidi trattati (che lo stesso Renzi e Padoan dicevano di voler ri-negoziare, ma furono ridotti a più miti consigli) – quei trattati che sono corresponsabili della lunga crisi economica dalla quale faticosissimamente proviamo ad uscire.
E quello che il partigiano Sergio si ostina a non voler capire è che la forma non è la sostanza – e i suoi minuetti istituzionali e i suoi 'poteri di indirizzo' con i quali sgrida e rampogna i rozzi parvenus e i plebei sono destinati ad infrangersi su nomi che sono consoni al contratto di governo sottoscritto da Lega e Cinque Stelle.
E se Salvini si impunterà su Savona ha la sue buone ragioni di indirizzo di un governo prossimo venturo e suo legittimo desiderio di mandare a dire a Bruxelles che 'qualcosa è cambiato' in Italia – ne prendano atto quelle anime morte olimpiche e se ne facciano una ragione di aver perso il consenso del gruppo di Visegrad, dell'Austria, della Gran Bretagna e dell'Italia, di qui a poco.
E giova ricordare, con Pitagora, che 'tutto è numero' – e sono i numeri della maggioranza di governo quelli che contano; e non si può inserire in una squadra affiatata e coesa sul programma e sul contratto stipulati un nome dissonante e gradito al Quirinale, destinato a suscitare conflitti e ad essere espulso, prima o poi, dal nuovo governo per fallo di ostruzione.
Per tutto quanto suesposto ci appare questione di lana caprina l'insistenza di Mattarella su cosa spetta a lui come potere di indirizzo e la insistente richiesta di allinearsi ai diktat dell'Europa.
Il rischio che corre è che salti tutto e si vada a un durissimo scontro in parlamento e a nuove elezioni, in barba a tutte le sottigliezze costituzionali da lui sollevate e dal suo cerchio magico di giornali e televisioni amiche e di obbedienza renziana.
E l'esito – sono facile profeta – è che questa maggioranza di plebei e di parvenus che non intendono i suoi minuetti costituzionali ne uscirebbe ulteriormente rafforzata e il cedere le armi e la resa senza condizioni diventerebbero inevitabili, in una seconda tornata di consultazioni.
Speriamo che il week end porti più saggio consiglio dentro al bunker dei resistenti.
LASTAMPA.IT
Lo stop del Colle: “Ora basta diktat”. Scontro con la Lega sul futuro governo

 
 
 
 
 

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