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ROSARNO, ALABAMA.

Post n°19 pubblicato il 22 Settembre 2013 da Herebus
 
Foto di Herebus

 

 

 

Rosarno, Alabama.



Rosarno è uno sgangherato paese tra San Fernando e Reggio Calabria, al centro di uno dei territori che una volta produceva quello che chiamavamo Oro Rosso, le arance italiane. A vedere Rosarno con gli occhi delle centinaia, delle migliaia di immigrati africani che vi sciamano ogni inverno da tutte le parti d'Italia per la raccolta delle arance non sembra neanche di stare sul territorio di uno dei Paesi più progrediti della Terra, membro del G8, del G20, fondatore della C.E.C.A. (Comunità Economica per il Carbone e l'Acciaio) e quindi tra i papà della moderna Unione Europea, culla del Diritto Romano, sede della Chiesa Cattolica e chi più ne ha più ne metta. No, ai tristi occhi di queste persone che vengono a dilapidare qui parte della loro vita questa sembra più una parte dell'Alabama Confederato, culla dello schiavismo americano, se non fosse per gli agrumi al posto del cotone, il freddo al posto del caldo clima della Cotton Belt e la seccante assenza di Capanne dello Zio Tom piuttosto che di Miss Rossella O'Hara nei paraggi.


In queste pagine noi non parleremo delle condizioni orripilanti nelle quali queste persone, questi esseri umani sono costretti a condurre la loro esistenza, non parleremo della più completa mancanza di qualunque più elementare norma igienico-sanitaria e neanche del fatto che questi nostri fratelli siano costretti a mangiare polli ammalati perchè costano meno di quelli sani mentre a qualche centinaio di chilometri più a nord ci permettiamo di tollerare gentaglia come “Er Batman”, le Olgettine, le cene elganti o Roberto Calderoli che non si capisce mai cosa colleghi alla bocca invece del cervello quando parla. No, noi non faremo niente di tutto questo perchè è già stato fatto, è già stato detto ed è anche già stato dimenticato, nonostante giornalisti in gamba provino a continuare a parlarne. Questa volta noi volgeremo il nostro sguardo da dentro a fuori, dal problema a chi ed a cosa lo hanno creato e continuano ad alimentarlo, indisturbati ed invisibili ai più : noi italiani, noi calabresi. E così immaginiamoci di essere per un attimo dei simpatici ET che si trovino a sorvolare l'Italia meridionale e che, magari, colpiti da un fulmine sopra lo stretto di Messina si sia costretti ad un atterraggio di emergenza nei pressi di Rosarno. Sorvolando il paese in cerca di un posto adatto all'atterraggio ci capiterebbe di vedere un'accozzaglia di palazzine sgangherate, senza intonaco, con ringhiere, porte, infissi diversi l'uno dall'altro in uno squallido dedalo di strade che, alla fine, converge in una grande piazza, sgarrupata anch'essa, che dovrebbe essere il centro di questo paese della ex Magna Grecia. Già, la Grecia e i suoi filosofi che tanto contaminarono e resero vitali questi posti insieme alla Sicilia poco distante, ebbene essi ritenevano che la bellezza e l'orrore non fossero solamente degli attributi da dare alle cose ma vere e proprie categorie dell'anima umana : non è possibile, sostenevano, che un uomo non venga influenzato dalla bellezza o dall'orrore che lo circondano. Proviamo allora a pensare di essere strappati dalle nostre belle case romane o milanesi ed essere catapultati in un territorio degno di scenari post-bomba atomica e sforziamoci ancora di pensare a come il nostro animo ed il nostro spirito civico possano esserne condizionati : l'orrore che ci circonderebbe ogni giorno della nostra vita finirebbe, prima o poi, per indurire il nostro cuore e narcotizzare la nostra anima. Immaginiamo poi che anzichè venire da fuori e subire quanto realizzato da altri noi si faccia parte degli abitanti di Rosarno, di gente che è nata e cresciuta, generazione dopo generazione, in un posto come quello senza vedere mai altro, senza mai godere della bellezza di Firenze, dell'incanto di gioielli come Verona, Padova, Lucca, Macerata o senza mai neanche essere stati sopraffatti dalla sbrindellata maestosità romana ebbene non saremmo neanche capaci di immaginare niente di diverso : per noi la vita sarebbe quella ! Non dimentichiamoci, poi, che stiamo parlando di una Regione tra le più retrograde e disgraziate d'Italia e senza nasconderci dietro un dito dobbiamo avere il coraggio di analizzare alcuni dati che riguardano la questione.

La Calabria è sostanzialmente la Regione dell'immobilità : tutti gli indicatori più rappresentativi degli ultimi censimenti e rilevamenti ISTAT sono praticamente fermi da anni a questa parte. Tutti gli indici demografici significativi sono costanti o in declino, non c'è traccia di uno sviluppo industriale degno di nota ed oltre il 95% delle aziende agricole regionali, che nella zona di Rosarno (RC) producono agrumi di elevatissima qualità, sono di tipo “personale”, a conduzione familiare e il padrone dell'azienda ha un titolo di studio che non oltrepassa la Licenza Media Inferiore. La percentuale di famiglie che dichiarano di avere una condizione economica percepita migliore rispetto all'anno precedente è uguale allo 0% (!!!) mentre, giocoforza, quelle che dichiarano un peggioramento da lieve a drammatico della loro situazione risulta pari al 100% !!! Come spesso accade in Regioni con problemi simili il livello di scolarizzazione ma soprattutto la percentuale di studenti che passano dalla Scuola Media Superiore all'Università e la finiscono sono entrambi molto elevati, più che nel Lazio, in Lombardia o in Emilia-Romagna. Ma i giovani talenti difficilmente rimangono in un territorio disastrato come quello calabrese, che è costretto a sommare ad una situazione orografica e geologica ostile la summa dei ritardi e delle inefficienze di un apparato statale che finisce per diventare più una palla al piede che un acceleratore e, soprattutto, soffre la devastazione morale e civile della 'Ndrangheta che con le sue 'ndrine pervade il territorio e corrompe qualunque ambito della vita economica e sociale. Giusto per rendere l'idea di quanto vi sto dicendo vi racconterò un episodio che mi è capitato personalmente mentre mi trovavo a soggiornare qualche giorno a Lamezia Terme per lavoro. All'epoca l'azienda per la quale lavoravo mi aveva dato come auto di servizio una bellissima Audi A4 blu, l'unico problema era che la targa di questa macchina, per ragioni assolutamente legate al caso, iniziava per “ CC “. Quando sono arrivato in città da Roma, dopo il solito avventuroso viaggio sulla SA-RC, era pomeriggio inoltrato ed io ero molto stanco ma il mio programma prevedeva che di lì ad un paio d'ore avessi dovuto incontrare l'agente di zona. Fatto sta che arrivo di fronte al parcheggio dell'Albergo, scendo dall'auto e comincio a scaricare i bagagli. In un attimo il Concièrge ed il fattorino, gentilissimi, vengono ad aiutarmi e mi accompagnano al check-in. Finite le consuete operazioni il Concièrge, sempre gentilissimo, mi chiede se volessi mettere la macchina in garage. Io rispondo che no perchè mi sarei fatto una doccia e poi sarei riuscito con un collega. Noncurante delle mie parole l'uomo ha continuato ad offrirmi il garage, gratuitamente ed alla fine, dopo avermi anche offerto di parcheggiare lui stesso la macchina, ho dovuto cedere alla sua insistenza pensando di essere appena giunto in una città di matti. Quando è arrivato il mio collega e siamo usciti con la sua macchina gli ho raccontato l'episodio, tra il divertito e l'infastidito, chiedendogli se per caso quel portiere d'albergo facesse uso di droghe o si fumasse spinelli di dimensioni generose. Il mio collega, siciliano trapiantato in Calabria, mi ha spiegato, come se la cosa fosse la più naturale di questo mondo, che il portiere aveva solo voluto tutelare il buon nome dell'Albergo poiché se avessi lasciato fuori un'auto blu targata “CC” qualcuno, nella notte, l'avrebbe potuta incendiare o danneggiare ritenendola un'auto dei Carabinieri (!!!) e questo non avrebbe fatto fare una bella figura all'albergo.


In questa realtà che possiamo tranquillamente definire di frontiera per quanto essa appaia degradata si inserisce, a sua volta, la realtà dei lavoratori stagionali extracomunitari che vengono a fare la raccolta degli agrumi. Paradossalmente basta l'iniezione di un corpo estraneo rappresentato da qualche migliaio di manovali di colore, per lo più regolarmente immigrati e residenti in Italia, per scatenare il meglio ed il peggio di quel che noi Italiani, noi Calabresi siamo capaci di fare. Prendiamo ad esempio Rosarno, il comune dove tre anni fa è cominciata una tardiva rivolta di questa specie di zombies che sono costretti a diventare gli operai immigrati. Esasperati dalle condizioni inumane nelle quali questi poveracci, questi nostri disgraziati fratelli, si trovavano a dover vivere per poi poter andare a spaccarsi la schiena nei campi di cotone, pardon negli agrumeti a raccogliere quintali e quintali di agrumi, al freddo, sotto l'acqua per 12 o 14 ore di lavoro consecutivo e per mettersi poi in tasca 20 o 25 € netti, ebbene esasperati da tutto questo essi si sono finalmente ribellati ed hanno messo a ferro e fuoco Rosarno ed alcuni comuni confinanti. Hanno messo a ferro e fuoco, in realtà, posti che sono stati costruiti già con l'idea di assomigliare a qualcosa di ricostruito dopo un bombardamento a tappeto stile Seconda Guerra Mondiale o alla periferia di Roma Imperiale dopo che Attila ed i suoi Unni avessero levato le tende. Ed infatti per un po' non ci fu una reazione particolarmente violenta da parte delle Forze dell'Ordine, fino a quando qualcuno si è messo a sparare ed allora, come suole spesso nella Terra dei Cachi, un esercito di Poliziotti ed un altro di Carabinieri sono piombati in Calabria ed hanno deportato gli schiavi che avevano osato ribellarsi in centri di accoglienza di altre Regioni per identificarli, denunciarli, espellerli. Ad onor del vero qualche zelante Magistrato, sicuramente appartenente ad un' associazione segreta di toghe rosse, ha cominciato a chiedere conto ai, per così dire, datori di lavoro di questi braccianti del modo in cui li hanno mal-trattati e sfruttati. Ma si sa come vanno le cose in questo Paese, sono passati tre anni, i processi non sono ancora terminati e questi signori se ne sono tornati ai domiciliari ma oltre al danno va aggiunta la beffa perchè le aziende che, giustamente, erano state sequestrate a questi gentiluomini senza nessuno che le curi stanno andando in rovina aggiungendo danno su danno. All'epoca tutti i media nazionali fecero un gran parlare dell'avvenimento e il battage mediatico che ne seguì sollevò il solito polverone di cui tutti parlano, sul quale tutti vogliono dire la loro e poi, come succede sempre nella Terra dei Cachi, più nulla. Vuoto totale, silenzio assoluto, tutti sono tornati obbedienti all'ovile per ricominciare a parlare dei due più grandi problemi che l'Italia, dai tempi delle invasioni di Annibale, si sia mai trovata ad affrontare : l'IMU e i processi di Silvio Berlusconi. Da tre anni a questa parte solo pochi, coraggiosi giornalisti hanno provato a raccontare quello che è successo nel frattempo a Rosarno, alcuni producendo inchieste di qualità superlativa come la puntata “Santifica le feste” della serie “I Dieci Comandamenti “ in onda su RaiTre ma ormai nessuno ha più interesse alle vicende di poche migliaia di disgraziati africani e calabresi. Nella tendopoli installata nel 2011 dal Ministero degli Interni a seguito della visita del Ministro Riccardi, (Comunità di Sant'Egidio), vivono oltre 500 persone contro una capienza massima di 250 posti letto e le condizioni nelle quali vivono sono state definite dalla ASL competente “ prive di qualsivoglia e seppur minima condizione igienico sanitaria”, poi ci sono un altro piccolo campo di containers gestito da una ONG e le sistemazioni di fortuna rimediate da altri lavoratori africani direttamente in paese. In tutto si tratta di diverse centinaia di persone, di fratelli che vivono e lavorano in condizioni tali come neanche i peggiori schiavisti bianchi dell'Alabama Confederato si sarebbero mai sognati di far vivere i loro schiavi se non altro perchè per loro rappresentavano un investimento da tutelare e far fruttare quanto più possibile.


A Rosarno non succede neanche questo, e non succede per diverse ragioni che non riusciamo neanche ad enumerare ed enunciare tutte, per quante e per quanto gravi esse siano. Innanzitutto ci sono le piaghe secolari del territorio prima fra tutte il dilagare della mentalità violenta e mafiosa della 'Ndrangheta, l'arretratezza delle infrastrutture, la scarsa presenza di uno Stato comunque lontano, inefficiente e farraginoso, la scarsità critica di una vera e propria rete di servizi di sostegno e supporto alla persona da parte delle organizzazioni della società civile e sindacali. Poi c'è il fatto che data la struttura medievale di proprietà e gestione delle aziende agricole, vere miniere d'oro in una situazione diversa, esse sono diventate a loro volta schiave delle decisioni arbitrarie delle Multinazionali e della GDO che utilizzano arance e agrumi di prima qualità per fare aranciate ed altri prodotti derivati di largo consumo che, giocoforza, spingono sempre più verso il basso il valore del raccolto costringendo addirittura contadini con 60 anni di agrumi alle spalle a sradicare le loro piante perchè la vendita del raccolto non copre neanche i costi di manutenzione ordinaria e così almeno si possono prendere gli aiuti comunitari. Mancano un politica nazionale ed una regionale che tutelino questo patrimonio agricolo che si sta disperdendo, manca un serio coordinamento a livello associativo, mancano imprenditori illuminati e coraggiosi, manca tutto. Come se non bastasse aggiungiamo poi che la popolazione locale non ha nessuna voglia di spaccarsi la schiena a raccogliere le arance che, per forza di cose, devono venire raccolte dagli immigrati ai quali però noi Italiani, noi calabresi riusciamo a rubare anche questa fatica, eh sì perchè le indagini, sporadiche, delle solite toghe rosse e politicizzate, hanno messo in luce un altro miserabile fenomeno che è quello del furto delle identità lavorative degli immigrati. In pratica succede che simpatici giovani gentiluomini locali facciano risultare loro a lavorare nei campi, anziché l'immigrato di turno, per potergli rubare i contributi e le agevolazioni che la legge prevede per i braccianti agricoli in queste condizioni. C'è proprio di che andar fieri, non credete ?


In condizioni simili, è evidente, non è pensabile che i datori di lavoro riescano soltanto ad immaginarsi politiche ed azioni volte a tutelare una comunque preziosissima manodopera e dico preziosissima perchè, lo ripeto, se non le raccogliessero loro le arance rimarrebbero a marcire sugli alberi. Questo gorgo di disperazione e dolore, di devastazione spirituale e materiale, di assenza totale di interesse da parte di chi potrebbe, vorrebbe o dovrebbe fare qualcosa per cambiare la condizione del territorio e dei suoi abitanti, stanziali o temporanei che siano, è poi squarciato, ogni tanto, da veri e propri lampi di umanità che dovrebbero far impallidire e scomparire dalla vergogna chi se ne sta con le mani in mano e si volta dall'altra parte per non avere seccature. Esistono uomini e donne, (più donne ad essere sinceri), appartenenti ad ONG o, addirittura, semplici cittadini che si svegliano alle 4 ogni mattina per portare, alle 6, colazione, coperte, scarpe, vestiti e calore umano a questi nostri fratelli che la totale indifferenza di noi italiani, di noi calabresi ha ridotto in queste condizioni. Da quel che si può vedere durante questi strani incontri tra quel che rimane della civiltà italiana e quel che rimane dello spirito di questi africani a parte il calore di un cappuccino ed un caffellatte il calore più importante, richiesto e gradito è quello umano di una parola gentile, un piccolo pensiero, una semplice pacca sulla spalla. Soli, silenziosi, invisibili uomini e donne misericordiosi salvano letteralmente ogni giorno qualcuno di loro dalla follia e, forse, anche dalla morte e lo fanno nel modo che ci ha insegnato Gesù Cristo : segretamente, senza che da ciò gliene derivi alcun vantaggio se non una soddisfazione come poche persone al mondo potranno mai provare nella loro intera vita.


Ora io non andrò oltre dicendo che cosa bisognerebbe fare e chi dovrebbe farla per raddrizzare questa situazione perchè sono cose che tutti sanno benissimo ma nessuno ha voglia od interesse a mettere in atto. No, io concluderò qui la breve descrizione di questo pezzo di Italia fuori dal tempo e dalla storia e lontano da qualsiasi forma di civiltà antica o moderna che sia, con una famosa citazione del filosofo inglese Sir Francis Bacon : “ Iustitia debetur, quod homo homini sit Deus, non lupus. “ , (In forza del Diritto sia l'uomo Dio per i suoi simili e non lupo.).

Oltre alla sacrosanta applicazione del Diritto e delle Leggi, cosa che in teoria dovremmo dare per scontata, superiamo quanto diceva l'illuminista Bacon e ricordiamoci che noi non abbiamo bisogno del Diritto per essere come Dio : l'essere stati fatti a Sua Immagine e Somiglianza ci rende tali in ogni momento. Dobbiamo solo ricordarcene e comportarci di conseguenza.

E' proprio così difficile ?

 
 
 
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INFO


Un blog di: Herebus
Data di creazione: 13/06/2013
 

 

"MORTE DI UN BRAVO RAGAZZO. L'INCREDIBILE STORIA DI MARIO BIONDO."

La Repubblica - Palermo, 13 Novembre 2018


La morte di Biondo un giallo lungo cinque anni na «storia incredibile» di misteri e di archiviazioni, indagata in un libro-dossier che prova a ricostruire, tra memorie private, perizie mediche e documenti d'archivio, il caso di Mario Biondo, il cameramen palermitano trovato morto cinque anni fa a Madrid. È una favola nera raccontata con la precisione di un cronista, il libro di Paolo Gentili, "Morte di un bravo ragazzo" (Sovera Edizioni): un contributo a una verità mancata a cui l'autore, con il contributo della madre della vittima, Santina Biondo, tenta di avvicinarsi, ricostruendo la vita privata del giovane con la moglie giornalista Raquel, più volte interrogata sui fatti, e le incongruenze di quattro armi di indagini, tra sms e dati estratti dal computer del giovane, poi compendiate in un atto scritto dai magistrati inquirenti, dove la vicenda Biondo resta ancora una storia irrisolta. Serve, allora, alla memoria capace di farsi domanda, anche la più semplice operazione letteraria su un giallo di cronaca. Perché di morte di può morire due volte, la seconda è quando si viene dimenticati.


 

 

OMNIA VINCIT VERITAS

 

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ULTIMO LIBRO PUBBLICATO DA PAOLO GENTILI

SOL INVICTUS : Una nuova alba.

 

Pensiamo veramente che ciò che finora abbiamo dato per scontato sia la realtà ? Siamo pronti a scommettere che la Storia che stiamo vivendo sia proprio quello che Dio abbia pensato e desiderato per noi ? L'Uomo moderno è così sicuro di se e del suo potere tecnologico da non riuscire a vedere la verità che gli sta davanti, dietro lo schermo del suo egoismo. Questo romanzo è il primo di una trilogia. Correndo lungo le tortuose strade della Storia dell'Uomo, prende spunto dalle Profezie sugli Ultimi Tempi, proprie di tutte le grandi Religioni della Terra e ci porta d'un balzo a vivere in prima persona il disegno che Dio ha pensato duemila anni fa, per mostrare all'Uomo il Suo vero volto. In una narrazione avvincente e ricca di colpi di scena, che nel primo volume prende le mosse dal 1976, scopriremo come l'Uomo da secoli si sia attrezzato per ostacolare il disegno divino. Ai nostri giorni utilizza l'Associazione maggiormente ramificata, pericolosa e segreta, nata nel cuore della più potente Nazione della Terra, con tentacoli nel nostro Paese ed in altre nazioni occidentali.

 

www.soveraedizioni.it

www.ibs.it


 

HANNO DETTO DI : "SOL INVICTUS : UNA NUOVA ALBA"

" Sol Invictus è un romanzo colto e ben scritto che ripropone tematiche non certo inedite ma comunque stimolanti per chi ama i thriller fantapolitici venati di misticismo millenaristico. "


" Nel tempo dell'inganno chi dice la verità è un rivoluzionario. " Questo il leit motiv del libro, mutuato dal pensiero di George Orwell in 1984. Un testo che posso considerare un saggio camuffato da romanzo.

 

Da Roma a Yale nel Connecticut, dagli archivi segreti del Vaticano alle stanze asettiche della Cia, dalla Buenos Aires della "sporca guerra" dei desaparecidos alla quiete irreale di Salò sul Garda e di Sherbrook nel Quebec, dalle birrerie di Monaco di Baviera ai monasteri benedettini di Subiaco a Roma. Attraverso i dialoghi incalzanti fra chi complotta per imporre sull'intera umanità il dominio satanico della Confraternita della Morte (che ha come motto "Guerra, Sangue e Miseria") e chi invece, nel nome dell'umanesimo di matrice cristiana, tenta di opporsi a questa infernale macchinazione, si snoda l'ingranaggio narrativo costruito da Paolo Gentili, che, mediante una prosa di forte impatto giornalistico, tesse la sua ragnatela di cospirazioni ad alto livello.

 
 

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