La Parola che Aiuta
Un piccolo aiuto psicologico per la persona in difficoltà
Post n°7 pubblicato il 23 Aprile 2014 da EffeElleT
Le emozioni sono il risultato nostro interno dell'impatto della realtà su di noi. Un fatto, una persona, una cosa ci colpiscono e noi proviamo una emozione, piacevole o spiacevole. La nostra capacità di provare e dare significato all'emozione, quando si attiva in noi, ci permette di rispondere in maniera per noi efficace, adattiva, alla realtà che ci ha appena impattato. Perciò le emozioni sono i mattoncini che costituiscono la nostra esperienza. Senza di esse non siamo in grado di costruire la nostra esistenza in sintonia con le nostre attitudini ed i nostri bisogni. Ecco il perchè di questo post: molte volte ci capita di evitare di entrare in contatto con determinate emozioni, in particolar modo quelle negative, ci difendiamo dalle nostre emozioni. Molto spesso utilizziamo strategie quali l'uso di droghe, l'alcool, l'utilizzo compulsivo della tecnologia, dello shopping, del gioco d'azzardo etc. Cerchiamo più o meno inconsapevolmente di evitare di pensare a certe cose, di tenere lontane da noi delle emozioni sgradevoli, dolorose. Ma questa modalità di agire è un'arma a doppio taglio, e tutti e due i tagli dell'arma sono rivolti contro di noi! Infatti, da un lato rischiamo di cadere vittima in meccanismi patologici, quante persone, ad esempio, spendono i loro averi al videopoker o ai gratta e vinci? Da iniziale innocente passatempo che fa sognare di diventare ricchi diventa una schiavitù, un vortice che genera ansia e frustrazione ma che alla vittima appare indispensabile, lo strumento salvifico che porterà ricchezza ed allontanerà per sempre quelle brutte sensazioni di sconfitta sociale, emarginazione, etc . M. Borgioni durante un seminario ha detto "Non possiamo fare altro che accogliere le nostre emozioni". Questa frase la trovo profondamente vera e riassume il senso di questo post. |
Post n°6 pubblicato il 21 Aprile 2014 da EffeElleT
Quante volte ci succede che all’interno di una relazione di coppia, di amicizia o di lavoro ci sentiamo incompresi, offesi, oppure si creano degli attriti inaspettati ? Molte volte alla base c’è un problema di comunicazione legato, non soltanto al contenuto verbale del messaggio, ma anche alle modalità di trasmissione di esso. All’interno di una relazione, infatti, il contenuto verbale di una comunicazione rappresenta una piccola percentuale (il 10% circa) dell’intero messaggio che arriva all’altro e che comprende, il tono della voce, le inflessioni, la mimica espressiva, la postura etc. Lo stesso discorso vale per la nostra modalità di ascolto, aspetto relazionale importante e determinante nella comunicazione. Affinché possiamo riuscire a comunicare efficacemente dobbiamo allora riuscire a fare principalmente due cose: Non porre ostacoli alla comunicazione. Thomas Gordon parla di “Barriere alla Comunicazione”, considerando tutti quegli atteggiamenti, frasi, toni sarcastici, etc., che trasmetto all’altro un giudizio negativo, gli fanno provare emozioni spiacevoli e lo portano a difendersi nella relazione. Eliminare le Barriere alla propria comunicazione significa impegnarsi ad evitare che l’altro si possa sentire minacciato, promuovere un dialogo aperto e sereno, autentico. Cercare di mantenere un ascolto profondo dell’altro. Anche qui il maestro è T. Gordon, che descrive approfonditamente “l’Ascolto Attivo”. Dare tempo all’altro senza fare altro, lasciarlo esprimere senza interromperlo, comunicargli con l’atteggiamento del corpo e se serve a parole che si è ben disposti ad ascoltarlo e che si desidera comprenderlo, sono gli aspetti centrali di un ascolto profondo dell’altro. Inoltre un ascolto veramente profondo è determinato dal prestare una particolare attenzione alle emozioni che esprime chi parla, ossia provare ad essere empatici verso l’altro. L’empatia fa parte dell’ascolto proprio perché consiste nella capacità di sentire le emozioni di chi sta comunicando con noi. Ma ogni comunicazione avviene tra almeno due persone, cosa succede se io comunico in maniera efficace e l’altro no? Sicuramente all’inizio sarà frustrante, ma un ascolto profondo ed una comunicazione senza barriere fanno sentire la persona comoda nella relazione, a suo agio, serena, perciò nel tempo abbasserà le proprie difese ed i propri atteggiamenti/barriera ed adotterà con me un modo di comunicare più rispettoso ed efficace. |
Post n°4 pubblicato il 18 Aprile 2014 da EffeElleT
Il ricorso agli psicofarmaci è un fenomeno dilagante in Italia come in tutto l'Occidente industrializzato. Ansiolitici, ipnotici ed antidepressivi sono categorie farmacologiche largamente prescritte, molte volte a ragione, altre volte no. Di contro il ricorso all'ausilio dello psicologo è generalmente sottovalutato, anche dagli stessi medici di base. C'è poi chi, ed il numero sta crescendo negli ultimi anni tanto che in Italia si registra un lieve calo nell'utilizzo degli psicofarmaci, è contrario al farmaco, considerandolo un surrogato chimico insalubre e potenzialmente controproducente, dato che evita nella persona il reperimento di quelle risorse interne necessarie per risolvere le proprie difficoltà psicologiche. In sintesi le opinioni dell'uomo della strada sull'utilità degli psicofarmaci e della psicoterapia per la risoluzione del disagio psichico sono variegate ed a volte confuse. Esistono delle condizioni di sofferenza psichica che necessitano di un intervento psicofarmacologico prima di qualsiasi altra terapia. Mi riferisco a disturbi che hanno un forte coinvolgimento del metabolismo cellulare neurologico (ad esempio i dist. dell'umore, le psicosi, ma anche certe forme di disturbo ossessivo/compulsivo etc.). In altre situazioni di disagio, determinate da problematiche di natura psicologico/relazionale (sono la maggior parte!) , il farmaco può essere uno strumento utile in un momento di particolare crisi, efficace per alleggerire il peso della sofferenza, riuscire a riposare, recuperare energie, ma non rappresenta la soluzione! Il farmaco in questi casi agisce sui sintomi, ad esempio allevia l'ansia, alza l'umore, permette di dormire, ma non agisce su ciò che determina i sintomi, ossia le problematiche di natura psicologica e/o relazionale. Che fare allora? La risposta è la Terapia della Parola: spesso non serve nemmeno un percorso psicoterapeutico, può essere risolutiva una consulenza psicologica, un intervento breve e focalizzato che in poche sedute aiuta la persona ad individuare e risolvere i propri problemi e riconquistare un sereno equilibrio. Così scopriamo che pillole e parole, se usate in scienza e coscienza, non sono contrapposte, ma strumenti di promozione della salute da adattare al singolo individuo.
|
Post n°3 pubblicato il 17 Aprile 2014 da EffeElleT
La Depressione è un disturbo della psiche molto invalidante, che si manifesta in diverse forme e con una molteplicità di sintomi che nell'insieme sfiancano la persona che ne soffre e la portano a chiudersi alla vita. La prima cosa che bisogna fare quando si cade nella Depressione è cercare aiuto, affidandosi alle mani professionali ed esperte di un bravo psichiatra e, successivamente, di un altrettanto bravo psicoterapeuta. Non ci sono alternative o scorciatoie, nel caso di Depressione ed altri Disturbi dell'Umore l'unica cosa efficace da fare è rivolgersi a degli esperti che, attraverso un idoneo trattamento farmacologico ed un sostegno psicoterapeutico, aiutino la persona a risalire quella che si configura come la china di un baratro. Ma al di là dei disturbi depressivi propriamente detti, la vita di moltissimi di noi è attraversata da momenti, periodi esistenziali, in cui cadiamo vittima di malinconie, angoscia, andiamo giù di umore e diciamo che ci sentiamo depressi. E' da chiarire che nella maggior parte dei casi non si tratta di Depressione, ma di un periodo in cui il nostro umore cala e vediamo buio, ci sentiamo sconfitti, scarichi di energia e demotivati. In molti coincide anche con i cambi di stagione, la variazione delle ore di luce, infatti, genera nel corpo stravolgimenti ormonali che incidono anche sul tono dell'umore. Ma in molte persone dipende fondamentalmente da altro: piccole o grandi esperienze fallimentari, la fine di relazioni per noi importanti, lutti, o altri eventi stressanti e spiacevoli ci feriscono, ed iniziamo a sentirci inadeguati, oltremodo sfortunati e/o vittime impotenti. Percepiamo di aver perso la speranza di essere in grado di cambiare le cose a nostro favore. Questo vortice di pensieri e sentimenti negativi molto spesso genera in noi una progressiva perdita di senso esistenziale, ci domandiamo cioè "che campiamo a fare? che senso ha la nostra esistenza?". Se arriviamo a questo punto la possibilità di uno scivolamanto verso una forma depressiva vera è propria si fà concreta, dipende dalle nostre risorse interne del momento. Per uscire da questo stato simil depressivo dobbiamo con coraggio e fatica compiere dei passi che reputo per esperienza diretta (su me stesso), ed indiretta (su persone che ho aiutato), necessari: 1° Apriamo la porta alle nostre emozioni dolorose, avviciniamoci, cioè, alla ferita che abbiamo subito senza difenderci dal dolore che proviamo e senza giudizi sul nostro valore personale. Se riusciamo a far questo, lasciamo defluire ciò che ci fa male, ci alleggeriamo del carico emotivo che portiamo con noi, recuperiamo perciò energie da dedicare ad altro alla nostra vita attuale, alla nuova esperienza. 2° Se sentiamo affiorare della rabbia, diamoci il permesso di esprimerla. Ciò chiaramente non vuol dire arrecare danno al prossimo! Vuol dire contattare la rabbia che è dentro di noi e comunicarla (se si può e ci si riesce, esprimerla al diretto interessato sarebbe il massimo!). 3° Smettiamo di cadere in due tranelli della nostra psiche, la Generalizzazione dell'Esperienza e la Svalutazione di noi stessi. 4° Affrontiamo con coraggio la Paura! E' inutile negarlo, vivere è complicato, e specialmente dopo esperienze che ci hanno arrecato dolore la prospettiva di riprovarci, di riprendere il nostro cammino e rischiare di rifarci male, può spaventarci, anche tanto!
|
Post n°2 pubblicato il 15 Aprile 2014 da EffeElleT
L'Ansia è un argomento decisamente attuale e molto dibattuto, infatti insieme alla Depressione costituisce la fonte di disagio psicologico più diffuso in Occidente. Potrei affrontare il tema Ansia descrivendo le sue principali forme, indicando quelli che secondo me sono i più efficaci approcci psicoterapeutici o parlando dell'efficacia o meno dell'approccio farmacologico; ma per questo ci sono persone sicuramente più titolate e preparate di me e, in secondo luogo, non credo sia il modo efficace per essere un minimo (e sottolineo "un minimo" perchè ciò può dare questo spazio) di aiuto a chi di ansia soffre. L'Ansia in se non è altro che uno stato di attivazione dell'organismo che avverte l'Io cosciente che c'è un pericolo imminente, qualcosa che non và; è, insomma, un campanello d'allarme emotivo, perciò rappresenta un segnale amico prodotto dai nostri sistemi inconsci per spronare i sistemi coscienti a mobilitarsi per operare un cambiamento che ci mettà al sicuro e migliori la nostra condizione di vita. Nella sua essenza, quindi, l'Ansia ci è Amica! 1. La modalità di percezione: Spesso abbiamo la tendenza a percepire l'Ansia che stiamo provando come qualcosa di esterno a noi di cui siam caduti vittima, così, da segnale amico qual'è, diventa una minaccia da cui fuggire, un disagio inspiegabile da eliminare. Percepirla in questo modo impedisce qualsiasi riflessione sui motivi profondi che ci hanno portato a provare ansia, impedendo l'avviarsi di quel processo di cambiamento che ci allontana dal pericolo subcepito e spegne l'allarme. 2. La reazione a catena: Intendo quel processo, soprattutto alla base degli Attacchi di Panico, attraverso cui l'avvertimento di ansia genera paura, che amplifica l'ansia, che trasforma la paura in terrore, che attiva reazioni riflesse e primordiali di preparazione ad una rapida fuga, che portano al panico perchè l'Io cosciente è giunto a pensare che sta morendo! Questo processo è un vortice difficile da controllare, anche perchè ad un certo punto si attivano dei meccanismi riflessi, automatici, che sfuggono al controllo volontario. Ma questo processo inizia dalla mancata lettura dell'ansia come segnale amico, cosa che insieme ad un terapeuta si può imparare (o reimparare) a fare. 3. La resistenza al cambiamento: A volte l'ansia che proviamo permane perchè noi decidiamo di non voler affrontare un problema, abbiamo paura di operare quel cambiamento che ci toglierebbe da una situazione scomoda, da qualcosa che sentiamo non ci appartiene, da una relazione che non ci soddisfa, da un lavoro che non ci piace, etc. La paura dell'ignoto, quindi di scegliere ed operare un cambiamento, sta alla base di questa resistenza. In questo caso dentro di noi si configura un vero e proprio conflitto tra la percezione che nella nostra vita c'è qualcosa che non và, quindi ansia amica, e la paura di andare a vedere cosa sia che non và, perchè una volta che lo abbiamo visto lo sappiamo e prima o poi dovremo rischiare nell'ignoto operando il cambiamento dovuto. In questo caso ci difendiamo dalla nostra esperienza e fino a quando la tolleriamo preferiamo rimanere con quel costante vissuto d' Ansia che sbiadisce i colori della nostra vita ma ci evita di rischiare... ma di rischiare cosa poi? A ciascuno la propria risposta! ;) |
Inviato da: bal_zac
il 17/05/2014 alle 07:27
Inviato da: EffeElleT
il 25/04/2014 alle 11:09
Inviato da: Lobarkaine
il 24/04/2014 alle 20:01
Inviato da: Lobarkaine
il 24/04/2014 alle 19:53
Inviato da: benjamin_longbow
il 19/04/2014 alle 19:59