Creato da: diefrogdie il 27/09/2007
Diario politicamete scorretto di un catto-democratico.

Area personale

 

...si avvicinano le elezioni

 

...le elezioni sono sempre più vicine

 

Contatta l'autore

Nickname: diefrogdie
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 47
Prov: PS
 

Archivio messaggi

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 5
 

Ultime visite al Blog

cianchonicolettipaolo74eracristianaajdgl7pillipilli0bock0oldanianiellovittosp89alfar0elubinmdfacsmenevadoalmareadrogenfedericosimpatiavitolopez
 

Ultimi commenti

Thanks for taking this opportunity to discuss this, I feel...
Inviato da: Nicole
il 10/05/2011 alle 21:04
 
C'è una cosa che, soprattutto, mi ronza in testa e...
Inviato da: claudio
il 02/03/2011 alle 16:36
 
immigrati maledetti pezzenti, ladri e scrocconi... si stava...
Inviato da: Antonio
il 14/01/2011 alle 23:28
 
FREE ASIA BIBI! luca
Inviato da: luca
il 16/11/2010 alle 21:59
 
Condivido in toto ed auspico che, ammanaite le bandiere di...
Inviato da: luca
il 26/10/2010 alle 17:24
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
I commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

 

Quei padri-padrone che l'Occidente non può tollerare

Post n°150 pubblicato il 20 Gennaio 2010 da diefrogdie

 

Un modello culturale arcaico e la difesa dell’indipendenza delle nuove generazioni

Quei padri-padrone
che l’Occidente non può tollerare

Due buone notizie: non solo Almas, la diciassettenne pachistana rapita dal padre perché troppo attirata dalla vita occidentale, è salva, ma sfuggirà a un matrimonio combinato con qualche sconosciuto della sua stessa etnia, contro la sua volontà. Proprio questo meditava il padre per toglierle dalla testa tutte le fisime di un mondo che a lui fa paura, lo si è scoperto quando Almas è stata ritrovata dai carabinieri sulla via tra Fano e Marotta, nelle Marche dove la famiglia islamica abitava da 10 anni.
Ma dietro il sollievo per la sorte di Almas (per fortuna migliore di quella capitata a Hina, morta per la violenza di un altro padre-padrone) riaffiora nelle nostre cronache un fantasma che si pensava superato per sempre, il matrimonio imposto dai genitori, echi di un’Italia lontana, anche se non troppo. Un modello culturale arcaico, risbattuto in faccia all’Occidente dalle nuove etnie pachistane, indiane, egiziane, marocchine che ripopolano i nostri Paesi; e l’Europa ormai laica e illuminista è costretta, per quanto di malavoglia, a confrontarsi di nuovo.
Non facile avere dati su un fenomeno ultrasommerso, che in genere si consuma nel chiuso delle nuove famiglie che uccidono, ma secondo il Centro internazionale di ricerca sulle donne (Icrw) oltre 51 milioni di minorenni erano state costrette a sposarsi nel mondo contro la loro volontà nel 2003, cifra che è destinata a salire a 100 milioni nel giro di dieci anni. Vittime anche da esportazione ormai, visto che in Gran Bretagna sono più di 17 mila le donne che subiscono violenze per una questione d’onore (dati dell’Association of Chief Police Officiers).

Padri, e persino madri che non reggono l’impatto con i codici di un’altra civiltà, che sentono forte il disagio verso quelle figlie che sognano l’indipendenza, e che non riescono a sopportare il giudizio della comunità, per i quali il rispetto del codice tradizionale e la paura per quel che pensa il vicino valgono molto di più della felicità, se non della vita, delle figlie. E così preferiscono buttarle giovanissime nelle braccia di un nuovo padrone, il marito, per piegarle, scaricarsi della responsabilità e liberarsi dalla fatica del confronto e del dialogo.

Il giudizio dell’ambiente condiziona, si sa, e anche a noi ha contato parecchio fino all’altro ieri: ne La prima cosa bella, film non consolatorio di Paolo Virzì, si racconta tra l’altro di come nell’Italia degli anni Settanta un marito innamorato della moglie, forse troppo bella e libera per lui, sacrifichi per paura la sua piccola felicità familiare sull’altare delle convenzioni e dei pregiudizi di una città di provincia.

Che fare oggi di fronte al ritorno di questi fantasmi, re-importati da culture chiuse e antagoniste? Dove porre il confine del dialogo e del bisogno di integrazione fra mondi diversi?
Arretrare non si può, neppure in nome di quella tolleranza sulla quale si fonda la storia della civiltà occidentale e che viene messa in crisi proprio in nome del suo principio cardine: tollerare (Popper docet).
Meglio quindi che le nostre comunità, i nostri Stati pretendano, senza nessun astio ma con fermezza, che gli individui che vivono e lavorano sul loro suolo rispettino le leggi e i diritti dei cittadini, a cominciare da quelli dei loro figli.
E difendere il diritto all’indipendenza delle nuove generazioni straniere, magari con il sostegno della scuola. In fin dei conti, anche la giovane Almas «troppo occidentalizzata» solo questo chiedeva, ed era felice più a scuola che a casa sua.

Maria Luisa Agnese - www.corriere.it

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

UN DOLORE E UN GRIDO DI SPERANZA

Post n°149 pubblicato il 15 Gennaio 2010 da diefrogdie
 

UN DOLORE E UN GRIDO DI SPERANZA

La tragedia di Haiti – e i conseguenti interrogativi esistenziali para-filosofici che ne scaturiscono – mi ricordano molto la vicenda narrata nel “Candido” di Voltaire.
Candido o l'ottimismo
è un racconto filosofico di Voltaire che mira a confutare le dottrine ottimistiche quale quella di Leibniz. Lo scrittore francese fu stimolato sicuramente dal terremoto di Lisbona del 1755
che distrusse la città, mietendo molte vittime. Voltaire scrisse prima un poema sul cataclisma e successivamente redasse il Candido. Nonostante la presa d’atto dell’esistenza del male, non risulta, comunque, che Voltaire nel Candido esalti il pessimismo, quanto si limiti a stigmatizzare la pretesa di "vivere nel migliore dei mondi possibili", precetto su cui Leibniz montò il cardine della propria filosofia. Non a caso l'illuminista francese incarna nella figura del precettore Pangloss il filosofo tedesco, intento ad istruire il giovane Candido a vedere il mondo che lo circonda con ottimismo, sebbene si succedano in continuazione controversie e disavventure.

 

Un commento di carattere filosofico-poetico – che porta pure un bagliore di speranza – l’ho ritrovato in questo articolo del poeta Davide Rondoni, dal titolo “E noi apriamo le nostre palme vuote”. Un dolore e un grido di speranza.

La tragedia di Haiti lascia senza fiato. Gigantesca. Più di quanto si immaginava. Il numero delle vittime imprecisato, si parla di decine e decine di migliaia. In una parte di un’isola già povera e provata da miseria e fatica di vivere, si è abbattuta una sventura che lascia attoniti. Come se a sventura si aggiungesse sventura in un baratro senza fondo. Haiti, nome esotico e di buia miseria. Nome di terra lontana. Di popolo provato e povero. E il fiato non si sa dove prenderlo. Se metti la faccia tra le mani, il respiro non torna. E se anche ti volti da un’altra parte, il respiro non torna. E se ancora maledici i terremoti, non torna. Come non tornano le decine di migliaia di innocenti. I bambini e le donne. Come non tornano i sepolti vivi.

Un raddoppiamento di male. Di sventura. Un raddoppiamento di catastrofe. Una insistenza del dolore e della mancanza di fiato.

Come se nessun "perché" gridato in faccia a nessuno e nemmeno gridato in faccia al cielo potesse esaurire lo sconforto, e la durezza che impietrisce davanti al disastro e alle immagini di disastro. Nessun "perché" rigirato nelle mani, nessuna domanda ricacciata in gola, può esaurire l’inquietudine. Una doppia ingiustizia. Una moltiplicata sventura.

Anche il cuore più sordo sente il grido di questa sventura. Anche il cuore più duro si crepa davanti alla morte che domina così apertamente, così sfacciatamente. Anche l’anima che non sospira mai, sente il fiato che si tira. Il fiato che non arriva. Il fiato che si rompe.

Quasi non si arriva nemmeno alla domanda, lecita, urgente di cosa si può fare, di fronte a questa tragedia. Quasi non si arriva a formulare nessuna domanda su cosa fare, perché si rimane inchiodati a una domanda più forte, più radicale: cosa possiamo essere? Sì, insomma, cosa si è, cosa è essere uomini davanti a questi eventi?

Perché sembra quasi che ogni forza nostra, ogni umana dignità siano annullate. Radiate. Come se esser uomini davanti a tali tragedie sia quasi una cosa grottesca. Tappi di sughero nel mare in tempesta. Formiche in balìa della strage, come diceva Leopardi di fronte al Vesuvio sterminatore.

Da dove riprendere fiato, umanità, dignità davanti a tale strage?

Non c’è altra possibilità: davanti a questo genere di cose, o si prega o si maledice Dio. O si è credenti o si diventa contro Dio. Una delle due.

E se il cristiano dice di esser quello che prega, invece di esser l’uomo che maledice, non lo fa per sentimentalismo. Non lo fa per comodità. Anzi, è più scomodo. Molto più scomodo. Ma più vero. Perché quando il mistero della vita sovrasta – nella sventura come nelle grandi gioie – è più vero aprire le palme vuote, o piene di calcinacci o di sangue dei fratelli e dire: tienili nelle tue braccia. Tienili nel Tuo cuore. Perché noi non riusciamo a conservare nemmeno ciò che amiamo. Perché la vita è più grande di noi, ci eccede da ogni parte, e la morte è un momento di eccedenza della vita. Un momento in cui la vita tocca fisicamente il suo mistero.

La natura non è Dio. In natura esistono anche i disastri. Come gli spettacoli e gli incanti.

Ma la natura non è Dio. Non preghiamo la natura, che ha pregi e difetti, come ogni creatura. Preghiamo Dio creatore di abbracciare il destino delle vittime. Il destino triste di questi fratelli. Che valgono per Lui come il più ricco re morto anziano e sereno nel proprio letto. Che ci ricordano, nel loro dolore, che non siamo padroni del destino.

www.avvenire.it

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Sono musulmani i paesi che perseguitano di più i cristiani nel mondo

Post n°148 pubblicato il 13 Gennaio 2010 da diefrogdie
 

Sono musulmani i paesi che perseguitano di più i cristiani nel mondo

Paradossale: l'Egitto denuncia le "aggressioni alla minoranza araba" in Italia, mentre nella terra dei faraoni i cristiani vengono uccisi! 

"L'Egitto condanna gli episodi di violenza cui si è assistito a Rosarno negli ultimi due giorni e che hanno visto coinvolti un gruppo di lavoratori immigrati africani e la popolazione locale, causando il ferimento di molti immigrati". E' quanto si legge in una nota apparsa questa mattina sul sito del ministero degli Esteri egiziano, in cui si esprime la speranza "che il governo italiano adotti le misure necessarie a proteggere le minoranze e gli immigrati". La nota spiega che la questione sarà discussa dal ministro degli Esteri Ahmet Aboul Gheit nell'incontro in programma il 16 gennaio al Cairo con l'omologo italiano Franco Frattini. "I recenti episodi di violenza sono solo un esempio delle molte violazioni ai danni degli immigrati e delle minoranze in Italia - si legge ancora - tra cui quella araba e musulmana".

Il Wall Street Journal l’ha chiamata eloquentemente “cristianofobia islamica”. E’ impressionante l’ultimo rapporto dell’organizzazione no profit americana Open Doors, che getta nuova luce sulle dimensioni dell’agonia cristiana in terra islamica. Dei cinquanta paesi presenti in lista, oltre a regimi comunisti e dittature, trentacinque sono islamici. Lo sono anche otto dei primi dieci. Mentre proseguono gli attacchi alle chiese in Malesia, si scopre che la cellula islamista che ha ucciso i sette cristiani in Egitto puntava al vescovo Anba Kirollos.

Nel rapporto annuale World Watch List, Open Doors elenca i paesi dove maggiormente la fede cristiana è sottomessa e perseguitata. Tutti islamici, tranne la Corea del Nord al primo posto e più avanti il Laos, due distopie totalitarie comuniste. In Corea del Nord ogni manifestazione religiosa è considerata “insurrezione antisocialista” ed è permesso soltanto il culto di Kim Jong-Il. Il regime ha sempre tentato di ostacolare la presenza religiosa, in particolare di buddisti e cristiani, e impone ai fedeli la registrazione in organizzazioni controllate dal partito. Sono frequenti le persecuzioni violente nei confronti dei fedeli e di coloro che praticano l’attività missionaria. Da quando si è instaurato il regime comunista nel 1953, sono scomparsi circa trecentomila cristiani e non ci sono più sacerdoti e suore, forse uccisi durante le persecuzioni. Attualmente sono circa ottantamila quelli che nei campi di lavoro sono sottoposti a fame, torture e morte.

L’Iran è il secondo carnefice dei cristiani, quando il presidente Ahmadinejad si fa beffe delle anime belle dichiarando che in Iran “le minoranze religiose godono di diritti uguali”. I cristiani in Iran sono 360 mila su una popolazione di 65 milioni di abitanti; i cattolici sono 25 mila. Nel 2009 il regime dei mullah ha arrestato 95 cristiani e l’anno precedente una coppia di missionari è stata torturata a morte.
In Iran, le campagne sulla moralità nel vestire portata avanti dalle “pattuglie della modestia”, perché il vestire sia più adeguato all’ideale islamico totalitario, è uno dei mezzi principali di negazione della libertà religiosa personale, omologando tutti (musulmani e non) in un solo modello (“il vestito nazionale islamico”), confezionato dal regime per reprimere e controllare la popolazione.

Il problema più spinoso sono però i cristiani convertiti dall’islam. Di fatto, sono “illegali”. Si tratta di musulmani convertiti alla fede cristiana, o cristiani “pentiti” che ritornano alla fede originaria dopo essersi formalmente convertiti all’islam (nel caso di un matrimonio misto); oppure sono figli di coppie islamo-cristiane. Nel 1994 il pastore protestante Haik Hovsepian venne ucciso e sepolto in una fossa comune con un musulmano convertito al cristianesimo che il religioso aveva difeso pubblicamente. Molto spesso i convertiti devono tenere nascosta la loro nuova fede perfino alla famiglia; oppure devono decidersi a emigrare per poterla rendere pubblica. Alle cerimonie nelle chiese cristiane è presente sempre la polizia: ufficialmente, a titolo di “protezione” dei luoghi di culto; di fatto, al fine di proibire l’ingresso a coloro che non sono “legalmente cristiani”. Per costume, l’apostasia viene infatti condannata con la morte, comminata spesso dagli stessi parenti del convertito.

In Mauritania, dove ci sono diverse migliaia di cristiani, la sola religione riconosciuta è quella islamica, è vietato il proselitismo e chi si professa cristiano in pubblico è perseguito penalmente.
In Afghanistan non è meno oscurantista la situazione, nonostante la liberazione del paese dal giogo talebano. La situazione dei cristiani è definita “catacombale”. Gli unici cristiani che vivono la fede apertamente sono i membri della comunità internazionale, tanto che l’unica chiesa pubblica è la cappella all’interno dell’ambasciata italiana a Kabul.

L’Arabia Saudita, custode della Mecca e Medina, è al terzo posto nella classifica e vieta ufficialmente ogni culto non islamico.
La polizia religiosa (i famigerati mutawwa’in) si occupa di monitorare la pratica di altre religioni e ha poteri enormi. Così si registrano arresti sommari e torture di fedeli cristiani in carcere. Spesso la polizia religiosa detiene cristiani che vengono liberati solo dopo aver firmato un documento in cui abiurano la loro fede. I lavoratori non musulmani sono soggetti all’arresto, alla deportazione e alla prigione, se vengono sorpresi nell’esercizio di qualsiasi pratica religiosa, oppure se vengono accusati di detenere materiale religioso e di proselitismo. Nella vecchia Gedda esiste un cimitero di cinquecento non musulmani, gestito dal consolato svizzero. Non viene usato da mezzo secolo. Ci sono due tombe di ebrei dei primi del Novecento, un’antica lapide che recita “braccio d’un lavoratore italiano” e alcuni bambini filippini che riposano senza croce.

Giulio Meotti - www.ilfoglio.it

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

LE NUOVE PIAGHE D'EGITTO

Post n°147 pubblicato il 08 Gennaio 2010 da diefrogdie
 

Le nuove piaghe d’Egitto

Sei cristiani uccisi in una mattanza islamista nel Natale copto

Ieri in Egitto sicari musulmani hanno assassinato in un agguato sei cristiani copti all’uscita da una chiesa. E’ avvenuto in occasione del Natale dei copti, una delle più antiche e originarie comunità cristiane di tutto il mondo arabo. I cristiani sono stati uccisi da un commando islamico armato che ha aperto il fuoco contro un gruppo di fedeli che aveva appena partecipato alle celebrazioni della festività copta. Mentre Gamal Mubarak, figlio del presidente Hosni e suo erede designato, partecipava al Cairo alla messa celebrata da Shenuda III, il Papa dei cristiani copti egiziani, nel villaggio di Nagaa Hammadi avveniva la strage.

Il sanguinoso episodio di violenza è avvenuto nella provincia di Qana, seicento chilometri a sud del Cairo, in una regione abitata da una cospicua comunità copta. Fonti locali hanno riferito che, dopo l’attentato, nella cittadina è stato imposto il coprifuoco e sono state schierate numerose forze di polizia. Nel frattempo migliaia di cristiani hanno marciato salmodiando slogan come “Lunga vita alla croce” e “No alla persecuzione”. Secondo una nota del governo egiziano, “l’incidente è collegato al rapimento e allo stupro di una bambina musulmana della zona”, che sarebbe stato compiuto da un giovane cristiano.
Ma i copti replicano che si tratta invece del brutale culmine di una lunga e violenta campagna d’odio e persecuzione contro le chiese e i fedeli da parte dei gruppi islamisti. L’episodio è infatti il più grave nella scia di scontri intra-confessionali iniziati in Egitto dagli anni Novanta, segnato dalle più note stragi di turisti.

La comunità cristiana si era riunita per celebrare la messa di mezzanotte, in occasione del Natale copto che cade il 7 gennaio. Gli assalitori hanno aperto il fuoco in modo indiscriminato sulla folla, abbattendo sei civili e un poliziotto. Il vescovo Kirollos, della diocesi di Nag Hamadi, conferma che le vittime sono “sei fedeli e una guardia addetta alla sicurezza”. Il religioso aveva lasciato la chiesa qualche minuto prima dell’arrivo del commando armato. Nelle scorse settimane il vescovo aveva ricevuto minacce di morte da parte di gruppi musulmani. Gruppi di musulmani lo avevano avvertito: “Non vi permetteremo di celebrare le feste”.
La polizia ha invitato il vescovo Kirollos a restare al sicuro nella propria abitazione, nel timore di nuove violenze. L’uccisione dei sei copti marca il già barbarico clima di persecuzione contro i cristiani.
In Egitto, con l’avallo della più antica e illustre università islamica sunnita di al Azhar, è stato appena pubblicato il “Rapporto scientifico” di Muhammad Imarah, membro del comitato scientifico di al Azhar, in cui si accusa la cristianità di essere “una religione politeista”. Lo scorso ottobre studenti di fede musulmana avevano lanciato pietre contro chiese e case dei copti cristiani per vendicare l’arresto di quattro musulmani accusati di aver ucciso un cristiano.

A maggio quattro egiziani, tutti copti, sono stati uccisi davanti a una gioielleria appartenente a un copto in un quartiere popolare del Cairo. “Sono andati oltre la Trinità e la moltiplicazione degli dei, hanno raggiunto l’idolatria, in cui Gesù prende il posto del Padre”, scrive Imarah sui cristiani, che accusa di “takfir”, apostasia. Il takfir è l’accusa di “tradimento della fede”, apostasia e sedizione di cui sono stati accusati Anwar al Sadat e migliaia di altre vittime musulmane in Algeria e in Egitto.
Nei mesi scorsi si sono registrati anche casi di rapimenti di ragazze copte per convertirle all’islam. Una delle vicende più note è quella di Nermeen Mitry. Era stata rapita nel villaggio di el Mahalla da un musulmano con la complicità della zia. Un centinaio di islamici, armati di spade e di bastoni, hanno attaccato i cinque membri della famiglia della ragazza e hanno lasciato il villaggio soltanto dopo che i copti erano stati costretti a riconciliarsi con l’autore del rapimento. “Per ogni colpo che ci davano, cantavano ‘c’è un solo Allah’. Ci tiravano fuori dall’automobile dicendoci ‘uscite! seguaci della religione del cane!’”. Due cristiani sono stati poi uccisi a Hagaza, sulle rive del Nilo, mentre tornavano dalla chiesa. Ieri il vescovo Kirollos ha lanciato un allarme spaventoso: “E’ in corso una guerra religiosa per far fuori i cristiani in Egitto”.

I copti sono la principale minoranza religiosa che vive nel paese e rappresentano il 15 per cento della popolazione su un totale di 80 milioni di abitanti circa. Negli ultimi trent’anni la stima dei fedeli rimasti uccisi o feriti in attacchi si aggira attorno alle quattromila vittime. Uno dei casi più gravi avvenne nel 1997 con la mattanza, attribuita ai terroristi islamici della Jamaa Islamiya (lo stesso gruppo che firmò il massacro di sessanta turisti a Luxor), che insaguinò una chiesa della provincia di Al Minya. Un anno fa il sindacato dei medici egiziani aveva persino stabilito che trapianti tra persone di “diverso credo o nazionalità”, leggi cristiani, vanno proibiti e i trasgressori puniti. La decisione fu sostenuta da alcuni imam radicali che bollarono come “impuro” il sangue cristiano.

Giulio Meotti - www.ilfoglio.it

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

I MILLE VOLTI DELL'ISLAM

Post n°146 pubblicato il 05 Gennaio 2010 da diefrogdie
 

I MILLE VOLTI DELL'ISLAM

Il nuovo anno si apre con l'ansia di nuovi attacchi terroristici di musulmani all'Occidente. Anche ad opera di nemici cresciuti in casa, in quell'Europa nella quale si sono stabiliti, ma senza integrarsi.

Nell'opinione diffusa, islam e islamismo rischiano sempre più di diventare sinonimi. Il "volto" pubblico dell'immigrato musulmano finisce schiacciato su un profilo radicale e violento.

Ma che la realtà del mondo musulmano sia molto diversa, ci vien detto e mostrato in modo convincente da questo stesso mondo, se appena lo si guarda e ascolta senza pregiudizi.

Una voce musulmana assolutamente da ascoltare è quella di Anna Mahjar-Barducci, residente in Italia, giornalista e scrittrice, nata da madre marocchina e da padre italiano, sposata a un ebreo israeliano di nome David.



Agli occhi dell'islam ortodosso, il matrimonio suo e quello di sua madre con un uomo di altra religione sono inaccettabili, un'apostasia. Ma in Marocco l'opinione prevalente non è affatto così rigida. Nel 2006, il film più visto in quel paese fu "Marock", una storia d'amore tra una giovane musulmana che vuole liberarsi dai dogmi religiosi e un attraente ragazzo ebreo.

Da poche settimane è in libreria in Italia un racconto autobiografico, scritto da Anna Mahjar-Barducci, dal titolo "Italo-marocchina. Storie di immigrati marocchini in Europa".

Il libro è un vivido affresco del quartiere della città del Marocco in cui abitano i numerosi famigliari della scrittrice, di cui si raccontano le storie.

Alcuni di questi suoi parenti vanno e vengono tra il Marocco e l'Europa. Ma ciò che più sorprende del racconto è che nessuno di loro assomiglia a un altro. Sono tutti musulmani, ma diversissimi, un multiforme "islam individuale".

Tutti sognano l'Europa. Ma nessuno di loro riesce a integrarsi nel paese in cui emigra. Neppure l'autrice, che pure è cittadina italiana. In un altro capitolo del libro, ella racconta che in Italia, ad aggravare questa separatezza, sono proprio altri suoi correligionari immigrati:

"Quando vedo un magrebino per la strada, mi tocca cambiare tragitto. Comincia a salutarmi in arabo e mi fissa come se fossi di sua proprietà. Una volta che ero in una pizzeria con un compagno di scuola, un marocchino mi chiamò 'sharmuta', prostituta, e mi disse che non potevo uscire con un italiano. Dovette intervenire il padrone del locale, per mandarlo via. In Marocco non succederebbe mai una cosa del genere".

In altri suoi scritti, Anna Mahjar-Barducci ha spiegato che le difficoltà ad integrarsi nei paesi europei provocano in molti musulmani emigrati una "perdita d'identità". E questo li può far cadere nella rete degli islamisti radicali, che offrono loro proprio una identità forte e sicura, che li fa sentire non più soli, ma parte di grande comunità. "Così si possono vedere a Milano ragazzi di origine magrebina che neppure parlano più l’arabo, ma con barbe lunghe e con abiti che in Marocco nessuno di loro indosserebbe".

Lo scorso 21 ottobre, sul settimanale "Tempi", Anna Mahjar-Barducci è intervenuta a proposito delle discussioni in corso in Italia sull'integrazione degli immigrati e sulla concessione in tempi più brevi della cittadinanza:

L'articolo termina così:

"Quando leggo sulle pagine dei quotidiani italiani il dibattito sulla concessione della cittadinanza agli immigrati dopo soli cinque anni di residenza, rimango un po’ attonita.
Infatti, dalle dichiarazioni di questi giorni sembra che dimezzare il tempo di attesa sia di per sé un elemento che faciliti automaticamente l’integrazione dell’immigrato.
Ma forse altro non è che un escamotage per non trattare in maniera appropriata vere politiche di integrazione, che ancora mancano.
C’è invece la necessità, per esempio, di promuovere corsi di italiano e di alfabetizzazione gratuiti, di creare modelli e attività sociali per i figli di immigrati, di istituire centri di aiuto e di empowerment per le donne immigrate, di controllare le moschee, di formare imam che abbraccino scuole di pensiero moderno, eccetera.

Senza l’adozione di politiche reali che permettano all’immigrato di fare propria l’identità italiana, tutto rimarrà uguale, non importa che la cittadinanza venga data prima o dopo.
Continueremo soltanto a vantarci inutilmente di vivere in un’Italia 'multiculturale', quando il multiculturalismo senza integrazione ha sempre creato soltanto ghettizzazione. E avremo altri padri come quello di Sanaa, che uccideranno le loro figlie, ma questa volta con la cittadinanza italiana".

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

UNA SPERANZA PER IL NUOVO ANNO: LA PACE!!!!

Post n°145 pubblicato il 02 Gennaio 2010 da diefrogdie
 
Tag: Pace, Papa

UNA SPERANZA PER IL NUOVO ANNO: LA PACE!!!!

» 01/01/2010 10:52


 

Città del Vaticano (AsiaNews)
Il Natale, “la festa della fede diventa festa dell’uomo e del creato: quella festa che a Natale si esprime anche mediante gli addobbi sugli alberi, per le strade, nelle case. Tutto rifiorisce perché Dio è apparso in mezzo a noi”. Benedetto XVI sottolinea così il legame fra il Natale, la festa di oggi, Maria Madre di Dio, e la Giornata mondiale della Pace, giunta alla 43ma edizione, e che quest’anno ha come tema proprio la “custodia del creato”. “La Vergine Madre – continua il pontefice - mostra il Bambino Gesù ai pastori di Betlemme, che gioiscono e lodano il Signore (cfr Lc 2,20); la Chiesa rinnova il mistero per gli uomini di ogni generazione, mostra loro il volto di Dio, perché, con la sua benedizione, possano camminare sulla via della pace”.
 
E proprio il “mostrare il volto di Dio” come radice della pace è stato il tema dell’omelia tenuta dal papa durante la messa concelebrata insieme a diversi cardinali e alla presenza di molti ambasciatori presso la Santa Sede.
 
Citando alcuni passi biblici, egli dice: “Tutto il racconto biblico si può leggere come progressivo svelamento del volto di Dio, fino a giungere alla sua piena manifestazione in Gesù Cristo”.
 
“Il volto di Dio ha preso un volto umano, lasciandosi vedere e riconoscere nel figlio della Vergine Maria, che per questo veneriamo con il titolo altissimo di ‘Madre di Dio’. Ella, che ha custodito nel suo cuore il segreto della divina maternità, è stata la prima a vedere il volto di Dio fatto uomo nel piccolo frutto del suo grembo”.
 
Il papa prende spunto poi dalle icone della “tenerezza” tipiche della tradizione bizantina, in cui “Gesù bambino [è] con il viso appoggiato – guancia a guancia – a quello della Madre. Il Bambino guarda la Madre, e questa guarda noi”. “Quella stessa icona – continua il pontefice - ci mostra anche, in Maria, il volto della Chiesa, che riflette su di noi e sul mondo intero la luce di Cristo, la Chiesa mediante la quale giunge ad ogni uomo la buona notizia: ‘Non sei più schiavo, ma figlio’ (Gal 4,7) – come leggiamo ancora in san Paolo”.
 
 “Meditare sul mistero del volto di Dio e dell’uomo è una via privilegiata che conduce alla pace. Questa, infatti, incomincia da uno sguardo rispettoso, che riconosce nel volto dell’altro una persona, qualunque sia il colore della sua pelle, la sua nazionalità, la sua lingua, la sua religione.
Ma chi, se non Dio, può garantire, per così dire, la ‘profondità’ del volto dell’uomo? In realtà, solo se abbiamo Dio nel cuore, siamo in grado di cogliere nel volto dell’altro un fratello in umanità, non un mezzo ma un fine, non un rivale o un nemico, ma un altro me stesso, una sfaccettatura dell’infinito mistero dell’essere umano”.
 
“Chi ha il cuore vuoto – continua Benedetto XVI - non percepisce che immagini piatte, prive di spessore. Più, invece, noi siamo abitati da Dio, e più siamo anche sensibili alla sua presenza in ciò che ci circonda: in tutte le creature, e specialmente negli altri uomini, benché a volte proprio il volto umano, segnato dalla durezza della vita e dal male, possa risultare difficile da apprezzare e da accogliere come epifania di Dio. A maggior ragione, dunque, per riconoscerci e rispettarci quali realmente siamo, cioè fratelli, abbiamo bisogno di riferirci al volto di un Padre comune, che tutti ci ama, malgrado i nostri limiti e i nostri errori”.
 
Il papa cita un’esperienza molto comune in tante parti del mondo: bambini di diverse nazionalità e razza che si trovano insieme a scuola. “Più sono piccoli questi bambini – egli spiega - e più suscitano in noi la tenerezza e la gioia per un’innocenza e una fratellanza che ci appaiono evidenti: malgrado le loro differenze, piangono e ridono nello stesso modo, hanno gli stessi bisogni, comunicano spontaneamente, giocano insieme… I volti dei bambini sono come un riflesso della visione di Dio sul mondo”.
 
Purtroppo, continua Benedetto XVI, nel mondo avvengono fatti che avvelenano il cuore dei bambini e spengono il loro sorriso.
La stessa immagine della Madre di Dio della tenerezza, “trova il suo tragico contrario nelle dolorose immagini di tanti bambini e delle loro madri in balia di guerre e violenze: profughi, rifugiati, migranti forzati. Volti scavati dalla fame e dalle malattie, volti sfigurati dal dolore e dalla disperazione. I volti dei piccoli innocenti sono un appello silenzioso alla nostra responsabilità: di fronte alla loro condizione inerme, crollano tutte le false giustificazioni della guerra e della violenza. Dobbiamo semplicemente convertirci a progetti di pace, deporre le armi di ogni tipo e impegnarci tutti insieme a costruire un mondo più degno dell’uomo”.
 
Costruire la pace e custodire il creato è possibile solo se si riparte da una “ecologia umana”, che si riferisce al volto di Dio e al volto dell’uomo.
Riprendendo alcuni temi del suo Messaggio, Benedetto XVI afferma: “L’uomo è capace di rispettare le creature nella misura in cui porta nel proprio spirito un senso pieno della vita, altrimenti sarà portato a disprezzare se stesso e ciò che lo circonda, a non avere rispetto dell’ambiente in cui vive, del creato. Chi sa riconoscere nel cosmo i riflessi del volto invisibile del Creatore, è portato ad avere maggiore amore per le creature, maggiore sensibilità per il loro valore simbolico”.
 
“Se l’uomo si degrada, si degrada l’ambiente in cui vive; se la cultura tende verso un nichilismo, se non teorico, pratico, la natura non potrà non pagarne le conseguenze”.
 
“Rinnovo, pertanto, il mio appello – conclude il pontefice - ad investire sull’educazione, proponendosi come obiettivo, oltre alla necessaria trasmissione di nozioni tecnico-scientifiche, una più ampia e approfondita ‘responsabilità ecologica’, basata sul rispetto dell’uomo e dei suoi diritti e doveri fondamentali. Solo così l’impegno per l’ambiente può diventare veramente educazione alla pace e costruzione della pace”.
 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Perché torniamo sempre davanti al presepe, dove c’è un bimbo che ha fatto il sole e le stelle

Post n°144 pubblicato il 28 Dicembre 2009 da diefrogdie
 

Sul Natale appena trascorso, un bellissimo articolo che dice tanto:

Perché torniamo sempre davanti al presepe, dove c’è un bimbo che ha fatto il sole e le stelle

Cari ragazzi, è Natale ancora, grazie a Dio. Prima di avviarci verso il presepe, bisogna che conosciate una perla della vita di santa Teresa di Gesù Bambino. Un giorno, durante la malattia che la accompagnò alla morte, ebbe in dono dalle consorelle una rosa. Invece che deporla in un vaso, la sfogliò sul Crocefisso con pietà e amore, quasi a lenire le piaghe di Cristo. “Nel mese di settembre” disse accompagnando il suo gesto “la piccola Teresa sfoglia ancora una rosa di primavera. Sfogliando per Te la rosa primaverile, vorrei asciugarti le lacrime”.
Nessuno sarebbe in grado di raccontare qualche cosa di altrettanto bello che non abbia a che fare con un gesto di adorazione. Perché, lo dovete sapere, sfogliando quella rosa di primavera santa Teresina, in punto di morte, adorava Gesù.
Non dava sfogo a un sentimento poetico. Se l’oggetto dell’amore adorante di quella creatura fosse stato qualche cosa di meno che il Figlio di Dio, la sua vita sarebbe naufragata nella disperazione di una tragedia greca.



Invece, si è incamminata verso la gloria di una fiaba cristiana.
Capite, ora, Chi abbiamo deposto in quella mangiatoia? Capite perché tutte le statuette del presepe guardano verso la luce che sprigiona da quella grotta e a nessuno viene fatto di orientarle altrimenti? Anche i briganti, i ladroni, i soldati… Pensate che i pastori fossero damerini firmati Prada usciti da qualche salotto? Tra di loro c’erano senz’altro dei tagliagola facili a maneggiare il coltello. Eppure, eccoli tutti lì, in adorazione, davanti allo stesso Dio rivestito di petali di rosa da santa Teresina.
Ricordate i racconti in cui Guareschii costringe Peppone e la sua ciurma comunista a inciampare nel Natale? Ricordate che il figlio del Lungo si rifugia nel solaio della Casa del Popolo per costruirsi il suo presepe. E, la notte di Natale, Peppone e gli altri sciamannati, dopo aver tentato di decristianizzare il Natale, se ne stanno là fuori, col naso verso il solaio della Casa del Popolo, in contemplazione della luce accesa dal figlio del Lungo.
E vi ricorderete di quel solaio nascosto nel convento dove era cresciuto Marcellino pane e vino. Lassù non c’era il presepe. “C’è un uomo” dicevano i frati per intimorire Marcellino “che se ti vede ti porta subito via con sé”.

E dicevano il vero, perché in quel misterioso solaio Marcellino
avrebbe incontrato Gesù crocefisso. E a Gesù avrebbe portato la sua rosa, ogni giorno, rubando di nascosto dalla dispensa il pane e il vino, per portarlo all’Uomo della Croce.
Insomma, ragazzi, la faccenda è questa: che Presepe e Croce, Natale e Passione e Resurrezione, o stanno insieme, o non hanno nessun senso. Solo l’uomo che riesce a contemplarle insieme ne è pacificato. E’ ciò che accade a Peppone quando, in canonica con don Camillo a pitturare le statuine del presepe, si trova tra le mani il Bambinello. “Lo guardò e gli parve di sentire sulla palma il tepore di quel piccolo corpo”. E, una volta uscito nella notte, si incanta pensando alla poesia che il suo bambino gli reciterà.
Gregorio di Nissa insegnava che i concetti creano gli idoli e solo lo stupore conosce. E’ il ritratto del sindaco comunista che pregusta la poesia del suo bambino. Ma anche il nostro, mentre attendiamo che declamiate le vostre. E sarà pure il vostro ritratto, quando sarete padri e madri e avrete dei figli che si incanteranno davanti al presepe.

Una volta giunti fino a qui, cari ragazzi, fate attenzione ai presepi
alternativi che vanno di moda e piacciono anche a certi porporati. Presepi demitizzati e demistificati in cui Gesù diventa il profeta della raccolta differenziata.
State attenti perché ci sarà sempre qualche cultore del teologicamente corretto che vi inviterà a fare marcia indietro. Dopo che vi sarete trovati davanti al mistero del Verbo incarnato, vi diranno che è sbagliato perché non si può sbattere la verità in faccia ai bambini, ma neppure ai ragazzi più grandi. Suggeriranno che bisogna partire dall’esperienza e, piano piano, risalire dal vissuto fino allo sbocciare di una consapevolezza sincera, di una fede adulta insomma. Gesù, secondo questa bizzarra pedagogia religiosa, sarebbe la fine e non l’inizio del cristianesimo
.
Non date retta a questi falsi profeti, o vi troverete nella condizione più disperata in cui si possa trovare un essere umano: quella in cui, pur sentendone il bisogno, non sa davanti a chi inginocchiarsi. Rimiriamoci il presepe di casa nostra.

Quella composizione insieme esotica e domestica, infantile e gigantesca.
Quel luogo che accoglie e compone figure di reciproca e bizzarra estraneità. Pastori e re, ladri e soldati, vagabondi e magi, contemplatori dei cieli e uomini della terra, pii pellegrini e predoni.
Quel luogo concreto e metafisico in cui fisica e prospettiva si arrendono alla convivenza di pecore enormi come i cammelli dei Re Magi e casette con porticine dalle quali nessuna statuina potrebbe passare.
Quel luogo dove il deserto cede il posto a colline di muschio, dove le piante si affastellano con furore sacro e antiscientifico in filari di faggi, di palme, di abeti e di rovi. Dove animali miti si mescolano alle belve.
Il segreto di questa gran macchina allegorica è il fascino poderoso e gentile dell’infanzia divina che si manifesta, tenera e indifesa, per chiedere adorazione.

“Tutta la letteratura, che cresce sempre e non finirà mai” scrive Chesterton “aveva cantato le trasformazioni di quel semplice paradosso: che le mani che avevano fatto il sole e le stelle erano troppo piccole per accarezzare le grosse teste degli animali”.
Cari ragazzi, quelle mani sono le stesse che vedete trafitte sulla croce, sono le stesse su cui santa Teresina sfogliava i petali di rosa. Sono le mani in cui è racchiusa la signoria dell’universo. Pensate quanti gesti, quante vite hanno trovato compimento in questa. Pensate ai bambini vissuti nell’Inghilterra anticattolica dei secoli scorsi. Esserini svegliati in piena notte per partecipare alla messa interdetta dal furore antipapista e celebrata in segreto, e costretti, qualche giorno dopo, ad assistere al martirio del sacerdote a cui avevano porto i paramenti. Al di fuori della signoria di Cristo le loro storie non avrebbero senso, non potrebbero essere concepite. Una grazia così grande in gesti così piccoli può sussistere solo al cospetto del Verbo fatto uomo. In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Quanto è grande l’incipit del Vangelo di Giovanni.

Le eresie che da sempre scuotono la chiesa tentano di mistificare la figura di Gesù distorcendo i concetti giovannei. Fotino sostenne che Gesù era figlio di Dio al pari degli altri uomini che fanno la volontà del Padre. Sabellio predicò che Padre e Figlio sono la stessa Persona.
Ario
che il Figlio non era della stessa sostanza del Padre. A questo proposito, fu definitivo san Tommaso: “Così parlando, san Giovanni confutò le tre eresie. L’eresia fotiniana, dicendo: In principio era il Verbo; l’eresia sabelliana, dicendo: e il Verbo era presso Dio; l’eresia ariana, dicendo: e il Verbo era Dio”.
Rigore e precisione che Guareschi riassume così: “E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l’ora su macchine a razzo superatomico e per far cosa? Per arrivare in fondo all’anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso Bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino”.
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
http://www.ilfoglio.it/soloqui/4112 


 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Un'icona insopportabile

Post n°143 pubblicato il 19 Dicembre 2009 da diefrogdie

Un'icona insopportabile

Quanto è meschino l'uomo senza Dio

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

BAGNASCO SULLA SITUAZIONE ITALIANA

Post n°142 pubblicato il 18 Dicembre 2009 da diefrogdie
 

BAGNASCO SULLA SITUAZIONE ITALIANA

A volte penso che le parole semplici, ma di buon senso, siano quello più "politicamente scorrette", nel senso di parole difficili da trovare nell'agone politico-mediatico odierno, fatto unicamente di odio, pregiudizi e rancore, ma sono quelle le parole e i pensieri di cui il nostro Paese ha estremamente bisogno. Ecco cosa ha detto il Cardinale Angelo Bagnasco:

Il messaggio del Natale ritorna in tutta la sua bellezza e urgenza. Infatti esso sembra stridere rispetto al clima che stiamo vivendo come Paese. Come è già stato rilevato da voci autorevoli, l’aria di odio personale avvelena la politica, fomenta la rissa, e sfocia in gravi e inaccettabili episodi di violenza.
La gente è stanca e non merita questo.

Senza un’ evidente, onesta e concreta svolta si alimenta il senso di insicurezza, diminuisce la fiducia nelle Istituzioni, scoraggia la partecipazione alla vita del Paese, indebolisce la coesione sociale sempre doverosa e tanto più necessaria nei momenti di particolare difficoltà. Preghiamo perché i nuovi maestri del sospetto e del risentimento depongano le parole violente che, ripetute, risuscitano ombre e mostri passati».

«Ciò nonostante, la gente non desiste dalla fiducia e dall’impegno nella famiglia, nel lavoro, nella società.
Il nostro popolo merita il meglio di tutti i responsabili, a qualunque livello e titolo, perché – al di fuori dei riflettori che a volte snaturano ed enfatizzano - porta avanti i propri doveri quotidiani con grande dignità, senso del dovere, con una serietà morale e capacità professionale che fanno onore al Paese in Italia e nel mondo.
Questo patrimonio non vogliamo sperperare mai, né possiamo permettere che si annebbi dietro a settarismi che nulla hanno a vedere con la dialettica culturale, politica e sociale. Questa mira a costruire, quella vuole distruggere».

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

HEIDI E I MINARETI

Post n°141 pubblicato il 30 Novembre 2009 da diefrogdie
 

HEIDI E I MINARETI

La Svizzera dice no ai minareti. A sorpresa, l'iniziativa per il bando dei simboli religiosi musulmani è stata accettata al referendum con il 57% dei voti. In base ai risultati ufficiali, solo quattro dei 26 cantoni che formano la Confederazione hanno respinto la proposta avanzata dal partito della destra populista dell’Udc e della destra cristiana dell’Udf. Data la maggioranza sia degli elettori che dei cantoni, il voto comporterà quindi la modifica dell’articolo 72 della Costituzione, che regola i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose: il divieto della costruzione dei minareti vi verrà inserito come una misura «atta a mantenere la pace fra i membri delle diverse comunità religiose.

Molto dispiaciuto si dice il controverso intellettuale islamista Tariq Ramadan, e ci mancherebbe altro considerato il suo torbido retroterra ideologico: Ramadan, infatti, è il nipote del fondatore della confraternita egiziana dei Fratelli musulmani, organizzazione dichiaratamtente fondamentalista.  

Fa strano invece,  la delusione  dimostrata dalla Conferenza dei vescovi svizzeri, secondo cui la vittoria dei sì è «un ostacolo sulla via dell'integrazione e del dialogo interreligioso nel mutuo rispetto». «Non abbiamo saputo rispondere ad alcune paure legate all'integrazione di diverse religioni e culture in Svizzera», ha ammesso il portavoce Walter Mueller. A suo avviso, ha influito sul risultato anche la situazione dei cristiani, vittime di discriminazione e oppressione, in alcuni paesi musulmani – si pensi solo alle recenti violenze perpetrate contro le inermi comunità cristiane in Iraq, a Mosul: vi sono stati nella settimana scorsa attentati contro edifici cristiani ed è stata rasa al suolo la chiesa di Sant’Efrem.

La portavoce delle donne marocchine in Italia, Souad Sbai, non si scandalizza invece per la decisione degli svizzeri. «Il popolo è sovrano e quando decide una cosa va rispettato. È bene che ci sia un controllo sulle moschee - dice - c'è un'avanzata radicale, in Europa e nel nostro paese, che ci preoccupa moltissimo e va fermata subito». A preoccupare, secondo la portavoce delle donne marocchine, «non è certamente il minareto, ma chi ci sta dentro». «È chiaro che sono contraria alla xenofobia - assicura - ma serve un controllo contro le moschee "fai da te" che hanno rovinato i nostri ragazzi: questa gente, gli estremisti religiosi, fanno diventare xenofobi pure gli arabi».

Il tema dei minareti in Europa, accanto a cattedrali e grattacieli, è comunque un tema che va affrontato, data la crescita della presenza islamica nell’Unione europea. Per p. Samir Khalil Samir, illustre islamologo, la discussione è un’occasione per aiutare l’Europa ad accogliere l’islam e per l’islam ad integrarsi nella vita della società europea. Ecco la sua opinione di esperto (da www.asianews.it):

Il 29 novembre in Svizzera si voterà un referendum per mettere al bando la costruzione dei minareti. Come affrontare questo problema? Vediamo anzitutto i fatti. All’origine dell’islam non c’era il minareto. Ci sono volute 3 generazioni per vederne spuntare qualcuno. E’ stata presa una torre di guardia per lanciare l’appello alla preghiera. La torre non doveva essere troppo alta, altrimenti la voce si disperdeva. In seguito il minareto è divenuto sempre più comune, fino a diventare un ornamento simbolico ed estetico.

Finché esso rimane un simbolo estetico, è possibile accettarlo anche in Europa. Ma se serve per chiamare alla preghiera, questo crea difficoltà: occorrerebbero microfoni e altoparlanti tenuti ben alti, superiori ai clacson delle macchine e al traffico. Poi, se davvero  si deve annunciare le ore della preghiera, occorre annunciarle tutte, anche quelle alle 4 del mattino. E l’ora io non posso cambiarla perché, in qualche modo, essa è stabilita da Dio e non dall’uomo. Ma questa è un empasse: se si accetta che i minareti abbiano microfoni e appello alla preghiera, si deve accettare che esso sia fatto anche alle 4 del mattino e alle 10 di sera. Va detto che l’Arabia saudita ha minareti, ma senza microfoni. Il motivo è che ai tempi del Profeta non c’erano questi strumenti e quindi non vanno usati nemmeno ora.

Sì dunque al segno estetico, ma non al muezzin e all’appello della preghiera. Anche perché durante l’anno, vi sono periodi come nel Ramadan, in cui si prega a lungo, leggendo il Corano.

Poi va eliminata la corsa all’altezza. Nei Paesi islamici (e in parte in Europa) si cerca ovunque di fare i minareti più alti di qualunque cosa, soprattutto delle chiese. Ma allora bisogna confessare che con la costruzione del minareto si vuole in realtà gareggiare. Ma buttarla in competizione non è una cosa buona perché rovina la convivenza, che è il motivo per cui si domanda la costruzione dei minareti. Se perciò un minareto ci deve essere, vale la pena che esso sia un segno discreto, che abbia pure l’accordo della popolazione del quartiere e dell’ambiente circostante.

Questa discussione sul minareto, sui pro e i contro, è un esempio su come pensare la vostra situazione attuale in Europa, dove sempre più vi sono comunità musulmane.

Ma è un’occasione anche per i musulmani a ripensare cosa significa vivere da noi, in una situazione di accoglienza, ma anche di minoranza. Ed essendo una minoranza, non possono comportarsi in tutto come nei Paesi islamici, dove  essi sono la maggioranza. 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963