Versi e prose

Due punti non possono essere mai così distanti da non trovare un segmento che li unisce

Creato da IOeMR.PARKINSON il 06/06/2011
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« La vita di Jim MorrisonA COSA SERVE UN TITOLO? »

I giorni della memoria

Post n°44 pubblicato il 28 Gennaio 2012 da IOeMR.PARKINSON
 
Tag: Varie



Oggi 27 Gennaio si celebra il "giorno della memoria" !

Con tutto il rispetto per questa data, che ricorda  lo stesso giorno nel 1945, quando le truppe sovietiche dell'Armata Rossa, nel corso dell'offensiva in direzione di Berlino, arrivarono a Auschwitz, scoprendo il campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti, mi chiedo ma gli altri 364 giorni dell'anno chi li ricorda?

 Perché da quando l'uomo ha incominciato ad usare la clava per uccidere non solo le prede ma anche i suoi simili è iniziata una serie di persecuzioni del più forte nei confronti del più debole, di un clan nei confronti di un altro, di una civiltà per la conquista di territori e l'asservimento di altre popolazioni da ridurre in schiavitù (primo esempio di mano d'opera a basso costo). In tutto questo, è innegabile che le religioni hanno avuto la loro parte, notevole, di responsabilità!

 Il mio dio è migliore del tuo e via con le crociate in nome di Cristo contro i mussulmani, dimenticandosi che queste due grandi religioni monoteiste avevano discendenze e profeti in comune. I cristiani adorano Gesù, un ebreo, ma per secoli hanno perseguitato gli  ebrei e poi si sono lamentati che il nazional-socialismo tedesco ne ha bruciati qualche milione! Ma il popolo tedesco, molto pragmatico, ha fatto le cose alla grande, visto che c'era ha incluso nella lista i comunisti, gli zingari, gli omosessuali, i portatori di handicap e qualche altra minoranza indesiderata. L'Unione sovietica insieme agli alleati, libera la Germania, ma per non essere da meno inizia in casa proprio a perseguitare ebrei, zingari, omosessuali, oppositori del regime, ecc.: alè, la storia ricomincia! Non sono certo uno storico, ve ne sarete accorti, e mi sono fermato a dare una occhiata al vecchio continente, ma ce sarebbero cose da dire...ad esempio sulle guerre colonialiste, sullo sterminio di intere popolazioni africane, americane ecc. Non mi dilungo oltre perché, in effetti, il mio scopo principale è quello di ricordare, con qualche esempio letterario, alcuni personaggi perseguitati.



Comincio con un mio compaesano di qualche millennio fa, un poeta arabo-siculo costretto a lasciare quella che per lui era la sua patria, la Sicilia,  sto parlando di Ibn Hamdis, che nasce a Siracusa nel 1056. Abbandona la Sicilia dopo la conquista normanna della città (1078). Si rifugia a Siviglia, dove scrive fra l'altro dei versi pieni di nostalgia per il suo paradiso perduto:

Custodisca Iddio una casa di Noto e fluiscano su di lei le rigonfie nuvole!
Con nostalgia filiale anelo alla patria, verso cui mi attirano le dimore delle belle sue donne.
E chi ha lasciato l’anima a vestigio di una dimora, a quella brama col corpo fare ritorno….
Viva quella terra popolata e colta, vivano anche in lei le tracce e le rovine!
Io anelo alla mia terra, nella cui polvere si son consumate le membra e le ossa dei miei avi
Le sollecitudini della canizie bandiscono l'allegria della gioventù. Ahi! la canizie abbuia[l'animo] quand'essa risplende!
Nel fior della gioventù fui destinato a viver lungi [di casa mia] quando quella [felice età] fosse declinata e scomparsa.
Conosci tu alcun conforto della [perduta]gioventù? [Dimmelo], perché chi sente il malore brama la medicina.
Vestirò forse la canizie col nero del hidàb; metterò su l'aurora la notte per coperchio?
Ma come sperar una tinta che duri, se non ho trovato [il modo] di far durare la gioventù?
Un legger venticello, fiato di fresca brezza, soffia soave e mormora:
A notte ella mosse, guidata da' balenii che fean piangere il cielo su' morti [distesi] in terra.
Udiasi la voce del tuono che cacciava le nubi, come il camelo quando sgrida col muggito le sue femmine restie.
Ardeano i lampi d'ambo i fianchi di essa: era il luccicar delle spade sguizzanti fuor dal fodero.
Passai la notte nelle tenebre. O primo albore [io dicea] recami la luce!
O vento, quando apporti la pioggia a ricreare i campi assetati,
Spingi verso di me i nugoli asciutti, ch'io li saturi col pianto mio!
Bagni il mio pianto quel terreno dove passai la giovinezza: ah, che nella sventura sia sempre irrorato di lacrime!
O vento, che tu corra presso alle nubi, o che te ne scosti, non lasciar, no, che asseti certa collina del caro paese!
La conosci tu? Se no, [sappi] che l'ardor del sole vi fa olezzare i [verdi] rami.
Qual meraviglia? In que' luoghi gli intelletti d'amore impregnan l'aria di lor profumi.
Lì batte un cuore sì pieno [d'affetto], ch'io v'ho attinto tutto il sangue che mi corre nelle vene.
A quelle piagge riedon sempre furtivi i miei pensieri, come il lupo ritorna [sempre] a sua boscaglia.
Quivi fui compagno dei lioni che correano alla foresta: quivi andai a trovar le gazzelle in lor covile.
Dietro a te, o mare, è il mio paradiso: quello in cui vissi tra' gaudii, non tra le sventure!
Vidi lì spuntar l'aurora [della] mia [ vita] ed or, a sera, tu me ne vieti il soggiorno!
O perché mi fu tolto ciò ch'io bramava, quando il pelago mi separò da quelle piagge?
Avrei montata, invece di palischermo, la falcata luna, per arrivar a stringermi al petto il [mio] Sole!

Quello che segue è, invece, il canto di un nativo americano:


Io sono soltanto un uomo.

Sono la voce del mio popolo.

Quali che siano i loro sentimenti,

io dico questo.

Non voglio più la guerra.

Voglio essere un uomo.

Voi mi negate il diritto di un uomo bianco. La mia pelle è rossa,

il mio cuore è come il cuore di un uomo bianco, ma io sono un Modoc.

Non ho paura di morire.

Non cadrò sulle rocce.

Quando muoio i miei nemici saranno sotto di me.

I vostri soldati mi hanno attaccato mentre dormivo sul fiume Lost.

Essi ci hanno spinto su queste rocce come un cervo ferito.

Kintpuash dei Modoc

Segue una delle prime pagine del diario di Anna Frank:


Per alcuni giorni non ho scritto nulla, perché prima ho voluto riflettere un poco su questa idea del diario. Per una come me, scrivere un diario fa un curioso effetto. Non soltanto perché non ho mai scritto, ma perché mi sembra che più tardi né io né altri potremo trovare interessanti gli sfoghi di una scolaretta di tredici anni. Però, a dire il vero, non è di questo che si tratta; a me piace scrivere e soprattutto aprire il mio cuore su ogni sorta di cose, a fondo e completamente.
"La carta è più paziente degli uomini", rimuginavo entro di me questa massima in una delle mie giornate un po' melanconiche mentre sedevo annoiata con la testa fra le mani, incerta se uscire o restare in casa, e finivo col rimanermene nello stesso posto a fantasticare.
Proprio così, la carta è paziente, e siccome non ho affatto intenzione di far poi leggere ad altri questo quaderno rilegato di cartone che porta il pomposo nome di "Diario", salvo il caso che mi capiti un giorno di trovare un amico o un'amica che siano veramente l'amico o l'amica, così la faccenda non riguarda che me. Eccomi al punto da cui ha preso origine quest'idea del diario: io non ho un'amica.
Per essere più chiara debbo aggiungere una spiegazione, giacché nessuno potrebbe credere che una ragazza di tredici anni sia sola al mondo. Neppur questo è vero: ho dei cari genitori e una sorella di sedici anni; conosco, tutto sommato, una trentina di ragazze di alcune delle quali potreste dire che sono mie amiche, ho un corteo di adoratori che mi guardano negli occhi e, se non possono fare altrimenti, in classe cercano di afferrare la mia immagine servendosi di uno specchietto tascabile. Ho dei parenti, care zie e cari zii, un buon ambiente familiare; no, apparentemente non mi manca nulla, salvo l'amica. Con nessuno dei miei conoscenti posso far altro che chiacchiere, né parlar d'altro che dei piccoli fatti quotidiani. Non c'è modo di diventare più intimi, ecco il punto. Forse questa mancanza di confidenza è colpa mia; comunque è una realtà, ed è un peccato non poterci far nulla.
Perciò questo diario. Allo scopo di dar maggior rilievo nella mia fantasia all'idea di un'amica lungamente attesa, non mi limiterò a scrivere i fatti del diario, come farebbe qualunque altro, ma farò del diario l'amica, e l'amica si chiamerà Kitty.

Ma da controcanto, ecco la lirica di un poeta palestinese perseguitato dagli ebrei, pardon israeliani, si tratta di:

Samih al-Qasim nasce nel 1939 nella città giordana di al-Zarqa, nel periodo in cui il padre era al servizio della Legione Araba del re Abdullah. Proveniente da una famiglia drusa originaria della città di Ramah nell’Alta Galilea, frequenta la scuola elementare qui per poi trasferirsi a Nazareth, dove conseguirà il diploma di scuola superiore. La sua famiglia non abbandonò la Palestina successivamente alla Nakba del 1948.
Oltre che per l’attività di giornalista e poeta, lo scrittore si è distinto anche per essere tra i più tenaci sostenitori dei diritti dei palestinesi, da sempre in prima linea nel contrastare la condotta politica del governo israeliano. Tale dissenso si manifesta chiaramente nel 1960, quando al-Qasim rifiuta di arruolarsi nell’esercito israeliano. Nel 1967 si unisce alle file del Partito Comunista Israeliano Hadash e al termine della “guerra dei sei giorni” viene detenuto a lungo insieme ad altri membri del partito e trasportato nella prigione di al-Damoun nella città di Haifa. A causa della sua militanza politica sarà arrestato diverse volte.
Attualmente lavora come giornalista ad Haifa dove è caporedattore del giornale arabo-israeliano Kull al-Arab.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=6gOnWp515D4]

BIGLIETTO DI VIAGGIO

Quando sarò ucciso, uno di questi giorni
l’assassino troverà nella mia tasca i biglietti di viaggio
uno verso la pace
uno per i campi di pioggia
uno
verso la conoscenza dell’umanità
(ti prego non sprecare i biglietti mio caro assassino ti
prego di partire…)                                                  

                                    Concludo con questo articolo:

Scrittori perseguitati, la mappa

Dall'Asia all'Africa, numerosi i casi di violenza verso
i dissidenti e chi fa informazione sulle attività governative: dal Vietnam alla Russia, dalla Turchia all'Etiopia, dal Congo all'Algeria

Di Edoardo Castagna

Può essere difficile ricordarselo nel nostro Occidente, dove l'habitat naturale degli intellettuali è il salotto. Ma nel resto del mondo essere uomini d'impegno e di cultura può ancora essere difficile. Soprattutto se si devono fare i conti con il comunismo e le sue scorie, o con le giunte militari ancora al potere in troppi Paesi del Terzo mondo. A tracciare una mappa degli intellettuali perseguitati, soprattutto scrittori e giornalisti, è il Pen club internazionale: il suo bollettino annuale, il Writers in Prison Commettee, sarà presentato sabato a Milano, al Palazzo delle Stelline. L'occasione sarà lo spunto per la seconda Cattedra dei diritti umani dello scrittore, dedicata a «Libertà di espressione, potere e terrorismo». A contendersi il dubbio onore del maggior numero di intellettuali perseguitati sono Cina e Cuba - la Corea del Nord manca all'appello per assoluta mancanza di dati. L'intramontabile Fidel Castro costringe i curatori dei rapporti sui diritti umani a sempre nuovi aggiornamenti. Il Pen club registra i venticinque scrittori e giornalisti ancora in carcere tra i settantacinque arrestati nel 2003, quando il regime diede l'ultimo vistoso giro di vite contro gli oppositori. Scontano condanne a quindici, venti o venticinque anni in prigioni isolate, più volte accusate di condizioni inumane, e con rari contatti con i famigliari. Tra i detenuti si contano Ricardo Severino Gonzáles Alfonso, direttore del periodico "De Cuba", o José Miguel Martínez Hernández, firmatario del Progetto Varela - appoggiato dall'Ue - che sostiene un passaggio morbido alla democrazia e al mercato. Ma a Cuba è uno stillicidio di piccole e grandi vessazioni, arresti improvvisi e immotivati, violenze, perquisizioni. Come in un altro bastione comunista, il Vietnam: il governo di Hanoi tiene agli arresti l'ottuagenario leader buddista Quang Huyen, arrestato nel 1994 per aver pubblicato una lettera aperta di critica contro le limitazioni di parola e di religione. Entrano ed escono di galera anche numerosi altri oppositori del regime di Hanoi, come lo scrittore Vu Binh Nguyen e il medico Hong Son Pham. Molti di questi dissidenti utilizzano Internet per contestare l'assenza di libertà e la violazione di diritti umani: un tratto, questo, che li accomuna ai più noti dissidenti cinesi. Il rapporto allinea una quarantina di nomi, perseguitati in vario modo da Pechino. Tra loro anche poeti - Tao Shi, Weiping Jiang - e intellettuali delle nazionalità oppresse da Pechino: lo scrittore Abdulghani Memetemin e lo storico Tohti Tunyaz «Muzart», musulmani della regione «autonoma» dell'Uigur (Xinjiang per i cinesi); il libraio-editore Hada, mongolo. E, naturalmente, tanti tibetani, soprattutto monaci. Certe prassi non sono ancora cadute in disuso nemmeno nella vecchia Europa, nelle autoritarie polizie di Putin e di Lukašenko: Russia e Bielorussia gareggiano nel fornire materiale al Pen club. A Minsk restano senza nome gli assassini della giornalista Veronika Cherkasova, mentre diversi sono i perseguitati per le critiche all'ultima dittatura europea. In Russia gli intellettuali diventano scomodi sia se attaccano troppo duramente Putin e l'oligarchia che lo sostiene, sia se parteggiano per i separatisti - ceceni o di altre nazionalità. Sono stati uccisi Paul Klebnikov, autore dal pamphlet "Padrino al Cremlino", e Magomedzarid Varisov, analista politico caduto vittima delle faide interne al Daghestan. Motivazioni simili sorreggono gli attacchi alla cultura in Turchia. È celebre il caso di Orhan Pamuk, sotto processo per aver ammesso il genocidio degli armeni, ma decine sono gli intellettuali perseguitati per aver criticato i miti fondatori della Turchia moderna: per esempio, il giornalista Mehmet Kutular o l'editore Husyn Aygun. Ankara perseguita anche gli islamisti e, naturalmente, i curdi. Asia e Africa sono costellate da regimi repressivi. In Asia centrale, particolarmente rimarchevoli sono i casi dell'Uzbekistan, dove sono agli arresti diversi giornalisti-op positori, e dell'Iran. Sono in prigione Akbar Ganji, giornalista, Hossein Ghaziyan, accademico, Siamak Pourzand, critico cinematografico, Mojitaba Sami'inejad, scrittore, Nasser Zarafshan, traduttore. Perfino l'ayatollah Yasub al-Din Rastgari. Tutti per aver denigrato la "rivoluzione" islamica. Se la repressione birmana è celebre, soprattutto per gli arresti domiciliari cui è costretta il premio Nobel Suu Kyi Aung San, sorprende il numero di intellettuali imprigionati o perseguitati in Nordafrica. In Algeria ha scontato diverse condanne il direttore del quotidiano "Le Matin", Mohammed Benchicou (liberato due giorni fa dopo due anni di carcere) "reo" - come molti suoi colleghi incriminati - di aver criticato il governo del presidente Bouteflika. Accuse simili a quelle contestate in Marocco a diversi editori di periodici, mentre in Tunisia lo scrittore Mohammed Abbou e l'editore Hamadi Jebali sono detenuti per aver denunciato gli abusi dei militari. Critiche le situazioni del Congo, dello Zimbabwe e del Corno d'Africa dove, oltre che in Somalia, gli intellettuali sono a rischio in Eritrea e in Etiopia - decine i giornalisti imprigionati o scomparsi. Cuba a parte, rispetto a qualche anno fa migliora la situazione delle Americhe. Con due rilevanti eccezioni. Il Messico, dove si contano diversi giornalisti scomparsi o uccisi per aver denunciato i trafficanti di droga, armi e uomini. Perseguitato, tra gli altri, anche il poeta Sergio Witz López. E il Venezuela, dove è sotto accusa la direttrice del "El nuevo País", Patricia Poleo, e sono illegalmente detenute le giornaliste Kenny Aguilar e Alecia Rodríguez del Valle. Hugo Chavez sembra voler seguire le orme del suo maestro, Fidel Castro, anche nella repressione.

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