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Aspettando Godot

Post n°108 pubblicato il 27 Febbraio 2011 da orgogliosammarinese
 

 Come gli aruspici dell’antica Roma, i detentori di occulta sapienza vanno da tempo frugando le viscere ancora fumanti delle vittime per scorgere i primi segni della ripresa, per cogliere segnali incoraggianti che annuncino l’uscita dal tunnel, la fine della crisi. Ed è tutto un brusio di voci e sussurri sui segni annunciatori della svolta, della fine della lunga notte. Dopo la burrasca rispunterà il sole, più luminoso e splendente di prima. Ma è davvero così?

Abbiamo assistito soltanto alla solita crisi ciclica e tutto riprenderà come prima? La fine della tempesta e il ritorno alla normalità metterà tutto a posto? Dunque la macchina si è fermata perché a un certo punto un guasto meccanico ha impedito che il carburante arrivasse al motore? Basta riparare l’ostruzione, mettere un rattoppo per riprendere la corsa?

Non siamo affatto convinti che si sia verificato un incidente. La ripetizione del ritornello che occorre una severa regolamentazione è certo apprezzabile, se non nelle intenzioni reali, per lo meno nelle parole dei proponenti. Del resto abbiamo potuto osservare quanto anche tali buoni propositi siano di fatto naufragati. Ed anzi abbiamo assistito alle solite pratiche di condizioni di favore concesse dal potere pubblico: lo Stato tanto indulgente, sotto banco, con i poteri forti, e poi così severo e intransigente quando rivolge le sue retoriche all’universalità dei cittadini.

Ma in questo tracollo c’è anche e soprattutto la chiusura di aziende, la distruzione di capitale, macchinari, materie prime,energia incorporata in essi. Ci sono risorse naturali trasformate in merci che degradano. Ci sono lavoratori che finiscono in mezzo alla strada.

Oggi dovrebbe apparire evidente una realtà elementare. Occorre travalicare i confini della cultura economica che ha reso possibile il collasso, che ha generato la crisi, per comprendere che non si è verificato un semplice guasto. Non e una ammaccatura della carrozzeria. E’ il motore, il cuore della macchina, che è bloccato dalla ruggine e non ce la fa più. Lo spettacolo cui abbiamo assistito e che ancora perdura sotto i nostri occhi non è semplicemente il punto basso di un ciclo.

Governo, imprese, si trovano di fronte a sfide titaniche, a scenari del tutto inediti, e pensano di poterli affrontare correndo ancora più velocemente, ma sempre nella stessa direzione, lungo l’unico sentiero conosciuto.

Si dice, e spesso si strilla: occorre fare ricerca, accrescere la produttività, immettere nuovi prodotti, vincere la concorrenza e così creeremo nuovi posti di lavoro qualificati. Questa cantilena risuona ad ogni angolo di strada. Ma con scarsi risultati reali. Le classi dirigenti del nostro paese non hanno mai superato la loro storica indifferenza nei confronti di tutto ciò che è ricerca, università, mondo degli studi. La loro rozzezza culturale fa oggi spettacolo sulla scena della vecchia Europa. Ma bisogna porsi serenamente delle domande e placare la gazzarra propagandistica. Occorre essere competitivi, si dice, vincere la concorrenza. La concorrenza di chi? Nel mercato globale siamo tutti concorrenti.

I margini di profitto delle imprese si assottigliano rapidamente e i nuovi investimenti produttivi non vengono incoraggiati. Anzi, in un teatro di guerra così aspro, essi si dirigono in massa verso la speculazione.

Dovrebbe dunque apparire chiaro che non ci sarà ripresa e che non è il caso di aspettarla. Godot non arriverà. Il ritorno alla cosiddetta normalità non può che essere la replica peggiorata di quanto è fin’ora accaduto. Si potrà trovare un qualche decente assetto al sistema oggi in turbolenza. Avremo, probabilmente, anche rirprese del pil –utili per la pubblicità elettorale dei vari partiti al governo -, ma la disoccupazione non sparirà: l’economia reale ha bisogno di ben altro di una ripresa. I disoccupati che aumentano drammaticamente di numero al passare di ogni mese, non sono solo l’esito del tracollo recente. In questo esercito di disperati ci sono i cinquantenni che nessuna impresa assumerà più, ci sono i lavoratori part-time che lavorano qualche mese l’anno e che servono a innalzare le stime ufficiali degli occupati, ci sono i giovani che escono dalle scuole e dalle università e trovano il deserto, ci sono le donne e gli uomini che da tempo hanno smesso di cercare lavoro e non figurano in nessuna statistica. Non è di ripresa che abbiamo bisogno ma di cambiamenti di vasta portata.

I rapporti con gli altri Stati, gli orari di lavoro, i ritmi della vita quotidiana, l’organizzazione della città, il nostro rapporto con la natura, tutto si regge ancora entro i vincoli obsoleti della vecchia società industriale. In un’epoca di inaudita prosperità gli uomini e le donne sono costretti a inseguire un benessere che diventa un bene sempre più scarso.

Certo non esistono soluzioni pronte all’uso. Non ignoriamo le grandissime difficoltà che ci si parano davanti. Una stratificazione culturale più solida di una formazione geologica ha colonizzato le menti e oggi blocca la capacità di pensare al di fuori del recinto delle necessità capitalistiche. Il tracollo storico dei partiti operai e popolari alimenta il peso dei poteri dominanti sotto forma di quotidiana rassegnazione per chi aspira a una società diversa.

Sappiamo, realisticamente, che l’indebitamento peserà e condizionerà i margini di manovra per le politiche pubbliche nei prossimi anni. Ma questo vincolo, non bisogna dimenticarlo, resta anche il frutto impolitiche fiscali, non intenzionate a colpire i patrimoni accumulati, le immense ricchezze finanziarie che girano libere.

Oggi proprio il collasso economico e finanziario consente l’uso di nuove e antiche parole, apre spiragli di possibilità materiali che vanno sperimentate con nuova e coraggiosa creatività politica.

La lotta pur tra difficoltà e delusioni, quando si inscrive in un orizzonte visibile di possibilità, quando è ispirata da un obiettivo di giustizia, quando è illuminata da una partecipazione corale, costituisce pur sempre, per chiunque la pratichi, una ragione di vita in un mondo altrimenti svuotato di senso. E questa può essere la formidabile leva morale con cui battere un avversario sempre più privo di orizzonti, di ragioni, di proposte.

Piero B.

da SAN MARINO NOTIZIE

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