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Diario politicamete scorretto di un catto-democratico.

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FATTI PROCESSARE, PER FAVORE!

Post n°140 pubblicato il 25 Novembre 2009 da diefrogdie
 

 

FATTI PROCESSARE, PER FAVORE!

 
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SE L'ISLAM DIVENTA PARTITO

Post n°139 pubblicato il 23 Novembre 2009 da diefrogdie
 

Recenti uscite di un esponente politico della maggioranza in materia di immigrazione e di cittadinanza hanno suscitato non poco scalpore e tanto entusiasmo da parte dei terzomondisti di casa nostra.
Negli scorsi giorni poi, è continuato sulla terza rete Rai la massiccia campagnia mediatica a favore degli immigrati: in "Che tempo che fa" un gioioso Gad Lerner, davanti ad un ammirato Fabio Fazio, sollenemente affermava la assoluta inutilità e stupidità della parola e del concetto di "clandestino", dicendosi orgogliosamente e fanciullescamente cittadino del mondo. Nei telegiornali di Rai Tre, che qualunque spettatore di media intelligenza, non può non considerare i migliori del panorama televisivo italiano, quanto a taglio giornalistico e preparazione culturale e professionale degli inviati, ieri c'erano ben tre servizi, andati in onda uno dietro l'altro, in cui si affermava senza possibilità di dubbio, che gli immigrati sono tutti bravi e buoni e sono tutti disponibili alla integrazione.
Fra parentesi, a fronte di questa alluvione di notizie pro-stranieri, c'era sullo stesso telegiornale solo un piccolo servizio cha dava conto della paura della popolazione di certe piccole cittadine del nord, ove si sono verificati terribili episodi di violenza ai danni di giovani donne autoctone, episodi perpretati da integrati immigrati (?!).

Vabbeh, almeno non possiamo dire che l'Italia sia razzista - chi lo dice è in mala fede, non ci sono dubbi!

Dimostrato inconfutabilmente ciò, vorrei sommessamente far notare i rischi di questo trionfalismo di integrazione e di buonismo, riportando il lucido articolo di Angelo Panebianco (www.corriere.it), invitando a ragionare con la propria testa e cercando di non lasciarsi condizionare più di tanto dalla sbornia terzomondista e buonista di certi politici e di certi mass-media. Siamo realisti, almeno un pò, per favore  e consideriamo anche questo pericolo, in fondo non tanto lontano. Eppoi, diciamoci la verità senza ipocrisia: NON TUTTI I MIGRANTI SONO CATTIVI, MA TROPPI CATTIVI SONO MIGRANTI.

SE L'ISLAM DIVENTA PARTITO

La politica demo­cratica è struttu­ralmente vincola­ta a un orizzonte di breve periodo. La natu­ra del sistema democrati­co spinge gli uomini poli­tici ad occuparsi solo dei problemi che agitano il presente. Le altre grane, quelle che già si intravedo­no ma che ci arriveranno addosso solo domani o dopodomani non posso­no essere prese in consi­derazione. A differenza di ciò che fa la migliore me­dicina, la politica demo­cratica non si occupa di prevenzione.
Se così non fosse, una notizia appena giunta dalla Spagna do­vrebbe provocare grandi discussioni entro le classi politiche di tutti i Paesi eu­ropei, Italia inclusa. La no­tizia è che, come era pri­ma o poi inevitabile che accadesse, c’è già su piaz­za un partito islamico che scalda i muscoli, che è pronto a presentarsi con le sue insegne nella com­petizione elettorale di un Paese europeo. Si tratta del Prune, un partito fon­dato da un noto intellet­tuale marocchino, da an­ni residente in Spagna, Mustafá Bakkach.
Ufficial­mente, il suo intento pro­grammatico è di ispirarsi all’islam per contribuire alla rigenerazione morale della Spagna. In realtà, cercherà di difendere e diffondere l’identità isla­mica. Avrà il suo battesi­mo elettorale nelle elezio­ni amministrative del 2011. Se otterrà un succes­so, come è possibile, solle­verà un’onda (ce lo dico­no i flussi migratori e la demografia) che attraver­serà l’intera Europa.
L’ef­fetto imitativo sarà poten­te e partiti islamici si for­meranno probabilmente in molti Paesi europei.
A quel punto, la strada della auspicata «integrazione» di tanti musulmani che ri­siedono in Europa diven­terà molto ripida e imper­via. Perché? Perché la scel­ta del partito islamico è la scelta identitaria, la scelta della separazione, dell’au­to- ghettizzazione.
Si po­trebbe anche dire, para­dossalmente, che quando nasceranno i partiti isla­mici sarà possibile valuta­re davvero quale sia, per ciascun Paese europeo, il reale tasso di integrazio­ne dei musulmani. Per­ché è evidente che il mu­sulmano integrato (per fortuna, ce ne sono già moltissimi), quello che vi­ve quietamente la sua fe­de e non ha rivendicazio­ni identitario-religiose da avanzare nei confronti del­la società europea in cui risiede e lavora, non vote­rà per il partito islamico. A votarlo però saranno co­munque molti altri, sia per adesione spontanea (in nome di un senso di separatezza identitaria) sia a causa della pressio­ne degli ambienti musul­mani che frequentano.

Al pari del partito isla­mico spagnolo, si capisce, ogni futuro partito islami­co europeo dichiarerà (e non ci sarà ragione di cre­dere il contrario) di rifiu­tare la violenza. Non po­trà infatti rischiare (pena il fallimento del progetto politico) vicinanze o con­taminazioni con cellule terroriste più o meno atti­ve o più o meno dormien­ti in Europa. Ma ciò non toglie che l’ideologia dei partiti islamici sarà co­munque quella tradiziona­lista/ fondamentalista.

Sarà l’ideologia della cosiddetta Rinascita islamica, impregnata di valori antioccidentali e, alla luce del metro di giudizio europeo, illiberali.
Si tratterà di forze illiberali che useranno la politica per strappare nuovi spazi, risorse e mezzi di indottrinamento e propaganda. Per questo, il loro ingresso nel mercato politico-elettorale europeo bloccherà o ritarderà a lungo l'integrazione di tanti musulmani.
Che fare? La politica democratica non può facilmente difendersi da questa insidia. Però le possibilità di successo o di insuccesso dei partiti islamici nei vari Paesi europei dipenderanno da un insieme di condizioni.

Conteranno certamente anche le maggiori o minori chances che ciascun singolo musulmano avrà di ben inserirsi nel lavoro, e di poter accedere, per sé e per la propria famiglia, a condizioni di benessere (ma guai a credere che basti solo questo per annullare le spinte identitarie).
Conteranno anche, e forse soprattutto, le caratteristiche istituzionali dei vari Paesi europei. Si difenderanno meglio, io credo, le democrazie dotate di sistemi elettorali maggioritari (che rendono difficile l’ingresso di nuovi partiti) rispetto a quelle che usano l’una o l’altra variante del sistema proporzionale.

La Gran Bretagna ha commesso errori colossali con la sua politica verso l’immigrazione musulmana. Il suo scriteriato «multiculturalismo» ha finito per consegnare all’Islam, e anche all’Islam più radicale, importanti porzioni del suo territorio urbano (al punto che oggi la Gran Bretagna deve persino fronteggiare il fenomeno dei numerosi cittadini britannici, di lingua inglese, che combattono in Afghanistan insieme ai loro correligionari talebani).
Tuttavia, quegli errori sono forse ancora rimediabili. Il sistema maggioritario rende infatti molto difficile l’ingresso nel mercato politico britannico di un partito islamico.

Diverso è il caso dei Paesi ove vige la proporzionale nell’una o nell'altra variante: l'ingresso è relativamente facile e la politica delle alleanze e delle coalizioni, tipicamente associata ai sistemi proporzionali, garantisce influenza e potere anche a piccoli partiti. Una circostanza che i futuri partiti islamici potranno sfruttare a proprio vantaggio. Da antico, e non pentito, sostenitore del sistema maggioritario penso che quella qui descritta rappresenti una ragione in più per adottarlo.

 
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GHEDDAFI, CHE SCHIFO!

Post n°138 pubblicato il 18 Novembre 2009 da diefrogdie
 

GHEDDAFI, CHE SCHIFO!

Il Muhammar Gheddafi Show ormai è quasi un classico del peggior teatrino della global-politica e, purtroppo, tocca sempre a noi sorbircelo.
Imbottigliati nel traffico provocato dai ”fuori programma” del rais - «Ah quanto è buon questo caffè», ha annunciato ieri seduto a un bar di piazza San Lorenzo in Lucina - mentre gli elicotteri controllano dal cielo le sue banalità terzomondiste e le forze di polizia sono costrette a fare da scudo alla sua tunica bianca da venditore di tappeti falsi e da predicatore di africanismi da discount.

Però, almeno, Papa Ratzinger s’è risparmiato il Muhammar Gheddafi Show. I due non si sono nemmeno sfiorati al summit della Fao. Anche perchè la tigre del deserto, che stavolta ha parlato solo dieci minuti (questa è una fortuna regalataci da Allah?), andava di fretta.
Aveva da organizzare la seconda tranche della festa dell’altra sera con 200 ragazze. Questa volta, ieri sera, sempre nella villa dietro a via Cortina d’Ampezzo, le giovani erano 250: taglia non oltre la 42-44, alte, belle, magre, fra i 18 e i 32 anni, molte dotate di tacchi a spillo e di abiti succinti, le più avvenenti e di «buona famiglia» da piazzare in prima fila e le altre dietro, ma tutte ripagate con 60 euro.
Scopo? Convertirle all’Islam. «E se lo fate vi aiuterò ad andare a La Mecca», promette Gheddafi nel suo harem di cartapesta allestito a Monte Mario. La festa notturna, con sottofondo di musica araba, ma prima la cena da Berlusconi a Palazzo Chigi: a riprova che il rais e il cavaliere sono ormai un tandem affiatatissimo. Ma non universalmente apprezzato.
«Ciò che mi meraviglia - dice per esempio Pier Ferdinando Casini - è che abbiamo reso uno così il partner privilegiato dell’Italia».

Questo tipo un po’ così, sale e scende dal suo macchinone bianco come le sue simil-candide. S’aggira sulle scale di Trinità dei Monti, scendendole come una diva che ancheggia. Appare («L’unica religione di Dio è l’Islam!») lungo via Veneto, lanciando un’occhiataccia all’ambasciata americana, che lo ignora ma gli lancerebbe volentieri una pernacchia. Si materializza («Chi è fuori dall’Islam è in errore e perderà!») a via Barberini. E s’affaccia ovunque possa mandare meglio il traffico in tilt e il popolo in finto visibilio: «Anvedi quel parruccone, chi è? Il bisnonno di Michael Jackson?!».

Si limitasse a passeggiare.... Alle ragazze della festa di ieri sera ha cercato di spiegare - ma quelle volevano ballare - che le donne nel mondo musulmano non sono considerate inferiori. Poi s’è proposto come psicoanalista o come confidente: «Parlatemi dei vostri problemi....». Siamo ad «Amici»? A «C’è posta per te»? Prima dell’incontro con le sventole quirite, assoldate per il dittatore da una società di hostess e a lui portate a bordo di pullman, il nostro eroe ha attaccato l’Occidente per tutte le sue malefatte: «Ha saccheggiato l’Africa», «Non chiediamo un’elemosina ai Paesi Ricchi, ma il diritto a un giusto risarcimento per il maltolto...». Ma a noi romani, chi mai ci risarcirà dalla pena - ormai rituale - che ci infligge il Muhammar Gheddafi Show con tutte le sue donne, il caos e le insensatezze?

E adesso un paio di domande su donne e potere. La prima: perché una ragazza non av­venente o di statura infe­riore al metro e 70 deve es­sere esclusa, e solo a causa di queste presunte «man­chevolezze» fisiche, dagli insegnamenti religiosi im­partiti dal colonnello Ghed­dafi nel suo tour romano? La seconda: si ha per ca­so notizia di qualche peti­zione, di qualche protesta, di qualche indignata consi­derazione che voglia stig­matizzare questa palese of­fesa alla dignità delle don­ne, ragazze come gingilli da esibire al cospetto del satrapo in visita ufficiale?

Immagino non ci saranno risposte a questo genere di quesiti. E così godiamoci una bella (o brutta?) festa dell’ipocrisia in cui a farne le spese sono un gruppo di ragazze ammassate su un tor­pedone. Taglia 42, tacco di sette centime­tri, abitino nero per regalare al colonnello la soddisfazione di una bella lezione di reli­gione.

Mario Ajelli - www.messaggero.it
Pierluigi Battista - www.corriere.it

 
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IL PAPA: "C'E' CIBO PER TUTTI" - MA AL VERICE FAO NULLA DI FATTO

Post n°136 pubblicato il 17 Novembre 2009 da diefrogdie
 

IL PAPA: "C'E' CIBO PER TUTTI" - MA AL VERICE FAO NULLA DI FATTO

A mancare non è il cibo, ma nuove regole internazionali che permettano di superare le gravi disuguaglianze esistenti. Lo ha spiegato il Papa nel discorso al Vertice della Fao, in cui ha ricordato che nell'ottica dello «sviluppo umano integrale» è fondamentale «riconoscere il valore trascendente di ogni uomo e di ogni donna» come «primo passo» nell'impegno per «sradicare la miseria, la fame e la povertà in tutte le loro forme».

Delusione di Diouf al termine della prima giornata del vertice: «Molti impegni, ma nessuno parla di soldi».
Firmata solo una dichiarazione di impegni, peraltro simile a quella già siglata all'Aquila.


 

Il discorso di Benedetto XVI alla Fao, è una sintetica visione dei molti problemi che pone la fame nel mondo.
Non esiste soluzione facile e immediata alla tragedia di un miliardo e più di affamati. Il papa ne è cosciente ed evita di inseguire facili luoghi comuni e di lanciare accuse generiche per il grave ritardo nell’adempimento delle varie “mete” che la Fao aveva stabilito nel recente passato.

Da un lato riprende e a volte precisa le varie esortazioni su problemi tecnici che già troviamo nella recente “Caritas in Veritate” (giustizia internazionale, aiuti dei paesi ricchi all’agricoltura di quelli poveri, attenzione ai cambiamenti climatici, accesso ai mercati internazionali delle economie più povere, ecc.); dall’altro insiste con particolare forza e anche novità di espressioni sul “ridefinire i concetti ed i principi sin qui applicati nelle relazioni internazionali, così da rispondere all’interrogativo: cosa può orientare l’attenzione e la successiva condotta degli Stati verso i bisogni degli ultimi?”.

La drammatica crescita del numero di chi soffre la fame è un fatto che interroga non solo i Grandi del mondo, ma ciascun uomo e ciascuna donna, se formati ad una “coscienza solidale, che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni”.
Il pontefice loda la Fao che  agisce in questo senso, anche allargando “gli obiettivi di questo diritto, rispetto alla sola garanzia di soddisfare i bisogni primari”.

La Chiesa è sempre stata in primo piano nella lotta contro la fame e la miseria, creando una “coscienza solidale. Cioè, precisa: “Solo in nome della comune appartenenza alla famiglia umana universale si può richiedere ad ogni Popolo e quindi ad ogni Paese di essere solidale, cioè disposto a farsi carico di responsabilità concrete nel venire incontro alle altrui necessità, per favorire una vera condivisione fondata sull’amore”.

Un discorso originale, nuovo nell’ambiente della Fao, dove si dibattono i problemi tecnici, economici, commerciali che pone il persistere della fame nel mondo, anzi l’aumento degli affamati dopo tanti progetti, sforzi, finanziamenti, provvedimenti. Benedetto XVI non trascura affatto le difficoltà concrete di chi opera sul campo nella guerra contro la fame.
Ma in questo discorso si appella soprattutto alle coscienze dei singoli, perché è convinto che la spaccatura fra ricchi e poveri del mondo (sviluppati e sottosviluppati) è così abissale, che non si supera con un certo numero di miliardi di dollari, che pure bisogna mettere a disposizione di chi combatte quest’unica guerra degna di essere combattuta.
Occorre una coscienza nuova dei popoli, e soprattutto dei giovani, per mettere in gioco se stessi e tutti possiamo contribuire a formarla
.

Nel Vertice della Fao, dove si discutono tanti temi e problemi che riguardano i governi, gli organismi internazionali, le banche, i tecnici specializzati, mi pare che i popoli e i singoli che seguono con attenzione di questi dibattiti, fanno quasi solo la parte di spettatori. Anche interessati, ma non coinvolti, non toccati nel profondo.
Mentre lo scandalo del miliardo di affamati è un grido di angoscia, un chiaro segno del fallimento del mondo che tutti noi contribuiamo a costruire ed a mantenere.
E’ anzitutto un problema umano, di un miliardo di uomini e donne come noi, non solo un problema economico-tecnico. Papa Benedetto delinea in questo modo la  “coscienza solidale” capace di essere la forza motrice per una decisa svolta nella lotta contro la fame: Riconoscere il valore trascendente di ogni uomo e di ogni donna resta il primo passo per favorire quella conversione del cuore, che può sorreggere l’impegno per sradicare la miseria, la fame e la povertà in tutte le loro forme”.

da www.asianews.it

 
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“DIPENDESSE DA ME, IL CROCEFISSO RESTEREBBE APPESO”, PAROLA DI MARCO TRAVAGLIO

Post n°135 pubblicato il 09 Novembre 2009 da diefrogdie
 

“DIPENDESSE DA ME, IL CROCEFISSO RESTEREBBE APPESO”, PAROLA DI MARCO TRAVAGLIO 

Fra i tanti articoli pubblicati in questi giorni sulla triste vicenda della Sentenza della Corte di Strasburgo sul Crocefisso in classe, mi piace citare quello di Marco Travaglio. Stimo l’onestà intellettuale di Marco Travaglio, la sua preparazione in campo politico-giudiziario. Non mi piace molto certo suo oltranzismo e quel anti-clericalismo di principio che fa molto di antico.
Prendo quindi le distanze da quelle critiche gratuite e miopi contro la chiesa, che, almeno, in questa vicenda potevano essere risparmiate.

Fermo quanto sopra, l’articolo, che comunque mi piace, è il seguente.

 

5 novembre 2009

Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. E non per le penose ragioni accampate da politici e tromboni di destra, centro, sinistra e persino dal Vaticano. Anzi, se fosse per quelle, lo leverei anch’io.

Fa ridere Feltri quando, con ignoranza sesquipedale, accusa i giudici di Strasburgo di “combattere il crocifisso anziché occuparsi di lotta alla droga e all’immigrazione selvaggia”: non sa che la Corte può occuparsi soltanto dei ricorsi degli Stati e dei cittadini per le presunte violazioni della Convenzione sui diritti dell’uomo.
Fa tristezza Bersani che parla di “simbolo inoffensivo”, come dire: è una statuetta che non fa male a nessuno, lasciatela lì appesa, guardate altrove.
Fa ribrezzo Berlusconi, il massone puttaniere che ieri pontificava di “radici cattoliche”.

Fanno schifo i leghisti che a giorni alterni impugnano la spada delle Crociate e poi si dedicano ai riti pagani del Dio Po e ai matrimoni celtici con inni a Odino. Fa pena la cosiddetta ministra Gelmini che difende “il simbolo della nostra tradizione” contro i “genitori ideologizzati” e la “Corte europea ideologizzata” tirando in ballo “la Costituzione che riconosce valore particolare alla religione cattolica”. La racconti giusta: la Costituzione non dice un bel nulla sul crocifisso, che non è previsto da alcuna legge, ma solo dal regolamento ministeriale sugli “arredi scolastici”.

Alla stregua di cattedre, banchi, lavagne, gessetti, cancellini e ramazze. Se dobbiamo difendere il crocifisso come “arredo”, tanto vale staccarlo subito. Gesù in croce non è nemmeno il simbolo di una “tradizione” (come Santa Klaus o la zucca di Halloween) o della presunta “civiltà ebraico-cristiana” (furbesco gingillo dei Pera, dei Ferrara e altri ateoclericali che poi non dicono una parola sulle leggi razziali contro i bambini rom e sui profughi respinti in alto mare).

Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula.

È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”).

Gratuità: la parola più scandalosa per questi tempi dominati dagli interessi, dove tutto è in vendita e troppi sono all’asta. Gesù Cristo è riconosciuto non solo dai cristiani, ma anche dagli ebrei e dai musulmani, come un grande profeta. Infatti fu proprio l’ideologia più pagana della storia, il nazismo – l’ha ricordato Antonio Socci - a scatenare la guerra ai crocifissi. È significativo che oggi nessun politico né la Chiesa riescano a trovare le parole giuste per raccontarlo.

Eppure basta prendere
a prestito il lessico familiare di Natalia Ginzburg, ebrea e atea, che negli anni Ottanta scrisse: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente… Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di ebrei nei lager? Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli.

A me sembra un bene che i bambini, i ragazzi lo sappiano fin dai banchi di scuola”. Basterebbe raccontarlo a tanti ignorantissimi genitori, insegnanti, ragazzi: e nessuno – ateo, cristiano, islamico, ebreo, buddista che sia - si sentirebbe minimamente offeso dal crocifisso. Ma, all’uscita della sentenza europea, nessun uomo di Chiesa è riuscito a farlo. Forse la gerarchia è troppo occupata a fare spot per l’8 per mille, a batter cassa per le scuole private e le esenzioni fiscali, a combattere Dan Brown e Halloween, e le manca il tempo per quell’uomo in croce. Anzi, le mancano proprio le parole. Oggi i peggiori nemici del crocifisso sono proprio i chierici. E i clericali.

da Il Fatto Quotidiano n°38 del 5 novembre 2009

 
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MEGLIO UNA PARETE BIANCA...?

Post n°134 pubblicato il 04 Novembre 2009 da diefrogdie
 

MEGLIO UNA PARETE BIANCA...?

LA VIGNETTA DI GIANNELLI - Dal Corriere della Sera di mercoledì 4 novembre 2009

Mi ha suscitato tanta amarezza l'ennesima sentenza ideologica della Corte europea dei diritti dell'uomo - fra parentesi che una Corte dei diritti dell'uomo giudichi sul Crocefisso, mi pare come un Tribunale delle acque che sentenzi in materia di separazione di coniugi: quale diritto dell'uomo può essere violato dal Crocifisso? Spiegatemelo, se siete capaci!
In ogni caso, dopo le streghe cattoliche e le più disparate condanne del Vaticano, nel clima di laicità negativa che si aggira per l’Europa era nell’aria che arrivasse pure, stavolta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, una sentenza che condanna lo stato italiano perché i crocefissi nelle aule scolastiche violerebbero il “diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni”, essendo lesivi della “libertà di religione degli alunni” (!?).

Mi piacerebbe richiamare quanto statuito da un'altra Corte - forse più adatta ad intervenire in materia -, la sesta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza con la sentenza numero 556/2006 del febbraio 2006:

[Il Crocifisso] è un segno che non discrimina ma unisce, non offende ma educa: fuori dalle chiese, in un ufficio pubblico come può essere una scuola, il crocifisso resta un riferimento alla fede per i cristiani, «ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata e assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile e intuibile (al pari d'ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono e ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile». Ovvero «tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, riguardo alla sua libertà, autonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione». Valori che «hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano». In questo senso «il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte "laico", diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni».

La sentenza Lautsi c. Italie del 3 novembre 2009 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo segna il passaggio della cristianofobia dalla fase indiretta a una diretta.
Non ci si limita più a colpire il cristianesimo attraverso l’invenzione di «nuovi diritti» che, proclamando il loro normale insegnamento morale, le Chiese e comunità cristiane non potranno non violare, ma si attacca la fede cristiana al suo cuore, la croce. I giudici di Strasburgo – dando ragione a una cittadina italiana di origine finlandese – hanno affermato che l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche italiane viola i diritti dei due figli della signora Lautsi, li «perturba emozionalmente».

Ove tornasse in Finlandia, la signora Lautsi dovrebbe chiedere al suo Paese natale di cambiare la bandiera nazionale, dove come è noto figura una croce, con quale perturbazione emozionale dei suoi figlioli è facile immaginare.
Basta questa considerazione paradossale per capire come, per qualunque persona di buon senso, la croce a scuola o sulla bandiera non è uno strumento di proselitismo religioso ma il simbolo di una storia plurisecolare che, piaccia o no, non avrebbe alcun senso senza il cristianesimo.

In conclusione, come ha detto qualche commentatore, la sentenza della Corte di Strasburgo, suscita amarezza ma non scandalo, perchè Gesù non ha garantito ai suoi seguaci la vittoria in campo sociale e politico. Certò amareggia la miopia di certi menti che di autodefiniscono illuminate. Tutto quà.

P.S.: la vignetta riportata, che dice più di tanti commenti più o meno interessati, è di Giannelli, www.corriere.it. I Barabba, o meglio i fautori della cristianofobia, sono tanti, ma...non prevarranno! 

 
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Le pozzanghere del pettegolezzo e la pietà

Post n°133 pubblicato il 30 Ottobre 2009 da diefrogdie
 

LE POZZANGHERE DEL PETTEGOLEZZO E LA PIETA'

 

Per commentare le recenti vicende politico-sessuali-gossip (che brutto neologismo!), mi avvalgo innanzi tutto delle lucide osservazioni di Annalena Benini [www.ilfoglio.it ] 

“Un attacco centrato sui sanitari del cesso è la definizione geniale di Marco D’Eramo [Il Manifesto] per le vicende erotiche utilizzate come arma politica.
Le foto scattate in bagno col telefonino da un paio di ragazze sono state sui giornali per mesi, in effetti, corredate da pensosi commenti. Tutti chiamati a discutere di puttane, di morale e adesso di viados e di Tor di Quinto. Con un’esaltazione sospetta, tra l’altro. Il fatto è che la lotta nel fango è irresistibile: segreti da svelare, vizi di cui adesso ci si vergogna meno se sono anche quelli di tizi importanti, nuovi nomi che sbucano all’improvviso, meschinerie totali, scandali all’ombra, l’improvvisa e spontanea riabilitazione della banalissima amante.
Siamo tutti servette, adoriamo rotolarci nei pettegolezzi, sbaviamo per un segreto.

Siamo tutti servette ma questo è fango da rotocalco, non da discorso politico.
Ci divertiamo e allo stesso tempo ci vergogniamo
,
e lo si può fare da sincere servette, senza contaminare la discussione pubblica, scegliendoci luoghi adeguati, pause pranzo, cene con altre servette, fino a che anche la pozzanghera verrà a noia. Ma elevare a cose serie i sanitari del cesso, quello no.
Fingere che sia necessario intervistare le escort per avere un governo migliore, o inseguire un viados e farsi raccontare le abitudini dei vip per fare chiarezza sull’amministrazione della regione Lazio, è ridicolo. Anche moralizzare sui corpi in vendita è da servette. La differenza fra i due tipi di pozzanghere è la consapevolezza o meno di sguazzarci dentro.”


Forse dobbiamo svolgere riflessioni serie sulla questione morale (caso Marrazzo, caso Berlusconi, ma anche noi uomini e donne) ed esaminare tutto sotto la lente della pietà, intesa nel senso più autentico e nobile dell’espressione. La pietà del Vangelo, la pietà dei romanzi di Dostojvseki.

Davide Rondoni, in un bellissimo pezzo su
www.avvenire.it, scrive:

 […] E io vorrei tenermi lontano dal guazzabuglio delle reazioni di parte e ancor di più dal greve gioco al massacro che s’è subito aperto. Perché è legittimo stigmatizzare le debolezze di un uomo pubblico – e trarne, sul piano politico e morale, le inevitabili conseguenze – ma non può diventare motivo per massacrare la dignità sua e la sensibilità di coloro che lo amano o che gli sono legati.

Che questa sia, piuttosto, l’occasione per una riflessione seria, dura e al tempo stesso pietosa (sì usiamolo questo aggettivo, senza il quale ogni società umana decade, poiché senza pietà ogni umano consorzio si disfa e si insanguina). Perché si tratta di considerare una cosa: nel cuore di un uomo può agire la spinta ideale, buona e costruttiva a darsi da fare, a impegnarsi bene, e anche, contemporaneamente, agire la spinta a buttarsi via, a obnubilarsi in un oscuro dispendio di se stesso, del proprio corpo, della propria energia. Costruzione e dispendio. Fare del bene e buttarsi via. Questo può succedere, e non di rado.

Succede perché l’uomo è anche fatto così.
Non è un meccanismo dove al bene si attacca e consegue per forza il bene. Possono convivere male e bene, alternarsi. Succedere l’uno all’altro. Non ce ne dovremmo stupire, se ci conosciamo almeno un poco. Lo diceva anche san Paolo di se stesso, figurati se non vale per ognuno di noi poveracci. I cristiani iniziano il momento più importante per loro, la Messa, battendosi il petto. L’ultimo peccatore come il Papa.

[…] Eppure il caso Marrazzo mi suscita infinita pena. Dello stesso tipo di pena che ho verso me stesso, la medesima abbandonata e irrimediabile pena.

Se davvero la "questione morale" fosse un momento per guardarsi in faccia, anche con le proprie debolezze, allora forse la politica e i suoi teatri ne riceverebbero una nuova tensione positiva, e un’aria meno ammalata. Se davvero fosse un’occasione per parlare tra uomini in carne e ossa, preoccupati per il decadere delle istituzioni politiche e di garanzia; insomma,
se il disastro umano di questo o quel caso noto servisse per uscire un attimo dal teatro di "bambocci" (cioè di pupi, d’uomini finti) a cui sembra ridursi spesso la politica italiana, allora penso che ne verrebbe un guadagno per tutti. Ridiscutendo di cosa sia la morale, che tensione sia, che necessità ci sia di non fissarsela da soli, di non rispondere soltanto – senza stile e senza sobrietà – alla propria immagine di potere o di pensiero.

Una vera questione morale sarebbe il tratto di un’epoca di agire retto e dove non si usa la comune debolezza umana come clava gli uni contro gli altri. Dove politici, uomini dello Stato e mass media non lavorano per sfasciare la gente. E per prenderla per il naso. Sarebbe una stagione meno farisaica e scandalistica, più pulita e di maggior tensione al bene comune.
Se no, ne verrà solo altro avvilimento, e incattivimento. Proseguendo un periodo cupo e pazzo in cui in nome della morale fai-da-te o improvvisamente riscoperta si distoglie amoralmente lo sguardo dai problemi veri della gente vera e si aprono le porte ai modi più feroci e distruttivi di lotta.
 
 

 

 
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I PIU' PERSEGUITATI

Post n°132 pubblicato il 29 Ottobre 2009 da diefrogdie
 

I PIU' PERSEGUITATI

Fa strano pensare che i nostri mass media, l’opinione pubblica maggioritaria e i politici di ogni schiarimento, mentre da un lato sono sempre pronti ad urlare e lottare, almeno a parole, a favore delle libertà - anche religiosa, ci mancherebbe! - e dei diritti dei rifugiati e delle minoranze in Italia, dall’altro siano ostinatamente ciechi, sordi e muti di fronte alla massiccia e barbara persecuzione sofferta dai cristiani in tante parti del mondo: Terra Santa, tutti i paesi mussulmani, varie zone del continente africano, India, Cina, ecc.

Ci sono centinaia di milioni di persone senza libertà di vivere la fede.
Ma non sono solo i poveri (!?) islamici, che ospitiamo - spesso con tutti gli onori nelle nostre città - e a cui riconosceremo, progressivamente, ogni diritto costituzionale. C’è, piuttosto, un immenso popolo invisibile a mass media e ai politici che soffre vessazioni e discriminazioni di ogni sorta. Ma che non fa rumore. E che non si merita nessun tipo di manifestazione o di sollevazione popolare a suo favore. E nemmeno un briciolo di indignazione. O di solidarietà.
Meglio riservare questi sentimenti nobili all’islamico che vende tappeti ai semafori e che poi manda i soldi alle tre mogli e ai dieci figli in Africa. Lui, sì, che si merita le prime pagine
dei giornali e la comprensione dei benpensanti…

In Italia c’è un solido razzismo, ma al contrario. Sbaglio?


[…] A fare memoria di tutto questo ci ha pensato lunedì monsignor Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, nel suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu a New York.
Migliore ha ricordato che il diritto alla libertà religiosa «continua oggi ad essere ampiamente violato». Atti d’intolleranza religiosa vengono «perpetrati in molte forme» e toccano le diverse religioni. Ma sono proprio i cristiani l’anello debole della catena, il gruppo religioso maggiormente colpito.
Sarebbero, infatti, oltre 200 milioni i fedeli, appartenenti a varie confessioni cristiane, che subiscono discriminazioni sotto il profilo legale e culturale.

Non è una novità degli ultimi giorni. In un’intervista di tre anni fa a questo giornale, Asma Jahagir, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la libertà di religione, dichiarava: «Le violenze verso i cristiani nel mondo stanno aumentando in maniera considerevole».

E anche LiMes, rivista di geopolitica, tempo fa sottolineava che «il cristianesimo è la religione oggi più perseguitata nel mondo. Conta migliaia di vittime.

Ma l’opinione pubblica occidentale, proprio quella di "cultura cristiana", non concede a questo dramma alcuna attenzione, se non in ambienti ristretti».

Da quando quelle righe sono state scritte (era il 2001), la sensibilità su questo tema – complici i puntuali richiami di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI alla libertà religiosa – è cresciuta. Negli ultimi anni le situazioni più delicate (dall’Iraq al Pakistan, dalla Somalia all’India…) sono state oggetto di ripetute denunce, anche se spesso condotte in solitudine dai media cattolici. E tuttavia nell’estate 2008 fece ancora scalpore l’arcivescovo Dominque Mamberti, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, costretto a
chiedere di combattere la cristianofobia almeno «con la stessa determinazione con cui si combattono l’antisemitismo e l’islamofobia».

Ora, finalmente, la politica si muove. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, intervenendo al Consiglio della Ue, ha chiesto e ottenuto che nella riunione di novembre si discuta di libertà religiosa e ci sia un pronunciamento formale, con particolare attenzione per la condizione delle minoranze cristiane. Un segnale importante, a due anni dall’approvazione a larghissima maggioranza, da parte del Parlamento di Strasburgo, di una risoluzione bipartisan con la quale, su iniziativa di Mario Mauro, venivano condannati «risolutamente tutti gli atti di violenza che mettono a repentaglio l’esistenza delle comunità cristiane e di altre comunità religiose».

È tempo che la tutela delle minoranze religiose e il diritto alla piena libertà di fede entrino con forza nell’agenda politica, e che si adotti l’effettivo rispetto di entrambe come parametro per la concessione di aiuti e di cooperazione. Senza questo passaggio, la difesa dei cristiani e di ogni altro perseguitato rischia di rimanere un richiamo retorico. 
 

Gerolamo Fazzini – www.avvenire.it  

 
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BERSANI ED IL NUOVO PD (CON RUTELLI, SPERO)

Post n°131 pubblicato il 27 Ottobre 2009 da diefrogdie
 

BERSANI ED IL NUOVO PD (CON RUTELLI, SPERO)

All'indomani della grande festa democratica delle primarie PD (TRE MILIONI AL VOTO!), mi sento innanzi tutto, di porgere un ringraziamento di cuore all'On. Dario Franceschini, per quanto fatto a favore della causa democratica. e nel contempo fare un sincero in bocca al lupo al nuovo segretario eletto Pierluigi Bersani, sperando che riesca ad offrire un'immagine nuova e migliore del Paese, tenendosi al di fuori da ogni scandalo morale e politico.

Mi auguro poi che venga mantenuta l'unità del partito e di tutte le forze lealmente democratiche, a prescindere da ogni differenza interna e oltre le stesse.
E per questo che auspico l'unità del partito sul modello del Partito Democratico degli States, quando dopo le primarie ed i feroci scontri fra Obama e Hillary, si è poi rimasti insieme per dare un futuro migliore al Paese.

E' per questo motivo - e anche perchè sono un'inguaribile nostalgico e ricordo ancora con le lacrime agli occhi le elezioni del 2001 - che spero veramente che Francesco Rutelli non se ne vada.

C’è qualcosa di difficilmente comprensibile nell’odio belluino di certi elettori e sostenitori del centrosinistra nei confronti di Francesco Rutelli, già deputato radicale, già fondatore dei Verdi, già sindaco di Roma, già ministro e vicepresidente del Consiglio, già candidato premier dell’Ulivo e forse prossimo transfuga del Pd.
La sua più che vivace biografia politica non basta a spiegare l’acredine che lo circonda.

Che a odiare Rutelli sia la sinistra estrema e comunista, oltre che la destra, è perfettamente comprensibile, anzi in un mondo normale l’antipatia riscossa da quelle parti dovrebbe allungare la colonna dei “pro” invece che quella dei “contro” di un leader del Pd.
Ma che a detestarlo siano anche gli interpreti dello spirito-innovativo-del-Partito-democratico, è davvero un mistero.

Penso che se si è affascinati dall’idea di un partito nuovo, riformista, sufficientemente liberale, lontano dalle vecchie tradizioni comuniste, socialiste, socialdemocratiche e pure democristiane, allora la persona che passa il convento è proprio Rutelli.

Rutelli è l’unico dirigente del Pd che non è stato comunista. Che non è stato socialista. Che non è stato democristiano. E’ stato radicale, e non se ne vergogna. Com’è possibile che i giovani della generazione Pd, quelli che il-Pd-è-un-partito-nuovo-e-non-l’unione-della-tradizione-comunista-e-democristiana, non si schierino con lui?
Per i contenuti, forse, cioè per una certa sudditanza nei confronti della chiesa in materia di fecondazione assistita e testamento biologico. Ma Rutelli è convinto che il fondamentalismo laicista sia una pesante zavorra della cultura di sinistra.
Continuare a dividersi tra clericali e anticlericali, sostiene Rutelli, è una battaglia di retroguardia, vecchia perlomeno un secolo.

Rutelli spiega che una cosa è essere laici, un’altra laicisti. Una cosa è non credere, un’altra è disprezzare “il significato popolare della presenza religiosa nello spazio pubblico”.
E se non si capisce la differenza, bisognerebbe chiedere a Barack Obama. 


Rutelli non è antiamericano, non è antioccidentale, non è anti israeliano e già solo questo lo qualifica non poco rispetto ad altri. Ha rapporti seri e consolidati con il Partito democratico americano, quello vero. Resta il fatto che se in Italia c’è qualcuno anche solo lontanamente (lontanamente) paragonabile a un gigante del riformismo europeo come Tony Blair, conversione al cattolicesimo compresa, o all’esperienza di governo dei democratici Usa, questo è Rutelli.

Il curriculum è perfetto, ma nel Pd non rappresenta nessuno.
Sarà costretto a uscirne? La colpa del fallimento può essere certamente sua. Oppure è vero che il Pd è “un partito mai nato”, come dice nel suo ultimo saggio.

Insomma io tifo per Rutelli e - che è lo stesso - per l'Unità e la genuina Democraticità, di quello che è chiamato ad essere partito di alternanza e non solo di opposizione, come saggiamente dice il nuovo Segretario Pierluigi Bersani.

 
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L'IDEA (DISATROSA) DELL'ORA DI ISLAM

Post n°130 pubblicato il 19 Ottobre 2009 da diefrogdie
 

L'IDEA (DISASTROSA) DELL'ORA DI ISLAM

L’ora di religione islamica nelle scuole pubbliche è una…vabbeh non cito Fantozzi e il suo giudizio ironico sulla corazzata Potionkin. Comunque, ci siamo capiti.

Siamo in Italia, quindi in una scuola italiana – pubblica o privata non fa differenza – si deve conseguentemente studiare la cultura italiana. Punto e basta.

Cosa c’entra con Dante e la sua poesia Maometto, che fra l’altro si merita il castigo dell’Inferno nella Commedia? Cosa c’entra con Michelangelo e Raffaello il Corano, che fra l’altro, se interpretato in chiave letteralistica, chiama alla iconoclastia? Cosa c’entrano con Manzoni ed i suoi valori di Pietà e Solidarietà, Maometto ed i suoi detti, che narrano storie di lunghe battaglie per la conquista della terre orientali (e occidentali)? Spiegatemelo, voi tutti politicamente corretti, che volete rinnegare le nostre radici.

Senza parlare poi del rischio della formazione di madrasse in seno alla scuola pubblica. Insomma una vera sparata da parte di qualche politicante - di destra o sinistra non importa - che accortosi della debolezza delle proprie idee cerca di riciclarsi come alfiere dell’integrazione ad ogni costo. Senza accorgersi che così, ci si avvicina alla dis-integrazione.

Integriamo i ragazzi delle seconde (e terze oramai) generazioni, proponendo loro valori condivisi ed inclusivi. Ho detto, proponendo valori condivisi, non ho detto imponendo valori. Facciamoli ragionare. Non lasciamoli tra le braccia di chi ha un’idea esclusiva della convivenza, di chi predica l’odio, la violenza e la marginalizzazione della donna.

Riporto una parte di un articolo di Vittorio Messori, apparso su www.corriere.it. 

[...] E ora, tocca all’Islam, la cui presenza tra noi, ogni giorno in crescita, è tra gli eventi che meritano l’inflazionato aggettivo di «storico». Non siamo davanti a una immigrazione, ma a una di quelle migrazioni che si verificano una o due volte in un millennio.

Per quanto importa, sono tra i convinti che, sulla lunga durata, l’Occidente si rivelerà per l’islamismo una trappola mortale. I nostri valori e, più ancora, i nostri vizi, corroderanno e, alla fine, faranno implodere una fede il cui Testo fondante non è per nulla in grado di affrontare la critica cui sono state sottoposte le Scritture ebraico-cristiane.

Una fede che, in 1400 anni, non è mai riuscita ad uscire durevolmente dalle zone attorno ai tropici, essendo una Legge nata per remote organizzazioni tribali.
Una fede che, priva di clero e di un’organizzazione unitaria, impossibilitata a interpretare il Corano — da applicare sempre e solo alla lettera — è incapace di affrontare le sfide della modernità e deve rinserrarsi dietro le sue mura, tentando di esorcizzare la paura con l’aggressività.
Ma poi: panini al prosciutto, vini e liquori, minigonne e bikini, promiscuità sessuale, pornografia, aborti liberi e gratuiti, «orgogli» omosessuali, persino la convivenza con cani e gatti, esseri impuri, e tutto ciò di cui è fatto il nostro mondo — nel bene e nel male — farà sì che chi si credeva conquistatore si ritroverà conquistato.

Ma questo, dicevo, in una prospettiva storica: per arrivarci passerà molto tempo e molti saranno i travagli, magari i drammi. Per adesso, che fare? Sorprende che, proprio da destra, si proponga lo pseudorimedio che è, da sempre, quello caro alle sinistre: nelle scuole «corsi di Islam», quello buono, quello politically correct . L’idea non ha né capo né coda.

Brevemente: poiché, a parte casi particolari, gli allievi islamici sono ancora pochi in ogni classe, bisognerebbe riunirli tutti assieme in una classe sola, almeno per quelle ore. Ed ecco pronta la madrassa, la scuola coranica, che esige che i credenti in Allah stiano unicamente con altri credenti. Stretti in comunità, a cura della nostra Repubblica, chi farà loro lezione? E che gli si insegnerà?

Gli ingenui, o insipienti, promotori della proposta si cullano forse nel mito di un «Islam moderato», pensano che esistano schiere di intellettuali musulmani «laici, pluralisti, democratici», pronti ad affrontare concorsi per cattedre di Islam «corretto»?

Ignorano che incorrerebbe in una fatwa di morte il muslìm che presentasse la sua religione come una verità tra le altre? Non sanno che relativismo e neutralità religiosa sono frutti dell’illuminismo europeo, ma bestemmie per il credente coranico? Ignorano che l’anno islamico inizia da Maometto e che il tempo e il mondo sono solo del suo Allah? Non sanno che è impensabile il concetto stesso di «storia delle religioni» per chi è convinto che c’è una sola fede e le altre sono o incomplete o menzognere? I politici pensano, allora, di affidare le «ore di Islam» a non islamici, di far spiegare il Corano — in modo «laico e neutrale» — a chi non lo crede la Parola eterna e immutabile di Dio?

 Fossi un assicuratore, mai stipulerei una polizza sulla vita per simili, improbabili, introvabili docenti. Se l’insegnamento nelle istituende «madrasse della Repubblica italiana» differisse anche di poco da quello delle moschee, l’esplosione di violenza sarebbe inevitabile. E, come troppo spesso è successo con i fautori delle «ore di…», le buone intenzioni produrrebbero frutti disastrosi.

Vittorio Messori - WWW.CORRIERE.IT

 
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