Creato da wildbillhickok il 09/12/2007

Il prima ed il dopo

Questo blog è un contenitore nel quale finiranno tutte le cose che ho scritto fino ad oggi e quelle che scriverò in futuro. Si riempirà compatibilmente con la mia vena creativa, con il mio tempo, con i miei umori. Parte di ciò che leggerete sarà magari terribile, perchè fa parte di un passato nel quale il mio modo di scrivere e di pensare erano totalmente differenti da ciò che sono oggi. Ma è giusto che anche quegli scritti abbiano il loro posto qui dentro...

 

 

« Due ParoleUmore (parte prima) »

Umore (parte seconda)

Post n°62 pubblicato il 17 Settembre 2009 da wildbillhickok

 

 

Uscì dall’aula senza nemmeno salutare. Una volta che la porta si chiuse alle sue spalle Lucilla si lasciò sfuggire un “Che stronzo…”.

Il professore riapparve magicamente affacciato all’esterno della finestra e disse: - Lucilla, una nota di demerito per te. Ricordamelo lunedì.

Questa volta riuscì ad alzarsi in piedi inviperita rispondendo: - Ma non è giusto!

Non sarebbe giusto se ti mettessi la nota per l’avermi dato dello stronzo; la nota, invece, è per la reazione che hai appena avuto e che prevedevo.

 

Lucilla s’era fatta fregare nella maniera più semplice possibile.

A quel punto del corso certe cose ce le aspettavamo un po’ tutti dal prof. Ci sentivamo abbastanza capaci di poter gestire i suoi comportamenti, da essere sicuri di poter superare la seconda prova in tutta tranquillità.

Fu questo che dicemmo a Brown durante la lezione del lunedì.

Lo avevamo appena informato di aver trovato la soluzione alla strategia della tensione passiva e lui, dopo aver affermato che l’idea di distogliere lo sguardo, evitando di incontrare quello del proprio osservatore, era buona, ci chiese se avremmo preferito affrontare subito la seconda prova oppure attendere qualche altra settimana.

Eravamo impazienti, così decidemmo di procedere il prima possibile, ma prima che potessimo esprimerci venimmo interrotti dal grido isterico dell’allarme anti-incendio.

Non ci fu molto tempo per ripassare le procedure di sicurezza, raccogliemmo le nostre cose e ci lanciammo verso l’uscita dell’aula per poi unirci e confonderci nei corridoi con gli studenti degli altri corsi.

In circa 15 minuti riuscimmo a recuperare l’uscita ed radunarci nel punto di ritrovo 1, sul cortile antistante la mensa. 

Alcuni di noi si guardavano freneticamente intorno cercando il punto preciso di origine delle fiamme. Qualcun altro raccoglieva i propri libri, caduti sul piazzale durante le fasi di evacuazione, tutti noi comunque, chi più chi meno, scontava uno stato di panico e tensione latente.

 

Dal portone principale apparvero il preside ed il prof Brown, si scambiavano battute mentre prendevano posto al centro del piazzale.

Brown accese il megafono che aveva in mano, lo portò alla bocca e disse:

Ragazzi, abbiamo tre notizie per voi. La prima è che non c’è nessun incendio, si è trattato di una esercitazione. La seconda è che avete appena dimostrato che ad evacuare un edificio siete davvero delle pippe. Non avete utilizzato le uscite di sicurezza, non avete sbloccato gli estintori, e la maggior parte di voi ci ha messo un quarto d’ora per concentrarsi in un punto di ritrovo diverso da quello assegnato. La terza è che i ragazzi del mio corso non hanno superato la seconda prova.

Potete tornare tutti alle vostre lezioni adesso. Grazie.

 

Ritornammo in aula in stato di profonda depressione. Lui era già lì che ci aspettava. Attese che prendessimo posto, poi disse:

 

Non avete raggiunto il controllo dei vostri stati umorali, ragazzi.

Credevate di essere pronti perché vi siete concentrati su di me e non su voi stessi. Aver fatto l’abitudine ai miei curiosi modi d’agire è un punto di partenza, ma non troverete di fronte a voi sempre e soltanto Adam Brown. Troverete altre persone, altre situazioni, altri contesti.

Per oggi direi che può bastare. Andate pure a casa. Ci vediamo giovedì.

 

 

Quel giovedì non andai a lezione. E come me tutti gli altri ragazzi del corso. Eravamo parecchio demoralizzati e nessuno se la sentiva di affrontare una nuova sfida seguita da una nuova sconfitta.

Ovviamente nemmeno Brown si era presentato, sapeva già che non avrebbe trovato studenti in aula, quindi si era ben guardato dal perder tempo e probabilmente aveva passato la giornata a pescare o svolgere qualsiasi altro tipo di attività poco emozionante.

 

Personalmente passai la giornata a fare un’autovalutazione. A guardarmi dietro ed a chiedermi cosa quel corso mi avesse insegnato e cosa ancora potesse insegnarmi.

Ne dedussi che l’unico aspetto positivo del seguire quelle lezioni era stato l’aiutarmi a sviluppare una certa capacità analitica, cosa che avrei potuto ottenere seguendo anche altri corsi meno deliranti, come algebra applicata o geometria spaziale.

Di negativo, invece, quel corso mi aveva dato tanto: mancanza di fiducia in me stessa, ansie ricorrenti, sbalzi d’umore e tensione emotiva ogni volta che entravo in aula; tutte reazioni che incidevano in maniera evidente sul mio fisico procurandomi sfoghi cutanei e la scomparsa del ciclo. A questo aggiungete che avevo cominciato a fumare copiosamente, aspettando ogni mattina che il fumo mi indicasse la strada da seguire, senza per altro riuscire mai ad ottenere un maledettissimo suggerimento.

 

Mi convinsi che l’unica soluzione per non mandare a puttane i miei 24 anni era quella di lasciare il corso.

Il problema era che il prof. Brown era riuscito a farci legare al suo corso facendocelo vivere come una sorta di sfida cruciale per dimostrare la nostra capacità di affrontare la vita.

Abbandonare il corso equivaleva ad abbandonare la possibilità di gestire e governare la nostra vita negli anni a venire.

Vivevamo l’abbandono del corso come una condanna a vivere in eterno nell’oblio e nella passività, in totale balia degli eventi. 

 

Dovevo lasciare il corso, ma non potevo farlo.

Così decisi che doveva essere il corso ad abbandonare me.

 

Mi presentai alla porta del prof. Brown alle 23.14 del 12 dicembre.

Sorrisi al professore sull’uscio e lasciai che mi facesse entrare in casa.

Mi sistemai sul divano e gli chiesi di aggiungere legna al camino – Potrei aver freddo… tra poco…- dissi.

Il professore manteneva la sua solita calma e sicurezza da uomo vissuto, evitai di chidergli se si aspettasse la mia visita o meno, dal momento che la risposta sarebbe stata scontata, vera o fasulla che fosse.

Bevemmo un po’, chiacchierammo del più e del meno, fin quando non sentii di essere abbastanza su di giri per passare alla fase due.

Mi alzai in piedi, aprii il cappotto color panna che non avevo mai levato di dosso, e lasciai che l’intimo nero di seta, l’unica cosa che avevo indossato prima di uscire di casa, facesse il resto.

 

Un ora dopo, stesi nudi l’uno accanto all’altro sul pavimento, mi girai verso il mio uomo, lo guardai negli occhi e gli sussurrai alcune parole:

 

- E’ da quando sono entrata in quell’aula, due mesi fa, che sognavo di farlo; le ragioni sono cambiate con il passare dei giorni, ma il desiderio non è andato via. Ci ho pensato molto e mi sono chiesta se fosse giusto arrivare fino a questo punto oppure se mi sarei dovuta fermare prima.

Non è stato facile prendere coraggio, ma ad un certo punto ho deciso che ciò che mi spingeva a farlo aveva molto più senso di ciò che mi tratteneva.

I desideri vanno trasformati in realtà, a volte.

Sai perché? Per rendersi conto di quanto possa essere distante la realtà dalla fantasia; e… vedi Adam… questo è il classico caso in cui le aspettative superano di gran lunga la realtà.

Ora che l’ho provata, posso dire che sei stato di gran lunga la peggior scopata della mia vita…

 

Avete mai avuto modo di osservare il terrore, l’incredulità, lo stupore negli occhi di un uomo?

Io sì, successe quella notte. Quando per la prima volta da chissà quanto tempo il prof. Adam Brown ebbe modo di sperimentare il terribile sapore dell’inaspettato.

 

Adam conosceva le persone, ci sapeva giocare, sapeva manipolarle; ma troppo preso dalle sue manie, dimenticava di fare attenzione alla propria vulnerabilità.

Spesso quando si è maestri nell’attacco ci si dimentica di pensare alla propria difesa.

E non ci sono mura più semplici da abbattere, per una donna, di quelle rese friabili dallo spettro del fallimento sessuale.

Dite ad un uomo di essere una schiappa a letto e lo avrete in pugno.

 

Il corso di teoria e tecnica della regolazione degli stati umorali venne cancellato definitivamente a gennaio per assenza del docente incaricato.

 

Il professor Brown non fu più visto in città e tutti noi riguadagnammo la serenità, la spensieratezza, ma soprattutto la gioia di poter vivere appieno le nostre gioie, i nostri dolori, i nostri stati d’animo senza doverli programmare dal mattino.

 

Solo Lucilla conosce i dettagli di quello che successe, tutti gli altri ignorano il motivo di quella scomparsa.

Meglio così…

 

g.

 
 
 
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