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SECONDA PARTE Il denaro manca perchè viene sottratto alla sfera economica dalle banche per finire nel buco nero della finanza Quindi non dovrà più essere possibile che le enormi risorse energetiche e alimentari possano diventare proprietà privata di pochi. Questa potrà essere l’inizio della terapia per sanare la malattia di un capitalismo sfrenato provocato dal dogma errato che l’interesse privato porta al benessere di tutti. La seconda patologia non potrà trovare soluzione se non si riconoscerà la vera natura del lavoro. Occorre accorgersi che l’uomo non vive del suo denaro ma del lavoro degli altri: il panettiere non produce il pane per se ma per gli altri che a loro volta provvedono ai suoi bisogni e così via … Con il denaro non posso certo comprare beni non prodotti; ma se ci sono i beni, con un intelligente sistema di baratto, potrei soddisfare i miei bisogni anche senza denaro. E’ assolutamente necessario convincersi che se le persone lavorano e producono beni e servizi a sufficienza per soddisfare i reciproci bisogni, è assurdo che non vi sia abbastanza moneta che ne permetta l’acquisto. In realtà, come vedremo e come sostengono molti studiosi del problema, di denaro ve ne sarebbe in abbondanza se il principio dei beni comuni venisse attivato dalla comunità e l’ingordigia delle banche centrali venisse ridimensionata. Certamente vi sarebbero sufficienti risorse per allargare la sfera dei lavori socialmente utili in modo da avere un reddito anche per chi non trova occupazione nel settore produttivo. Così ogni famiglia potrebbe vivere senza problemi economici. Questa ingordigia delle banche è la terza patologia e potrà essere risanata solo se si riconoscerà che anche il denaro è un bene comune e deve cessare la sua creazione da parte dei privati come sono ora le banche centrali. Lo stato deve riappropriarsi della sovranità monetaria e stampare moneta in modo oculato a seconda delle reali esigenze della vita economica e dei cittadini che esso rappresenta. Le banche devono tornare ad essere al servizio dei cittadini e, tramite opportune disposizione, gestite da enti sotto il controllo della comunità. Non solo, ma gli stessi utili degli istituti bancari, escluso il giusto guadagno che comporta la gestione della banca, dovranno tornare alla comunità. Le banche etiche sono nate appunto con questi scopi a testimonianza che la parte sana dell’organismo sociale sta già reagendo a questa patologia con forze risanatrici. Basterebbe solo riconoscere e valorizzare quello che già esiste ubbidendo al principio che, per Cambiare qualcosa, occorre costruire un modello nuovo che renda il vecchio obsoleto. La crisi non cesserà se questi vecchi dogmi di un capitalismo ormai malato e ottuso non verranno smantellati alla radice. Ma non sarà sufficiente, “escogitare” nuove regole se queste non poggeranno sul riconoscimento delle realtà dei beni comuni, che comprende anche il denaro e del fatto che l’uomo non vive del suo denaro ma del lavoro degli altri. RENZO ROSTI
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