Il Baule dei Sogni

tutti hanno un sogno...

 

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Pensieri, parole, opere e omissioni.

Post n°15 pubblicato il 10 Dicembre 2010 da Pamfile

Penso a lui praticamente ogni momento della mia giornata. Sono pensieri senza interruzione dal momento in cui mi sveglio a quando vado a letto la sera. E’ nella mia testa appena apro gli occhi e  stiro le mie membra intorpidite dal sonno. E’ nei  brividi che l’aria fredda provoca sulla mia pelle quando sposto lentamente le coperte e, pigra, tento di alzarmi. E’ nell’unica  maglia che indosso e che allungo fino ai piedi inutilmente;  è comunque troppo corta per coprirmi tutta. E’ negli occhi che si aprono lentamente alla luce.  E’ contemporaneamente, l’acqua calda della doccia e il sapone che scivola lento sulla pelle.  E’ nel tessuto dei vestiti che porto addosso tutto il giorno e che lascio cadere a terra, sul pavimento, solo a sera inoltrata.

Si insinua tra le parole che escono dalla mia bocca mentre parlo con chi incontro durante il giorno. Danza lentamente con la mia lingua mentre il cervello elabora le lettere che devono formare le parole, il significato che devono assumere, il loro suono.

E’ nelle privazioni imposte come opere "buone". Nel non sentire la sua voce, nel non cadere nei suoi abbracci, nel non baciare le sue labbra, nel non danzare con la sua lingua, nel non toccare  le sue mani, nel non giocare con le sue dita, nel non accarezzare la sua pelle, nel non fondersi con la sua anima.

Sono continue omissioni in virtù di non so bene quale principio.

Ma sono cose reali e vive. Nonostante tutto.

 
 
 

“Andiamo… racconta!”

Post n°14 pubblicato il 07 Dicembre 2010 da Pamfile

Non ricordo esattamente come fossimo usciti dalla Caffetteria, né come siamo arrivati a casa. So solo che la  mattina seguente, quando la sveglia ha suonato, mi sono ritrovata con Aidan accanto a me nel letto. Lo stesso letto che normalmente divido con Teofilo. Credevo fosse un sogno ma quando l’ho visto muoversi e girarsi dall’altra parte, ho capito che non lo era; e che dovevo assolutamente fare qualcosa per uscire da quella situazione. Mi sono alzata senza fare il minimo rumore, ho afferrato la prima cosa che ho trovato sulla poltrona accanto al letto e mi sono diretta in bagno. Avevo assolutamente bisogno di una doccia, possibilmente fredda, per tornare in me. Sulla porta della camera, immobile come una statua, c’era Teofilo che mi guardava con aria di sfida e come se volesse dirmi “chi diavolo è quello e perché dorme nel mio letto??!”.

“Lo so a cosa stai pensando.. ma adesso non è il momento.. ne riparliamo!” ho bisbigliato.

Sembrava avesse capito la situazione, perché si è diretto alla sua cesta e vi si è sistemato. Dopo circa mezz’ora ero pronta per recarmi al lavoro. Gli ho lasciato un post-it attaccato allo specchio all’entrata, l’avrebbe sicuramente visto se si fosse recato in cucina o anche solo uscendo; almeno spero. Diceva semplicemente” Sono dovuta correre al lavoro. Ci sentiamo”. Ho realizzato dopo, mentre camminavo per strada che né io né lui avevamo i rispettivi numeri di telefono. Meglio, pensai. Ho passato quasi tutto il pomeriggio chiedendomi come avessi potuto fare quello che ho fatto, per di più lasciarlo entrare in casa mia e farlo dormire nel mio letto. In fondo, cosa sapevo esattamente di lui? Assolutamente nulla. Credo di aver combinato anche qualche guaio in negozio, perché la madre di Claire, Hellebore, si è affacciata più di una volta dalla porta che dà sul retro chiedendomi se fosse tutto apposto e se avessi bisogno di una mano. Evidentemente, era palese che ci fosse qualcosa di diverso in me quel giorno. All’improvviso, come folgorata da una scarica elettrica mi sono resa conto di quale sarebbe stato il vero problema. Claire. Come potevo non dirle ciò che era successo? In fondo siamo praticamente spariti entrambi nello stesso momento dalla Caffetteria e sia lei che Leo si saranno chiesti dove fossimo finiti. E se fosse passata da casa mia, e lui avesse aperto la porta? Che casino! Dovevo dirle tutto il prima possibile, a costo di passare per quella che si porta a letto il primo che capita. Avrebbe capito la situazione?! Non credo, ma dovevo farlo comunque. Non è servito che la chiamassi o che passassi dalla Caffetteria a fine lavoro; anche perché non era proprio mia intenzione. Se ci fosse stato Aidan ad aspettarmi? No, per qualche giorno quella sarebbe stata una zona off limits. E’ bastato che chiudessi il cancello del negozio, mi voltassi per andarmene a casa, per trovarmela davanti. Era appoggiata al muro con le braccia conserte e il viso sufficientemente tirato. Segno inequivocabile di brutti presagi.

“Ciao Claire” ho detto nel modo più naturale possibile.

“Allora??! Non hai nulla da dirmi?!”.

Oddio, comincia subito così?. Pensò tra me.

“In effetti, ti avrei chiamata più tardi”.

“Più tardi?! Più tardi quando??!”

“Più tardi… dopo essere arrivata a casa, fatto una doccia..”

Non mi ha neppure fatto finire di parlare.

“Il tuo “più tardi” è arrivato. Sentiamo. Dove cavolo sei sparita ieri sera?”.

“Eh.. “ .

Non tergiversare e vai dritta al sodo. In fondo che cosa sarà mai?! Ho pensato tra me.

“Io e Aidan siamo saliti in terrazza e..”.

“Questo lo so. Mi manca il dopo… ti ricordi? Quando sei andata via senza neppure venirmelo a dire e lasciandomi da sola con Leo. Non avevamo detto di rimanere insieme?!”.

Oddio, ma perché reagiva così?! Non era quello che voleva rimanere sola con Leo?!

“Scusa, Claire.. è che mi sono dimenticata di venirti a salutare. E’ successo tutto così improvvisamente che..”

“Ahhhhhhh…”

E ora che succede?! La guardo come se avessi visto per la prima volta un alieno. Ed è tutto un dire perché non mi impressiono così facilmente.

“Lo sapevo.. lo sapevo… ho vinto!!!” mi saltella davanti come una pazza.

Ma è la stessa persona di qualche secondo prima?! E poi sarei io quella “strana”.

“Scusa ma mi sono persa qualcosa.. che cosa hai vinto?”.

“La scommessa”. Mi dice come se fosse la cosa più normale del mondo.

“Non capisco. Quale scommessa?!”.

“Io e Leo abbiamo scommesso su te e Aidan, ieri sera quando non vi abbiamo più visti. Lui era sicuro che ti avesse riaccompagnato a casa per poi salutarti e chiederti di uscire il giorno dopo”.

Adesso cominciavo a rendermi davvero conto.

“E tu? Che cosa hai scommesso?”.

“Che Aidan ti avesse non solo accompagnata a casa, bensì in casa. E aveste passato la notte insieme.. è così, vero?! Ha dormito da te!??”.

La odio quando sottolinea le parole con quello strano gesto delle virgolette fatto con le due dita della mano. L’aveva fatto anche adesso, citando la parola “dormito”.

“Non sono affari tuoi!” le rispondo seccata.

“Ha dormito da teeeee!!!! Ho vintooo!!”.

“Shhhh.. vuoi parlare piano? A quello dell’ultimo piano non interessa ciò che faccio”.

“A lui forse no, ma a me si. Andiamo racconta..”.

Claire è veramente una persona strana. Molto più di me che cerco di nascondere la mia stranezza agli occhi degli altri. Abbiamo trascorso l’ora successiva sedute su una panchina del parco a parlare; ovviamente non ho potuto tralasciare neppure il più piccante dei dettagli. E mentre ero lì,  cercavo di immaginare la scena vista dall’esterno: due ragazze sedute su una panchina, un panino e una birra come cena, coperte nelle loro sciarpe per proteggersi da un freddo che neppure sentivano; prese com’erano a raccontarsi un segreto e a riderne di gusto.

 
 
 

Incontri ravvicinati di un certo tipo (ultima parte)

Post n°13 pubblicato il 06 Dicembre 2010 da Pamfile

“Ciao  Leo” .

Claire si tende verso di lui e gli stampa una bacio sulla guancia.

“Ciao Claire. Come stai?”.

“Bene, grazie. Tu?”

“Non mi lamento. Che si dice della festa?”. Dice guardandosi intorno come a volersi sincerare della situazione.

“Uhm.. per ora niente di eccezionale. Credo che si debba ancora scaldare l’ambiente.”

“Perfetto, allora siamo arrivati al momento giusto. A proposito, lui è Aidan”.

 Aidan.  Allora è così che ti chiami.

 “Ciao Aidan, io sono Claire e lei è Meroe”.

I nostri occhi si incontrano ancora una volta e ancora una volta gli stessi brividi provati solo qualche minuto prima.

“Roe” gli dico stringendogli la mano. La sua pelle è morbida al tatto e la sua mano si incastra perfettamente con la mia.

“Ciao”. 

Non mi sono sbagliata. La stessa voce calda e sensuale ascoltata qualche giorno prima. Osservo Claire parlare con Leo. E’ sicura, calma. Non sembra neppure lei e credo che in parte sia dovuto al terzo Cosmopolitan che tiene in mano.

“Ci sediamo a un tavolo?” propone Claire strizzandomi l’occhio e voltandosi verso Aidan.

Capisco immediatamente che cosa abbia in mente e la cosa non mi piace molto. Ho capito ormai da tempo che quando si mette in mente una cosa è veramente difficile farle cambiare idea; e ciò che ha in testa stasera è gettare le basi per una prossima uscita. A quattro, ovviamente. Ci sediamo e mi rendo subito conto che lo spazio è ridotto. Le nostre gambe si toccano involontariamente sotto il tavolo e quando accade, mi guarda spogliando le mia anima con gli occhi. Da così vicino riesco solo a sentire il suo profumo. Le mie narici si tuffano completamente in quella fragranza fresca e legnosa che nasconde note di mandarino, zafferano, cedro, e ambra. Non sento nessuno dei discorsi di Claire e Leo, né la musica in sottofondo. Non riesco a concentrarmi su nulla che non sia lui. Sui suoi capelli, i suoi occhi grandi, le sue labbra carnose  e perfettamente delineate che si aprono come un sipario e lasciano intravedere  i denti bianchi quando sorride, sulla pelle che spunta dal colletto della camicia, sulle sue mani dalle dita lunghe e affusolate. Lo osservo parlare e bere e non posso non notare la sicurezza che emana mentre trattiene il bicchiere tra le dita e gesticola. Mentre mi parla, mi rendo conto che spesso i suoi occhi si perdono nei miei per poi soffermarsi veloci sulle mie labbra e lì rimanere.

“Noi ci buttiamo nella mischia, voi che fate?” chiede Claire guardando entrambi con curiosità.

Rispondo d’istinto senza neppure aspettare di sentire ciò che Aidan sta per dire.

“Io passo”.

E poi lo sento dire che anche lui aspetta il prossimo giro e che andrà a fumarsi una sigaretta in terrazza.

Osservo Claire e Leo allontanarsi e gettarsi in mezzo alla folla festante. Aspetto che sia lui a dire qualcosa, sicura che stia solo cercando il modo migliore per chiederlo. E poi, all’improvviso le sue parole arrivano dritte come una freccia.

“Io salgo a fumare una sigaretta.. ti va di farmi compagnia?”.

Aspetto qualche secondo prima di rispondere.

“Volentieri” rispondo alzandomi a dirigendomi verso le scale che portano all’esterno.

Salgo i gradini molto lentamente e uno alla volta lasciando scorrere le mie dita sul ferro freddo del passamano. Lui è dietro di  me e anche di spalle riesco a percepire il suo sguardo che passa leggero dalle mie mani al mio corpo. La terrazza all’esterno è deserta a causa del freddo pungente e illuminata dalla luce di piccole candele posizionate a terra come ad indicare un percorso segreto. Lo vedo alzarsi il bavero della giacca per coprirsi il collo e portarsi le mani davanti alla bocca come a volersele scaldare con il respiro. In realtà sta solo cercando di accendersi la sigaretta che tiene racchiusa tra le dita. Come per magia, tra le sua mani appare un puntino di luce rosso fuoco e una nuvola di fumo si alza leggera verso l’alto. Lo osservo attentamente mentre si riempie la bocca del fumo caldo della sigaretta e alza impercettibilmente il viso verso l’alto come a volerlo indirizzare esattamente dove vuole lui. Non posso non notare che, anche attraverso la cortina di fumo che ci circonda temporaneamente, i suoi occhi sono ancora puntati su di me e osservano ogni mio movimento o espressione del viso.

“Non hai freddo?” mi chiede appoggiandosi alla ringhiera della terrazza.

“No, sono abituata a ben altro freddo, credimi!”.

“Da dove vieni esattamente?”.

Forse scapperesti a gambe levate se ti dicessi davvero da dove provengo ma credo che sia  ancora presto per farti andare via così, penso tra me.

“Ho origini irlandesi. Mia madre è nata e cresciuta in Irlanda. C’è rimasta fino alla mia nascita, dopodiché ci siamo trasferite per un po’ in Inghilterra”.

Solo qualche secolo.

“Bello! Quindi hai cominciato molto presto a viaggiare. Ti piace?”.

“Si, non mi dispiace.. ma credimi, non è sempre bello doversi spostare da un posto all’altro del mondo”.

“Del mondo?! Passare dall’Irlanda all’ Inghilterra non è il viaggio intorno al mondo…”

“In effetti no. Ma se consideri anche la Finlandia, la Svezia e la Norvegia e poi l’Italia, ma la prima volta solo di passaggio verso la Grecia, e ancora Africa, Sud America, e Australia…”

Adesso mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite. Forse dovevo tralasciare qualche passaggio  rispetto a quelli volutamente non citati.

“Hai visto tutti questi posti?”.

Molti di più e più di una volta, credimi! Ma evito di dirglielo.

“Mia madre era un tipo un po’ strano, in effetti. Quando si stancava di un posto, le piaceva cambiare. E capitava molto spesso”.

“Cavoli!! Bellissimo… Chissà quanto avrai imparato da tutto ciò che hai visto. Sono convinto che non ci sia niente di più bello che viaggiare e conoscere nuove culture e stili diversi di vita”.

“Si. E’ vero. Lo penso anch’io”.

E’ sceso il silenzio, dopo. Ha continuato a guardare fisso davanti a se come se stesse cercando qualcosa oltre tutto quel buio. Poi inaspettatamente mi ha preso la mano nella sua e ha cominciato ad accarezzarla piano, tracciando con le sue dita un percorso immaginario. Ci siamo seduti su un divano di vimini nell’angolo della terrazza ed è successo tutto così velocemente da non rendermi effettivamente conto di ciò che stava per accadere. O forse, si. Le nostre bocche si sono sfiorate e fuse in un bacio caldo e carico di desiderio. Le lingue giocavano a rincorrersi, incontrandosi e scontrandosi come in una danza propiziatoria. Entrambi sentivamo il desiderio salire lento sulla pelle, nelle mani che si cercavano e si spogliavano freneticamente. Con un solo gesto mi ha preso per i fianchi e portata sopra di lui; adesso il suo profumo era mischiato con quello della sua pelle e la mia lingua non poteva fare altro che saziarsi di quell’essenza come fosse una droga irresistibile. Il cuore ha accelerato il suo normale battito, il respiro si è fatto improvvisamente più intenso e nel silenzio tutto intorno si udivano solo i nostri sospiri frenetici e avidi di desiderio. Ho preso il suo viso tra le mani come fosse una sfera preziosa e le mie dita hanno giocato con la sua e la mia lingua per un tempo infinito. Ho sentito le sue mani posarsi sul seno e cercare di farsi strada tra il vestito alla ricerca spasmodica dei miei capezzoli, diventati turgidi al suo primo tocco. Ho avvertito la sua bocca calda appoggiarsi sulla pelle e succhiarli entrambi avidamente, le sue dita farsi strada sulle mie gambe nude e finire la loro ricerca affannosa sul pizzo della biancheria intima. Ricordo di aver pensato al fatto che chiunque poteva sentire le nostre grida di piacere nonostante la musica al piano di sotto; l’ultimo sprazzo di razionalità prima di cedere definitivamente e inesorabilmente verso il piacere più intenso che avessi mai provato.

 
 
 

Incontri ravvicinati di un certo tipo (seconda parte)

Post n°12 pubblicato il 06 Dicembre 2010 da Pamfile

Sono arrivata alla festa in perfetto orario ma di Claire nemmeno l’ombra. Ho attraversato l’ingresso della Caffetteria fino all’interno. Una volta dentro, mi sono diretta nella stanza allestita per la serata. L’ambiente non sembrava neppure quello di sempre. Le pareti erano state rivestite con grandi specchi, le luci soffuse avevano lasciato il posto a grandi lampadari di cristallo, i vecchi mobili di legno antico sostituiti da ripiani, tavoli e sedie di acciaio con intarsi di un bianco laccato che li facevano sembrare ancora più  freddi e privi di anima.  Sopra ad ogni tavolo era stato posizionato un contenitore con all’interno un bouquet di rose rosse e sul fondo della sala, le scale che portano alla terrazza sul tetto, erano ricoperte da un tappeto cremisi che metteva ancora più in risalto il bianco e l’acciaio tutt’intorno.  Ero così presa dall’osservare tutto questo che non ho sentito immediatamente gli sguardi dei presenti su di me; mi ci sono voluti alcuni attimi per rendermi conto che dal momento in cui ero entrata in quella stanza e l’avevo attraversata, tutti i presenti si erano voltati a guardarmi. Solo allora ho avvertito i loro sguardi posarsi sui miei piedi, fasciati da altissimi sandali di lucida vernice nera e decorati unicamente dalle unghie laccate di rosso. Li ho sentiti arrampicarsi lungo le gambe nude, posarsi sul tubino nero aderentissimo che lasciava completamente scoperte le spalle e la schiena bianca e finire il loro tragitto sulle labbra  rosso fuoco e sui lunghi capelli neri fermati sulla nuca da una spilla.

Ho visto accendersi negli occhi degli uomini la luce del desiderio e in quelli delle loro accompagnatrici la scintilla dell’ insicurezza.

Sarei potuta rimanere a godermi quell’attimo per ore. Ho da sempre suscitato negli esseri umani  questo tipo di reazione alla mia presenza e credo di essermi talmente abituata a tale risposta, che spesso, mi piace portarla all’estreme conseguenze. E’ proprio grazie a questo, e nonostante le scelte fatte, che riesco ancora a sentire dentro di me il mio essere strega.

“Sei bellissimaaaaaa!!!!”.

Faccio appena in tempo a voltarmi che vedo una pazza scatenata con una gonna color cipria e una canotta beige, corrermi incontro con due bicchieri in mano.

 Almeno è riuscita a scegliere il vestito da indossare, penso tra me sorridendo.

“Tieni, questo è per te. Te lo offrono dal bar. Non dovrei, perché mi ha espressamente chiesto di non farlo ma, è da parte del ragazzo con la camicia a righe”.

Facendo finta di niente intravedo con la coda dell’occhio il ragazzo seduto al bar . Ha effettivamente una camicia a righe ma di un colore improponibile e uno spesso paio di occhiali che fanno sembrare i suoi occhi ancora più piccoli di quello che sono realmente. Lo ringrazio comunque, alzando  il calice nella sua direzione e bevendo un sorso dal bicchiere. Almeno ha gusto in fatto di drink.

“Fatti vedere” mi dice Claire facendomi fare un giro su me stessa “Sei una favola!”.

“Grazie, anche tu stai molto bene. Il rosa ti dona”.

“Trovi?” mi chiede guardandosi in uno dei tanti specchi che circondano la sala.

In effetti, il fatto di essere circondati da specchi ti permette di avere tutto sotto controllo. Puoi osservare chiunque ti stia intorno senza troppa indiscrezione. Ci sediamo a uno dei tavoli ancora liberi e comincia a raccontarmi di chi c’è e di chi manca, non tralasciando i suoi soliti commenti sull’abbigliamento delle altre ragazze presenti.

“Sai chi è arrivata poco fa?”.

“Chi?”.

“La Strega.. quella con S maiuscola!”.

Non sapevo fossimo in due, penso divertita.

“Chi è la strega?”.

“Come chi è?! Te ne ho parlato al telefono, ricordi?”.

Effettivamente qualche giorno fa mi aveva chiamata al lavoro e tenuta più di mezz’ora al telefono per raccontarmi che una ragazza,  ribattezzata “la Strega”, aveva cercato di uscire con Leo  il ragazzo a cui lei sta facendo la corte da qualche mese a questa parte.

“Ti rendi conto?! Si è presentata lo stesso dopo quello che ha fatto”.

“Ma voi non state insieme”.

“Non ancora.. ma se per questo neppure lei ci sta”.

“Vero. E  lui è qui?”.

“So per certo che dovrebbe arrivare”.

“Allora forse è la volta buona”.

“Se non torno a casa con lui neppure stasera, basta.. mollo tutto e me ne vado a vivere in una foresta sperduta”.

“Non ci si vive bene, sai?”.

“Dove?” mi chiede sorpresa.

“In una foresta sperduta”.

“E tu che ne sai, scusa?”.

“Niente… immagino solo che non debba essere semplice”.

“Lo dici come se sapessi davvero cosa voglia dire”.

Devo ricordarmi più spesso di evitare di replicare improvvisamente. Possono uscirmi dalla bocca cose difficili da spiegare, esattamente come in questo caso.

Sono ancora immersa in questo tipo di pensieri, quando il mio corpo viene scosso da una serie di brividi. Li sento partire dal fondo della schiena e risalire la colonna vertebrale fino al collo.

“Sei troppo scollata” mi dice Claire guardando la mia pelle “Dovresti metterti qualcosa sulle spalle”.

“Sembri mia nonna” le dico ridendo.

“Si, intanto tu domani sarai a letto con la febbre e tua nonna, qui, se la starà spassando con tu sai chi. A proposito,  guarda un po’ chi è appena entrato?!” mi dice indicando l’entrata del locale oltre le mie spalle.

Mi volto e il sorriso stampato in faccia si gela all’improvviso, lasciando scoperti i denti bianchissimi.

“Hai visto che è arrivato?! Che ti avevo detto?!  afferma con gli occhi che le brillano.

I miei occhi, invece, sono fissi sulla persona che sta parlando con l’amico di Claire.

“Forza, alzati e andiamo” mi dice prendendomi per un braccio e facendomi alzare dalla sedia.

“Andiamo dove?”

“Da lui!! Deve assolutamente vedermi… e poi non lamentarti che non ti faccio conoscere gente.  Anche lui ha portato una novità!”.

Le cose di complicano penso mentre ci dirigiamo nella loro direzione. Mancano solo pochi passi e ancora non si sono accorti di noi.  Sono sempre in tempo per tornare indietro. “Scegliere se andare avanti o tornare indietro, se parlare o restare in silenzio, se agire o lasciare che altri lo facciano per me, se svelarmi o nascondermi, se arrendermi o combattere, se restare o fuggire. Sono qui perché ho scelto di esserci”. Decido di andare avanti. Di parlare se chiamata in causa, di agire se necessario, di svelarmi se devo farlo, di combattere questa tensione che non capisco ma alla quale non riesco a non oppormi, di restare e vedere come va a finire. Scelgo di esserci.

 
 
 

Incontri ravvicinati di un certo tipo (prima parte)

Post n°6 pubblicato il 20 Novembre 2010 da Pamfile

 Assomiglia allo squillo  di un telefono in lontananza. Sembra provenire da un altro mondo, però,  perché è distante, ovattato eppure così reale.  Apro solo un occhio per capire se ciò che stanno ascoltando le mie orecchie è vero oppure si tratta di un sogno. E capisco che nella stanza ancora buia sta effettivamente suonando un telefono, e il suono proviene esattamente dal comodino accanto al mio letto. Sta suonando il cellulare. Mi maledico per non averlo spento le sera precedente, e allo stesso modo maledico chi si permette di chiamarmi alle.. a proposito, ma che ore sono?  Apro entrambi gli occhi e la luce rossa della sveglia sul comodino segna le dieci.  E’ domenica mattina. Sollevo la testa dal cuscino e ancora addormentata allungo un braccio e afferro il cellulare. Teofilo si sposta dall’altra parte del letto infastidito dai miei movimenti. Rispondo senza neppure vedere il nome sul display e sento solo una voce squillante da tre del pomeriggio.

“Pronta per oggi?”.

“Chi parla?” .

Sono le uniche parole che mi escono dalla bocca ancora impastata dal sonno.

“Come chi parla?! Sono Claire… chi diavolo credevi che fosse?”.

Appunto. Chi diavolo credevo potesse chiamarmi alle dieci di domenica mattina se non Claire.

“Ciao Claire.  Scusa ma non ti avevo riconosciuta..”

“Non dirmi che ancora stavi dormendo.. ti ho svegliato?”

“No.. figurati. Ho giusto finito di pulire casa. Claire sono le dieci di domenica mattina. Cosa credi che si possa fare a quest’ora se non dormire?“.

“ Tantissimi cose”.

Mi chiedo come faccia a essere già  così pimpante di prima mattina. Io riesco a malapena a capire dove mi trovo.

“Tipo?” le chiedo curiosa.

“Ti dico solo una parola e non farò in tempo a finire la frase che so già che sarai sotto la doccia”.

“Sentiamo la parola magica”.

“S-h-o-p-p-i-n-g”.

Il mio primo pensiero non è stato proprio quello di lanciarmi giù dal letto, scaraventarmi sotto la doccia e cercare al volo la prima cosa da mettermi per recarmi fuori casa a fare shopping. Devo essere sincera. Ma ho finto comunque un minimo di entusiasmo. Ho intuito, da quel poco tempo che sono qui, che le ragazze adorano questa parola e tutto ciò che le gira intorno. Ancora non mi è chiaro il motivo, ma credo che alla fine di questa giornata ne capirò senz’altro di più.

“Wow!! E per quale occasione? Sempre che debba essercene una”.

“Infatti. Normalmente non c’è nessuna ragione precisa per fare shopping con un’amica. Anzi con la tua migliore amica. Ma oggi non è così. Ti ricordi che giorno è?”.

Mi trattengo dal non menzionare ancora una volta che è il sacrosanto giorno dedicato all’ozio.

“Oggi è  S. Andrea e stasera ci sarà la festa organizzata dalla Caffetteria!”.

Rifletto solo un istante sul fatto che la sua voce assomiglia a quella di una bambina il giorno del suo compleanno; e che avevo completamente dimenticato questa cosa  nonostante da giorni non si parlasse d’altro. Ogni anno, per la ricorrenza del patrono della città, il padrone della Caffetteria dove lavora Claire organizza una festa nel locale. Sembra sia un evento irrinunciabile per i ragazzi e le ragazze del posto, i quali portano a loro volta degli amici. Ogni anno qualcuno  di nuovo,  in modo da allargare la cerchia dei conoscenti e degli amici. E dei clienti, aggiungo io.  Quest’anno, io sono la novità introdotta da Claire.

“Ah già” fingo di ricordare “la festa”.

“Appunto. La festa alla quale tu e io andremo stasera e per la quale abbiamo bisogno di trovare un vestito adatto all’occasione. Quindi s-h-o-p-p-i-n-g”.

“Deduco dall’entusiasmo che sprigioni che io non possa tirarmi indietro, vero?”.

“Assolutamente no. Sei la mia novità quest’anno e so già che mi farai fare un figurone. Anzi, devi farmi fare un figurone”.

“Claire, è solo una banalissima festa alla quale parteciperanno le stesse persone dell’anno scorso, accompagnate dagli stessi amici dell’anno scorso”.

“Ti sbagli. Non è così.. è una festa importante. E’ l’evento che si aspetta tutto l’anno… è come se fosse il giorno del proprio compleanno e del Natale, insieme. Non è una festa come le altre, credimi”.

“Wow.. figurati che non festeggio il mio compleanno da secoli, ormai. E odio il Natale”.

“Smettila. Vedrai che ti divertirai un sacco. Ci saranno buona musica, ottimo cibo, vini pregiati e tante persone nuove.. allora, a che ora passo a prenderti?”

 Inutile provare a resistere oltre. Ho imparato che quando l’entusiasmo di Claire raggiunge questi livelli, è praticamente impossibile farla desistere dal suo obiettivo. E il suo obiettivo odierno è portarmi a comprare un vestito carino per la festa di questa sera. In fondo, ho attraversato e superato di peggio nella mia vita. Cosa sarà mai una festa?

Ci siamo accordate per l’ora successiva. Il tempo necessario per alzarsi definitivamente dal letto evitando di  riaddormentarmi, preparare il caffè, fare una doccia, truccarmi, vestirmi e raggiungere Claire. Abbiamo girato negozi su negozi. Prima di abbigliamento e solo una volta scelto il vestito giusto per l’occasione, siamo passate  alle  calzature. Come avevo previsto,  io non ho trovato nulla di interessante da acquistare mentre Claire ha fatto razzia di gonne, maglioncini, mini abiti e scarpe dai tacchi altissimi. Nonostante le molte borse in mano e i pochi soldi rimasti nel portafogli, era ancora indecisa sul vestito da indossare per quella sera.

“Sai, non so ancora quale mettere. Il tubino nero di pizzo o la gonna color cipria  con la conotta beige?”.

“Stai benissimo con entrambi. Vedrai che sarà un successo garantito, qualunque sia la tua scelta finale”.

“Perché non hai comprato quel vestito turchese?! Ti stava benissimo”. Mi ha chiesto accendendosi una sigaretta.

“ Troppo appariscente”.

Ci siamo sedute a un tavolo esterno della Caffetteria. All’interno erano tutti in fermento per cercare di organizzare al meglio gli ultimi dettagli della festa. Mi sono guardata intorno per tutto il tempo. Come se fossi alla ricerca di qualcosa ma  senza sapere cosa stessi cercando e perché.  

“Aspetti qualcuno?”.

Avevo gli occhi di Claire addosso praticamente dal momento in cui ci eravamo sedute al tavolo e aveva notato il mio strano comportamento.

“No, perché?”.

“Continui a guardarti intorno come se stessi cercando qualcuno o lo stessi aspettando”.

Ho cercato di glissare. Non potevo dirle che in realtà, speravo davvero di rivedere qualcuno. Una persona di cui non sapevo nulla, che avevo visto solo una volta nella mia vita e che forse non avrei mai più rivisto. Non le ho detto nulla, non volevo passare per una bambina stupida.

“Credo di dover andare. Devo prendere le crocchette per Teofilo prima di tornare a casa,  devo prepararmi e sono già le sette”.

“Okay, allora ci vediamo direttamente qui alle nove?”.

“Perfetto. Mi raccomando, non farmi fare la figura di quella che aspetta delle ore seduta al bancone del bar con un drink in mano. Decidi di impulso cosa indossare e soprattutto non guardarti troppo allo specchio; rischi di dover cambiare abito all’ultimo momento”.

“Va bene, non preoccuparti. Tu piuttosto, vedi di non darmi un bidone perché non hai nulla da mettere. Se lo fai, vengo a prenderti a casa con il vestito di mia nonna pur di farti uscire, capito?”.

“Ti stupirò”.

In realtà sapevo già prima di uscire di casa quella mattina, che cosa avrei indossato. Sono una persona decisa, che sa ciò che vuole. Sono stata abituata fin dall’inizio a scegliere senza pensare troppo alle conseguenze;  lo faccio da più di una vita e il mio intuito non mi ha mai abbandonata. Scegliere se andare avanti o tornare indietro, se parlare o restare in silenzio, se agire o lasciare che altri lo facciano per me, se svelarmi o nascondermi, se arrendermi o combattere, se restare o fuggire.

Sono qui perché ho scelto di esserci.

Sono qui perché ho deciso.

 

 

 
 
 

Pensieri al profumo di vaniglia

Post n°5 pubblicato il 16 Novembre 2010 da Pamfile

Quando rientro a casa la sera, dopo una giornata trascorsa al lavoro, la prima cosa che desidero è immergermi nella vasca da bagno. Acqua calda al profumo di vaniglia. E’ il mio rito serale; a essere sincera l’unico che mi è rimasto.

L’acqua scorre lentamente e lascio che il vapore invada pigro la stanza e appanni lo specchio e i vetri della finestra. Giro da una stanza all’altra lasciando come una unica scia del mio passaggio i vestiti indossati durante il giorno e accendo le candele sul bordo della vasca, prima di immergermi. Sento la pelle assorbire le proprietà dell’essenza fusa con l’acqua; adoro il dolce profumo che emana.

Narra una leggenda totonaca, una popolazione messicana dell’epoca precolombiana, che un giovane cacciatore rapì una principessa votata al culto della dea Tonacayohua. I sacerdoti riuscirono a catturare i due giovani e li sacrificarono alla dea. L’erba imbevuta del loro sangue seccò e diede vita ad un arbusto dal cui tronco spuntò un’orchidea profumata; l’anima innocente della fanciulla. L’orchidea era la vaniglia, che nacque così dal sangue di una principessa.

Osservo il riflesso delle fiamme sull’acqua e lascio che il silenzio mi faccia compagnia. I  pensieri si affacciano alla mia mente e rifletto sulla giornata appena trascorsa.

Oggi, alla caffetteria ho visto una persona. Un ragazzo. Era solo, seduto al bancone del bar e leggeva il giornale mentre aspettava che gli servissero il caffè. Non so perché abbia colpito la mia attenzione, il fatto è che l’ho osservato per quasi tutto il tempo in cui è rimasto lì. Indossava un maglione verde scuro che metteva in risalto il colletto di una camicia bianca, i jeans e un paio di scarpe sportive. Sulla sedia accanto, erano appoggiati una giacca blu e un paio di occhiali da sole. L’ho sentito scambiare qualche parola con il ragazzo accanto a lui; credo parlassero di sport e la sua voce mi è sembrata calda e sensuale esattamente  come la sua risata.

Credevo stesse aspettando qualcuno, forse la sua ragazza, ma è uscito da solo una volta terminato il caffè.

I nostri occhi si sono incrociati solo un istante nel momento in cui alzandosi, ha afferrato la giacca e gli occhiali dalla sedia accanto. Grandi, scuri, intensi. Occhi che trafiggono lo sguardo e il cuore e che sembrano guardarti dentro. Occhi che rimangono impressi nella mente per tutto il giorno e il cui ricordo ti appare all’improvviso nella mente sotto forma di flash mentre stai camminando per strada, mentre stai lavorando, parlando con altre persone, ascoltando altre voci, guardando altri occhi.

Perfino quando sei immersa nella vasca da bagno, a lume di candela, con gli occhi chiusi e sulla pelle il profumo di vaniglia.

 
 
 

Hellebore

Post n°4 pubblicato il 12 Novembre 2010 da Pamfile

L'erboristeria della madre di Claire si trova davvero nella strada in cui abito, ed è lo stesso negozio che ha attirato la mia attenzione la notte in cui sono arrivata. Quella sera l'entrata era sbarrata da un’inferriata e l'interno completamente immerso nel buio. Ricordo di aver provato ad avvicinarmi per cercare di capire che cosa vi fosse all'interno, ma senza nessun risultato.  Il buio era talmente fitto da non permettere di distinguere nulla.  E' stato questo ad attirare la mia attenzione, insieme alla strana sensazione provata davanti alla porta. Adesso che ci penso, ricordo di aver letto l'insegna ma in quel momento non gli ho dato importanza. Volevo arrivare a casa e ho proseguito oltre. Non ci ho più ripensato fino a quando Claire non mi ha detto che era di sua madre.

Ci siamo messe d’accordo per la mattina seguente. L’idea era che mi avrebbe presentato a sua madre dicendole che stavo cercando lavoro e tentato di convincerla ad assumermi. Non ero cerca che potesse funzionare, ma  ho deciso di provare comunque. 
Mentre aspettavo Claire sul lato opposto del marciapiede, ho cercato di sbirciare all'interno per vedere che aspetto potesse avere, ma invano. Sembrava non ci fosse nessuno.  Ho pensato ad un errore, al giorno di riposo, ma il cancello aperto e il cartoncino di benvenuto sulla porta sostenevano il contrario.

Claire è arrivata poco prima che decidessi di entrare fingendomi una normalissima cliente. La curiosità di vedere cosa ci fosse all'interno e incontrare sua madre mi stava logorando.

“Sei in ritardo” le ho detto seccata.

“Scusa, ma lo sai anche tu che il lunedì è impossibile trovare un parcheggio libero”.

“Tutti i pretesti sono buoni, eh?”

“ E’  insito nelle donne fare attendere, no?”

“Sì, se l’appuntamento è con un uomo e non è questo il caso”.

“Peccato! Non saresti mica male come fidanzato”.

“Piantala di fare la stupida e entriamo. E’ più di dieci minuti che sono qui davanti. Se tua madre mi ha visto, avrà senz’altro pensato a una ladra in fase di perlustrazione prima della rapina. A proposito, ma sei sicura che ci sia? Non ho visto nessuno dentro.”

“Certo che c’è. E’ che di solito è nel retro a preparare i suoi intrugli”.

Non avrei mai detto che l’ambiente fosse così spazioso. Sono stata accolta da un fresco profumo di agrumi. Limone forse,  e una piacevole essenza all’ arancio. Tutt’intorno, sugli scaffali di legno, una quantità impressionante di barattoli di vetro suddivisi per nome e contenenti estratti di erbe e infusi. E ancora olii essenziali, candele profumate e incensi. Al centro della stanza, una tavola allestita con sacchetti di iuta contenenti petali di fiori freschi e polveri colorate, in un crescendo di sfumature colorate e fragranze perfettamente miscelate. In fondo alla stanza, dietro un separé di bambù in stile etnico, ho scorto una porta socchiusa; evidentemente portava al retro di cui parlava Claire.

“Mamma, ci sei?!”

Nessuna risposta.

“Mammaaaa!!!!” ha urlato Claire.

Fortunatamente in quel momento non c’era nessuno in negozio, a parte noi.

La porta si è aperta all’improvviso e ne uscita una donna minuta, con la pelle talmente bianca da sembrare alabastro, due piccole fessure azzurre al posto degli occhi e una rosso rubino a delineare la bocca. I capelli corti, biondi e fermati in fronte da una larga fascia. Indosso un grembiule da lavoro, un paio di guanti di plastica gialli e sulla faccia l’aria contrariata di chi è stata interrotta nel suo lavoro.

“Quante volte ti ho detto di non urlare”.

Sono rimasta colpita dalla sua voce. Forte, energica, decisa. Inversamente proporzionale all’ aspetto fisico.

“Mamma, ti presento Meroe”.

Quando Claire ha pronunciato il mio nome, l’attenzione si è spostata immediatamente su di me. Ho sentito una forte diffidenza provenire dai suoi occhietti azzurri che mi scrutavano dall’alto al basso. Ma forse è stato solo un istante o una mia impressione; perché quando i nostri sguardi si sono incontrati, la luce dei suoi occhi era improvvisamente cambiata.

“Piacere Meroe. Io sono Hellebore, la madre di Claire”.

Ho pensato immediatamente dove fosse  finita la voce forte, energica e decisa.

“Può chiamarmi Roe.” le ho detto allungando la mano.

“Volete una tazza di tè, ragazze?”.

“Mamma, da quando in qua offri tè ai clienti?”

“Da sempre. Praticamente dal primo giorno che ho aperto. Se ogni tanto venissi a darmi una mano invece di servire ai tavoli caffè e cioccolate calde, lo sapresti.”

Anche in questo caso è bastato uno sguardo tra me e Claire per capirci. Ad Hellebore non piace che Claire serva ai tavoli della caffetteria.

“A proposito di questo, mamma… io e Roe siamo qui per chiederti se avessi per caso bisogno di una mano  in negozio…”

“Certo che ne ho bisogno. Te lo ripeto tutti i santi giorni, Claire”.

“Ecco.. a te serve un aiuto e a Roe un lavoro. Che ne dici di assumerla?”.

Ancora quel suo sguardo su di me. Possibile che sia solo una mia impressione?

Ci ha pensato un po’.  Il tempo necessario a servirci una tazza di tè caldo all’ aroma di frutti di bosco.

“Apro tutti i giorni, dal lunedì al sabato, dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 19.30. Puoi venire solo la mattina, se preferisci. Almeno inizialmente, intendo. Se poi vorrai venire anche il pomeriggio, a me fa solo piacere avere qualcuno su cui contare. Senza impegno, ovviamente. Puoi pensarci se vuoi”.

Ho osservato attentamente l’espressione dei suoi occhi, le smorfie del viso e ascoltato il suono della sua voce mentre mi parlava ma l’impressione iniziale era sparita. Ho chiuso in un angolo della mente il mio istinto, che di solito ascolto, e ho accettato.

Ho finalmente un lavoro. Avrò le giornate impegnate e guadagnerò i miei primi soldi, conoscerò molte persone nuove e cosa più importante tornerò, seppur in parte, alle mie origini.

Ma questo né Claire né Hellebore lo sapranno mai.  

 
 
 

Claire e il Giardino dei Segreti

Post n°3 pubblicato il 12 Novembre 2010 da Pamfile

Sono tornata alla caffetteria anche i giorni successivi, e continuo a farlo tutt’ ora.  E’ diventato il mio punto di riferimento e di partenza per l’organizzazione delle nostre giornate. Mie e di Claire. Siamo diventate amiche; ci vediamo la mattina, facciamo colazione insieme e spesso le faccio compagnia mentre lavora. Mi siedo a un tavolo, bevo qualcosa e leggo il giornale. Quando può, si prende qualche minuto di pausa e facciamo due chiacchiere. Mi piace. E’ stravagante -  che suona bizzarro detto da me -  ma simpatica e per niente fastidiosa. E soprattutto mi sta aiutando nella ricerca di un lavoro.
Comincia ad essere di fondamentale importanza che io riesca, nel giro di poco tempo, a trovarmi qualcosa da fare. Sono uno spirito libero, è vero, ma ho anche bisogno di vedere le mie giornate occupate. Senza considerare l’aspetto economico. Fino a poco  tempo fa non era di fondamentale importanza, lo ammetto. Riuscivo a cavarmela comunque. Ma da quando ho deciso di chiudere con il mio passato e di rinunciarvi, non posso fare finta di niente. Ho capito di avere anche bisogno di soldi.
“Potresti cercare qualcosa come babysitter”.
E’ bastato uno sguardo per capirci.
“E’ inutile che fai quella faccia. Ti ci vedo alle prese con i bambini”
“Davvero?!”
“Si.. davvero..”
“E da cosa lo vedi?!”
“Sei rassicurante e paziente e sai prenderti cura di tutto”.
“Io?!!  Se riesco a malapena a prendermi cura di me stessa! Ti ricordo che vivo con un gatto anche per questo. E’ indipendente e ha bisogno di me solo  per mangiare. Mi sembra un buon compromesso”.
“Okay. Allora cerca qualcosa come segretaria. Ci sono molti uffici in città.”
“Uhm.. non so se sarei capace di stare tutto il giorno chiusa in un ufficio a rispondere al telefono e fissare appuntamenti. Ho bisogno di fare qualcosa di più creativo.”
“Se trovassi un responsabile di ufficio giovane, carino e disponibile, potresti sfoderare tutta la tua creatività” mi ha detto ridendo.
E’ per questo motivo che mi piace stare con lei. Mi fa ridere e quando siamo insieme, capita molto spesso.
Abbiamo sfogliato le inserzioni delle ultime settimane senza trovare nulla di interessante. Alla fine, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia, mi ha semplicemente detto che  poteva chiedere a sua madre.
“A tua madre?”
“Si; posso chiederle se ha bisogno di qualcuno che le dia una mano in negozio”
“E da quando tua madre ha un negozio?”
“Praticamente da sempre. Sono cresciuta tra tutte quelle erbe strane”
“Quali erbe?”
“Ha un’erboristeria. Si chiama Il Giardino dei Segreti. Dovresti averla vista. E’ nella stessa strada in cui abiti tu.” 

 
 
 

L'inizio

Post n°1 pubblicato il 12 Novembre 2010 da Pamfile

Vivo in una piccola mansarda da qualche mese, ormai. Sono arrivata una gelida sera di fine Ottobre. Credo fosse proprio il trentuno, il giorno della festa di Halloween. La notte delle streghe. Non è stato difficile trovarla nonostante avessi solo un indirizzo e un numero civico. Via Santa Maria, 7. Ci si arriva percorrendo una strada stretta, lastricata di pietre grigie e illuminate da lampioni che emanano una soffusa luce color arancio. Lungo il percorso ci sono piccoli negozi artigianali tra i quali un calzolaio, un barbiere, un fruttivendolo e un’erboristeria. Quest’ultima ha da subito attirato la mia attenzione ma, al momento, non mi sono soffermata e sono andata oltre. La curiosità di vedere la mia nuova dimora era troppo grande e la stanchezza del viaggio cominciava a farsi sentire. 
Vi si accede attraverso un portone verde, alcune rampe di scale di marmo bianco e nessun ascensore. Ho anche dei vicini di casa, ma non sono ancora riuscita a stabilire con loro un contatto che vada oltre un semplice “buongiorno” o “buonasera”.
L’appartamento è molto carino e confortevole e ha tutto ciò di cui ho bisogno. Ci sono cinque stanze, un ripostiglio e un terrazzino, il quale sovrasta i tetti delle case circostanti e dal quale è possibile vedere il mare quando spira il vento di tramontana. Le pareti hanno un colore diverso dall’altro secondo la stanza in cui ci si trova: arancione il salotto e il corridoio che porta alle camere, verde la più piccola che funge anche da studio e lavanda quella nella quale dormo. Il bagno è rosa cipria e solo la cucina conserva un candido bianco. L’ho trovato esattamente come l’hanno lasciato i precedenti inquilini. Dall’arredamento scelto e dai colori utilizzati nel dipingere le pareti, credo si trattasse di una coppia giovane. Forse senza figli. Nei giorni successivi al mio arrivo ho fatto dei piccoli perfezionamenti e non ci ho messo molto a renderla mia aggiungendo qualche candela profumata e degli incensi che accendo la sera quando rientro stanca dal lavoro, alcune fotografie e souvenir dei luoghi visitati, libri già letti e ancora da leggere, cd musicali di ogni tipo, riviste di moda e una serie impressionante di piante grasse che adoro.
Non sono sola. La divido con Teofilo, un gatto dal lucido pelo nero e dagli occhi color ambra. Anche a lui è piaciuta subito e me l’ha fatto capire andandosi a sistemare immediatamente su un cuscino accanto al termosifone dell’ingresso; come se fosse sempre stato quello il suo posto.

Quando arrivo in un luogo nuovo, la prima cosa che faccio il giorno successivo è girovagare senza meta. Scendo in strada la mattina presto, quando ancora tutti dormono e anche la città sembra essersi appena svegliata e vago per le sue strade alla scoperta degli angoli nascosti e dei segreti che racchiude.
E’ ciò che ho fatto anche il giorno successivo al mio arrivo; dopo aver fatto una doccia, aver indossato un caldo vestito di lana, il cappello, la sciarpa, i guanti e aver lasciato le crocchette a Teofilo, che ancora dormiva nel mio letto.
Sono andata in cerca di una caffetteria. Non c’è voluto molto prima di trovare quella giusta: “Le Dolci Tentazioni”. Ambiente accogliente, nome singolare e una quantità di persone all’interno tale da fare intuire che valesse la pena entrare.
Ho aperto la porta e il suono di un campanello ha avvisato del mio arrivo. Nessuno dei presenti, però, ci ha fatto caso. Mi sono diretta verso uno dei tavoli liberi accanto alla finestra. Mentre aspettavo, ho potuto dare un’occhiata in giro e confermare la prima impressione.
La caffetteria si affaccia su una delle piazze principali della città ed è circondata da grandi edifici settecenteschi, impreziositi da numerosi loggiati. Davanti all’ingresso, delimitato da numerosi vasi di fiori, ci sono alcuni tavoli di legno rivolti verso la grande fontana di marmo bianco che si trova al centro della piazza.
Durante la bella stagione i tavoli sono sempre pieni di persone che si fermano per un aperitivo dopo il lavoro e sorseggiano i loro drink volgendo lo sguardo alle montagne circostanti. Durante i mesi più freddi dell’anno, invece, sono occupati soprattutto le prime ore del giorno e quando splende il sole; mentre nel tardo pomeriggio, quando scende la sera e il freddo si fa più pungente, restano prevalentemente vuoti.
Al suo interno, il pavimento in cotto coperto da vecchi tappeti, tavoli di legno e sedie dai colori pastello, numerosi scaffali colmi di libri e un lungo bancone di legno intarsiato; il tutto illuminato da vecchie lampade che emanano una luce soffusa.  L’impressione che si ha entrando è quella di trovarsi nel salotto di casa.
Di solito diffido dei locali al cui interno siedono solo camerieri annoiati in attesa di clienti.  Mi piace sedermi al tavolo, magari all’aperto quando la stagione lo permette, e osservare le persone attorno a me o quelle che entrano ed escono; ascoltare le loro conversazioni prima di recarsi al lavoro, osservarle mentre ordinano caffè e cappuccino, guardare il loro abbigliamento e i movimenti che fanno, le espressioni che assumono mentre parlano e mangiano; spesso mentre fanno entrambe le cose insieme.
Quella mattina, ero completamente immersa nei miei pensieri quando ho sentito una voce assonnata.
“Ciao, cosa ti porto?”.
Davanti a me si era appena materializzata una ragazza. Aveva i capelli di uno strano colore viola fermati sulla testa da un’enorme pinza a forma di margherita. Sembrava si fosse truccata al buio considerata la spessa riga di matita che delineava i suoi occhi e la quantità di rimmel sulle ciglia.
Prese carta e penna dalla tasca del grembiule che portava legato in vita e attese impaziente la mia ordinazione.
“Prendo un cappuccino e una fetta di torta ai mirtilli, grazie.”
“Ci vuoi il cacao in polvere?” mi chiese senza smettere di scrivere sul block notes.
“Si.. grazie!”.
Non ho fatto in tempo a finire la frase che era già sparita oltre il bancone.
La vedevo dimenarsi con la macchina del caffè e disporre la mia fetta di torta in un piatto. Dopo pochi minuti era già di ritorno.
"Ecco qua. Fanno cinque euro. Puoi pagare alla cassa prima di uscire. Buona giornata".
Neppure il tempo di ringraziare che era già al tavolo accanto, dove due ragazzi si erano appena seduti.
Ho assaggiato la fetta di torta e mentre portavo la tazza alle labbra, ho notato quello che all'apparenza assomigliava ad un volto sorridente. La ragazza dell'ordinazione aveva disegnato con il cacao in polvere un piccolo smile, sulla crema del caffè.
Ho sorriso compiaciuta di quella piccola attenzione, credendo che fosse una sorta di benvenuto per i nuovi clienti e quando ho alzato lo sguardo nella sua direzione, ho notato che anche lei mi stava osservando e sorrideva.
Evidentemente non regalava a tutti i suoi nuovi clienti, un sorriso di cacao.
Questo è stato il nostro primo incontro. La prima volta che ho visto Claire

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: Pamfile
Data di creazione: 12/11/2010
 

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