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Multiculturalismo fallito d'Europa, un requiem

Post n°185 pubblicato il 13 Febbraio 2011 da diefrogdie
 

Multiculturalismo fallito d'Europa, un requiem

www.labussolaquotidiana.it 
 

È ufficiale, per le cancelliere occidentali il multiculturalismo è una catastrofe. Per dirla con David Cameron, il «multiculturalismo di Stato» ha fallito. Il primo ministro britannico lo ha detto il 5 febbraio, intervenendo alla 46° Conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco. Ma è solo l’ultimo, in ordine di tempo, dei capi di governo europei a trarre conclusioni tanto tranchant quanto politicamente scorrette. Colpisce del resto che, per celebrare il funerale del multiculturalismo, Cameron abbia scelto il proscenio internazionale, ma soprattutto la Germania di quell’Angela Merkel che solo il 16 ottobre, a Potsdam, al congresso della Cdu-Csu, pronunciava parole identiche: «il multiculturalismo è definitivamente fallito». Aggiungendo, con riferimento alla cultura giudaico-cristiana su cui si fonda la Germania, che «chi non la accetta, da noi non ha posto».

Oggi Cameron rincara la dose: serve «meno della tolleranza passiva degli ultimi anni e più liberalismo attivo e muscoloso». Si è infatti di fronte oggi, ha spiegato il premier britannico, a un inquietante «indebolimento dell’identità nazionale» britannica dovuto al fatto che un numero enorme di giovani musulmani – che in molti casi si trasformano in veri «predicatori di odio» – non si riconosce affatto nei valori fondanti il Paese e quindi non se ne sente cittadino.
Epperò, aggiunge Cameron, «solo chi crede in queste cose può avere un senso di appartenenza». Perché «una società passivamente tollerante rimane neutrale tra valori differenti. Un Paese davvero liberale fa molto di più. Esso crede in certi valori e li promuove attivamente». Basta «tolleranza passiva», insomma, occorre «voltare pagina sulle politiche fallite del Paese. Per prima cosa, invece di ignorare questa ideologia estremista, noi dovremo affrontarla, in tutte le sue forme». Infatti, «sotto la dottrina del multiculturalismo di stato, abbiamo incoraggiato culture differenti a vivere vite separate, staccate l'una dall'altra e da quella principale. Non siamo riusciti a fornire una visione della società, alla quale sentissero di voler appartenere. Tutto questo permette che alcuni giovani musulmani si sentano sradicati».

Parrebbe che Cameron avesse letto il libro Londonistan: How Britain is creating a terror state within (edito da Gibson Square a Londra e da Encounter Books a New York), pubblicato dalla giornalista Melanie Phillips nel 2006 sulla scia degli attentati jihadisti avvenuti nella capitale britannica il 7 luglio 2005.

Il rifiuto di conformarsi alle norme di convivenza tipiche dello Stato democratico di diritto su cui si regge oggi l’Occidente non produce però solo il terrorismo armato, ma pure quella versione soft dell’estremismo che comporta per esempio il ripudio della parità di diritti fra uomini e donne o situazioni insostenibili nel campo dell’educazione.

Il punto lo fa bene il giornalista di Avvenire Giorgio Paolucci nel suo recente libro Immigrazione (Viverein, Roma 2010) là dove nota che «il multiculturalismo, che ha trovato realizzazione soprattutto in Gran Bretagna e in Olanda, muove dalla convinzione che ogni comunità etnica o religiosa debba essere libera di organizzarsi a partire dalle proprie regole e tradizioni».
Ciò implica la «formazione di microcosmi etnici», vale a dire di «“pezzi” di società parallele e autoreferenziali con rapporti forti al loro interno ma deboli col resto del paese.

La comunità (razziale, etnica, religiosa) prevale sulla persona». E così, «anziché favorire lo scambio e la relazione, si finisce per promuovere una “pluralità di monoculture”, una torre di Babele dove diventa sempre più difficile una convivenza ordinata in nome di principi condivisi».

Il multiculturalismo produce cioè l’esatto contrario di quel che auspicherebbe, la coesione fra soggetti differenti, e questo poiché alla sua «radice […] sta il relativismo culturale, che genera a sua volta il relativismo giuridico», il quale legittima le diversità, magari persino i «tribunali sharaitici».

Il risultato è una mera «giustapposizione delle identità», che istituisce «riserve indiane» autoreferenziali ed etnocentriche a cui consegue solo l’«approfondimento delle divisioni di partenza».

[…] 

 
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