Un tiepido raggio di sole che squarci la coltre di nubi della triste realtà, o
un gelido specchio che ne rifletta la cupezza? Quale l’immagine che meglio
rappresenta arte e letteratura e il loro ruolo? Un dibattito artistico - letterario
dagli esiti diversi, influenzato anche da fattori esterni quali circostanze
storiche e sociali.
Verga, scrittore siciliano della seconda metà dell’’Ottocento, denuncia
le pessime circostanze in cui versa la sua terra, quasi ignara di essere
parte di una neonata Italia.
Una denuncia sociale dello sfruttamento minorile (sulla scia di un’inchiesta
di Sonnino e Franchetti), delle condizioni di vitadei più umili,
degli emarginati, ricche di particolari a volte agghiaccianti (vedi il
massacro descritto in “Libertà”) che rimane però fine a se stessa, in
accordo con la “morale dell’ostrica” verghiana.
“Documenti umani” dunque, afferma Verga nella “Prefazione a L’amante
di Gramigna” che faranno “pensare sempre”, avranno “sempre l’efficacia
dell’essere stato”. Altre le parole manzoniane perdescrivere lo
stesso concetto: “il vero per oggetto” a cui vanno aggiunti“l’utile per scopo”
e “l’interessante per mezzo” affinché “il vero storico e ilvero morale
generino pure un diletto”, ulteriore proponimentodi poesia e
letteratura, complementare dell’intento pedagogico –morale.
Chissà se Orazio, che nell’”Ars Poetica” dichiara che riceveranno maggiore
approvazione da tutti quelle opere che uniranno l’utile al dilettevole (un
dilettevole verosimile, sottolinea), avrebbe gradito le opere di Verga e Manzoni?
Non tanto quelle di Verga, probabilmente: un vero arido, simili a pagine
di un libro di storia, ad articoli di giornali scritti da unao più voci del popolo.
Un vero, TROPPO vero, forse. Che non lascia spazio ad evasione, sogno, fantasia:
la storia è influenzata, sconvolta, investita dalla storia che non concede
lieto fine. Perfino l’happy ending dei promessi sposi più famosi al mondo
è offuscato da un velo di amarezza che non rende giustizia alle loro peripezie.
Lieto fine immancabile, secondo il Tolkien – pensiero, espresso in “Albero
e Foglia”, nelle fiabe, quella forma di letteratura che, se scritta con arte,
offre anche agli adulti la possibilità di rispolverare la Fantasia, chiusa in
chissà quale baule da ormai troppo tempo, e il Ristoro “dalla tediosa opacità
del banale” che convergono trovando il loro apice nell’ Evasione “dalla brutalità
e bruttezza della vita europea”.
Non contadini e pescatori che si spaccano la schiena per soddisfare a malapena
i bisogni primari, bambini sfruttati nelle solfatare, cadaveri dissacrati dai
monatti, ma fate e draghi, principi azzurri ed unicorni: romanzi, poesie, novelle
ma anche dipinti, canzoni, pellicole cinematografiche che permettano
a chi legge, ammira, ascolta, guarda di distogliere almeno per un momento la
mente dai pensieri quotidiani, dalle ansie, dai turbamenti. Proprio per questo milioni
e milioni di persone in tutto il mondo si sono lasciate trasportare nella giungla
magica di Pandora dal regista James Cameroon dove, immersi fra una lussureggiante
vegetazione considerata una madre dagli Avatar, indigeni dalla pelle blu, difendono
il proprio pianeta da una violenta invasione degli esseri umani. Grafica spettacolare,
effetti speciali mai visti ma anche e soprattutto una storia d’amore:
l’amore fra un terrestre e un’ abitante di Pandora, l’amore per la natura,
l’amore per la propria terra, qualcosa che, bombardati come siamo da continue
immagini e racconti di odio e violenza, ci scalda il cuore, ci fa volare con l’immaginazione
… lontano,
lontano … fino a laggiù …
“seconda stella a destra e
poi dritto fino all’isola che non c’è”: Cameroon come Peter Pan che aveva portato
via Wendy ed il fratellino da una Londra devastata dalla Guerra [Peter Pan
della Walt Disney]. Quella stessa “isola che non c’è” in cui, tanto
malinconicamente Edoardo Bennato ci consiglia di tornare a credere,
anche se, a ben pensarci, qualche dubbio sull’esistenza di un luogo
privo di odio e violenza inizia ad averlo anche lui. Shakespeare scrisse che
siamo della stessa sostanza dei sogni. E allora perché farsi prendere la mano
dalla ragione e convincersi che non può esistere un’ “isola che non c’è”?
Che la fantasia e la capacità di sognare siano inversamente proporzionali
all’età è, purtroppo, indubbio. Ma è certamente vero anche, come afferma
Tolkien, che queste facoltà sarebbero molto più utili agli adulti. Egli vede
dunque nella letteratura una cura al male che affligge i “grandi” non permettendo
più loro di inventare un racconto formidabile da un apparentemente
insignificante dettaglio, chiudendo la loro fabbrica dei sogni, inibendo la loro
immaginazione. La soluzione?
Viaggiare con il Piccolo Principe, catapultarsi su un’ isola deserta
con Gulliver, immaginarsi al cospetto di una capra enorme ed umanizzata come
quella dipinta da Goya, entrare in punta di piedi nei più reconditi anfratti
dell’animo umano insieme ai protagonisti di Inception e dividersi il bottino
dell’ultima scorribanda con la ciurma del capitan Jack Sparrow [La maledizione
della prima luna].
Certo, non deve mancare la consapevolezza della realtà in cui si vive, non si
possono chiudere gli occhi davanti a fatti storici come quelli narrati ne “Il bambino
con il pigiama a righe” o “Io non ho paura”. Ma il nostro cuore e la nostra
mente necessitano di qualche sollievo dall’aridità del vero: la lieve brezza
della fantasia, la timida pioggerellina dell’immaginazione ed il dolce naufragio
nel mare dell’eterno e dell’irraggiungibile.
Da LA TRIBUNA SAMMARINESE
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il 10/01/2013 alle 20:19
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