Prigione dei Sogni

Cercare adagio, umilmente, costantemente di esprimere, di tornare a spremere dalla terra bruta o da ciò ch'essa genera, dai suoni, dalle forme e dai colori, che sono le porte della prigione della nostra anima, un'immagine di bellezza che siamo giunti a comprendere: questa è l'arte. James Joyce

 

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Incomprensioni  (parte prima)

Post n°144 pubblicato il 07 Aprile 2007 da Notram
 

Il violinista del primo piano suonava la sua melodia, come ogni giorno.
Era un motivo dolcissimo, ma così triste da svuotarla dentro ogni volta che l’ascoltava. Maria rimaneva lì, come incantata, seduta sul marciapiede ad assaporare ogni singola nota di quella nenia con gli occhi chiusi ed il battito del cuore che scandiva le battute.
Tutti i giorni, alla stessa ora, faceva in modo di trovarsi di fronte a quella finestra e lì, anche se solo per pochi minuti, si sentiva come sospesa in un altro mondo. Non sapeva come fosse possibile, né le interessava, perchè questo le dava la forza di affrontare con il sorriso sulle labbra il resto della giornata.
Buffo, lei abitava nello stesso palazzo di quel musicista, l’aveva anche visto qualche volta mentre portava su la spesa, eppure non aveva mai avuto il coraggio di rivolgergli la parola.
Lui non usciva spesso, doveva essere “uno di quegli artisti pazzoidi”, come diceva sempre sua madre. Effettivamente aveva un aspetto un po’ trascurato, ma era un bell’uomo dopotutto: sulla trentina, alto e snello, forse un po’ troppo magro. Maria però riteneva che la definizione che ne dava sua madre discendesse principalmente dalla lunga chioma di capelli castani che portava legata a coda di cavallo. Sua madre non aveva mai avuto troppa simpatia per i capelloni…
Il violinista suonava e lei era lì, con gli occhi chiusi, e le braccia attorno alle ginocchia, incapace di sottrarsi, completamente persa in quella musica…

****

Le dita danzavano tra le corde con abilità, le note scorrevano fluide ed equilibrate, tutto era giusto…
No, tutto era sbagliato. Non c’era trasporto in quella musica, non c’era sentimento. Non riusciva a capire il perché, ma quello stupido ammasso di suoni non valeva nulla.
Sergio era arrabbiato, ma ancor di più deluso. Quella melodia…lui quella melodia l’aveva scritta quando aveva perso tutto, con il cuore in mano, impastando le note con le sue lacrime ed il suo sangue. Non comprendeva come fosse possibile che ora risuonassero così vuote, così fredde; suonate da lui stesso poi! Se fosse stato bravo solo un decimo di quanto doveva essere bravo un vero musicista quella musica avrebbe dovuto commuovere, far battere il cuore, almeno lambirlo.
Invece niente, lasciava indifferente persino lui che l’aveva composta.
Ogni giorno ci riprovava, si sforzava con tutte le sue energie di dare un’anima a quella musica…e ogni giorno falliva. Cosa non andava? Dove sbagliava?
Una folata di vento gonfiò le tende della finestra e penetrò nella stanza mandando all’aria tutti i suoi spartiti. Senza smettere di suonare si avvicinò istintivamente alla finestra, come per frapporre il suo corpo tra la corrente ed i suoi fogli.
Fu lì che la vide.
Una giovane ragazza sedeva sul marciapiede di fronte la sua finestra, aveva gli occhi chiusi ed i tratti del viso tesi nell’ascolto, come se ogni suo nervo fosse concentrato nell’ascoltare la musica, la sua musica!

****

Quando, aveva riaperto gli occhi e l’aveva visto alla finestra si era sentita come una bambina che viene scoperta, dopo aver combinato una marachella. Il violinista l’aveva fissata senza dire una parola, con un’espressione accigliata sul viso. Lei non aveva saputo cosa dire, aveva provato ad accennare una smorfia che avrebbe dovuto sembrare un sorriso, ed era corsa via.
Il giorno dopo, alla solita ora, era tornata, ma il musicista non aveva suonato e neppure nei giorni seguenti.
“Forse si sarà offeso per qualcosa che ho fatto”, continuava a pensare, ma dopotutto lei cosa aveva mai fatto di male?
Continuava a pensare a quella melodia e a come quell’uomo l’aveva guardata, e col passare dei giorni quel disagio che aveva provato all’inizio si trasformò in rabbia.
Insomma, non aveva avuto alcun diritto di guardarla in quella maniera! Lei voleva solo restare in un angolino per quei cinque minuti, senza dare fastidio a nessuno. Lui invece l’aveva fatta sentire un’intrusa, l’aveva cacciata e le aveva tolto quella parentesi di felicità della sua giornata.
No, decisamente lei non aveva nulla da rimproverarsi. Forse era quel misantropo orgoglioso a doversi fare un esame di coscienza!
"Come può un uomo suonare tanto dolcemente ed essere contemporaneamente così detestabile?", questo si chiedeva, ma più se lo chiedeva meno risposte trovava... 

                                                                             (continua...)

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P.S. Scusate se posto solo metà racconto, ma intero mi sembrava troppo lungo ( e poi devo ancora finirlo ahah).
Approfitto per fare gli auguri di buona Pasqua a tutti quelli che passano di qui, credenti, non credenti ed indecisi. Alla prossima:)

 
 
 

Post N° 143

Post n°143 pubblicato il 29 Marzo 2007 da Notram
 
Foto di Notram

"Qual'è l'età dell'anima umana? Come essa ha la virtù del camaleonte di mutar colore a ogni nuovo incontro, d'esser gaia con chi è allegro e triste con chi è depresso, così anche la sua età è mutevole come il suo umore. "

                                          (James Joyce)

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Intangibile

Post n°142 pubblicato il 22 Marzo 2007 da Notram
 

Studi. La testa chinata su un pesante tomo di Diritto.
Hai tagliato i capelli, ora ti arrivano appena fino alle spalle; vorrei accarezzarli come faccio sempre prima che ti addormenti, ma ora mi cacceresti. Sembri amare più quel maledetto libro di me a giudicare da come mi hai abbandonato sul divano. Ma io lo so che in questi momenti non c’è spazio nel tuo mondo per me, non mi guardi neppure.
Sei tesa, lo capisco dal tuo viso: quando sei preoccupata ti pulsa la mandibola ritmicamente.
Stai troppo curva, te lo dico sempre di raddrizzare le spalle, ma appena mi distraggo un attimo ti ritrovo così….
Mi piace vederti studiare. Adoro osservarti in silenzio mentre sei tutta concentrata. Hai un’espressione così decisa mentre guardi quelle pagine…
Con me sei sempre dolce, ma in questi momenti capisco quanto sei forte, quanto sei indipendente.
La luce della stanza ti dona uno strano colorito olivastro, più scuro della tua carnagione naturale, anche i tuoi capelli ramati appaiono quasi neri.
Tamburelli le dita sul quaderno, forse qualcosa non va, forse non riesci a capire un passaggio chissà, oppure stai semplicemente pensando a qualche canzone sentita alla radio.
Dovrei farmi meno problemi e venire vicino a te.
Le tue mani sono snelle ed affusolate, le unghie lunghe e curate. Fanno male quando mi graffi, anche se lo fai solo per gioco. Perché quando ti arrabbi sul serio non ti degni di toccarmi, chiudi la saracinesca e mi cancelli. E allora io anche se sono arrabbiato, anche se magari ho ragione, non posso fare altro che bussare a quella saracinesca ed implorare di aprirmi. Solo allora, dimentichi tutto e mi sorridi.
Quando sorridi il mondo è più bello per me. Forse dovrei dirtelo più spesso.
Eppure non lo faccio, ci provo sai, ma davvero non ci riesco. Posso pensare le cose più belle del mondo, ma se non riesco a fartele capire che senso ha? Nonostante questo tu mi permetti di far parte della tua vita, mi permetti di godere della tua luce, di riscaldarmi tra le tue braccia, di assaporare la tua bocca. Mi permetti di osservarti ora che sei più bella che mai, anche se siamo distanti, anche se non posso toccarti.
Sì, in certi momenti mi basta guardarti da qui, perché quando sono io ad essere distante non ti consento neppure questo e tu lo capisci, o almeno credo.
Il libro si chiude, il viso è nuovamente disteso.
Alzi la testa. Ti sei ricordata di me.
- Ti stai annoiando? –
- No, ti immagino nuda! –
Digrigni i denti e mi cacci la lingua, proprio come una bambina. Poi abbassi un po’ la testa e mi guardi con quei tuoi occhi castani scuri scuri.
Ora stai sorridendo. Ti avvicini, posi una mano sulla mia guancia e mi baci… mi attraversi…


“Ciao, come stai? Mi manchi. Ogni giorno…”

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(Bernini - Il Ratto di Proserpina)
 
 
 

Comunicazione di servizio

Post n°140 pubblicato il 14 Marzo 2007 da Notram

Ciao a tutti,
per chi non se ne fosse accorto manco da quasi una settimana ormai.
La causa è un problema tecnico alla mia connessione internet che mi impedisce di connettermi.
Ora vi sto scrivendo dalla mia università.
Non so quando riuscirò a ristabilire il collegamento, potrebbe essere entro oggi o entro quindici giorni. Intanto spero non vi dimentichiate di me perchè io di voi non mi dimentico.

Vi abbraccio

 Notram

P.S. Scusate se non vi rispondo ancora ai commenti dell'ultimo post ma non mi trovo molto a mio agio a farlo qui. Ma sappiate che li ho letti tutti.


P.P.S.
Technorati Profile

Non fateci caso, mi serve per l'iscrizione a technorati.
 
 
 

Scuse

Post n°139 pubblicato il 06 Marzo 2007 da Notram
 

Ero nel pullman l’altro giorno, di ritorno dall’università, con un brano di Allevi nelle orecchie e tanta voglia di tornare a casa per stendermi finalmente sul divano.
In queste giornate di fine inverno la sera arriva troppo presto per i miei gusti e tornare col buio mi mette sempre malinconia.
Non ricordo se pensavo a qualcosa o se mi stavo semplicemente lasciando trascinare dalle note, ma d’un tratto la mia attenzione fu attratta dalla voce di qualcuno dietro di me. Era una voce femminile, ancora immatura, forse di una ragazza. Stava parlando al telefono con qualcuno, probabilmente il suo fidanzato.
Mi ritrovai ad ascoltare senza neppure volerlo…
-   Ciao, senti…ti ho chiamato perché ti volevo chiedere scusa. Mi sono comportata male oggi, ho detto cose che non avrei dovuto dire. Mi dispiace…-
Sul momento non ci pensai tanto, più che altro mi domandai come avessi fatto a distinguere quelle parole così chiaramente nonostante la musica del lettore mp3 e i rumori della strada.
Tornai a sentire la mia musica, senza più prestare tanta attenzione a quella voce di sottofondo. Era appena iniziata “L’orologio degli dei”, una di quelle canzoni capaci di trascinarmi in vortici emozionali senza farmene neanche rendere conto, eppure mentre ero perso in quei fraseggi di pianoforte la mia mente tornò su quelle parole:
“Ti chiedo scusa”…
Non conoscevo quella ragazza, eppure quelle sue parole mi avevano toccato profondamente.
E’ così difficile chiedere scusa…
Eppure quando siamo piccoli è semplicissimo, ne sentiamo il bisogno appena facciamo qualcosa di sbagliato, e ci sembra giusto farlo. E’ una cosa spontanea come ridere, o piangere, come mangiare e dormire.
Ancora me lo ricordo quando mi aggrappavo con le mani alla gonna di mia madre e, coprendomi la faccia, le confessavo le mie marachelle.
Invece quando cresciamo tutto cambia, tutto diventa più complicato.
Da grandi conosciamo l’orgoglio, da adulti la superbia, da vecchi la cocciutaggine.E  tutte queste cose ci impediscono di vedere i nostri errori, a volte, altre volte ce li fanno anche vedere ma ci impediscono di riconoscerli.
 La debolezza va nascosta, l’errore è un sintomo di debolezza…quasi come se veramente la gente non aspettasse altro per saltarci addosso e inveire contro di noi.
Forse però, ci sono delle volte in cui riusciamo a mettere da parte questo stupido e sterile orgoglio per avvicinarci agli altri, anche solo per un momento. Magari ci sono, dei momenti in cui le nostre priorità sono diverse, proprio come stava succedendo a quella ragazza. 
Che poi, pensavo, chiedere scusa è anche una sensazione quasi piacevole. Non prima, quando abbiamo paura, ma dopo, quando sentiamo quel peso sullo sterno che si dirada piano piano, lasciandoci più leggeri.
Ero così coinvolto in questi miei ragionamenti che decisi di spegnere il lettore per concentrarmi meglio.
 -    La verità è che tu non prendi mai le mie parti. Dai ragione a tutti meno che a me! Ma davvero non ti rendi conto di dove hai sbagliato?
Sei incredibile! Io ti ho chiesto persino scusa, ma la verità è che anche se non ho usato le parole più giuste, avevo ragione da vendere. Sai che ti dico? Se questo è tutto quello che hai da dirmi la nostra conversazione può anche finire qui!  -
Ecco, fu allora che me ne resi conto.
Non chiediamo scusa agli altri se non per soddisfare noi stessi, per mostrarci maturi, affinché  anche gli altri siano costretti a chiederci scusa. Tutto quello che facciamo, ogni singola cosa, ogni volta, ha sempre un doppio fine, anche se inconscio.
 E, mentre sentivo quella voce dietro di me che inveiva contro il proprio interlocutore, sempre più rabbiosa, pensavo a quanto siamo piccoli tutti noi, a quanto siamo meschini, scontati, miseri.
Ho imparato due cose quel giorno: a non osservare il mio prossimo quando mi sento malinconico e a non interrompere mai della buona musica per riflettere sulla nostra realtà!

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P.S. Ragazzi, vi giuro che ci ho provato, ma non sono proprio riuscito a trovare l'autore di questo quadro ( l'originale è a colori.). Se qualcuno lo conosce lo scriva così lo aggiungo in seguito. Grazie e ciao a tutti:)

 

 

 
 
 
 
 

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