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Messaggi del 24/04/2023

La prossima volta il fuoco.

Post n°2547 pubblicato il 24 Aprile 2023 da fedechiara
 

La prossima volta il fuoco.
La suggestione prende le mosse dalla presentazione radiofonica di un libro 'Pirocene' di Stephen Pyne che ci narra 'tutto ciò che avremmo voluto sapere sul fuoco' e, ahinoi, lo conosciamo bene, benissimo, stiamo, anzi, per fargli un finale monumento termonucleare grazie alla follia dei bellicisti Nato nella loro guerra ucraina di nazistoni Azov e suonati Stranamore d'Oltreatlantico che tengono bordone al e tele comandano l'eroe pazzo di Kiev - che ognora chiede armi-armi-armi (il suo pane velenoso) e l'intervento militare diretto degli Stoltenberg e dei distopici cugini europei annessi.
E pensare che il tutto origina da un gesto di clemenza di un Titano astuto e compassionevole che rubò il fuoco agli dei e lo consegnò, illuso degli esiti, alla genia umana che ne fece un uso maledetto, dopo la romantica fase iniziale poveristica di arrostirne i cosciotti di mammut nelle fredde caverne di quei mezzi scimmioni di Lascaux che eravamo – e forse mai abbiamo cessato di essere, maledizione!
Il fuoco, quindi. Quello che forgiò le spade delle guerre e delle vittorie, e gli elmi e le corazze di quando la postura umana dominante era quella, greve, de: 'Cavallo, spadone, corazza' - opposta alla presente, più comoda, della 'sedia-tastiera-computer' che, secondo un noto professore-scrittore di Torino, avrebbe dovuto cambiare le sorti dell'umanità e convincerla che la guerra era un armamentario obsoleto e vetusto e ridicolo del post moderno (A. Barricco 'The game').
E il fuoco bellico è, invece e tuttora, la nostra egida e simbolo: dalle scie dei razzi che ci portano nel cosmo e ci porteranno a scontrarci con gli alieni (guerre stellari) che già ci mandano a dire – nel loro gioco a nascondino degli ufo - che 'state sul culo a tutti' e ne pagherete il fio, una volta usciti 'a riveder le stelle' e vostro provare a colonizzarne i pianeti.
E il libro di Stephen Pyne ci dà conto dei mega incendi dell'epoca nostra: il 'Pirocene' e dei fossili che tuttora usiamo per riscaldarci e alimentarne i forni delle industrie, ma trascura di informarci degli esiti ultimi già in cronaca: di quella guerra termonucleare annunciata che il suo fuoco lo occulta negli ingranaggi maledetti che innescheranno gli atomi e gli elettroni in portentosa libertà termonucleare - e la visione degli antenati che si cucinavano i cosciotti di mammut nelle caverne sarà l'ultima visione di noi bisnipoti che spediremo migliaia di commoventi sms ai parenti a agli amanti, morituri a loro volta, scrivendo loro: 'Ti amo', come nel 2001 delle Twin Towers – ultimo gemito pietoso di un uso distorto di quello che, in origine, fu un dono furbescamente sottratto agli dei.
Estote parati. Al Pentagono è già tutto pronto. Biden-Stranamore ha il dito anchilosato e maledettamente tremante sul pulsante rosso termonucleare.
Nessuna descrizione della foto disponibile.
La pittura rupestre: le Grotte di Lascaux, di Chauvet e di Altamira #artepreistorica3
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La Storia che siamo e non vogliamo.

Post n°2546 pubblicato il 24 Aprile 2023 da fedechiara
 

La Storia siamo noi (nessuno ne venga escluso). 24 aprile 2021

Ero a Cracovia, nella caldissima estate del 2012. Una bella città in cui ho soggiornato a lungo per la densità delle memorie che ospita, inclusa la Memoria per antonomasia, quella dell'Olocausto.
Ma non mi sono recato ad Auschwitz, come molti fanno e le migliori guide turistiche raccomandano per le ovvie ragioni della completezza del quadro storico che incornicia ogni antica città, le tragedie incluse.
Non ho voluto andarci non solo per non condividere il 'turismo delle catastrofi' o del dolore con le scolaresche sciamanti e cicaleccianti, bensì perché ritenevo e ritengo che non resti più molto da elaborare spiritualmente in quel luogo museale della tragedia massima che rievochiamo ogni anno a ridosso del 25 aprile, giorno di Liberazione dal nazifascismo.
E stasera ho rivisto con grande piacere il film 'La verità negata' (con una strepitosa Rachel Weisz) in cui si dibatte la questione dell'Olocausto in un'aula di tribunale, un tribunale londinese, e la sentenza castiga un famoso 'negazionista', uno storico preteso, che ha osato citare per calunnia e danni relativi la scrittrice ebrea americana Deborah Lipstadt.
Un film non solo bello e avvincente, bensì istruttivo su come si dibatte una causa in Inghilterra - dove la forma è sostanza, a partire dall'inchino che il giudice scambia con gli astanti nella sua aula di giustizia (che la scrittrice, americana, si rifiuta di fare) perché quell'inchino è un segno di riconoscimento reciproco e di rispetto. Senza il quale l'aspro teatro della giustizia non può avere inizio.
E vi è distinzione tra il 'dicitore', che discute ufficialmente la causa, e il collegio di difesa alle sue spalle che studia gli incartamenti e decide la migliore strategia processuale.
E all'imputata che perora la causa dei testimoni del massacro come evidenza massima di un Olocausto denegato il collegio di difesa raccomanda più e più volte di non parlare e di contenersi e di controllare l'emotività – non per vacua tradizione di aplomb britannico e londinese, bensì perché i testimoni di ogni sofferenza sono dei pessimi testimoni in un processo e la loro memoria è labile e soggetta a tutti i guasti della memoria di ognuno e tutti con in più il carico di orrore incancellabile e lo stress emotivo conseguente che non riesce ad elaborare razionalmente quei fatti che narrano di una straordinaria e massima malvagità umana.
E suggerisco ai nostrani habitué del ricordo della Liberazione, le figure istituzionali incluse, che ogni anno, il 25 aprile, ci sommergono con cerimonie e articoli e films e posts evocativi la Resistenza partigiana, tre giorni prima e tre dopo la fatale ricorrenza, di ri-guardare questo film istruttivo e di contenersi a loro volta e non erompere subito , a cori e tiggì riuniti, nel canto celebrativo di riferimento (Bella ciao), bensì di trovare modi diversi e migliori per richiamare e inquadrare storicamente quell'evento cruciale e controverso della nostra storia patria.
Perché non è con i mortai mediatici da 120 e gli obici mnemonici lanciati a quintali contro gli indifferenti e i pretesi fascisti (sempre risorgenti e in agguato, a sentir loro) che ci verrà garantita la verità dei fatti e il rispetto dovuto alle vittime, bensì con la passione della Storia, quella degli storici che ci garantiscono, citando le giuste fonti e le testimonianze e i riferimenti oggettivi e incontrovertibili (come si mostra nel film citato), che Giulio Cesare è esistito ed ha passato il Rubicone gettando i dadi (Barbero esprime dubbi, ad esempio, su questa storia de: 'Alea iacta est') e che il Titanic è effettivamente affondato a causa di un devastante impatto con un maledetto iceberg.
La Storia non ha bisogno di imbonimenti e annuali ramanzine e 'moniti' solenni.
La Storia la si studia e la si ama quando offre risposte certe e non verità partigiane e buone all'imbonimento di una sola parte politica.
Ben vengano, per ciò, le narrazioni accessorie che ci raccontano, insieme alla mitica Liberazione, dei fatti tragici dei partigiani di Porzus in Friuli e quelle delle foibe titine, per dire di un male di vivere che si nutre di ideologie contrapposte e di fanatismi e non ha mai una sola rappresentazione elegiaca o dannata, bensì i molti volti del nostro vivere affannoso e tragico.
La Storia siamo noi (nessuno ne venga escluso).

 
 
 
 
 

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