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UN VESCOVO LIBANESE CRITICA L'ISLAM.

Post n°174 pubblicato il 23 Ottobre 2010 da diefrogdie
 

 

Un vescovo libanese critica l’islam. E la segreteria di stato lo purga

moschea

Qui sotto è riprodotto il testo integrale dell’intervento al sinodo per il Medio Oriente consegnato per iscritto dal vescovo libanese di Antiochia dei siri Raboula Antoine Beylouni, così come è apparso sul bollettino italiano n. 21 del 21 ottobre. L’originale è in francese e si trova nel bollettino in questa lingua.

Il 22 ottobre, anche “L’Osservatore Romano” ha stampato l’intervento del vescovo. Ma con notevoli tagli, ordinati dalla segreteria di stato.

Le parti tagliate sono quelle evidenziate in neretto. Il titolo è quello del giornale della Santa Sede.

*

LA MADRE DI DIO E L’ISLAM

di Raboula Antoine Beylouni

In Libano abbiamo un comitato nazionale per il dialogo islamo-cristiano da diversi anni. Esisteva anche una commissione episcopale, istituita in seguito all’assemblea dei patriarchi e dei vescovi cattolici in Libano, incaricata del dialogo islamo-cristiano. È stata soppressa ultimamente per conferire maggiore importanza all’altro comitato; per di più non aveva ottenuto risultati tangibili.

Talvolta vengono portati avanti in diversi luoghi vari dialoghi nei paesi arabi, come ad esempio quello del Qatar in cui l’emiro stesso invita, a sue spese, personalità di diversi paesi delle tre religioni: cristiana, musulmana ed ebraica. In Libano, alcuni canali televisivi come “Télé-lumière” e “Noursat” trasmettono programmi sul dialogo islamo-cristiano. Spesso viene scelto un tema e ogni parte lo spiega e lo interpreta secondo la sua religione. Queste trasmissioni sono di solito molto istruttive.

Vorrei con questo intervento richiamare l’attenzione sui punti che rendono difficili e spesso inefficaci questi incontri o dialoghi. Ovviamente non si discute sui dogmi, ma anche gli altri temi d’ordine pratico e sociale sono difficilmente affrontabili quando sono inseriti nel Corano o nella Sunna.

Ecco le difficoltà con cui ci confrontiamo.

Il Corano inculca al musulmano l’orgoglio di possedere la sola religione vera e completa, religione insegnata dal più grande profeta, poiché è l’ultimo venuto. Il musulmano fa parte della nazione privilegiata e parla la lingua di Dio, la lingua del paradiso, l’arabo. Per questo affronta il dialogo con questa superiorità e con la certezza della vittoria.

Il Corano, che si suppone scritto da Dio stesso da cima a fondo, dà lo stesso valore a tutto ciò che vi è scritto: il dogma come qualunque altra legge o pratica.

Nel Corano non c’è uguaglianza tra uomo e donna, né nel matrimonio stesso in cui l’uomo può avere più donne e divorziare a suo piacimento, né nell’eredità in cui l’uomo ha diritto a una doppia parte, né nella testimonianza davanti ai giudici in cui la voce dell’uomo equivale a quella di due donne ecc.

Il Corano permette al musulmano di nascondere la verità al cristiano e di parlare e agire in contrasto con ciò che pensa e crede.

Nel Corano vi sono versetti contraddittori e versetti annullati da altri, cosa che permette al musulmano di usare l’uno o l’altro a suo vantaggio; così può considerare il cristiano umile, pio e credente in Dio ma anche considerarlo empio, rinnegato e idolatra.

Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la jihad (guerra santa). Ordina di imporre la religione con la forza, con la spada. La storia delle invasioni lo testimonia. Per questo i musulmani non riconoscono la libertà religiosa, né per loro né per gli altri. Non stupisce vedere tutti i paesi arabi e musulmani rifiutarsi di applicare integralmente i “Diritti umani” sanciti dalle Nazioni Unite.

Di fronte a tutti questi divieti e simili argomenti dobbiamo eliminare il dialogo? No, sicuramente no. Ma occorre scegliere i temi da affrontare e gli interlocutori cristiani capaci e ben formati, coraggiosi e pii, saggi e prudenti, che dicano la verità con chiarezza e convinzione.

Deploriamo talvolta alcuni dialoghi in televisione in cui l’interlocutore cristiano non è all’altezza del compito e non riesce a esprimere tutta la bellezza e la spiritualità della religione cristiana, cosa che scandalizza gli ascoltatori. Peggio ancora, talvolta ci sono interlocutori del clero che, nel dialogo, per guadagnarsi la simpatia del musulmano chiamano Maometto profeta e aggiungono la famosa invocazione musulmana spesso ripetuta “Salla lahou alayhi wa sallam” (che la pace e la benedizione di Dio siano su di lui).

Per concludere suggerisco quanto segue.

Dato che il Corano ha parlato bene della Vergine Maria, insistendo sulla verginità perpetua e sulla sua concezione miracolosa e unica, che ci ha dato Cristo, e dato che i musulmani la considerano molto e chiedono la sua intercessione, dobbiamo ricorrere a lei in ogni dialogo e in ogni incontro con i musulmani. Essendo la Madre di tutti, Ella ci guiderà nei nostri rapporti con i musulmani per mostrare loro il vero volto di suo Figlio Gesù, Redentore del genere umano.

Voglia Dio che la festa dell’Annunciazione, dichiarata in Libano festa nazionale per i cristiani e i musulmani, divenga festa nazionale anche negli altri paesi arabi.

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/10/23/un-vescovo-libanese-critica-lislam-e-la-segreteria-di-stato-lo-purga/

 
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Andrea il 25/10/10 alle 17:07 via WEB
Io sono molto deluso per quando detto nel corso del Sinodo per il medio-oriente. Capisco che i vescovi mediorientali vogliono tenere i toni bassi con l’Islam per evitare di mettere a rischio i pochissimi cristiani rimasti in quelle zone. Ma, appunto, visto che dopo decenni di silenzi sulle vessazioni islamiche le comunità cristiane stanno comunque scomparendo, non sarebbe ora di cambiarla, questa politica? I vescovi mediorientali hanno il dovere di testimoniare la verità, e cioè che i cristiani abbandonano il mediooriente perché nei paesi islamici non sono liberi, ma discriminati e perseguitati. L’unico paese mediorientale dove i cristiani possono praticare liberamente la loro religione è Israele, che è anche l’unico paese mediorientale dove i cristiani aumentano di numero, mentre da tutti gli altri scappano a gambe levate. E allora perché non ammetterlo? L’ atteggiamento “contro Israele sempre e comunque” di tanti vescovi mediorientali è semplicemente insensato, e gli stessi vescovi dovrebbero innanzitutto farsi un esame di coscienza, e cominciare a chiedersi se hanno sbagliato qualcosa nelle loro valutazioni, visto che le loro comunità arabo-cristiane si stanno riducendo al lumicino. Cominciassero a rispondere a una semplice domanda, per esempio: quale cristiano lascerebbe Israele per andare a vivere in qualche paese islamico? Non tutti, fortunatamente, i vescovi perseguono questa linea anti-sionista. Per esempio, il vescovo libanese Raboula Antoine Beylouni ha avuto parole molto dure nei confronti dell’Islam nel suo intervento al Sinodo. Ma, come ci informa Sandro Magister sul suo blog, l’Osservatore Romano ha pubblicato solo alcuni stralci del suo discorso, tagliando le parti più dure, su disposizione della Segreteria di Stato. Capisco bene che si vogliono evitare incidenti diplomatici, soprattutto visti i precedenti, e capisco benissimo questa prudenza, ma siamo sicuri che sia questa la strategia più efficace per aiutare i cristiani medioorientali?
(Rispondi)
 
pgmma
pgmma il 26/10/10 alle 02:35 via WEB
Musulmani d'Europa Il commento Musulmani d'Europa La dichiarazione del cancelliere Angela Merkel («il multiculturalismo è fallito») è stata interpretata da tutti come una constatazione di fatto sugli errori della politica dell'immigrazione tedesca degli ultimi decenni ma anche come il segnale di una svolta imminente. Anche in Germania, come in tutto il resto dell'Europa, la questione degli immigrati è ora un problema politico di prima grandezza: dare risposte incoerenti con le domande dell'opinione pubblica può significare perdere le elezioni. È la nuova grande questione che divide, e dividerà a lungo, le democrazie europee e che va ad aggiungersi alle più tradizionali divisioni sui temi economici. Partiti anti-immigrati sorgono come funghi e fanno pienoni elettorali in tanti Paesi europei. Dove questo non accade è solo perché i partiti più tradizionali, già insediati, hanno indurito per tempo il loro approccio all'immigrazione. Due giorni fa, il Sole 24 Ore ha pubblicato un'utile inchiesta sulle politiche europee dell'immigrazione mostrando un quadro assai differenziato. Si va dai Paesi fino ad oggi più accoglienti, come la Svezia o l'Olanda (che però stanno sperimentando forti rivolte anti-immigrati) a quelli più chiusi come la Grecia. Ma non è difficile immaginare che le varie democrazie europee, adattandosi alle domande delle loro opinioni pubbliche, col tempo finiscano tutte per convergere su politiche selettive, che mettano più filtri, e più rigorosi, di quelli utilizzati nel recente passato. C'è la reazione delle opinioni pubbliche ma c'è anche un'incertezza obiettiva su come fronteggiare il problema. Nessuna delle due strade fin qui adottate, quella originariamente francese dell'assimilazionismo (chi arriva deve spogliarsi della precedente identità per abbracciare identità e cultura del Paese ospitante) e quella, originariamente anglosassone, del multiculturalismo, sembra funzionare. Il multiculturalismo, soprattutto, ben prima che lo riconoscesse la Merkel, appariva più un sogno da idealisti che una politica realisticamente praticabile. Il multiculturalismo prevede infatti che le varie culture presenti sul territorio vengano preservate, anche con leggi apposite, e che le diverse comunità culturali si autogovernino per tutti gli aspetti che riguardano la tutela della propria identità. Una società multiculturale è una società segmentata, divisa in tante comunità culturali che, si suppone, non sentendosi minacciate nelle proprie tradizioni, siano in grado di coesistere pacificamente. Ma il punto è che una società siffatta è difficilmente compatibile con la democrazia. Salvo specialissime eccezioni, può essere tenuta insieme solo con un alto grado di coercizione, in modo non democratico. Per questo, il multiculturalismo non è una politica adatta per le democrazie europee. Gran Bretagna, Olanda, Germania avevano scelto quella strada e ne hanno verificato l'impraticabilità. Ma se la via francese (l'assimilazionismo) è difficilissima e quella multiculturale impraticabile, che fare allora? Assistere passivamente al montare dei conflitti? Il problema della maggiore o minore capacità di convivenza con la nuova immigrazione dipende non da uno ma da un insieme di fattori: la qualità e il rigore dei filtri predisposti (le politiche dell'immigrazione in senso stretto), i cicli economici, la capacità di offrire servizi agli immigrati che lavorano, la capacità di reprimere i comportamenti illegali, eccetera. Ma dipende anche dalle tradizioni di provenienza e appartenenza degli immigrati. È inutile girarci intorno. Ci sono immigrati che, per la tradizione di provenienza, possono trovare un loro ruolo nei Paesi ospitanti (e col tempo, potranno forse anche essere assimilati nel senso francese del termine. E, se non loro, i loro figli) con relativa facilità. Episodi di intolleranza, anche gravi, ci sono e ci saranno. Ma nel complesso, molti immigrati, soprattutto dell'Est europeo, riusciranno ad inserirsi con successo nelle società europeo-occidentali. C'è però il caso dell'islam. Non è casuale che proprio ai musulmani (e non agli altri immigrati) si faccia sempre riferimento quando si constata il fallimento del multiculturalismo. Ciò che ovunque in Europa si teme è che una crescita eccessiva delle comunità musulmane, grazie anche al differenziale demografico, finisca per imporre le trasformazioni più forti nelle regole di convivenza delle società europee. La domanda di cui nessuno conosce la risposta è la seguente: cosa può succedere quando due grandi civiltà, altrettanto forti e orgogliose, come quella europea-cristiana (oggi anche liberale e democratica) e quella islamica, che si ispirano a principi e norme antitetiche, e che, anche per questo, si sono aspramente combattute attraverso i secoli, si trovano a condividere lo stesso territorio e lo stesso spazio politico? La risposta dipenderà in parte da noi europei, dagli atteggiamenti che assumeremo e dalle politiche che adotteremo. Ma, in larga parte dipenderà anche dalla evoluzione del mondo islamico. Se il ciclo fondamentalista (connesso al cosiddetto «risveglio islamico») che ha investito l'islam mondiale negli ultimi decenni non si esaurirà presto, dovremo attenderci aspri conflitti e fortissime tensioni anche in Europa (altro che pacifica convivenza multiculturale). Se invece quel ciclo, raggiunto un picco e punte di massima espansione, andrà ad esaurirsi, come è possibile che prima o poi accada, allora nasceranno forse esperimenti inediti e interessanti: la democrazia potrà misurare il proprio successo anche sulla sua capacità di favorire la piena adesione dei musulmani immigrati alle regole della società aperta e libera. Oggi ciò non appare probabile. Ma è lecito, per lo meno, sperarlo. ANGELO PANEBIANCO 21 ottobre 2010
(Rispondi)
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
luca il 26/10/10 alle 17:24 via WEB
Condivido in toto ed auspico che, ammanaite le bandiere di un ingenuo terzomondismo filo-islamista, si difendano le conquiste di libertà e di democrazia della società occidentale.
(Rispondi)
 
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