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Essere e pensiero

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Felicità raggiunta, si cammina...

Post n°47 pubblicato il 18 Novembre 2006 da pensieroinespresso
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Nel messaggio precedente si è cercato di analizzare la nozione di Desiderio come tensione libera, creativa e vitale, che si svolge nel tempo, e che spinge l'uomo sempre "oltre", sulla strada della conoscenza e della realizzazione, che non possono mai considerarsi del tutto raggiunte, senza abdicare al senso stesso dell'esistere.

Infatti, la nostra vita è un processo dinamico in cui ogni acquisizione di conoscenza è propedeutica ad un'altra successiva ed ogni stadio di realizzazione umana è funzionale ad un altro e ad un altro ancora, in un percorso temporale che coincide con il tempo della vita stessa.

Il Desiderio, quindi, è una tensione inappagabile che, radicandosi nella struttura carente del nostro essere, mira a colmarla e, nell'impossibilità di colmarla del tutto e subito, si rinnova e si esalta, aprendoci la mente e il cuore verso l'altro da noi.

A tale tensione desiderante, quindi, è legata la nostra speranza di felicità, intesa come "progetto", che si svolge nel tempo, e che trova la possibilità di realizzazione solo nel dispiegamento e nello sviluppo armonico di tutte le nostra facoltà - sensibilità, intelletto e volontà - in comunione con i "progetti" degli altri esseri umani che, in sintonia con noi, incrociano il nostro cammino.

Da sempre, la dinamica del Desiderio affascina i grandi poeti e ne conquista l'anima. Filosofia e creazione poetica non si oppongono l'una all'altra ma, fra loro congiunte, sono all'origine dell'immaginario umano.

Propongo, per la lettura, una famosa e bellissima lirica - Felicità raggiunta, si cammina - di Eugenio Montale (Genova, 1896 - Milano, 1981), premio Nobel nel 1975,  tratta dalla raccolta poetica Ossi di seppia (1925).

     "Felicità raggiunta, si cammina           immagine
 
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s' incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

     Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.  (ndr:cornicioni)
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case."

Nella società attuale, fondata sul consumo di massa come motore dell'economia e sull'omologazione conformistica dei modelli valoriali e dei comportamenti individuali, stiamo assistendo alla dissoluzione della dinamica del Desiderio, fagocitata da quella del bisogno.

La società del consumo comporta il proliferare continuo di bisogni indotti che richiedono un appagamento immediato, che trova nel possesso e nel consumo dell'oggetto che origina il bisogno, le modalità ripetitive del suo realizzarsi.

Essa è vittima della logica del "tutto e subito" e della ricerca illusoria di una felicità immediata, da spendere e consumare nell' "istante". L'illusione della felicità imminente che derivi dal possesso e dal consumo, "aliena" le migliori energie dell'uomo e spegne il Desiderio e la tensione desiderante che, invece, immaginano la felicità come un percorso e un "progetto", che si svolge durante tutto il "tempo" della vita.

L'idea di una felicità da "consumare" hic et nunc, inoltre, chiude l'uomo nella morsa asfissiante dell'individualismo, affermando l'illusione che si possa stare bene ed essere felici a prescindere dagli altri. Anzi, potremmo dire che, in questa logica, più l'accaparramento dei beni e il loro consumo si realizza in una sorta di solipsismo edonistico, più si crede che induca benessere. L'altro è solo visto come un competitore da temere e da annullare nella corsa al potere sempre più grande e alla felicità sempre più immediata, che l'acquisizione senza misura di beni s'immagina possa produrre.

Questa condizione, propria della nostra società opulenta, fu definita da Pasolini, con un'immagine di straordinaria efficacia, "penitenziario del consumismo", nel quale si consuma, egli dice, una sorta di "sazietà idiota e presuntuosa" che diffonde,  soprattutto fra le nuove generazioni, l'attesa di una felicità a basso costo e di immediata fruibilità, che finisce per paralizzare le loro migliori energie (cfr. Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane, Einaudi, pp. 92 ss.)

Soltanto nel "Desiderio" di nuovi valori e nella ricerca della loro pratica attuazione può riaffermarsi la dignità dell'uomo.

Propongo, per la lettura, una poesia del poeta e scrittore napoletano, Erri De Luca (Napoli, 1950), intitolata, appunto, Valore.

Valore

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.

Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.

Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.

Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco.

Considero valore tutte le ferite. immagine

Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che.  

Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.

Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.

Erri De Luca,
Opera sull’acqua,
Einaudi Editore

 
 
 
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