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Pendolarismo

Post n°699 pubblicato il 15 Novembre 2007 da nimriel
 

Due volti, due persone. Uomo e donna, di mezz’età; sono seduti, sul treno, uno accanto all’altra ma non si parlano. Lui guarda fuori dal finestrino, lei nel vuoto. Hanno volti rubizzi, grassocci, dal naso carnoso. Mani segnate, dita tozze. Non si sono spogliati; siedono placidi e silenziosi, stessa posa, stessa staticità, stessa fisionomia. Attendono serafici  la fine del viaggio. Si assomigliano; una di quelle coppie, forse, che con l’età finiscono per diventare gocce d’acqua.

In piedi accanto a loro, una donna. Ben vestita, tacchi alti; scomodi da indossare se si deve fare un viaggio in piedi. Devono farle male perché continua ad alzarne e abbassare la pianta, facendo leva sul tacco, in un gesto un po’ vezzoso che le fa spostare il bacino in avanti, in una posa vagamente aggressiva. Parla con estrema noncuranza, a voce alta, con un ragazzo. Il vagone risuona del suo forte accento valdarnotto[1]. Quando finalmente si siede, in un posto libero dall’altra parte dello scompartimento, la coppia bovinide si guarda con sollievo. Ed è l’unica loro reazione registrabile durante il viaggio.
Suonerie di telefono di qualsiasi tipo. Noto che la maggior parte sono simili alla mia. Dozzinale o, forse, semplicemente comoda. Quando il motivo risuona, quasi tutti, istintivamente, mettono mano al proprio cellulare.
Il pc rileva la presenza di altre due reti private. Potrei chattare con i miei compagni di viaggio. Magari in un futuro non così lontano parleremo con il dirimpettaio col micropalmarepctelefonomacchinadacaffè, il tutto collegato direttamente alla gola, senza bisogno di emettere alcun suono, garantendo un mondo acusticamente più pulito, una miglior privacy e un sollievo per le tonsille. Per adesso non è così. Conversazioni di tutti i tipi penetrano nelle mie trombe di Eustachio, si insinuano nel mio cervello finchè non decido di isolarmi e con un’abilità che non credevo di aver sviluppato, mi estraneo dal resto del mondo.
Penso un Pensiero Felice. Lo penso scientemente, sistematicamente, fino a che non mi spunta un sorriso. Lo vedo nel riflesso del vetro, fra le gocce di pioggia che scivolano via veloci, truppe di soldatini d’acqua che corrono in diagonale. È un bel sorriso, rifletto, osservando con distacco la sconosciuta che mi rimanda lo sguardo, diretta.
La studio per un po’. Sembra assorta. Ha un pc aperto ma non lo guarda. Ha un telefono accanto ma non lo usa. Guarda fuori dal finestrino e fa bene perché il paesaggio è bello. È lo stesso che dipinse Leonardo da Vinci, quelle balse così caratteristiche da sembrare irreali.
Piacciono anche a me, penso e in un attimo torno al Pensiero Felice fino a che il treno non mi porta a destinazione e sono arrivata e scendo e devo correre perché sono in ritardo e il mondo non mi aspetta e il Pensiero Felice non sempre può portarmi via dai casini, dai suoni molesti, dalle beghe, dall’ombrello troppo piccolo sotto una pioggia battente; dallo smog, dai mendicanti in stazione, dal traffico, dalla puzza del mercato, dalla cena da cucinare, dal riscaldamento da pagare, dal conto quasi in rosso, dal lavoro precario, dalle incertezze&dubbi&perplessità. Non può, non sempre ma, abbastanza, tanto da farmi trasformare in una sconosciuta che sorride anche quando fuori piove.


[1] Accento della zona del Valdarno, fra Arezzo e Firenze, dalla pesante cadenza "fiorentina".

 
 
 
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