Quella bottiglia, l’altra sera, è stata un salto nel passato.
S. dice: “ Vado a prendere un po’ d’acqua.” Poi torna e alla luce della luna, la vedo. Una vecchia bottiglia, amorosamente conservata, di famiglia, dal vetro bianco un po’ usurato e la forma esagonale, col tappo di plastica incorporato e gommino nero per sigillarla ermeticamente. Leggermente appannata di umidità.
Bottiglie così non se ne trovano quasi più in giro; sono residui del passato, di un’era che mi pare lontana, andata.
Subito nella mia mente è tornato il ricordo di quando ero piccina, dell’estati che passavamo nella casa di mio padre, sulle avvisaglie dell’appenino fiorentino.
Estati calde, come adesso, fatte di notti profumate di campagna riarsa dal sole, passate a rincorrere le lucciole. E di giornate spensierate, fatte di giochi semplici e alla buona, a zonzo per i campi quando l’avventura più bella era andare a prendere l’acqua alla fonte, la Fontebuona.
Si partiva come per una missione speciale, con dei fiaschi grandi, capienti, ciccioni, che una volta riempiti, le mie braccia di bambina avrebbero faticato non poco a riportare indietro ma che mi ostinavo a trasportare, barcollante, tutta compresa nel mio ruolo, orgogliosa del mio tesoro.
La fonte era in una forra, fra due pendici della montagna di fronte. Ci si arrivava incuneandosi in un passaggio stretto, pieno di erbe rampicanti e di rovi. Si camminava per un po’, inoltrandosi nella spaccatura, al cui interno la temperatura calava bruscamente, resa fresca dall’umidità che stillava ovunque, in un proliferare di muschi e pietre scivolose. Il profumo di rocce bagnate era incredibilmente intenso.
Un rivoletto di acqua cristallina che scavava il suo percorso fra le rocce sdrucciolevoli, indicava il cammino fino alla sorgente. Lì, i fiaschi venivano riempiti dal babbo, fino all’orlo, uno dopo l’altro e si facevano immediatamente brinati mentre io ne approfittavo per slappare l’acqua direttamente dalla fonte, infradiciandomi ben bene, la bocca sgocciolante come quella di un cane assetato.
Poi, al ritorno a casa, mi aspettava un’altra avventura: la creazione dell’acqua con le bolle.
Riuniti attorno al tavolo, il babbo prendeva la confezione dell’Idrolitina e dopo aver travasato l’acqua dal fiasco in una bottiglia esattamente come quella di S., faceva versare a turno, a me o mio fratello, la polverina nel recipiente ed era magico vedere l’effervescenza esplodere nel liquido e trasformarlo in quella che a me pareva una bevanda miracolosa e squisita.
L’ho riassaggiata qualche anno fa, l’acqua con l’Idrolitina. La vidi una volta al supermercato e in un attacco di nostalgia decisi di comprarmela.
Una volta compiuto il miracolo però, il sapore non era lo stesso di un tempo ma, forse, sarà dipeso dal non avere in casa una bottiglia come quella né un’acqua magica, come quella.
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