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L'Angolo di Nimriel®

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Amarcord

Post n°571 pubblicato il 10 Novembre 2006 da nimriel

Ferma a quel semaforo, che trovo rosso nove volte su dieci, attendo un’attesa sempre piuttosto lunga.
Ci arrivo di mattina, senza accorgermene, con la stessa consapevolezza di un mulo.
Mentre sto lì, ferma, sonnacchiosa, i miei occhi trasmettono informazioni al cervello in una specie di dialogo fra sordi. L’elaborazione delle immagini vien fatta con ritardo, pigramente.

Di fronte a me, dall’altro lato del crocevia si apre un lungo viale che poi diventerà una lunga strada,  che poi diventerà una lunga arteria che si snoderà, avvolgerà, srotolerà su, su, via, pian piano, per i monti toscani, poi quelli toscoemiliani e ancora, ancora, fin dove si vuole, senza fermarsi, liberi. I miei occhi non lo sanno ma stanno osservando un percorso che il mio cuore vorrebbe seguire ma che il mio cervello non permette di fare.

A destra, all’angolo del crocevia, c’è un’edicola. Un tempo era a destra sì, ma dall’altro lato della strada. Era un’edicola vera e propria, un casotto che a fermarsi con la macchina si rischiava sempre di provocare un incidente. Non so se il proprietario sia lo stesso di allora ma non a caso poi si sono spostati nel negozio di oggi, al sicuro, fra le quattro solide mura delle case dirimpettaie.
Fra poco decoreranno le vetrine con qualche vetrofania natalizia, senza pretese, un po’ casereccia, alla buona. I miei occhi non lo sanno ma spiano l'arrivo di quel momento per rallegrarsene, con semplicità.

All’angolo sinistro del crocevia c’è poi una ferramenta. Ha l’aspetto arruffato di un emporio un po’ all'antica, come le mercerie di un tempo, quelle dove potevi trovare di tutto. Alle vetrine si affacciano alti scaffali, traboccanti di merce. Guanti, contenitori di latta, fili da pesca, maschere da lavoro, cesoie, vassoi, scaldini, padelle, stufe…Una stufa, in particolare… Una stufetta a incandescenza, come quella che avevamo a casa, quando ero piccola e poi non più così piccola. Quella arrugginita, un po’ ammaccata, con l’appoggio sbilenco. Quella che, forse, magari, sarà da qualche parte in cantina, a casa dei miei, abbandonata, vecchia, più vecchia di me. Quella che mi ha vista sgambettare piccina, nuda come un baco, via di corsa a farmi il bagno, via, via, che faceva freddo. Quella che con le sue resistenze rosseggianti, infuocate, mi attirava come sempre mi attira un focolare, mani protese a raccoglierne il tepore, occhi incollati a osservare l’incandescenza diminuire, aumentare, correre sui fili a spirale. Quella di quando si era bambini e si otteneva il permesso di mettersela vicini, per giocare, per leggere al calduccio. Quella di quando si era spensierati, di quando tutto poteva essere solo magnifico, nuovo, pieno di sorprese, scoperte, possibilità. Che rimpianto, che agrodolce nostalgia.
I miei occhi non lo sanno ma si sono riempiti di lacrime.

 
 
 
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