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Il mio tempo libero!

Stare lontano dal male e fare del bene..... nel silenzioso cammino!

 

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Lasciati toccare dall’amore

Post n°287 pubblicato il 21 Settembre 2010 da orta0

Quanta gratuità c’è e quante cose fa un genitore per suo figlio?

Eppure fare tutto questo lo fa felice!

E’ il segreto della vita…

 

… Fai qualcosa di gratuito ogni giorno

per essere ogni giorno felice.

 

Perché più dai (gratuità)

E più avrai (felicità).

Le parabole sono un modo amorevole e non violento di dir qualcosa e di far vedere altre verità. Una parabola è una storia, un racconto, che non ti forza a credere: ti fa vedere una cosa, ma senza accusarti, senza giudicarti. Se vuoi capire, lì capirai tutto: parla di te ma non parla a te.

C’è una donna, ha cinquant’anni. E’ da vent’anni (!) che vorrebbe imparare a suonare la chitarra ma si vergogna. Lei è un’esponente in vista della città, è un magistrato e teme il giudizio dei suoi colleghi. E ogni anno si dice: “Quest’anno mi iscrivo o no?”. E poi non lo fa. Allora le si potrebbe dire: “Ma svegliati, fallo e basta! Ma che te frega!”. Ma così sei diretto, forse troppo, forse potrebbe prenderlo come un attacco; se le dici così magari lei comprende: “Ma sei proprio stupida a non farlo! E che sei un magistrato!!!”.

Ma se tu le racconti una storia, lei capisce (se vuole capire). Le dici: “C’erano un padre e un figlio che andavano in città a vendere i loro prodotti con il loro asino. Lungo la strada la gente li vide e disse: “Guarda quelli! Hanno l’asino e loro camminano a piedi!”. Allora il figlio monta sull’asino… Dopo un po’ passano vicino per delle case e la gente commenta: “Ma guarda quel figlio! Lui giovane sull’asino e il padre, che è vecchio a piedi!”. Allora fanno cambio: il padre sull’asino e il figlio a piedi. Ma dopo un po’ di strada dell’altra gente dice: “Ma guarda te, che padre! Il padre sull’asino e il figlio, poverino, a piedi!”. Allora montano tutti e due sull’asino… Ma dopo un po’ finché vanno in paese, la gente dice: “Ma guarda te, non hanno proprio pietà per quell’animale”. Tu non dici altro, e lei, se vuole e se può, capisce.

C’è un ragazzo che vorrebbe dire ad una ragazza il suo sentimento di amore. Ma ha paura di essere rifiutato o di ricevere un no. Ma intanto il tempo passa. Si potrebbe dirgli: “Svegliati e vai, prima che qualcun altro te la 'rubi'”. Ma potrebbe sentirsi giudicato e dire: “Vedi, non sono capace neanche di dire quello che ho dentro!”, e così otteniamo l’effetto contrario di quello che vogliamo. Perché non dirgli, ad esempio: “Sai un giorno mi hanno portato del tiramisù, buonissimo. A me piace tantissimo il tiramisù. L’ho messo in frigo e aspettavo, aspettavo, aspettavo l’occasione buona, migliore per mangiarlo… ma ho aspettato troppo e quando sono andato per mangiarlo non era più buono”. Gli dici questo, e se vuole capire, lui capisce.

Perché non solo dobbiamo stare attenti a dire le cose, ma anche a come le diciamo. Quando dici una cosa ad uno e lo ferisci non passa più il tuo messaggio (anche se magari era buono e vero), ma la ferita. E non si può poi giustificarsi dicendo: “Io gliel’avevo detto!”. Sì, d’accordo, gliel’avevi detto. Ma come gliel’avevi detto? Amore è comunicare senza ferirsi e relazionarsi in maniera sana e positiva.

 

Le parabole sono simili. C’è una quantità (dieci; cento, che è dieci volte dieci); poi si perde qualcosa e non c’è più la totalità. C’è una ricerca che può richiedere anche tempo. E poi c’è una grande festa quando si ritrova ciò che si è perduto.

Nella vita ci si perde. Quando pensiamo al “perdersi” pensiamo spesso all’allontanarsi dalla chiesa o al fare qualche peccato che ci allontana. Sì, è una possibile lettura. Ma qual è la cosa più grave che possiamo perdere? Noi stessi.

Per molte persone la vita è una malattia. Sì, vivono, vanno al lavoro, hanno una famiglia, ma tutto è pesante, sempre difficile e niente mai appassiona o suscita veramente emozione. Ci si diverte anche un po’, ma nel profondo c’è un senso di tristezza, di amarezza, di inutilità, di scoraggiamento. E se glielo chiedi non sanno dirti il perché. Ti dicono: “E’ così, ma non so il perché. So solo che sono scontento, depresso, insoddisfatto”. Perché? Perché non sono al loro posto nel mondo, magari i suoi valori sono stati accantonati. Si trovano fuori posto.

Quando siamo fuori posto, quando cioè tralasciamo i nostri valori, ciò che è importante per noi (che a volte neppure sappiamo), quando non percorriamo la nostra strada e non viviamo la nostra missione nel mondo (magari per paura o perché ci è comodo così o per evitarci dei cambiamenti), allora siamo scontenti e ci ammaliamo di mal di vivere. Siamo non più sulla nostra strada ma su di un’altra che non è la nostra: e lì non possiamo stare bene!

La biologia racconta benissimo questo mal di vivere. Una pecora, come quella del vangelo, si allontana dal gregge. La pecora non ha senso dell’orientamento né fiuto: quindi più cammina e più si allontana. Ma una pecora fuori del gruppo, fuori del branco, in natura, non ha scampo, è morta.

Lei non lo sa ma il suo cervello sì. La natura è meravigliosa: cosa fa infatti il suo cervello? Il suo cervello necrotizza la corteccia surrenale (che secerne il cortisone) e così la pecora è senza forze, esaurita e crolla di fatica. E’ la soluzione perfetta: così stanca e sfinita, si ferma e smette di allontanarsi dal gruppo; se così non avvenisse si allontanerebbe sempre di più. Questo permette al cane e al pastore di cercarla e di trovarla. Quando viene ritrovata, le cellule corticosurrenali producono una scarica di cortisone, la pecora si rialza, vacilla un po’ e poi torna di corsa nel gregge.

Quando siamo sempre stanchi, quando tutto ci costa fatica, quando siamo depressi, è perché non siamo al nostro posto nel mondo. Ci siamo persi, viviamo lontani da noi e dai nostri valori. La stanchezza, come per la pecora, è un modo “gentile” della natura per non farci allontanare ancor di più.

Allora: quando sono infelice di tutto, quando niente mi riempie, mi entusiasma, quando mi sento sempre depresso o triste, quando sono sempre insoddisfatto vuol dire che mi sono perso. Sono come quella pecora: fuori dal mio gregge, fuori di me, fuori dai miei valori, fuori dalla mia strada.

Per quanto lontani si vada, per Dio non siamo mai troppo lontani. “Per quanto lontano o in basso sei caduto, non è mai troppo tardi. Quanto tu ti “fai”, ti butti nell’alcool, rovini la tua famiglia o i tuoi figli, perdi tutti i tuoi soldi, vieni scoperto a fare qualcosa che non avresti dovuto fare (o mille altri errori), tu perdi il tuo valore. Agli occhi di chi ti è vicino e del mondo, tu non vali più niente (è per questo che si prova vergogna). Ai tuoi stessi occhi non vali più (e questa è la cosa più difficile da accettare): “Guarda cos’ho fatto? Imperdonabile! Come ho potuto? Che vergogna!”.

Ma il vangelo è il recupero di tutto ciò che era perduto. Nel vangelo, se tu sei morto puoi tornare in vita e a vivere. Nel vangelo, se tu sei ammalato puoi tornare a guarire. Nel vangelo, se tu sei paralizzato puoi tornare a camminare e se sei cieco puoi tornare a vedere. Nel vangelo, se tu sei andato a fondo puoi tornare a galla. Nel vangelo, se tu sei diventato un peccatore puoi essere perdonato e tornare puro e integro. Nel vangelo nessuna esperienza negativa è veramente definitiva, se tu lo vuoi, nessun errore (agli occhi di Dio) vi farà perdere mai la vostra dignità e il vostro valore.

 

Il vangelo non a caso dice: “Dieci dramme e cento pecore”. Dieci, cento indicano una totalità. Tu vivi, sei contento del lavoro, della famiglia: tutto va bene. Ma c’è qualcosa che ti manca. Non sai cosa, ma senti che non basta, che non sei mai veramente felice, proprio soddisfatto della tua vita. C’è sempre una irrequietudine, un’agitazione, un nervosismo lieve ma presente.

E’ la situazione delle tue parabole: ci sono nove dramme, ma in realtà manca qualcosa. Ci sono ben novantanove pecore, ma in realtà ne manca. Non ci potrebbe accontentare? Sì, si può… molti lo fanno.

La maggior parte delle persone non vive male, anzi. Ma le manca sempre qualcosa. Il vangelo dice: “Cerca quel di più, cerca quel qualcosa che ti farà vivere in pienezza, appassionato, impegnato, coinvolto, dentro e che ti farà sentire così terribilmente vivo”. Il vangelo è chiaro: “Non ci può essere gioia vera e profonda finché non si è trovato proprio quello” (15,6.9). Il pastore deve lasciare tutte le sue novantanove pecore (le sue certezze) e fare un cammino per trovare la gioia. La donna deve accendere la luce (consapevolezza), lasciare i suoi lavori (dedicarsi cioè a quello e non ad altro) e cercare, per trovare la vera gioia. Bisogna lasciare molti tesori (che ti possono essere rubati e che tu temi di perdere) per trovare il vero tesoro che non ti può essere rubato. Perché la gioia più grande sta nel tesoro più grande.

E’ il salto della fede: quello che fa di un uomo religioso un uomo di fede. Lasciare certezze, regole, sicurezze, farsi scombussolare, fare un viaggio che ti porterà lontano, molto lontano, che ti farà diverso, per trovare non un tesoro ma il Tesoro.

 

Un uomo uscì correndo dalla sua casa alla vista di un monaco che attraversava il suo villaggio e lo afferrò per il collo della tonaca: “Dammela! Dammi la pietra”. Il monaco chiese: “Di quale pietra stai parlando?”. E l’uomo rispose: “Ieri notte Dio mi è apparso in sogno e mi ha detto: “Un uomo passerà per il tuo villaggio domani a mezzogiorno. Se ti darà la pietra che ha nella sua sacca sarai l’uomo più ricco del mondo”. Quindi dammi la pietra”. Il monaco rovistò nella sua sacca e ne estrasse un diamante enorme, il diamante più grande del mondo. Allora disse: “E’ questa la pietra che vuoi? E’ grossa come un pugno; l’ho trovata nella foresta, Prendila è tua!”. L’uomo gli strappò la pietra dalle mani e corse a casa. Quella notte però non riuscì a chiudere occhio. Al mattino, trovò dove il monaco dormiva sotto un albero frondoso, lo svegliò e gli disse: “Riprenditi la pietra, ma dammi la ricchezza che ti permette di dar via un diamante come questo”.

 

 

 
 
 
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La sera quando i pensieri, i ricordi
Si fanno più intensi
Accendi una candela
Sarà la luce del tuo Angelo.
Nella penombra,Egli saprà farsi sentire
Saprà farsi ascoltare.
In quei momenti non avrai freddo
Ma sentirai la pelle d’oca,
sentirai nel tremolio della fiamma
il volteggiare delle Sue ali,
sentirai nel calore della fiamma
il Suo alito baciare il tuo viso.
Egli sorriderà hai tuoi sogni
E veglierà il tuo sonno.!
( michael)

 

 

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Orme di piedi
sfiorano fili d'erba.
Orme in scia
alla ricerca del tempo
trascinano un ricamo
su quel prato decorato di fiori.
Petali riflessi nella notte
oscurano le stelle,
leggeri desideri sfiorano
la luminosità dell'anima.

 

 

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