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Che la critica non possa spingersi oltre una certa misura è una considerazione intuitiva per chiunque. Ma determinare tali limiti non è sempre facile. Un chiarimento, però, proviene da una sentenza della Cassazione pubblicata una settimana fa. Secondo la Corte, quando si critica qualcuno è sempre necessario non utilizzare espressioni infamanti e inutilmente umilianti che si traducano in una pura aggressione verbale del soggetto criticato. Insomma: critica sì, ma con tranquillità ed un vocabolario civile, senza trascendere nel personale. Secondo giurisprudenza ormai consolidata, infatti, l’unico limite all’esercizio del diritto di critica è essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui. La censura nei confronti dell’operato altrui non può essere una scusa per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale. La possibilità di criticare qualcuno, inoltre, tollera anche giudizi aspri sull’operato del destinatario, purché gli stessi si riferiscano solo alla circostanza oggetto della critica, senza trascendere da essa. In parole povere, non è possibile prendere spunto da dette circostante criticabili per sconfinare in attacchi a qualità o modi di essere della persona che prescindono completamente dalla vicenda concreta, assumendo le connotazioni di una valutazione di discredito in termini generali della persona criticata . Per esempio: se si vuole criticare il libro di uno scrittore e il suo modo di scrivere, non gli si potrà attribuire altri aggettivi come “stupido” o “raccomandato”. Se si vuole stigmatizzare l’attività di un politico non gli si potrà dire “corrotto” o “poco di buono”. E così via. (Fonte: laleggepertutti)
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